Sono passati 10mila anni
da quando le donne hanno scoperto che il seme che avevano raccolto
per mangiarlo e darlo da mangiare al loro compagno e ai loro figli,
poteva essere la fonte di altri semi. E’ molto probabile che
proprio le donne abbiano messo in atto la domesticazione delle piante
da cui hanno, per prime, tratto il cibo che assicurava la pancia
piena a tutti. Tra questi semi il chicco di grano rappresenta ciò
che è stato ed è in grado di soddisfare i bisogni alimentari delle
popolazioni attraverso i secoli.
Questo chicco di grano ha
influenzato la storia dell’uomo, dal neolitico in poi,e gli eventi
che si sono succeduti sono proprio il risultato della coltivazione di
questa pianta e tutto questo ha portato con il passare dei millenni
all’assetto sociale e politico che oggi conosciamo.
E’risaputo che in
passato la terra era nelle mani di grossi proprietari di estrazione
laica o ecclesiastica ed è in quel contesto che si poteva registrare
la prevalenza della monocoltura granaria. Le Masserie erano il centro
dei nostri territori su cui si seminava e la mieteva il grano.
Ed è appunto a metà
Giugno che arriva il tempo della mietitura del grano! Gli sforzi che
a partire da settembre ci hanno portato dalla semina dei chicchi alla
spiga vengono ripagati grazie al raccolto, grazie a quei chicchi di
grano che, da sempre, rappresentano l’alimento fondamentale per la
vita di noi tutti.
Oggi il grano viene
trebbiato da grandi macchine che separano i chicchi che poi vengono
conservati in sacchi, dalla paglia che la macchina rilascia e già
imballata. Ma non sempre è stato così!
Ma la storia comincia
prima perché quei chicchi di grano in passato e ancora oggi devono
essere difesi da chi li vede come un alimento prezioso. I passeri che
volano in tutto il Salento vogliono quegli stessi chicchi di grano
che vogliamo noi. Ma i passeri vanno nei campi solo quando il
contadino non c’e! La presenza del contadino li spaventava e per
questo non si avvicinavano ai preziosi chicchi.
Ed ecco che venne a
qualcuno l’idea. Iniziarono con il fare dei turni perché quando il
contadino finiva di lavorare e andava a casa c’era bisogno un suo
sostituto ma a qualcuno venne un idea, infatti pensò a un sostituto
non umano, a una copia di contadino: lo spaventapasseri. Oggi questo
pupazzo di paglia, questo uomo di paglia, non lo vediamo più. A
dissuadere i passeri spero che non si impieghino le esche a base di
Alfacloralosio ma che si utilizzino i dissuasori elettrici alimentati
da pannelli solari. Il loro funzionamento è semplice la linea
elettrificata è messa sotto tensione per tutta la sua lunghezza. Fra
polo positivo (tondino superiore) e polo negativo (tondino inferiore)
scocca una scarica elettrica ad alto voltaggio ma bassissimo
amperaggio appena i volatili si dovessero posare sull’impianto.
E’ stato constatato che
l’ impianto, successivamente alla sua installazione, funge anche
come deterrente all’ avvicinarsi dei volatili, i quali impareranno
presto ad evitarne il suo contatto.
Comunque lo
spaventapasseri non lo usa più nessuno. Ne vedete nei campi di
grano? Questo pupazzo che svettava non c’è più e a me un poi’
manca.
Non c’è più lo
spaventapasseri ma non c’è nemmeno più la falce che serviva per
la mietitura! Il falcetto fu una scoperta rivoluzionaria del
neolitico che consentì la raccolta di più spighe per volta.
Oggi, come ho già
scritto, c’è la mietitrebbia! Ma una volta c’era la mietitura e
il grano veniva ammassato in covoni che venivano portati sulle aie.
Già l’aia! Anche le aie non ci sono più.
Sulle aie si faceva la battitura a mano, mediante semplici bastoni, oppure con l’aiuto di animali, di cui si sfruttava il calpestio, oppure facendogli trainare grosse pietre o altri strumenti più elaborati. Tutto questo aveva la finalità di sgranare le spighe per farne uscire i chicchi.
L’aia è di forma circolare, del diametro di 10 metri delimitata da cordoli in pietra calcarea a forma di parallelepipedo con il lato interno arrotondato. Chissà quante ne avrete viste!
Il pavimento dell’aia (astricu in salentino) quasi sempre è fatto di lastre quadrangolari di calcare duro (chianche).
Nel Salento, la tecnica utilizzata era la trebbiatura con la pesara.
Ma che cos’è la pesara?
E una pietra grezza, tufacea, sagomata in forma trapezoidale (dimensioni medie: base minore 25cm, base maggiore 35 cm , altezza 50cm), più sottile alla base maggiore, leggermente arcuata e più spessa alla base minore, nella quale era praticato un foro per farvi passare la corda o la catena con cui era legata all’animale che la trainava.
La parola viene dal latino, dal verbo pisare, che significa pestare, battere, macinare, ridurre in polvere.
Pesaturu (che serve per pisare), il pestello, ha la stessa etimologia.
E chi non ha mai detto a chi continuava a tediare con continue lamentele e recitare le sue disgrazie questa frase: “mpiennite na pisara a ‘ncueddru e mminate a mmare (legati una pisara al collo e buttati a mare).
Una volta veniva eliminata la paglia e si cominciava a ientulare. Il vento collabora e gli uomini con le pale lanciava no in aria il grano, mentre le donne procedevano a una prima pulitura facendo “ballare” il setaccio.
Secondo lo studio di Ricciardi e Filippetti (“L’erosione genetica di specie agrarie in ambito mediterraneo: rilevanza del problema e strategie di intervento – Cahiers Options Mediterranéennes, Vol. 53, 2003) , l’uniformità colturale creatasi per la coltivazione del frumento ha fatto perdere molte cultivar di grano. Nel leccese nella superficie coltivata a grano alberga ormai una sola varietà. Erano oltre 250 le varietà di frumento coltivate negli anni ’20 che nel 1971 (L. Gosi) erano comunque date già per scomparse, e ad “agevolare” tale situazione aveva dato un buon contributo la scomparsa dalle coltivazioni di specie affini, in particolare le varietà di farro (oggi per fortuna in ripresa nelle regioni dell’Italia centrale), prezioso serbatoio di geni. Uguale situazione di progressiva rarefazione è toccato alle varietà locali di segale, orzo ed avena, cereali sempre meno utilizzati nel nostro Paese.
Erano numerose nel leccese le cultivar di grano duro, ormai difficili da reperire o definitivamente scomparse: dal Cappelli (oggi tornato di moda) al Russello, dal precoce Grifoni (molto produttivo per la sua epoca), al Patrizio e l’Appulo, molto diffusi fino a tempi recenti.
Erano interessati alle colture su tutto il territorio della provincia di Lecce, gli ecotipi Triticum aestivum Ruscia Turca, Provenzano e Russo e Triticum durum Duro Cannellino, Triminia, Rossarda, Ricco e Rosarda (Fonte: Istituto del Germoplasma, Bari). Invece sono quasi scomparse delle varietà molto resistenti alla ruggine come il Belsincap e il Sincape.
Ma torniamo al grano
senatore Cappelli che oggi parafrasando una celebre aria di Rossini
“tutti lo cercano, tutti lo vogliono” da dove viene questa moda?
Per citare solo un esempio che ha avuto grande risonanza a
Castiglione d’Otranto tra le altre varietà s’è seminato in
terreni vicini all’area interessata dal progetto di raddoppio della
strada statale 275, che collega Maglie al Capo di Leuca tra le altre
varietà di grano anche il Senatore Cappelli.
Il mio amico prof.
Michele Antonio Stanca che è Presidente dell’Unione Italiana
delle Accademie per le Scienze Applicate allo Sviluppo
dell’Agricoltura, alla Sicurezza Alimentare e alla Tutela
Ambientale (UNASA) mi ha spiegato da dov’è venuta fuori la moda
del grano Senatore Cappeli. L’ha fatto in maniera semplice
facendomi la narrazione di ciò che è accaduto a un panificatore che
si è recato, nello scorso anno a New York, precisamente a Little
Italy. Qui una persona che si interessa di distribuzione di pasta e
facente parte della Comunità italiana in America, gli ha chiesto del
grano CAPPELLA che lui sapeva fosse italiano, che gli serviva per
fare della pasta richiesta insistentemente dai suoi clienti
italo-americani. Il panificatore al ritorno dell’America si è
rivolto al prof. Stanca che, prima gli ha fatto presente che la
varietà che cercava si chiamava in realtà “Senatore Cappelli” e
poi, gli ha trovato il seme che è stato moltiplicato e da cui si è
iniziato a ricavare tanto grano senator Cappelli. Insomma oggi il
grano Senatore Cappelli è divenuto per questo motivo di moda.
La cultivar di Frumento
duro (Triticum durum) autunnale “Senatore Cappelli” è stata
ottenuta dal genetista Nazareno Strampelli presso il Centro di
Ricerca per la Cerealicoltura di Foggia nel 1915
mediante selezione genealogica dalla popolazione nord-africana Jenah
Rhetifah. È il grano che nel 1923 verrà rilasciato
omaggiando con il nome Raffaele Cappelli, nel frattempo divenuto
senatore.
Il Senatore Cappelli diventa un
successo tra gli agricoltori italiani, nonostante fosse alto e
suscettibile all’allettamento. Era infatti molto più produttivo
dei grani duri utilizzati in precedenza. Le rese passarono dalle 0,9
tonnellate per ettaro del 1920 a 1,2 della fine degli anni ’30.
Strampelli dedicò questa
cultivar al marchese abruzzese Raffaele Cappelli, senatore del Regno
d'Italia, che, negli ultimi anni dell'Ottocento, assieme al fratello
Antonio, aveva avviato trasformazioni agrarie in Puglia e sostenuto
lo Strampelli nella sua attività, mettendogli a disposizione campi
sperimentali, laboratori ed altre risorse.
Ed eccoci alla fine del
nostro viaggio. Un viaggio pieno di sorprese e di ricordi, un modo
per scoprire, attraverso le tradizioni del nostro Salento, le nostre
radici.
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