mercoledì 30 giugno 2010

Col tempo e con la paglia si maturano le nespole (Meddrhe - Mespilus germanica L.)


Col tempo e con la paglia si maturano le nespole (Meddrhe - Mespilus germanica L.)
di Antonio Bruno
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Mespibis germanica L. i Greci antichi lo chiamavano méspilon, Linneo pensava, sbagliando, che la Germania fosse l'area d'origine. Il caro amico Gigi, grande affabulatore, narratore del mondo che riesce a penetrare con le sue parole misteri altrimenti inesplicabili ha puntato il faro della sua sapienza sulle Meddrhe o Nespolo Comune costringendomi a ricordarlo e a farvelo ricordare.
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"Thre suntu le cose ca ti nnudacanu lu core: le meddrhe, li cutugni e le male parole” Traduzione “tre sono le cose che lasciano senza respiro il cuore: le nespole, i cotogni e le cattive parole”

Se l'agricoltura e il turismo vanno di pari passo ecco che nelle strutture di accoglienza appaiono gli alberi da frutto di cui sente parlare poco che producono frutti misteriosi e tra questi le “Meddrhe” che poi sono le Nespole che vengono prodotte dal Nespolo Comune o Mespilus germanica. Era domenica scorsa quando Gigi Di Mitri sapientemente ha iniziato a parlare di ciò che nella vita conta, dei sapori e degli odori del Salento leccese ed è così che me l'ha ricordato durante una cena vegetariana a Zollino. Il caro amico Gigi, grande affabulatore, narratore del mondo che riesce a penetrare con le sue parole misteri altrimenti inesplicabili ha puntato il faro della sua sapienza sul Nespolo Comune costringendomi a ricordarlo e a farvelo ricordare.
Chi fa accoglienza rurale, e anche chi fa accoglienza in questi splendidi alberghi del Salento leccese, se offre agli ospiti il gusto di questo frutto ecco che riesce a dare un immagine di genuinità evocata da queste essenze arboree dell'ambiente antico del nostro Salento leccese che in tutti i tempi, e ora come allora, è stato attraversato dai popoli della terra che dal Nord andavano ad Est e che oggi da Sud arrivano in Europa.
I Greci antichi lo chiamavano méspilon e nespolo deriva dal latino Mespilium tradotto dal greco mespilon che si riferisce a biancospini orientali simili a questa pianta da frutto.
Le meddhre (Mespilus germanica) erano frutti consacrati al dio greco Crono e al Dio latino Saturno perché era considerato utile arma di difesa contro le energie negative degli stregoni.
Pare che il primo maggio, secondo la credenza, gli stregoni potevano privare la pianta del fogliame e renderlo sterile per non riprodurre i suoi frutti, ma solo se la pianta non era stata benedetta.
Anticamente i medici credevano che avesse il potere di regolare i flussi intestinali. Questa utilizzazione riprese all’inizio del secolo con una sperimentazione a livello ospedaliero da parte di un medico francese, il Dott. Mercier, che ottenne buoni risultati sulla regolazione delle diaree.
Nel Bollettino della Società dei naturalisti in Napoli è riportato uno scritto del Della Porta sulle varietà di nespolo (Mespibis germanica L.) che si coltivavano ai suoi tempi:
“I nostri nespoli sono di due specie, uno a frutto grande quasi quanto una mela, coi rami privi di spine, ed è coltivato e perciò ha perduto l'abito selvatico; l'altro, irto di spine, che nasce nelle
selve e nei luoghi incolti , a frutto piccolo e più acerbo e che appena si può mangiare dopo che si è maturato lungo tutto l'inverno, e a Napoli lo chiamano niespolo canino. Ve n'è poi una terza specie, a frutto più stretto ed allungato, senza noccioli, che credo piuttosto un prodotto della coltura e della bontà del terreno, piuttosto che un genere diverso, perchè dallo stesso albero si hanno frutti rotondi con nòccioli e frutti oblunghi e senza noccioli”
Quindi ci sono tre varietà di nespolo cioè il Mespilus germanica L., che corrisponde al nespolo canino; il M. g. apyrena, che è Vinternis ossihìis carens di Della Porta; e il M. g. fructìt maximo, che è quello descritto
E' un un albero che ha avuto origine nella penisola balcanica sud orientale, nel Caucaso, in Crimea, nel Nord dell'Iran ed in Turkmenistan. Il nome germanica che fu adottato da Linneo riteneva da una presenza molto forte in Germania che fece pensare a Linneo che quella fosse l'area d'origine.
Era noto insieme al cotogno come frutto astringente infatti Nicolas Alexander, benedettino, nel 1751 scrive: “lo si impiega all’interno ancor verde, nei flussi di ventre, la dissenteria, i vomiti, la nausea e in tutti i casi in cui le fibre rilasciate hanno bisogno di essere ristrette”.
Henry Leclerc medico francese 1870-1955 scrittore del libro Lineamenti di Fitoterapia fece uno sciroppo di nespolo che risultò efficace nelle diarree infantili.
L'albero può raggiungere l'altezza di 6 metri ed è caratterizzato quasi sempre da un tronco storto. Le foglie sono grandi e caratterizzate da una leggera peluria nella pagina inferiore e una seghettatura vicino alla punta, i fiori sono bianchi. Interessante la maturazione dei frutti: ricordate il vecchio adagio “col tempo e con la paglia maturano le nespole”? Bene, le nespole o meddrhe vengono raccolte in autunno e lasciate ammorbidire in un cesto mettendogli accanto un paio di mele per un paio di mesi. In questo modo diventano dolci altrimenti sono molto astringenti.
La decozione delle foglie e dei frutti è utile come gargarismo nei mal di gola.
La tradizione popolare conosceva l’impiego antidolorifico, in caso di mal di stomaco, dei frutti secchi polverizzati.
Il decotto dei frutti freschi, non ancora maturi, era somministrato nelle affezioni epatiche.
Forse ho scritto delle nespole, oltre che per la fortissima suggestione che mi ha dato domenica Gigi Di Mitri, perchè il tempo è galantuomo, lo riscontro in ogni circostanza e con il tempo “i muri si abbassano” come mi disse Rino De Filippi un vecchio ormai scomparso segretario di un vecchio e ormai estinto partito nel quale mi onoro tuttora di aver militato in giovinezza.

Bibliografia

Giancarlo Bounous, Elvio Bellini, Gabriele Beccaro, Laura Natarelli: Piccoli Frutti e Fruttiferi minori in montagna tra innovazione e tradizione
Markus Kobold:Liquori d'erbe e grappe medicinali
I Nostri frutti nelle TRADIZIONI POPOLARI e nella fitoterapiaCategoria Etnobotanica, Frutti, Tradizioni Popolari Contributo al Convegno sui Frutti Dimenticati di Casola Valsenio http://www.etnobotanica.org/category/tradizioni-popolari/
Bollettino della Società dei naturalisti in Napoli 1914 http://www.archive.org/stream/bollettinodellas26soci/bollettinodellas26soci_djvu.txt
Henry Leclerc : Lineamenti di Fitoterapia
Elvio Bellini – Edgardo Giordani: Riscopriamo i fruttiferi minori

lunedì 28 giugno 2010

La decorazione nei cimiteri della Sicilia con la Batata del Salento leccese (Ipomoea batatas L.)


La decorazione nei cimiteri della Sicilia con la Batata del Salento leccese (Ipomoea batatas L.)
di Antonio Bruno*
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La batata è originaria delle Ande (America Centrale) dove è stata coltivata a partire da 5000 anni fa. La batata fu la prima ad arrivare in Europa, portata indietro dalle Americhe dallo stesso Cristoforo Colombo. La varietà di batata coltivata nella provincia di Lecce, ha una uniformità di colore, un'alta concentrazione di zuccheri e, soprattutto, si conserva molto a lungo. Se i tuberi vengono messi in un vaso pieno d'acqua, ecco che emerge una cascata di bellissima vegetazione.
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Il Conte Villa di Mont Pascal, Tesoriere della Reale Accademia di Agricoltura di Torino, nell'adunanza del 28 aprile 1842 illustrò la coltivazione della Batata dolce americana. Lui la chiamava Convolvulus Batatas (Ipomoea batatas L.). La coltivazione fu introdotta dal Marchese Ridolfi in un podere sperimentale di Meleto. Il Prof. Moretti aveva tentato la coltivazione della Batata in Lombardia avendo avuto difficoltà e anche per l'impossibilità di conservare i tuberi sino alla semina, quelle varietà erano davvero difficili da conservare.
I primi di aprile si misero a germinare i tuberi e in 15 giorni da un tubero spuntarono i germogli. Da quell'unico tubero ottenne delle talee che che alla fine di giugno vegetavano. Interessante la concimazione che consisteva nell'utilizzo di cenere e poi contro le formiche e i grillotalpa il Conte utilizzò della fuliggine. Le piante lussureggiarono raggiungendo tre metri di larghezza. Ai primi di ottobre le piante cominciarono a fiorire e per paura delle piogge si provvide a estrarre i tuberi dal terreno. Raccolse 75 chili di tuberi. Poi provò a conservare i tuberi alcuni alla temperatura di 4 – 5 gradi e marcirono tutti, altri alla temperatura di 14 – 15 gradi che rimasero vitali.
La batata è originaria delle Ande (America Centrale) dove è stata coltivata a partire da 5000 anni fa.
Ripetiamo la sua carta di identità ovvero BATATA Ipomea batatas(L.) Famiglia Convolvulaceae
Ha una resa di 15 tonnellate di tuberi per ettaro. La varietà del Salento leccese produce da 20 a 40 tonnellate per ettaro. La produzione mondiale è di 127 milioni di tonnellate; la superficie mondiale è di 9 milioni di Ettari così distribuiti: Cina 86%; Indonesia 2%; Uganda 2% e Vietnam 1%.
La sua coltivazione in Italia è limitata a modestissime superfici del basso Veneto, del Comasco e della parte nord-orientale della Provincia di Lecce oltre che nell’agro leccese, si coltivava, a macchia di leopardo, in varie aree del Salento e in particolare a Calimera, centro della Grecìa Salentina. Attualmente è limitata a piccole superfici lungo la fascia costiera dell'agro leccese che dal capoluogo conduce verso la Provincia di Brindisi, gli agricoltori che continuano nella coltivazione sono quelli di Frigole, Surbo, Squinzano e Trepuzzi.
L’antica varietà coltivata nella Provincia di Lecce, e in particolare nell’agro leccese, è una varietà molto rustica, vigorosa, quasi invadente, forma piante striscianti molto estese dall'elegante fogliame cuoriforme dalla bella colorazione rosso-violacea. I tuberi sono solitamente di forma allungata con le due estremità sottili, ma anche globosi, di colorazione rosso-ocra. La polpa è giallastra e molto zuccherina.
Ha dei fusti che vanno verso il basso e spesso di colore porpora per la presenza di pigmenti che possono colorare anche le foglie lungo le nervature. Nel Salento leccese viene irrigata anche se è una pianta molto resistente all'aridità e ama la luce. I fiori sono solitari e simili a quelli del convolvolo, il frutto è una capsula. Così come ha fatto il Conte Villa di Mont Pascal la batata si può riprodurre per talea e produce due tipi di radici avventizie alcune sono sottili e servono per l'assorbimento della soluzione circolante del terreno, altre invece sono inspessite e hanno la funzione di deposito di amido prodotto dalla fotosintesi clorofilliana nelle vistose foglie. La formazione del tubero avviene in queste radici secondarie di deposito per la crescita secondaria della radice formando un cambio cribro – vascolare (tessuti meristematici secondari che derivano da cellule adulte e già differenziate che, in un secondo tempo, riacquistano la capacità di dividersi persa con la specializzazione) a livello del periciclo ( unico strato di cellule poste immediatamente al disotto dell'endoderma che è il foglietto embrionale più interno) e di un secondo cambio che si forma dal parenchima midollare attorno alle arche con produzione di pochi elementi di xilematici (legno) e floematici (vasi) e molto parenchima in tutte le direzioni. Negli organismi vegetali il termine parenchima, o tessuto parenchimatico, indica una serie di tessuti di riempimento, molto attivi dal punto di vista metabolico, dotati di ampi spazi intercellulari. Questi tessuti parenchimatici prodotti dai due cambi hanno gli spazi intercellulari ricchi di amido e attraversati da canali laticiferi dove c'è un lattice denso e bianco.
La raccolta del tubero si fa o quando le foglie ingialliscono, oppure quando a un taglio non fuoriesce più il lattice.
Nel tubero vi sono i caroteni che ovvero la Vitamina A, l'acido ascorbico o vitamina C, la niacina o vitamina PP, Pellagra-Preventing, o vitamina B3, pigmenti antociani che sono i responsabili del colore rosso e gli zuccheri.
Nel Salento leccese viene chiamata Patata zuccherina proprio per il sapore dolce che è dato sia dal saccarosio che dal fruttosio presente nei tuberi. L'amido della Batata è costituito per tre quarti da amilopectina che è un polimero del glucosio, altamente ramificato, presente nelle piante e da un quarto di amilosio che è uno zucchero polisaccaride che deriva dall'unione di centinaia di molecole di α-D(+)-glucosio (solitamente da 300 a 3000). Non contiene che scarse proteine e soprattutto ha pochissimo triptofano che come noto in noi esseri umani è uno degli amminoacidi essenziali, cioè va assunto tramite l'alimentazione, dato che l'organismo umano non è in grado di sintetizzarlo. Inoltre la Batata contiene anche pochissimi amminoacidi solforati che sono anch'essi amminoacidi essenziali. I minerali presenti nel tubero sono sodio, potassio, fosforo e calcio. Nel tubero vi sono anche molti oligosaccaridi responsabili della flatulenza ovvero la formazione di una miscela di gas "Ed elli avea del cul fatto trombetta"(Dante) . Inoltre nel tubero vi sono degli ossalati che aumentano in quantità se vi sono delle infezioni da funghi che producono una tossina l'ipomeamarone. In alcune zone, ma non nel Salento leccese, sia le foglie che i teneri germogli vengono utilizzati come verdure.
Oggi se passate dalle parti di Frigole una frazione della Città di Lecce, vicino al mare potete ammirare le coltivazioni di queste piante. Qualcuna viene utilizzata per il tubero dal sapore dolciastro e da qui il nome di Patata zuccherina ma la maggior parte viene spedita in Sicilia. Come dite? Perché in Sicilia? Ma è semplice se prendete il tubero e lo mettete nell'acqua sapete cosa accade? Dalle gemme ecco veni fuori una bellissima vegetazione di foglie lobate o palmate a fillotassi (deriva dal greco phyllon=foglia + taxis=ordine) alterna.
E che se me fanno i siciliani di un tubero nell'acqua che vegeta in questo modo?
Ne fanno un uso decorativo, come gli americani che hanno sul balcone o sul terrazzo un bel tubero da cui far venir fuori tante e belle foglie da decoro!
La batata messa in un barattolo pieno d'acqua in inverno crea bellissime foglie che abbelliscono le tombe dei cimiteri siciliani e da qui questa produzione locale in agro di Lecce località Frigole. Batata dell'agro leccese, patata dolce, patata zuccherina, patàna, taràtufulu è inserita nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali e nell’Atlante dei Prodotti Tipici.
Specificamente nel Salento leccese nel mese di febbraio-marzo si mettono a germogliare in vivaio i tuberi raccolti nella campagna precedente e i primi di Aprile, quando i germogli hanno raggiunto una lunghezza di 15-20 centimetri, si staccano dal tubero e si scavano delle buche piantando le talee formando delle righe. Il terreno viene arato facendo in modo da evitare ristagni idrici.
I terreni di Frigole e della costa adriatica destinati alla coltivazione della batata erano paludosi e quindi sono umidi, dopo la preparazione del terreno si effettua una sarchiatura e si irrigano. La batata del Salento leccese si raccoglie a settembre ma si può procedere a una raccolta frazionata perché i tuberi possono rimanere nel terreno sino a novembre.
La varietà di batata coltivata nella provincia di Lecce, ha una uniformità di colore, un'alta concentrazione di zuccheri e, soprattutto, si conserva molto a lungo. Le foglie sono a forma di cuore, il fusto ha un portamento strisciante. Questo particolare portamento che determina, se messe in un vaso pieno d'acqua, una cascata di bellissima vegetazione ne ha determinato il successo come pianta da decorazione dei cimiteri della Sicilia.

*Dottore Agronomo



Bibliografia

Annali della Reale Società Agraria di Torino Volume Primo 1840
Leda Cesari: Come all'idroscalo di Milano le Ferie a Rauccio
Antonio Giaccari: La batata nel leccese tra tipicità e sviluppo del territorio
Prof. Guido Baldoni: Tuberose nel mondo FAO 2004
Calogero Rinallo: Botanica delle piante alimentari
Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inf. XXI, 139
J. C. Pennycooke and L. E. Towill: Cryopreservation of shoot tips from in vitro plants of sweet potato [Ipomoea batatas (L.) Lam.] by vitrification
W. J. Martin: Effect of Sweet Potato Cultivars and Pathogens on Ipomeamarone Content of Diseased Tissue.
Elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali e nell’Atlante dei Prodotti Tipici http://www.tipicipuglia.it/test/procedure/pdf/prodotti_trad.pdf
Giuseppe Palumbo: “Il Salento” Almanacco Illustrato 1931- vol. 5° - Ed. L’Italia Meridionale- Lecce

I prodotti agricoli con la carta d'identità


I prodotti agricoli con la carta d'identità
di Antonio Bruno
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Si è conclusa positivamente la trattativa per il rinnovo del CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) degli operai agricoli e florovivaisti. A Bari il 28 giugno 2010 in una discussione dei sindacati di Puglia si è discusso del futuro del lavoro nei campi.
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A Bari il 28 giugno 2010 per una discussione su ciò che si è verificato a Roma il 25 maggio 2010, presso la sede della Confagricoltura dove è stato siglato il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore agricolo e florovivaistico.
Il contenuto del rinnovo si caratterizza oltre all’aumento economico del 4,1% e altte importanti conquiste.
Molti sono poi gli articoli che affrontano i temi dell’immigrazione straniera e delle clausole sociali, con il riconoscimento di un giorno di permesso in caso di nascita del figlio per i padri, altri aspetti riguardano la formazione, il Part time, estensione dei diritti degli apprendisti, gli appalti e la vendita dei prodotti sulla pianta e la possibilità di regolazione al secondo livello dell’agriturismo ed infine la possibilità di utilizzo dei permessi per i componenti di Agrifondo.
La discussione animata tra gli infermieri del sindacato, tutti al capezzale del lavoro agricolo, malato e poco, o per nulla, considerato. Con un aspirina si vuole guarire il lavoro malato! Un farmaco formidabile l'aspirina, evita tanti guai, risolve tanti problemi, solo che ai malati gravi l'aspirina non serve, servono medicine specifiche che facciano guarire.
Non so se sia chiaro a tutti ma l'aspirina è il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore agricolo e florovivaistico che non è adeguato ma soprattutto che nel Salento leccese non applica quasi nessuno e quindi per questo motivo assolutamente inefficace per guarire il lavoro in agricoltura malato grave, forse malato terminale. Nella maggior parte dei casi la malattia grave è la totale mancanza di garanzie per i lavoratori dell'agricoltura.
Eppure la produzione alimentare serve alle necessità di ogni nostra famiglia, sono i bisogni primari, quello di mangiare, di nutrirsi, che paradossalmente passano a divenire bisogni di cui non siamo consapevoli. Ma se rimanessimo senza cibo? Se accadesse come nel 1940 – 45 come durante la guerra che mi raccontava mio padre e che mi racconta ancora mio suocero, quando per un tozzo di pane si era disposti a tutto o quasi? Ma non ci pensate più vero? Andate in giro per Ipermercati e da scaffale in scaffale gettate ogni ben di Dio nel carrello della spesa, spendendo sempre poco rispetto a quello che spendete per tutto il resto. Eppure se tutto questo non ci fosse vedreste voi stessi quale valore avrebbe un frutto di pesca o di mela, o un pezzo di pane. Il bisogno primario dovrebbe vedere i protagonisti che producono i prodotti della Terra tutti PRIMARI, come quelli ospedalieri che ci guariscono, i contadini e i braccianti agricoli che ci fanno vivere, protagonisti del nostro nutrirci, della crescita nostra e dei nostri figli.
Invece no! I lavoratori agricoli non hanno nessuna garanzia, nessuna tutela, sono trattati come delle nullità, di cui nessuno di occupa. E allora è inutile che si gridi al rinnovo generazionale in agricoltura perchè, di un settore considerato meno di niente, nessuno ne vuol sentir parlare e, soprattutto, nessuno vuole andarci a lavorare ficcandosi in questa avventura che più che un percorso sembra essere un andare allegramente e incoscientemente verso il baratro.
La maggior parte delle persone venute da lontano per lavorare nel Salento leccese esercita il lavoro agricolo stagionale che è il lavoro tipico degli ultimi arrivati insieme a quello dell'edilizia, inutile ricordare la scarsa capacità di incidenza dell'azione sindacale per la dispersione territoriale dei luoghi di lavoro e la non corrispondenza tra luogo di residenza e luogo di lavoro. Il sindacato è in una situazione di debolezza e ha la forte tentazione di difendere i lavoratori ricorrendo all'intervento dello stato e sollecitando interventi legislativi e normativi.
Se vogliamo l'agricoltura nel Salento leccese l'elemento indispensabile per farla sopravvivere sono i lavoratori stagionali! Lo sanno tutti che gli infermieri che chiamano la polizia non guariscono gli ammalati. Forse il lavoro agricolo ha necessità di medici veri che si occupino del lavoro stagionale, lo regolamentino, lo rendano interessante e appetibile.
Mi è piaciuto anche ascoltare la proposta di uno degli interventi che suggeriva di mettere sull'etichetta dei prodotti agricoli i nomi e i cognomi dei lavoratori che hanno contribuito alla produzione di quel frutto, di quella verdura e di quel pane. Il prodotto agroalimentare con un etichetta piena dei nomi e dei cognomi di chi ha contribuito a farlo crescere e maturare per poi essere servito sulla tua tavola per nutrire te e i tuoi figli. I prodotti agricoli che non sono più anonimi ma che hanno una carta d'identità: quella delle donne e degli uomini che hanno lavorato per farli maturare!




Bibliografia

Silvia Pérez-Vitoria:Il ritorno dei contadini
CCNL Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore agricolo e florovivaistico http://www.faicisllecce.com/
Francesco Bacchini: Lavoro intermittente, ripartito e accessorio
Giuseppe Ferraro, Maurizio Cinelli: Lavoro, competitività, welfare, Volume 2
Enrico Pugliese,Dante Sabatino: Emigrazione e immigrazione

domenica 27 giugno 2010

Il Salento leccese “Papa – ver” e “Papa – rine”


Il Salento leccese “Papa – ver” e “Papa – rine”
di Antonio Bruno
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Il termine Papaver deriva dal latino papo (= pappa). Il papavero rosso, originario delle regioni medio - orientali è comparso in Europa con l’introduzione delle colture di cereali. Nel Salento leccese raccogliamo il papavero in pieno inverno , dicembre – gennaio e dopo averlo cucinato lo mangiamo.
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Non dirmi che non sai che cosa sono le paparine? Come mai, sei nato e cresciuto nel Salento leccese, le hai mangiate con le olive, le nere olive della cellina e dell'oliarola, e non sai che pianta è quella della paparina? Allora te lo dico io: è il papavero! Non lo sapevi vero? Noi del Salento leccese raccogliamo il papavero in pieno inverno , dicembre - gennaio, quando non ha ancora il fiore, gli tagliamo le radici , eliminiamo eventuali foglie secche, laviamo tutto (adesso mia moglie si arrabbia perchè sostiene che parlo come il Papa ma a fare tutto questo non siamo noi, né io con il plurale maiestatis, ma lei al singolare) e mia moglie prepara! E come non ricordare quello che tutti abbiamo detto da piccoli: Mamma dammi la pappa infatti il termine Papaver deriva dal latino papo (= pappa) o da una parola celtica con il medesimo significato.
Pare che il papavero rosso sia originario delle regioni medio - orientali e che sia comparso in Europa con l’introduzione delle colture di cereali.
Teocrito (Siracusa, 324/321 a.C. – circa 250 a.C. poeta greco antico) afferma che il papavero nacque dalle lacrime di Venere mentre piangeva Adone . Cercate di immaginare la scena perchè ne vale davvero la pena, ecco che Venere, mentre corre a soccorrere Adone ucciso da un cinghiale durante una battuta di caccia, si punge inavvertitamente con le spine di un roseto e ,con il suo sangue, tinge i fiori di rosso e questi fiori sono i papaveri che ricordano ancora oggi il dolore che accompagna sempre la perdita dell'amato.
Il papavero è un alimento non solo per noi salentini leccesi ma anche per gli antichi e infatti adorna il capo di Cerere, Cibele, Venere, Giunone e Mercurio. Nella mitologia Cerere, la dea delle biade che si supponeva avesse insegnato agli uomini l'uso del frumento, avrebbe trovato per la prima volta il papavero nell'isola di Mecona che avrebbe preso il nome dal papavero (papavero in Greco si dice Mecon). E' facile riscontrare che le spighe insieme ai papaveri sono i simboli della Dea Cerere.
Gli antichi rappresentavano la fertilità (Ubertas e da qui le donne ubertose) come una donna con capi di fiori di papavero in mano e con ghirlande, sempre di papavero, sulla testa, ciò per la circostanza che da una pianta di papavero se ne possono avere sino a 32.000 perchè tanti sono i semi che produce. E il Buon successo (Bonus eventus) era rappresentato nel Campidoglio, a Roma, come un giovane che tiene nella mano sinistra delle spighe miste a fiori di papavero.
Eppure il papavero è una specie infestante, tutti osserviamo i terreni che sembrano spruzzati di rosso, il rosso dei papaveri che imperversa e che ha ossessionato i pittori di tutte le epoche.
E come non raccontarvi del Papavero pugliese (Papaver apulum Ten.) che si distingue per i petali scarlatto rosei con macula scura basale. Dicevo delle grandi distese di papaveri rossi che si possono ancora notare in tutta la penisola e, tra questi, c'è anche il rosa del papavero pugliese. In questo Salento leccese che, citando Vittorio Bodini (Bari, 6 gennaio 1914 – Roma, 19 dicembre 1970) poeta che qualche bibliotecaria salentina vorrebbe ancora vivo e presente e a leggere le sue poesie, scrivevo di questo Salento leccese che ha un paesaggio sub specie mathematica “In altri termini, un paesaggio è di solito uguale algebricamente a x – 1. Il sottraendo è costituto dal cielo, ciò che rimane è la scena su di esso dipinta” e in quel dipinto del Salento leccese c'è il colore rosso dei papaveri. Quegli stessi papaveri della mia infanzia a San Cesario di Lecce, quando li raccoglievamo ancora chiusi nelle brattee e poi, uno di fronte all'altro, mettevamo il bocciolo tra il dito pollice e medio e facevamo una pressione che faceva scorrere le brattee e poi, suspence...apparivano i petali del bocciolo! Il gioco consisteva nell'indovinare il colore del bocciolo di papavero prima liberarlo dalle brattee. Ricordo perfettamente che nella maggior parte erano di colore rosso ma i boccioli potevano essere anche bianchi o rosa.
Chissà se i bambini del 2010 giocano a raccogliere boccioli di papaveri? Voi che dite? Lo fanno ancora? E se vi è venuta voglia di farlo, fatelo l'anno prossimo, fatelo con i vostri, perchè è così che si conquista l'eternità, nella memoria dei gesti semplici che ci vengono insegnati!
Gli immancabili papaveri spruzzati in mezzo al grano in questo tappeto giallo rosso che sono i colori della squadra di calcio del Lecce. I Colori giallo e rosso e che hanno fatto scrivere a Fabrizio De Andrè
“dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.”
I papaveri che vegliano i nostri pasti, questi insistenti papaveri del Salento leccese, divenendo essi stessi pasto in quelle fantastiche minestre con le olive nere che si chiamano Paparine e che raccogliamo imitando le donne del neolitico. Già le donne di più di 12.000 anni fa che, poiché non avevano l'urgenza di raccogliere in quanto erano consapevoli che la pianta non fugge via per difendersi, la pianta non scappa nascondendosi in qualche buco o in anfratto, ma è li ad attendere la mano di quella nostra antenata, la mamma dei nostri avi, e a sua volta nostra mamma, che con calma e con riflessione raccoglieva le piante che poi averebbe somministrato come cibo a marito e figli in quei 16 chilometri quadrati che erano lo spazio vitale per le persone umane più di 12.000 anni fa.
Il Prof. Ferdinando Boero dell'Università del Salento, in una sua bellissima relazione sulla biodiversità a Zollino il 26 giugno 2010 ha affermato che quella vita della donna raccoglitrice e delle persone umane nomadi era il Paradiso Terrestre e che la caduta “Biblica” di Adamo ed Eva dal Paradiso è avvenuta con il Neolitico e l'avvento dell'agricoltura e dell'allevamento in sostituzione della raccolta e della caccia.
Siamo stati cacciati da quel paradiso? Ci siamo ficcati in questa “civiltà” da soli? Una cosa è certa: accanto al giallo del grano c'è il rosso del papavero, accanto alla dolcezza del senso di sazietà dopo aver mangiato il piatto più prelibato per il mio amico Rori, ovvero un ricco e gustoso panino, c'è anche la fatica di doverselo guadagnare lavorando.

Bibliografia
Reivas dell' Ibis: miti e i simboli delle piante presso i greci ed i romani
M.F. Lochner: Papver ex omni antiquitate eretum 1719
Barthelms: Explication de la masaique de Palestine 1760
Wildenow Grund der Krauterkunde pag 501
Silvia Lusuardi Siena: signori degli anelli: un aggiornamento sugli anelli-sigillo longobardi
Michele Emmer:Matematica E Cultura 2
Fabrizio De Andrè: La Guerra di Piero
Ferdinando Boero: Relazione di Sabato 26 giugno, Piazza San Pietro a Zollino, nell'ambito della Fiera di San Giovanni, edizione 2010, nel convegno dal titolo “Biodiversità, valore aggiunto per i prodotti tipici”.

giovedì 24 giugno 2010

Mi hanno cresciuto a frise e “Menunceddrhe” (Cucumis melo L. var. Chate (Hasselq.) Filov)


Mi hanno cresciuto a frise e “Menunceddrhe” (Cucumis melo L. var. Chate (Hasselq.) Filov)
di Antonio Bruno
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La Menunceddrha ovvero il Carosello ha i Frutti cilindrici ad estremità arrotondata. La sua diffusione e il consumo inizialmente limitata ad alcuni areali del territorio pugliese, sta uscendo dai confini regionali, interessando anche la grande distribuzione organizzata.
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Io dopo Carosello non sono mai andato a nanna! Lo confesso i miei genitori erano molto clementi e mi concedevano di vedere la trasmissione in prima serata, quando non pioveva. Come dici? Che c’entra la pioggia con la TV? Se fosse il 1963 e abitassi a San Cesario di Lecce, sapresti che appena una goccia di pioggia fosse apparsa ecco che d’incanto l’Energia elettrica sarebbe stata staccata! E un lume a petrolio avrebbe illuminato una serata di “cunti” …”azzate Giuvanni e nu durmire , visciu na nuveia scire e benire una te acqua , l’addrha te ientu , l’ addrha te triste maletiempu...” Ma Carosello non è mai stata nella mia infanzia la Menunceddrha che invece ricordo molto bene come gustosa merenda estiva! Eccola la mail in cui un nipote e figlio del Salento leccese che vive lontano da questa terra che si immerge nel grande lago salato mi scrive che ha il padre è di Lecce e che suoi nonni lo hanno allevato a frise e menuncelle.
Poi guardate che scrive: Ora "menuncelle" è la pronuncia del termine da loro utilizzato per descrivere una specie di cetriolo tondo-melone che pare cresca solo laggiù in Puglia. Mio nonno è morto da anni, qui nessuno me le coltiva più e io vado in crisi d'astinenza :dottò:
Ho fatto ricerche in internet e non trovo nulla, probabilmente il nome è sbagliato. Qualcuno mi sa dire come caspita si chiamano??? E poi conclude con unìofferta che non si può rifiutare ovvero:
Una birra virtuale a chi lo sa, una cena a chi me ne manda una cassetta :sbav:
Simpatico vero? E poi la domanda di “Stella del mattino” kika.83@libero.it una mia simpaticissima amica a cui ho fatto vedere lumache per Caroselli e a cui davvero non mi sono sentito di dire di no che suona così: :D io ti volevo kiedere ...ma le MANUNCEDDRHE??????? ( o pupuneddrhe o booo nn so kome tu le kiami)...qualke notizia in merito visto ke nn le ho mai viste in nessun supermerkato d'italia apparte qui.. :D
Cominciamo con il collega Dottore Agronomo Francesco Serio dell'Ispa-Cnr francesco.serio@ispa.cnr.it che ci narra del Carosello e del Barattiere, due tipi di melone (Cucumis melo L.) tipici della Puglia. Pianta rustica erbacea annuale delle cucurbitacee a rapido sviluppo con fusto angoloso, flessibile, strisciante e rampicante. Il Carosello ha i Frutti cilindrici ad estremità arrotondata dalla buccia di colore verde chiaro con protuberanze, la polpa compatta con pochissimi semi che si mangiano immaturi, in alternativa al più comune cetriolo, crudi e cosparsi di sale o in insalata. Poi ci spiega il profilo di qualità di questi peponidi da cui si evidenzia una ridotta presenza di sodio rispetto al cetriolo e un minore contenuto di zuccheri semplici. Per tali peculiarità, continua il collega Dottore Agronomo Francesco Serio, la diffusione e il consumo di carosello e barattiere, inizialmente limitata ad alcuni areali del territorio pugliese, sta uscendo dai confini regionali, interessando anche la grande distribuzione organizzata.
Il Salento leccese è ancora un centro di biodiversità per i meloni anche se le nuove cultivar hanno sostituito progressivamente le varietà locali tradizionali. Nel nostro territorio si coltiva la “Meloncella” “Menunceddrha” “Spureddrha” (Cucumis melo L. var. Chate (Hasselq.) Filov), che è stata tradizionalmente coltivata per i suoi frutti acerbi. Questa coltivazione è uno degli ecotipi pugliesi che potrebbe anche essere l’epigono di una coltivazione più ampia.
Voglio subito dire subito per chi si diletta a coltivare nel suo orto urbano oppure sul balcone come si coltiva: la “Meloncella” “Menunceddrha” “Spureddrha” (Cucumis melo L. var. Chate (Hasselq.) Filov) predilige i climi temperati o caldi con umidità costante e soprattutto per quelli che sono a nord penso che debbano tenere in debito conto la circostanza che teme il freddo e le brinate. Prima della semina il terreno deve essere ben lavorato, profondo, di medio impasto, ben concimato e con pH leggermente acido. La semina se fatta all'aperto si può effettuare da marzo a luglio se invece si utilizza una serra può essere effettuata da gennaio-febbraio per poi effettuare il trapianto in marzo-aprile su file distanti 40-60 cm l'una dall'altra. Per la semina in pieno campo si fanno le buche a un metro una dall’altra e si lasciano cadere quattro semi per buchetta.
La raccolta avviene in modo scalare a comincia dopo 74 giorni dalla semina.
Nel periodo da febbraio a giugno del 2003 è stata condotta una ricerca in serra fredda su quattro selezioni di popolazioni locali di Melone da consumo verde che sono coltivate in Puglia e specificamente il Barattiere, la Menunceddrha o Spureddrha Bianca, il Carosello di Polignano e il Carosello di Manduria. I ricercatori hanno valutato la morfologia delle piante, le caratteristiche della produzione e la quantità di peponidi delle quattro selezioni di popolazione. La differenza maggiore dal punto di vista Morfologico è tra il Barattiere da una parte e la Menunceddrha o Spureddrha Bianca, il Carosello di Polignano e il Carosello di Manduria dall’altro e anche rea queste ultime tre popolazioni ci sono differenze tra alcuni dei caratteri che sono stati considerati.
La popolazione più precoce è risultata la Menunceddrha o Spureddrha Bianca mentre la più tardiva e la meno produttiva è risultata la popolazione di Barattiere.
Dal 1996, gli scienziati del Istituto di Genetica Vegetale (IGV) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Bari ( Italia) e il Crop Science Institute dell'Università di Kassel (Germania) hanno studiato la conservazione e l'uso di agrobiodiversità nella Grecia salentina.
I risultati di queste indagini hanno indicato una forte erosione genetica delle varietà locali autoctone e l'urgente necessità della loro protezione sia in situ e ex situ.
La zona del Salento (Grecia salentina inclusa) è famosa per il Carosello melone cetriolo, meloncella o menuceddha (Cucumis melo L. subsp. melo convar. adzhur ( Pang. ) Grebenšc . var. Chate (Hasselq. ) Filov ). Sono stati raccolti dodici campioni di questa coltura. Sette varietà tipiche locali di melone (C. melo) tra cui la vecchia “Minna te moneca “( seno della monaca), Bianco Melone d'Inverno (poponia in Griko ) e Malune ZUCCARINO (melone dolce) , un tipo caratteristico con frutto lungo e profumato. Purtroppo non sono stati trovati esempi di vecchie varietà locali di cocomero (Citrullus lanatus (Thunb.) Matsumura et Nakai ) già coltivata in questa zona e caratterizzata da polpa gialla , e questi con ogni probabilità possono essere estinti.
Non so se sono riuscito a soddisfare Stella del mattino ” kika.83@libero.it e le varie curiosità. Comunque all’obiezione della difficoltà di reperire i semi rispondo che io li ho trovati in vendita in vari siti internet, basta mettere in una stringa di un motore di ricerca “Carosello o Meloncella leccese” ed ecco che il seme come per incanto appare per le vostre coltivazioni in ogni parte del mondo!

Bibliografia
Coltivazione degli ortaggi e salvaguardia della biodiversità: il caso del carosello e del barattiere http://roma.cilea.it/plinio/Iniziative/iniziativa.asp?codIniziativa=IC82&Dettaglio=RC84#dettaglio
G. Laghetti , R. Accogli and K. Hammer: Different cucumber melon ( Cucumis melo L.) races cultivated in Salento (Italy)
Anna Bonasia, Francesco Montesano, Angelo Parente, Angelo Signore, Pietro Santamaria: Morfologia e produzioni di quattro popolazioni di melone da consumo verde
F. Martignano V. Falco B.R.G. Traclò K. Hammer: Agricultural biodiversity in Grecìa and Bovesìa, the two Griko-speaking areas in Italy ( Hammer et al. 1992; Laghetti et al. 1998; Hammer et al. 1999; Laghetti et al. 2003; Hammer et al. 2007a , 2007b , 2007c ; Hammer- Spahillari et al. 2007; Laghetti et al. 2007a , 2007b ; Miceli et al. 2007)

I Dottori Agronomi e Forestali per lo sviluppo sostenibile del Salento leccese


I Dottori Agronomi e Forestali per lo sviluppo sostenibile del Salento leccese
di Antonio Bruno
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Il territorio del Salento leccese è interessato dalla presenza di impianti per la produzione di energia che devono essere oggetto di una valutazione in termini di sostenibilità. I Dottori Agronomi e i Dottori forestali della Provincia di Lecce hanno iniziato una ricerca per individuare la complementarietà tra sviluppo e conservazione dell’ambiente e delle risorse naturali nelle attività economiche del territorio.
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Le attività delle persone umane del Salento leccese hanno un impatto sull'ambiente e ciò accade perchè ancora nessuno si pone il problema della conservazione dell'ambiente che è Paesaggio rurale.
Le risorse naturali non possono essere sfruttate in maniera irrazionale perchè questo rende fragile l'equilibrio socio – ecologico e, per questo motivo, è davvero urgente mettere in atto azioni finalizzate alla conservazione, alla valorizzazione e al risparmio delle risorse.
Tutto questo nel Salento leccese è fondamentale per realizzare una qualità della vita che sia collegata all'ambiente, che è il territorio, che è il Paesaggio rurale del Salento leccese e conseguentemente all'uso che se ne fa in termini economici, urbanistici, dei trasporti e dell'efficienza.
In questi giorni a Lecce Paride De Masi, titolare della Italgest di Casarano, presenta un progetto per la costruzione di una centrale termoelettrica da 25 Megawatt da realizzarsi sui terreni agricoli di Lecce ed alimentata ad olio vegetale. Il progetto è a filiera corta e prevede l'approvvigionamento del 40% del combustibile nel raggio massimo di 70 chilometri dall'impianto e tale combustibile dovrebbe essere prodotto in agro di Lecce da colture di girasoli. Inoltre registriamo il progetto per la centrale a Biomasse di 37 Megawatt nelle Campagne di Cavallino e il referendum per la Centrale a Biomasse di Casarano. C'è anche domenica 20 giugno 2010 con la raccolta di mille firme in poche ore durante la festa di Sant'Antonio a Cutrofiano contro la proliferazione di impianti fotovoltaici definiti dal Forum amici del Territorio”“malsano business che uccide il nostro paesaggio”. Questi fatti dimostrano la necessità di un intervento qualificato da parte di noi professionisti Dottori Agronomi e i Dottori forestali su questi temi. La politica energetica della Regione Puglia orientata all'utilizzo delle fonti rinnovabili ha sviluppato la presenza nel territorio di impianti che devono essere oggetto di una valutazione puntuale e complessiva da parte dei Dottori Agronomi e dei Dottori forestali della Provincia di Lecce per verificarne la sostenibilità e la compatibilità con il Paesaggio Rurale. Stesso discorso vale per la realizzazione dell'impianti complesso dei rifiuti speciali nella zona industriale di Lecce progetto approvato dal Comune di Lecce ma contestato dal Comune di Surbo e dal Consorzio Asi. Questo realizzando impianto complesso dei rifiuti speciali sembrerebbe essere a 40 centimetri dalla falda acquifera sottostante. In quella zona a detta dell'Ingegnere Ivo Monteforte dell'Acquedotto vi sono pozzi utilizzati dall'acquedotto pugliese per integrare la richiesta di acqua potabile della Città di Lecce ma non dimentichiamo che la falda costituisce la fonte di risorsa idrica per l'agricoltura. E' sempre di questi giorni la notizia della concessione della Provincia di un'area a Otranto all'altezza del ponte sulla foce dei Laghi Alimini, nei pressi della strada provinciale 366 per la realizzazione di un parcheggio.
L'ambiente della Provincia di Lecce è prima di ogni cosa Paesaggio Rurale e per questo motivo si è svolto un animato dibattito tra i colleghi per mettere in primo piano la vocazione del Salento leccese al turismo, all'artigianato e all'agroalimentare che sono riconosciute tre leve dello sviluppo di questo territorio. Utilizzando le parole del Dott. Francesco Pacella Assessore all'Agricoltura e al Turismo della Provincia di Lecce che in un Convegno organizzato dalla CISL di Lecce ha dichiarato: “Oggi si deve parlare non tanto di turista, quanto di "viaggiatore". Il viaggiatore arriva in un Territorio perchè deve avere delle motivazioni. Devo dire che oggi la motivazione per venire nel Salento c'è. Eccome c'è! Perché abbiamo tutto da offrire: il paesaggio straordinario e un mare fantastico”.
Per continuare a pensare al Salento leccese nei termini descritti nell'affermazione dell'Assessore Francesco Pacella è necessario l'utilizzo sostenibile del territorio.
La sostenibilità è la soddisfazione dei bisogni del presente senza compromettere la possibilità di soddisfare quelli delle generazioni future. E' evidente che nel Salento leccese c'è necessità di un nuovo modo di fare economia in modo consapevole, etico e responsabile che vada incontro alle esigenze degli imprenditori, alla natura e alle persone che abitano questo territorio. I Dottori Agronomi e i Dottori forestali della Provincia di Lecce stanno mettendo a punto, attraverso un dibattito in corso tra tutti i professionisti, un nuovo modo di utilizzazione consapevole, etico e responsabile del territorio che va incontro alla natura che è l'ambiente che è il Paesaggio rurale e ai salentini leccesi che realizzano le loro imprese nel territorio. I Dottori Agronomi e i Dottori forestali della Provincia di Lecce hanno iniziato una ricerca per individuare la complementarietà tra sviluppo e conservazione dell’ambiente e delle risorse naturali nelle attività economiche del territorio. Noi siamo certi che promuovendo la qualità di attività che impattino in maniera sostenibile con l' ambiente potremo avere un sicuro punto di partenza per lo sviluppo sostenibile del Salento leccese e della valorizzazione del suo straordinario patrimonio agroalimentare, naturale, faunistico e marino per una buona amministrazione e anche per una buona imprenditoria che produca benessere per le popolazioni senza mettere a rischio il Paesaggio rurale.



Bibliografia
Francesca Mandese: Biomasse, Rotundo chiama Vendola – Corriere del Mezzogiorno di mercoledì 23 giugno 2010
Acquedotto all'oscuro della megadiscarica – La Gazzetta del Mezzogiorno di mercoledì 23 giugno 2010
Salvatore Avitabile: Alimini è scontro sul parcheggio – Corriere del Mezzogiorno di mercoledì 23 giugno 2010
D. Nuz. Mille Firme contro gli impianti fotovoltaici - Quotidiano di Puglia di lunedì 21 giugno 2010
Referendum sull'impianto a Biomasse - La Gazzetta del Mezzogiorno di sabato 19 giugno 2010
TURISMO, ARTIGIANATO E AGROALIMENTARE: TRE LEVE DELLO SVILUPPO LOCALE http://www.progettosalento.eu/politica-e-attualita/economia/171-turismo-artigianato-e-agroalimentare-tre-leve-dello-sviluppo-locale.html
Mariaelena Gennari, Antonio Monte, Tiziana Patera, Valentina Pennetta, Anna Maria Stagira, Francesca Tenore: L’INDUSTRIA AGROALIMENTARE IN PUGLIA
Alice Sabato: Sostenibilità dello sviluppo turistico nel Basso Salento: il caso di Cardigliano

martedì 22 giugno 2010

Nel 1904 il furetto con una mano sola spargeva lo zolfo dappertutto!


Nel 1904 il furetto con una mano sola spargeva lo zolfo dappertutto!
di Antonio Bruno
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Il trattamento con polvere di zolfo si faceva a mano libera, poi si utilizzò la "caffittera", quindi con il soffietto a due mani e ultimamente con la pompa a spalla per solforare.
Tale trattamento veniva fatto tutte le volte che il tempo lo richiedeva, cioè nelle giornate di caldo umido per evitare che la vite si ammalasse di peronospora, e fu introdotto sistematicamente dopo la grave crisi vitivinicola avvenuta dal 1798 al 1801 con il "morbo nero". Nel Salento leccese nel 1904 il Prof. Ferdinando Vallese suggerì l'impiego del solforatore a soffietto “furetto” che funzionava con una sola mano.
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Lo zolfo è uno dei più antichi fungicidi usati nella difesa fitosanitaria. Viene usato contro l'oidio Uncinula necator (forma conidica Oidium tuckeri) che è un fungo che causa una malattia della piante detta oidio (fitopatogeno) della famiglia Erysiphaceae agente eziologico dell'Oidio. L'oidio colpisce la vite, le piante da frutto, le colture orticole, i cereali e la barbabietola da zucchero. Ma lo zolfo risulta anche efficace per altre malattie come la escoriosi della vite, septoriosi, fusariosi e ruggine del frumento. Esplica anche un’azione collaterale insetticida contro neanidi di afidi, tisanotteri e acaricida contro gli eriofidi del pero e della vite.
Lo Zolfo agisce allo stato elementare come vapore sul micelio e sulle spore del fungo parassita. Lo zolfo penetra nella cellula fungina, infatti, grazie alla sua capacità di sciogliersi nei grassi (liposolubilità), è in grado di rompere la membrana cellulare e di determinare la fuoriuscita dell'acqua. Ciò comporta la deficienza idrica e la morte del fungo. La sua azione, inoltre, si esplica a livello della catena respiratoria (citocromo b), dove si sostituisce all'ossigeno come accettore di elettroni; si riduce formando idrogeno solforato e impedendo, in tal modo, la formazione di ATP, con notevole perdita di energia a livello cellulare.
I primi impieghi dello zolfo contro l’oidio nelle serre inglesi risalgono al 1847. In Romagna già nel 1864 Pasqui e Franchini riferiscono che “Non v'ha oramai bottega di droghiere sull'ingresso della quale non si legga vendita di zolfo e di soffietti per l'insolforazione delle viti”
Per spargere le polveri tra cui quelle dello zolfo si usano le cosiddette impolveratrici. I maggiori difetti di queste macchine sono la circostanza che non distribuiscono la polvere in maniera omogenea e le grandi perdite per terra. Molte volte vi è l'impaccamento dello zolfo e conseguentemente l'ingolfamento della macchina, vi è anche la possibilità di autocombustione del prodotto all'interno della macchina.
Nel 1904 la Cattedra Ambulante Provinciale di Terra d'Otranto retta dal Prof. Ferdinando Vallese segnalava a tutti gli agricoltori l'opportunità di utilizzare una nuova solforatrice che veniva chiamata “La celere”. Questo attrezzo aveva le stesse prestazioni di una solforatrice a zaino con il vantaggio di avere un costo sette volte inferiore. Per il funzionamento si utilizzava una sola mano e poteva essere impiegata per lo spargimento sulle coltivazioni da difendere di qualunque tipo di polveri. Siccome bastava una sola mano per farla funzionare, con l'altra si potevano sollevare le foglie in maniera tale da trattare con lo zolfo tutto il fogliame. Naturalmente siccome non vi era bisogno di una particolare manualità per farla funzionare si poteva utilizzare indifferentemente sia la mano destra che quella sinistra e ciò consentiva un più snello impiego per la possibilità di cambiare mano oltre che una minore fatica e conseguentemente una minore stanchezza. In pratica bastava scuotere l'apparecchio per fare uscire lo zolfo e si arrivava a produrre da 200 a 250 getti al minuto, che era un orttimo risultato se confrontato con quello sei soffietti che si utilizzavano ordinariamente nel 1904 che arrivavano difficilmente a 60 getti al minuto.
La solforatrice funzionava con tutte le polveri: Zolfo naturale, sublimato e precipitato; calce, gesso, cenere .
Si aveva una grande potenza di getto perchè il soffietto era disposto in maniera tale da far agire la pressione dell'aria nella direzione che doveva prendere il getto dello zolfo. La regolazione si otteneva girando il coperchio da dove esce lo zolfo, leggerezza per il poco peso ma anche per il perfetto equilibrio che evita il difetto della falsa portata dei soffietti a due mani che erano faticosi da far funzionare.
Per riempire la solforatrice furetto bisognava togliere il coperchio che porta il tubo da dove esce lo zolfo e riempire la solforatrice tenuta verticalmente sino a metà per poi rimettere il coperchio fandolo entrare il più possibile dentro. Bisognava prendere la solforatrice dal manico di legno mettendo la mano davanti all'articolazione o tra l'articolazione e il mantice. Fatto ciò bisognava scuotere due o tre volte per eguagliare lo zolfo per tutta la lunghezza, poi si scuoteva l'impugnatura con dei movimenti alla distanza da tre a quattro volte al secondo e si imprimeva alla solforatrice un bilanciamento continuo. Quelle oscillazioni producevano un'agitazione continua dello zolfo che si trovava proiettato violentemente all'esterno per l'azione dell'aria prodotta dal mantice del soffietto. Bisognava disporre il coperchio per chiudere la solforatrice in maniera che il tubetto da cui esce la polvere si trovasse in alto, in basso o da un lato a seconda la natura delle polveri e della quantità che si voleva dare. Il prezzo del 1904 della solforatrice “furetto” era di Lire 3,00.
Concludo ricordando che lo zolfo in polvere va dato alle piante la mattina presto perchè si deve attaccare alle foglie e ciò è favorito dall'umidità della mattina. Inoltre c'è da ricordare che a temperature troppo alte (sopra ai 30°C) lo zolfo può determinare una intossicazione della pianta (fitotosicità). Comunque le alte temperature sono necessarie per la sublimazione dello zolfo e quindi per il meccanismo di azione di questo principio attivo ed è per questo motivo che sconsiglio i trattamenti di sera.
Ricordo a tutti che la distribuzione dello zolfo va fatta in assenza di vento e con adeguate protezioni specie per gli occhi e il viso.

Bibliografia
L'Agricoltura Salentina del 1904
Luigi Cavadini: L'arte del giardiniere
Maines Fernando: Le macchine per i trattamenti
Pier Paolo D'Attorre,Alberto De Bernardi: Studi sull'agricoltura italiana: società rurale e modernizzazione
G.Pasqui: Notizie Agricole da Forlì 1864 pp 164 – 165
M.Franchini: Notizie Agricole da Sant'Arcangelo di Romagna 1868 pp 329 – 330
TAPPE STORICHE DELLA VITICOLTURA info@viten.net

lunedì 21 giugno 2010

Il Sorgo Dura (Sorghum vulgare): nel 1910 dall'Eritrea al Salento leccese grazie a due fratelli


Il Sorgo Dura (Sorghum vulgare): nel 1910 dall'Eritrea al Salento leccese grazie a due fratelli
di Antonio Bruno*
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Il sorgo è stata una delle prime piante ad essere coltivata: si ritiene che le forme attuali abbiano avuto la loro origine nell’Africa occidentale diverse migliaia di anni fa.
Grazie a due fratelli un secolo fa proprio dall'Africa è arrivato nel Salento leccese.
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L’origine della pianta del Sorgo viene individuata nelle zone tropicali dell’Africa centro-orientale
e nelle montagne della Cina centrale e occidentale. Per il consumo umano, il sorgo è al quinto tra i cereali più importanti prodotti nel mondo dopo grano, riso, mais e orzo.
Si tratta di un'importante fonte di calorie e proteine per un segmento importante del popolazione umana nei tropici semi-aridi (Axtel et al., 1981) è cresciuto in tutti i paesi del mondo, tranne che nella parte fredda nord-occidentale d'Europa. I maggiori paesi produttori di Sorgo sono gli Stati Uniti, India, Nigeria, Argentina, Messico e Sudan (Dirar, 1991).
Ogni anno nel Salento leccese per la grande siccità che a a partire dai mesi di aprile – maggio giunge sino alla fine di settembre inizio ottobre si ricorre all'uso dell'acqua che viene smunta dalla falda profonda. Da più parti si grida al rischio desertificazione per la salinizzazione della falda conseguente al suo uso non sostenibile in quanto si emunge molta più acqua di quanta se ne accumula dopo le piogge autunno invernali.
Per questo motivo sarebbe opportuno l'utilizzo di piante da foraggio che sono resistenti alla siccità e quindi mi è sembrato opportuno divulgare le prove fatte nel 1910 nel Salento leccese dal Dott. Giuseppe Elia con il Sorgo Sorghum vulgare (Dura) da semi arrivatigli da un suo fratello che in quel periodo era residente in Eritrea. I semi che gli fece pervenire erano di tre varietà: Mascellai, Gheirai e Carda che, in Eritrea, erano molto poco esigenti di acqua tanto che bastavano le nebbie e le brinate per permettergli di vivere e di produrre.
I semi furono seminati su due appezzamenti del Signor Antonio Corina uno molto vicino a Martano, terreno molto profondo di medio impasto e fertile e l'altro a metà della strada che da Carpignano salentino porta a Borgagne poco profondo ciottoloso e poco fertile. Nel primo appezzamento la semina è avvenuta in buche distanti 50 centimetri tra le file e nella fila, mentre nell'altro fu seminato a spaglio. Nel primo terreno le piante nel mese di settembre raggiunsero l'altezza di circa 4 metri con un accestimento di 8 germogli a pianta i culmi però divennero durissimi e al bestiame si poté dare solo il fogliame. Nel secondo appezzamento a semina più fitta e a terreno più magro si ebbero piante che non andarono oltre gli 80 centimetri ma essendo più tenere hanno fornito foraggio sia da foglie che dai culmi. Il sorgo è stato tagliato prima della fioritura dopo di che si è avuto un ricaccio che fece procedere ad un secondo sfalcio. Dalle prove di Martano si poté inoltre constate che i bovini nutriti con il sorgo davano latte di qualità eccellente e che comunque il sorgo rappresenta un alimento ad alto valore nutritivo. Prima di farlo mangiare dal bestiame il Sorgo è stato fatto appassire per un giorno e poi è stato spezzato con il trincia foraggi. Siccome la produzione di sorgo era stata superiore al fabbisogno estivo quella in eccesso fu insilata e si diede successivamente al bestiame registrandone una buona appetibilità, mentre le prove di essiccamento diedero un essiccato che non risultò gradito al bestiame.
Oltre che questi due campi sperimentali di Sorgo furono istituiti altri campi sperimentali sempre di Sorghum vulgare (Dura) a Monteroni di Lecce presso il Signor Edoardo Chiarella, a Gallipoli presso il Consorzio Antifillosserico, a Lecce presso il Signor Francesco Russo e presso il comizio agrario, a Galatina presso il Signor Domenico Zamboni, a Surbo presso il Signor Duca Francesco Lopez y Royo, a Cavallino presso il Signor Commendatore Francesco Marangi, a Trepuzzi presso i signori fratelli Guerrieri, a Salice Salentino presso il Signor Raffaele Avv. Bernardini, a Monteroni di Lecce presso il Signor Conte Pasquale Romano, a Castrì di Lecce presso il Sig. Dott. Alfonso Didonfrancesco. Alcuni di questi campi furono seguiti dal Dott. Attilio Biasco Direttore della sezione circondariale di Tricase ed altri dal Dott. Enrico Viola Direttore della sezione circondariale di Gallipoli.
Le intuizioni dei colleghi Dottori Agronomi che operarono nel secolo scorso nel Salento leccese sono state profetiche, infatti a un secolo di distanza, un team di ricercatori internazionale, ha descritto il genoma del sorgo, svelando i segreti che permettono alla pianta erbacea di resistere alla siccità.
Questi nuovi risultati, pubblicati sulla rivista Nature, hanno gettato luce su una preziosa fonte di cibo, foraggio e biocarburante ed hanno importanti implicazioni per l'agricoltura nelle regioni più aride. Noi Dottori Agronomi facciamo sempre più fare ricorso a una agricoltura sostenibile per non devastare le risorse naturali che devono essere a disposizione anche dei nostri figli. Il sorgo rappresenta una coltura che non sfrutta la falda salvaguardandola dalla salinizzazione che porterebbe senza dubbio alla completa desertificazione del Salento leccese ed è per questo motivo che ne consigliamo fortemente la coltivazione.

*Dottore Agronomo

Bibliografia
Schede Colturali Edagricole scolastico - I Cereali primaverili estivi ed estivi
L'Agricoltura Salentina
MANUALE DI CORRETTA PRASSI PER LA PRODUZIONE INTEGRATA del SORGO
*Adam E. Yagoub1, Abdel Moneim E. Suleiman1 and Warda S. Abdel Gadir2: EFFECT OF FERMENTATION ON THE NUTRITIONAL AND MICROBIOLOGICAL QUALITY OF DOUGH OF DIFFERENT SORGHUM VARIETIES
Valeria Aiello: Il codice anti-siccità Nel DNA del sorgo il segreto della resistenza all'aridità http://www.valeriaaiello.it/news/ilcodiceantisiccita.htm

domenica 20 giugno 2010

La strage delle innocenti farfalle: suicidio o frutto del dilettantismo?


La strage delle innocenti farfalle: suicidio o frutto del dilettantismo?
di Antonio Bruno
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Legambiente ogni anno rende noto il rapporto annuale “Pesticidi nel piatto”, realizzato insieme al Movimento Difesa del Cittadino (Mdc) e quest'anno ha divulgato l'esistenza di problemi del cosiddetto “multi-residuo” cioè, l'effetto sinergico dovuto alla presenza contemporanea di differenti principi attivi sul medesimo prodotto, e quello della rintracciabilità di pesticidi revocati. Con un corso di 10 lezioni vi viene insegnato a non “suicidarvi” utilizzando delle sostanze chimiche dette “pesticidi” che in moltissimi casi sono potentissimi veleni mortali. Per la salvaguardia di tutti l'uso dei pesticidi va prescritto e controllato dai Medici della Terra.
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Quando racconto a mia figlia che da ragazzo andavo in giro a caccia di farfalle prima mi dice che le farfalle non fanno nulla di male e non capisce perchè mai io andassi alla loro caccia, poi si guarda intorno, non vede nemmeno l'ombra di una farfalla, e non mi crede. Ha ragione! Non si vedono farfalle in giro e secondo l'ultimo rapporto “Segnali ambientali 2010” http://www.eea.europa.eu/it/segnali dell'Agenzia europea dell'Ambiente, negli ultimi vent'anni, le farfalle in Europa sono diminuite del 60%, molte specie di api selvatiche sono estinte a causa di pesticidi, acari e malattie. Allora per quanto riguarda acari e le malattie penso che concordiamo tutti siano agenti di morte che possiamo definire “per cause naturali”, invece per le mie cacce di farfalle giovanili e per i pesticidi o fitofarmaci penso che possiamo certamente essere tutti d'accordo che ne l primo caso si tratta di uccisione per puro divertimento ad opera di un ragazzo e nel secondo si tratta di un avvelenamento di questi insetti. Ma la donada è la seguente: l'avvelenamento delle farfalle che è stata la causa della loro scomparsa ha una qualche conseguenza per noi persone umane? Partiamo da “l'uomo è quello che mangia” affermazione del filosofo Ludwig Feuerbach divenuto poi "Sei quello che mangi" che è un libro di McKeith Gillian pubblicato da Corbaccio: gli alimenti costituiscono per l'uomo la via prevalente di introduzione di agenti chimici tossici. Oltre ai pesticidi anche l'inquinamento dell'ambiente è un fattore di contaminazione chimica degli alimenti. Si sono sviluppate di recente tecnologie alimentari che hanno introdotto sofisticate strategie di produzione che hanno contribuito a aumentare la produzione facendo allungare il tempo di conservazione degli alimenti e tutto questo con sostanze chimiche.
Legambiente, ogni anno rende noto il rapporto annuale “Pesticidi nel piatto”, realizzato insieme al Movimento Difesa del Cittadino (Mdc) e quest'anno ha divulgato l'esistenza di problemi del cosiddetto “multi-residuo” cioè, l'effetto sinergico dovuto alla presenza contemporanea di differenti principi attivi sul medesimo prodotto, e quello della rintracciabilità di pesticidi revocati.
Certo che il nostro paese è davvero paradossale, scrivo naturalmente dello Stato che governa questa penisola e che spende attraverso le Regioni per la salute degli italiani 107 miliardi di euro in totale ovvero il 22,5% della spesa complessiva dello Stato Italiano dimostrando di occuparsi di noi quando stiamo male, affidando le nostre cure a Professionisti Medici delle Persone Umane. Bene questo stesso stato ignora completamente cosa ci accade quando stiamo bene, perchè affida la cura degli alimenti che mangiamo ogni giorno e che arrivano nel nostro corpo a dei dilettanti che devono solo scrivere su un quaderno. Che dite? A che servono dei dilettanti armati di un quaderno per garantire la sanità di un alimento prodotto in campagna? Secondo me non serve a nulla, soprattutto se a compilarlo è un dilettante che maneggia sostanze chimiche senza la opportuna preparazione universitaria. Ma lo Stato italiano non la pensa così e in base a quanto stabilito dal D.P.R. 23/4/2001 n°290 e come chiarito nella successiva Circolare 30/10/2002-Modalità applicative art.42 del DPR 23/4/2001, pubblicata sul supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale del 5/3/2003, e perciò operativa, in riferimento all’utilizzo di prodotti fitosanitari e di coadiuvanti di prodotti fitosanitari, definisce l’obbligatorietà dell’annotazione dei trattamenti fitosanitari effettuati in azienda in un Registro dei trattamenti effettuati nel corso dell’anno, detto “Quaderno di campagna”. Capite? Adesso attenti: immaginate voi stessi che siete in campagna e che con in mano un quaderno annotate:

· Il vostro nome cognome data di nascita e indirizzo;
· il tipo di superficie trattata, specificando le essenze presenti e la relativa estensione espressa in ettari, nonché la data di impianto;
· la data del trattamento, il prodotto e la relativa quantità impiegata, espressa in chilogrammi o litri, nonché l'avversità che ha reso necessario il trattamento stesso.

Capite? C'è una coltivazione di pomodori e con un corso di 10 lezioni vi viene insegnato a non “suicidarvi” utilizzando delle sostanze chimiche dette “pesticidi” che in moltissimi casi sono potentissimi veleni mortali e, dopo che le avete manipolate aggiungendole ad acqua e spargendole nel vostro fondo, decidete voi stessi quando farlo e in che dosi utilizzare il “pesticida” perchè nel corso vi viene consigliato di seguire le indicazioni dell'etichetta, senza dover sentire nessun professionista Medico della Terra: Dottore Agronomo e Dottore Forestale. Dopo avete l'obbligo di mettere su un registro il vostro nome e cognome, i dati del fondo, la data e il prodotto con la quantità usata. Ma per piacere! Ma siamo seri! Questo è lavoro del Dottore Agronomo o del Dottore Forestale che non può essere affidato all'improvvisazione di un dilettante! Le conseguenze? Quelle che leggiamo sui giornali.
Ma ci sono anche i dati ufficiali dell' EFSA European Food Safety Authority (Autorità europea per la sicurezza alimentare) che dicono che il 53% dei campioni non presenta residui, il 20% un residuo e cosi' via a scalare. Solo l'1% dei campioni hanno più di 8 residui diversi. Sempre secondo l'EFSA, nel 96% dei casi rispettano i limiti di legge. Questa percentuale sale al 99% per frutta e verdura biologica.
Secondo Dario Bressanini, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze chimiche e ambientali dell’Università dell’Insubria, la frutta che non passa i controlli è quasi sempre proveniente da Paesi extraeuropei e le regole sui pesticidi, per quanto riguarda l'Unione Europea, sono rigide ed è semplice tenerle sotto controllo. Rassicurante vero? Dico le dichiarazioni del Prof. Dario Bressanini che tra l'altro ha scritto “Pane e Bugie” e pubblicamente dichiaro di essere certo della professionalità e della correttezza di questo scienziato http://scienze-como.uninsubria.it/bressanini/ ed è per questo che giro a lui l'incredulità sulla scomparsa delle farfalle di mia figlia. Si caro Prof. Dario Bressanini la mia Sara, che non vede le farfalle e non mi crede quando le dico che ce n'erano a nuvole intere, di colori tra i più belli, di dimensioni delle più disparate. Prof Bressanini che gli dico? Dico a mia figlia che siccome secondo l'EFSA, nel 96% dei casi i residui di pesticidi rispettano i limiti di legge le farfalle si sono tutte suicidate perchè hanno perso il senso della vita? Mi risponda la prego! Se come penso, anche lei crede che è l'uso dei pesticidi ad opera di “dilettanti” che ha causato la strage delle innocenti farfalle, per responsabilità della collettività che concede a questi “dilettanti” di maneggiare potenti veleni scrivendo qualche riga su un quaderno e provocando “danni” all'ambiente in cui viviamo e di conseguenza anche a noi, dichiari prego che il quaderno di campagna va dato ai bambini e che per i veleni da usare sul Paesaggio rurale c'è bisogno della prescrizione del Medico della Terra: Dottore Agronomo e Dottore Forestale. Sono certo che da oggi anche lei porterà avanti nel suo seguitissimo blog http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/ questa semplice regola che salvaguarderà il Paesaggio rurale che è l'ambiente in cui viviamo e di conseguenza contribuirà al nostro benessere.

Bibliografia

Segnali ambientali 2010: http://www.eea.europa.eu/it/segnali
MONICA RUBINO: Troppi pesticidi nel piatto E ricompare il Ddt - La Repubblica del 18 giugno 2010
D.P.R. 23-4-2001 n. 290 Regolamento di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione alla produzione, alla immissione in commercio e alla vendita di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti (n. 46, allegato 1, L. n. 59/1997). Pubblicato nella Gazz. Uff. 18 luglio 2001n. 165, S.O. ,http://www.salentoagroalimentare.eu/index_file/dpr%2023%20aprile%20200,1%20n%c2%b0290.pdf
2007 Annual Report on Pesticide Residues according to Article 32 of Regulation (EC) No 396/20051 http://www.efsa.europa.eu/it/scdocs/doc/EFSA_2007_Annual_Report_Pesticide%20Residue_en,0.pdf
Virginia Perin: Pesticidi/ L'esperto Dario Bressanini: una ricerca inutilmente allarmista http://www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/l_esperto090610.html

Curarsi con la cicoria selvativa “Cecore reste” (Cichorium intybus L.)


Curarsi con la cicoria selvativa “Cecore reste” (Cichorium intybus L.)
di Antonio Bruno*
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Cicoria selvatica oppure nel Salento leccese Cecora resta o ancora Cecureddrhe per l'etnia dell'estremo Sud Salento. Cichorium intybus L. è conosciuta sin dal neolitico, raccolta dalle donne e usata come cibo ma anche come farmaco. Dalla Nuova Zelanda semi da cui si ottengono Cicorie con alto contenuto delle sostanze medicinali.
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Mia padre la comprava pagandola a caro prezzo e non la chiamava mai singolarmente cicoria selvatica ma al plurale: le cicorie selvatiche (cecore reste). Ricordo invece che mia zia Maria a Chiavenna, in provincia di Sondrio, armata di coltello ne raccoglieva, indisturbata, a borse, le donne della valle le chiedevano perchè mai raccogliesse quell'erba e lei, schiva, diceva che era molto apprezzata dai suoi conigli, anche se, mia zia Maria, non ha mai allevato conigli in vita sua. A Lecce si festeggia ogni anno la sagra di queste piante gustose e selvatiche “ la Sagra della cecora resta” , anche se il mio amico Leonzio in quel di Frigole, le semina e le raccoglie e quindi gli strappa quel selvatico sostituendolo con il coltivato. Gli antichi greci chiamavano la pianta kichora o kichòria, kichòreia, mentre intybus (dal greco entybion) è il nome latino da cui deriva il nostro indivia.
Il nome scientifico della cicoria selvatica è Cichorium intybus L. appartiene alla famiglia delle Asteraceae. È una pianta che non muore mai (perenne), con un apparato radicale grosso e fittonante (come quello della carota) che vive sui terreni di qualunque tipo crescendo anche negli anfratti delle rocce e sulle case se c'è appena, appena un po' di terra. Il fusto può essere prostrato o eretto, ispido, con peli rivolti in basso. Foglie basali pennatopartite o pennatosette, 3-5 x 10-25 cm, con segmenti triangolari acuti, generalmente alterni; foglie cauline lanceolate, sessili e ridotte. Capolini numerosi, di 2-3 cm di diametro, sessili o peduncolati; involucro cilindrico (3 x 11 mm), con squame triangolari, le esterne patenti, le interne lunghe il doppio ed eretto-conniventi; ligule12 mm, azzurre o raramente rosee, con colore facilmente dilavabile dall'acqua. Il seme è un achenio di dimensioni pari a 2-3 mm, con pappo formante una breve coroncina apicale. Diploide (2n = 18).
In Puglia, tra le erbe selvatiche che noi mangiamo (eduli), la cicoria selvatica è la più conosciuta e la più consumata. La medicina popolare del Salento leccese sin dall’antichità attribuisce potere depurativo aell’acqua di cottura su intestino, fegato e rene. Ad uso esterno, si utilizzano le foglie in infuso dalle proprietà emollienti, capace di eliminare gli arrossamenti e di rinfrescare la pelle. Nell'Africa del sud e in diverse parti dell'Iran le parti aeree di Cichorium intybus (che in Iran viene chiamata Aragh-e-Kasni) sono usate per purificare il sangue e il fegato dalla malattia. I semi della pianta sono usati in patologie epato biliari dalla medicina Ayurveda (L'ayurveda in sanscrito: आयुर्वेद è la medicina tradizionale utilizzata in India fin dal IV millennio a.C., diffusa ancora oggi nel sub-continente più della medicina occidentale). In uno studio effettuato da un equipe Iraniana si è accertato che l'estratto di Cichorium intybus ha in effetti un azione di protezione del fegato. Nello stesso studio si è anche evidenziato che se le concentrazioni di estratto di Cichorium intybus sono molto elevate allora l'azione diviene tossica per il fegato. Nello studio effettuato da Stress Physiology and Medicinal Plant Biotechnology Unit, Department of Plant Science,
School of Life Sciences, Bharathidasan University, Tiruchirappalli-620 024, Tamil Nadu, India tutta la pianta di Cichorium intybus contiene una serie di sostanze medicinali e composti importanti come l'inulina, l'esculina, i composti organici volatili (monoterpeni e sesquiterpeni), le cumarine, i flavonoidi e le vitamine. In questo studio, si è efgfettuata l'analisi fitochimica per la presenza di vari metaboliti secondari e attività antibatterica estratti della radice di cicoria contro i batteri patogeni Gram positivi come (Bacillus subtilis, Staphylococcus aureus e Micrococcus luteus) e Gram negativi (Escherichia coli e Salmonella typhi) batteri in vitro e metodo di agar diffusione. L'esano e l'acetato di etile estratti dalla radice di cicoria hanno mostrato un'inibizione pronunciato di cloroformio, etere di petrolio ed estratti di acqua. Gli estratti hanno mostrato più azione inibitoria sulla Bacillus subtilis, Staphylococcus aureus e Salmonella typhi di Micrococcus luteus e di Escherichia coli.
In Nuova Zelanda (Cichorium intybus L.) è stata allevato a fornire materiale genetico con grandi quantità potenzialmente estraibile della antocianina anti-ossidanti, che è considerato il responsabile dell'azione medicinale per una vasta gamma di condizioni di salute. Ogni germoplasma è il prodotto di un programma di allevamento significativo. Il Germoplasma (sarebbero i semi) è disponibile GRATIS (ovvero non si paga) per gli agricoltori che lo volessero coltivare Germplasms sono disponibili gratuitamente come materiale di ricerca o per ulteriori progetti di allevamento localizzato magari qui da noi in salento leccese. Le richieste per le sementi dovrebbero essere inoltrate al collega Bill Rumball della Nuova Zelanda scrivendogli una e mail al seguente indirizzo bill.rumball@agresearch.co.nz

*Dottore Agronomo

Bibliografia

Rita Accogli: Cichorium intybus L. "Sul Cammino di ENEA" http://eneaportal.unile.it/sul_cammino_di_enea_it/lecce/cultura/musei/musei-universita-del-salento-1/orto-botanico-1/Cichorium-intybus-L
Akram Jamshidzadeha, Mohammad Javad Khoshnooda, Zahra Dehghanib and Hossein Niknahada: Hepatoprotective Activity of Cichorium intybus L. Leaves Extract Against Carbon Tetrachloride Induced Toxicity
Maurice de Proft, Nico van Stallen and Noten Veerle: Breeding and cultivar identification of Cichorium intybus L. var.foliosum Hegi
Paola Profumoa; Rosa Maria Dameri: Proliferazione e Rizogenesi in Frammenti Fogliari di Cichorium Intybus L.: Osservazioni Istologiche
W. Rumball A. G. Foote: Germplasm release1 ‘GO192’ purple chicory (Cichorium intybus L.) New Zealand Journal of Agricultural http://www.royalsociety.org.nz/Site/publish/Journals/nzjar/2008/028.aspx
S. Nandagopal and B.D. Ranjitha Kumari: Phytochemical and Antibacterial Studies of Chicory (Cichorium intybus L.) - A Multipurpose Medicinal Plant
AA. VV., 1998 - Fiori d'inverno. Biblos ed., Cittadella (PD).
COLUMELLA, L. G. M., 1° sec. d. C. - De Re Rustica.
ERHARDT W., GÖTZ E., BÖDEKER N., SEYBOLD S., 2002 - Zander. Handwörterbuch der Pflanzennamen. 17° Ed. Eugen Ulmer Verlag, Stuttgart.
HEYWOOD V. H., ZOHARY D., 1995 - A catalogue of the wild relatives of cultivated plants native to Europe. Flora Mediterranea, 5: 375-415.
PIGNATTI S., 1982 - Flora d'Italia. Vol. 3: 222-224. Edagricole, Bologna.
PLINIO IL VECCHIO, 1° sec. d. C. - Naturalis Historia.
Duke, J.A. 1978. The quest for tolerant germplasm. p. 1-61. In: ASA Special Symposium 32, Crop tolerance to suboptimal land conditions. Am. Soc. Agron. Madison, WI.
Duke, J.A. 1979. Ecosystematic data on economic plants. Quart. J. Crude Drug Res. 17(3-4):91-110.
Hartwell, J.L. 1967-1971. Plants used against cancer. A survey. Lloydia 30-34.
Palz, W. and Chartier, P. (eds.). 1980. Energy from biomass in Europe. Applied Science Publishers Ltd., London.
Reed, C.F. 1976. Information summaries on 1000 economic plants. Typescripts submitted to the USDA.

sabato 19 giugno 2010

I giovani con Libera Terra tornano a lavorare per il Paesaggio rurale


I giovani con Libera Terra tornano a lavorare per il Paesaggio rurale
di Antonio Bruno

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Le nuove generazioni per un lavoro immerso nel Paesaggio Rurale. Oggi sabato 19 giugno alle ore 10 presso l'Auditorium del Museo Castromediano a Lecce, in viale Gallipoli, ho preso parte ai lavori del seminario organizzato dalla Cisl di Lecce con relatore d'eccezione don Luigi Ciotti. Il tema è stato"Non lasciamoci rubare il futuro": le nuove generazioni per una società legale e solidale. Moltissimi giovani grazie all’azione di don Luigi Ciotti si avvicinano al Paesaggio rurale grazie alle Cooperative Libera la Terra.
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Un giornalista che può saperne di lavoro nei campi? Una domanda che non mi sarei mai fatta prima di questo afoso Sabato nel Salento leccese, prima di recarmi a Lecce in quello che fu il centro di formazione della classe dirigente di questa terra ovvero in un palazzo chiamato Collegio Argento dal Padre gesuita che lo fondò nel 1888. Su viale Gallipoli c’è tutta l’Unione territoriale della CISL di Lecce e quel giornalista, don Luigi Ciotti, che da li a poco mi avrebbe fatto toccare con mano, mi avrebbe fatto percepire quel “non lasciamoci rubare il futuro” ultimo libro di quest’uomo dai capelli lisci che quando parla si mette la mano sul cuore.
Faccio il Dottore Agronomo e quando si parla di giovani che dovrebbero avvicinarsi all’agricoltura mi sento pieno di futuro, ma poi quando guardo dritto negli occhi la realtà ecco che i giovani non li vedo e mi faccio cupo e pensieroso ma poi mi ricordo di Jim Morrison che diceva di non essere così triste e pensieroso, e di ricordare che la vita è come uno specchio, ti sorride se la guardi sorridendo.
Eccolo lo specchio che mi fa sorridere! Si chiama don Luigi Ciotti è quello che ha promosso attraverso il lavoro delle cooperative di Libera Terra, la gestione dei terreni confiscati alla mafia e i Soci di "Cooperare con Libera Terra" sono nella maggior parte dei casi giovani!
Sono insieme per Cooperare per una nuova economia che significa porre al centro l'etica e la responsabilità d'impresa per uno sviluppo economico sano e reale del nostro paese. Ma tutti sanno che don Luigi Ciotti si impegna dando anche un altro significato a questo lavoro per far fronte comune, Nord e Sud, e liberare l'Italia dalle mafie.
E’ calda Lecce, afosa, l’impianto di climatizzazione dell’emiciclo non funziona ed eccoci tutti al terzo piano nella sala dei concerti con l’aria fresca, un pianoforte e un tavolo senza microfono, tanto non serve, lui parla con la mano sul cuore e noi l’ascoltiamo rapiti!
Ricordate quel ragazzo che faceva il giudice e si chiamava Livatino? Ce lo racconta, ci dice che andò dal suo Procuratore Capo e gli indicò quei fascicoli con quei nomi che facevano tremare i polsi solo a leggerli, per chiedere che gli fossero affidate quelle inchieste, che gli altri erano sposati avevano figli, che lui non ne aveva. Lo uccisero quel giovane, lo ammazzarono, perché in quella organizzazione criminale la regola è l’omicidio, chi sgarra paga con la vita. Don Luigi Ciotti è andato a trovare i genitori di quel giovane ammazzato, e la madre lo ha portato nella sua stanza e ha aperto il suo Diario. La linea che si torce per formare le lettere che poi una accanto all’altra fanno le parole sentenziò: “Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo credenti, ma se siamo stati credibili!”.
Mi viene in mente un altro sant’uomo con la barba bianca, anche lui Piemontese, (dev’essere l’aria di quelle parti che rapisce tutti per il bene comune) che afferma di fare il proprio dovere sino a crepare ma con discrezione, senza fare clamore.
E che cosa fare? Per questi giovani, per il loro lavoro cosa possiamo fare noi adulti? Bisogna costruire percorsi di libertà e di dignità. Lui non si prende molto sul serio, don Luigi, se trova uno che sa già tutto, ecco che lo saluta cordialmente e poi cambia strada, e lo stesso ci suggerisce di fare! Credere di sapere è pericoloso! Don Luigi Ciotti è certo che credere di sapere fa venire a mancare la profondità, si semplifica tutto. Invece c’è tanto bisogno di conoscenza perché attraverso di essa si diviene responsabili. C’è una moneta: la giustizia, che deve cominciare a circolare tra noi che ha due facce: una è la legalità e l’altra la solidarietà. E non deve essere dato per Carità ciò che si da per giustizia. Ma cosa c’entra questo con il Paesaggio Rurale che è l’ambiente che ci circonda? Soprattutto cosa c’entra questo con i giovani che dovrebbero essere di nuovo interessati a tornare ad occuparsi del Paesaggio Rurale? Già i giovani! Ma ci parliamo con i giovani? Sappiamo che sono affascinati da persone che credono alla libertà, dignità, giustizia e Pace? Quando trovano noi adulti come riferimenti veri, credibili, coerenti ecco che si instaura una relazione! Gli adolescenti sognano ma poi vogliono che i loro sogni si trasformino in realtà. Per farlo ci vuole impegno, responsabilità e adesione ad alcuni valori forti. Insomma i giovani possono di nuovo interessarsi al Paesaggio Rurale, così come accade ai soci di Libera Terra, se riusciamo a creare una nuova forza generatrice tra noi adulti e loro. E’ inutile cercare di destare l’impegno nei giovani con il discorso del dovere: “Devi impegnarti, è tuo dovere farlo!” Bisogna invece valorizzare le loro esperienze perché ci sono ideali per cui investire impegno costante ma, badate, “mai per dovere”. I giovani quante volte li guardiamo passare, magari tentiamo di “intercettarli” invece dobbiamo “agganciarli” e per riuscirci bisogna farsi acchiappare da loro e farci tirare dentro dalle loro cose. Dove vivono i giovani? In internet, nel mondo virtuale! Siamo alla V (Quinta) generazione del dopo guerra e in Italia ci sono 5 milioni di ragazzi che sono nati dal 1977 al 2002. I ragazzi tra i 14 e i 18 anni sono 3 milioni! Ma chi sono questi ragazzi? Sono i figli dell’insicurezza economica e del Web! Vivono nella realtà digitale e virtuale, strumenti che non possono essere lasciati nelle mani dei ragazzi senza un accompagnamento. Dobbiamo accompagnarli perché oggi il gruppo Abele accoglie ragazzi che vanno li per disintossicarsi dal consumismo o dalla dipendenza da Internet.
Bisogna incontrare le nuove generazioni che nel virtuale sono destinate a vivere il dramma della solitudine. Ci sono già reparti in due ospedali per disintossicare dalla dipendenza di Internet. I giovani della V generazione del dopo guerra sono i figli dell’insicurezza economica che porta a un impoverimento che oltre che essere materiale è anche del mondo del lavoro e delle speranze. I dati della vendita di antidepressivi registrano negli ultimi 3 anni un incremento, anzi un boom delle vendite visto che l’uso è triplicato! A Torino un uomo di 50 anni, con una bella moglie e due splendide figlie si uccide perché perde il lavoro. L’impoverimento delle opportunità sociali, ecco che colpisce così, ma anche facendo aumentare vertiginosamente il gioco d’azzardo!
I giovani dovrebbero occuparsi del Paesaggio rurale che è l’ambiente e questa quinta generazione del dopo guerra potrebbe farlo, come lo fanno i soci di Libera terra, ma noi dobbiamo mettere la nostra testa negli squilibri che si sono già realizzati e che si vanno approfondendo. Come nel dramma della dipendenza che da luogo a 2 milioni di giovani in Italia che sono Anoressici o Bulimici. Allora torna la domanda di come agganciare i giovani senza intercettarli. La questione è semplice, dobbiamo entrare nel virtuale anche noi per fare una narrazione del mondo, per narrare ciò che c’è fuori dal virtuale, per raccontargli degli alberi, dei campi, dei colori, dei profumi e dei sapori. Insomma narrare la realtà sorprendente che ci sta intorno. Naturalmente, per narrare a loro la realtà che ci circonda, dovremmo smettere anche noi di camminare come tanti allucinati nelle auto, senza guardarci intorno, con la testa immersa nei pensieri e nelle ossessioni di ogni giorno. Perché, sia chiaro a tutti, che essere immerso nei pensieri è altrettanto virtuale di quando immergiamo la nostra testa in un monitor di computer! Se smettiamo anche noi allora saremo quelli che si occupano dei giovani, e potremo sapere che cosa fanno a scuola, che famiglie incontrano sulla loro strada e che lavori incontrano! Ecco, che se noi recuperiamo il contatto con la realtà, con la natura che ci circonda, con le persone che ci sono vicino, possiamo avventurarci nelle comunità virtuali perché noi saremo gli adulti veri che potranno trovare i giovani! Guardate che c’è la necessità di calare il virtuale nel reale. Lo dicono gli SMS che i ragazzi di 15 – 16 anni fanno quando si suicidano. Hanno bisogno di una dimensione nuova perché sono fragili, hanno paura del futuro, non riescono a vedere il futuro, sono soli, e per questo non hanno nemmeno la percezione che il gesto di togliersi la vita è definitivo, è per sempre, e che non c’è ritorno come nel caso dei video game dove le vite possono divenire anche infinite. Se vogliamo che questi giovani ritornino a occuparsi del Paesaggio rurale, il mondo degli adulti deve interrogarsi sul lavoro! Il lavoro è ciò che da la prospettiva, ciò che permette di avere dei punti fermi. Ma il lavoro non è solo un diritto: è un vero e proprio bisogno.
Ma non ci sono più le politiche sociali e quindi abbiamo meno opportunità, anche perché, laddove le politiche sociali funzionano, si assiste a una diminuzione della criminalità.
Esistono documenti inconfutabili che dimostrano tutto questo, come la testimonianza resa nel giugno del 1977 da Pietro Aglieri, Boss mafioso, quest’uomo quando era latitante aveva un frate che andava a celebrare la messa le suo covo. Aglieri fu interrogato da due Magistrati per la precisione i Dottori Sabella e Lo Forte e disse che loro andavano a parlare ai giovani nelle scuole di legalità, rispetto delle regole e convivenza civile, ma una volta che questi giovani finiscono le scuole chi gli trova il posto di lavoro? Quelli che sono andati a parlare di legalità nelle scuole o la mafia? Capite? Noi adulti dobbiamo andare verso i giovani, non dobbiamo perdere la relazione, l’ascolto e la vicinanza. Chi ascolta i ragazzi? Eppure i giovani hanno bisogno di pratica, di manualità e di concretezza! Noi adulti dobbiamo costruire insieme ai giovani questi percorsi e dobbiamo farli ritornare in contatto con la realtà che è anche il Paesaggio agrario che ci circonda. Dobbiamo aiutarli a fare diventare i loro sogni la realtà coinvolgendoli in un sano protagonismo e soprattutto, se cominciamo questo percorso dobbiamo dargli continuità.
Ci sono ragazzi che costruiscono percorsi veri, si tenta di comunicare valori nuovi, per fare tutto questo dobbiamo tutti riappropriarci dell’umanità!
Ed ecco che don Luigi Ciotti ci racconta della sua esperienza, dei Consorzi di lavoro dove i ragazzi raccolgono i rifiuti da cui ottengono arredi per parchi e installano pannelli solari sui tetti. Quando i ragazzi lavorano ecco che c’è un equilibrio, anche in presenza di storie dure e pesanti che inserite in questo contesto hanno l’effetto di veder crollare la recidiva che tradotto significa che non commettono più lo stesso reato e non tornano in prigione. Prima di queste esperienze entravano e uscivano di prigione. I ragazzi devono essere dentro a un percorso, dentro a un progetto. Questa è la strada della credibilità che diventa investimento, come quello dei tanti ragazzi che l’estate vanno a lavorare a libera terra, vorrebbero venire in tanti, ma i posti sono pochi. Vanno nelle cooperative che gestiscono i beni confiscati alla mafia, aperte con bando pubblico, come a Corleone che si doveva trebbiare il grano e nessuno veniva a farlo sino a quando un carabiniere non si e tolto la giacca ed è andato a trebbiare. O come a Caserta dove hanno dovuto raccogliere il grano di notte. I ragazzi delle cooperative di Libera Terra hanno trovato la dignità del lavoro, bisogna dare a tutti i ragazzi d’Italia l’opportunità di lavorare in una cooperativa agricola! Bisogna vivere non lasciarsi vivere. Soprattutto i giovani vivono i messaggi che piombano da una società incoerente e schizofrenica. La società che abbiamo costruito noi, che afferma che ciò che conta è il potere, il denaro, il successo, la forza, la bellezza ad oltranza e a ogni costo. Invece c’è bisogno della sobrietà perché quello che facciamo non è più sostenibile!
C’è bisogno di fare sorgere l’officina della riflessione in ogni paese per non fare perdere la passione ai giovani. Presto a Otranto nel Salento leccese ci saranno i giovani di tutta Europa, Libera è presente in 30 nazioni. A tal proposito don Luigi Ciotti ha chiesto a tutti di andare a trovare questi giovani a Otranto, e io estendo l’invito a tuttivoi: andiamoli a trovare!
Se sei un adulto, mamma o papà e sei giunto sino a questo punto della lettura di questa lunga nota sul seminario di don Luigi Ciotti del 19 giugno 2010 allora con ogni probabilità sei davvero interessato. Lo sai che a Torino nella sede del Gruppo Abele che è in una fabbrica si offrono percorsi a genitori come te? Si va a cena la sera da loro, si paga pochissimo, e poi si fa un percorso con chi ti può aiutare ad essere il punto di riferimento di tua figlia o di tuo figlio, che sarà felice, appagato, che tornerà a lavorare l’estate nei campi delle cooperative “libera terra” e troverà che il senso è vivere, relazionarsi, fare e dire “quello che esce” con semplicità.
Alla fine del seminario c’è stata una serie di intereventi tra cui quello di Don Raffaele Bruno, cappellano del carcere di Lecce e responsabile di Libera Terra della Puglia info@liberapuglia.it , che ci ha invitati tutti ad andarlo a trovare. Io gli propongo di invitare tutti a questi percorsi per genitori, perché se vogliamo che i ragazzi riprendano contatto con la realtà, anche noi dobbiamo fare altrettanto e siccome pare che non sia facile magari avendo un aiutino…

venerdì 18 giugno 2010

Senza più discariche! Lo smaltimento dei rifiuti porta a porta con il processo Plasma Pirolisis Vitrification


Senza più discariche! Lo smaltimento dei rifiuti porta a porta con il processo Plasma Pirolisis Vitrification
di Antonio Bruno*

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A Minervino di Lecce l'Ing. Mario Gamberale illustra le tecnologie per la valorizzazione dei rifiuti solidi urbani e introduce la tecnologia al plasma che va a trovare i rifiuti e li trasforma in energia. Dopo il trattamento con il plasma rimane il 20% del peso iniziale che va smaltito come Rifiuto speciale. Per mettere in sicurezza il territorio si consiglia l'acquisto di un gas-cromatografo mobile, misuratore a basso costo e in semi continuo di clorobenzeni, marcatori-precursori di diossine, che oggi costa dai 50 mila ai 60 mila euro.
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L'energia fa muovere tutto, permette la vita. Tutto è energia come ci ha spiegato Albert Einstein con una formuletta E = mc2 che non scordano nemmeno i negati della matematica. Ecco perchè il Sindaco di Minervino di Lecce Ettore Caroppo, ha avuto gioco facile organizzando il Convegno del 15 giugno scorso dove appunto si è discusso di Bioenergie e rifiuti: opportunità di sviluppo per il Salento. Non c'erano Antonio De Falco di Adaptive ARC e il Console americano in Italia Patrick Thrun e al loro posto ha parlato l'Ing. Mario Gamberale che a proposito di Biomasse Biocombustibili ha affermato ciò che è noto a tutti che sono temi difficili, come il recupero di energia dagli scarti vegetali, dai fanghi di depurazione e dalle deiezioni zootecniche. Ma poi ricorda ai presenti che si sono sviluppate delle tecnologie per la valorizzazione, tra queste la digestione che produce Metano, il biogas che bruciato, da energia e poi c'è il gruppo delle filiere tecnologiche che sono:
1.Cicli degli impianti a vapore di piccola taglia (fluidi organici) che girano a bassa temperatura da cui si ricava poca energia che è al servizio di una sola utenza;
2.Pirolisi ovvero un processo di decomposizione termochimica di materiali organici, ottenuto mediante l’applicazione di calore e in completa assenza di un agente ossidante (normalmente ossigeno) cioè nel nostro caso il trattamento termico dei rifiuti. Solo che i composti ottenuti non sono stabili e produce sottoprodotti.
3.Cicli Rankine: è un ciclo termodinamico diretto a vapore composto da due trasformazioni con cui non si ha scambio di calore con l'ambiente esterno (adiabatiche) e due trasformazioni durante le quali la pressione rimane costante (isobare).
4.Tecnologie al plasma a gassificazione che consiste nell'ossidazione incompleta di biomasse solide o liquide in un ambiente ad elevata temperatura per la produzione di un gas combustibile detto gas di gasogeno, gas di sintesi o syngas, composto da H2, CO, CxHy, N2, CO2, in proporzioni variabili secondo il tipo di biomassa e dal tipo di gassificatore usato.

Il cuore del sistema, il processo Plasma Pirolisis Vitrification (PPV), utilizza un know-how
sviluppato inizialmente con ben altri scopi . La NASA doveva sperimentare il comportamento delle navicelle spaziali alle alte temperature e ha inventato il plasma. Nel convegno di Minervino l'Ing. Mario Gamberale ha riferito che gli USA hanno messo a punto una tecnologia modernissima utilizzando dei reattori portatili che trasformano l' immondizia in gas. L'impianto che fa tutto questo è mobile ovvero sono impianti prefabbricati di gassificazione, a impatto ambientale che secondo l'opinione di Patrick Truhn , è pari quasi a zero. L' azienda Adaptive ARC è specializzata nello smaltimento di tutti i rifiuti, ad eccezione di quelli radioattivi. La sorpresa è che le strutture, in grado di smaltire dalle 100 mila alle 200 mila tonnellate di immondizia al giorno sia tal quale, che come ecoballe o altro, possono essere realizzate nel giro di 9-18 mesi e sono portatili. Sono dei prefabbricati che possono essere spostati dove occorre con tir o treni.
Questo stesso modo di smaltire i rifiuti è stato proposto dall'azienda a Bertolaso durante l'emergenza rifiuti a Napoli ed è testato dallo scorso Maggio a Monterrey, in Messico per rifiuti ospedalieri per circa 40 tonnellate al giorno. Ma come vengono trasformati i rifiuti in energia? Il tutto accade per dei reattori (Plasma Fill) modulari, cioè che possono essere aggiunti all'impianto base, come facevamo noi da bambini con le costruzioni Lego.
Secondo notizie apparse già due anni fa sulla stampa e con i prezzi appunto riferiti al 2008, un impianto base, che smaltisce 200 mila tonnellate di materiale al giorno, costa 20 milioni di euro e occupa un' area di 200 metri quadrati (su un suolo di quattro ettari, per la movimentazione mezzi).
Sarebbe opportuno andare a vedere cosa accade in California, per vedere da vicino il funzionamento di due nuovissimi impianti che sono stati terminati alla fine del 2008 inizio 2009 anche perchè in California sono in vigore gli standard di tutela ambientale tra i più elevati al mondo.
Da precisare che le 200 mila tonnellate al giorno producono l'80 % di Sin gas (gas sintetico) e il 20% di rifiuti speciali che andranno smaltiti e tra questi c'è anche uno scarto liquido. Insomma 40 mila tonnellate di rifiuti speciali al giorno da smaltire non sono poi uno scherzo! Il particolato è l'inquinante che oggi è considerato di maggiore impatto nelle aree urbane, ed è composto da tutte quelle particelle solide e liquide disperse nell'atmosfera, con un diametro che va da pochi nanometri fino ai 500 micron e oltre (cioè da miliardesimi di metro a mezzo millimetro) e l'impianto al plasma ne emette meno di 10 milligrammi per metro cubo ed essendo a conoscenza che gli impianti esistenti ne emettono ad 15 a 18 milligrammi per metro cubo con un limite di legge di 30 milligrammi l'efficenza del plasma sembra di tutto rispetto e per questo sembrerebbe il top tecnologico di questo momento anche se, l'emissione di ossidi di Azoto, resta uguale a quelle degli impianti esistenti.
Un altro dato interessane è che da 25 mila tonnellate di rifiuti con questa tecnologia si ottiene una potenza di 500 KW. I dati del 2003 registrano una media di produzione di rifiuti in Puglia che ammonta a 459 kg/abitante per anno sapendo che gli abitanti della Provincia di Lecce sono 805.397 (dati 2004) producono circa 370 mila tonnellate di rifiuto all'anno con una produzione di 7.400 KW annui. Da tenere presente che la temperatura del plasma è maggiore di 13.000 °C .
Ma quel'è il sistema migliore? Si può fare una scelta tra i sistemi esistenti? Sarebbe possibile scegliere la migliore tecnologia su solide basi scientifiche si si acquistasse un gas-cromatografo mobile, misuratore a basso costo e in semi continuo di clorobenzeni, marcatori-precursori di diossine, che oggi costa dai 50 mila ai 60 mila euro e se, con l'ausilio di questo strumento, si organizzassero campagne di monitoraggi. Un’indagine così complessa richiede 3-4 anni di lavoro e se fatta in tutta Italia avrebbe costi dell’ordine di 400 mila - 500 mila euro, quindi davvero non eccessivi per una nazione, con il vantaggio che attraverso i risultati che si otterrebbero saremmo messi in condizioni di fare scelte più razionali e più rispettose della salute umana e della salvaguardia dell’ambiente.
La spesa di 50 mila euro potrebbe essere anche affrontata dai Comuni di Cavallino, Lizzanello, San Cesario di Lecce e San Donato di Lecce per cominciare a mettere in sicurezza questo territorio nel quale abito io! Magari potremo scoprire che Cerano non è lontano e L'Ilva di Taranto ci è alle costole con i venti di queste parti. Allora primi cittadini: mani ai portafogli, prendete 10 mila euro ciascuno e cominciamo a monitorare, magari ne scopriremo delle belle!

*Dottore Agronomo Esperto in diagnostica urbana e territoriale

Bibliografia:


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Inceneritore Napoli Est, nasce la “Neam” http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2009/04/06/inceneritore-napoli-est-nasce-la-neam/ Colombo, E. Ghedini, G. Masini, D. Russo,RF THERMAL PLASMA TREATMENT OF WASTE GLASS AND ITS REUTILIZATION IN COMPOSITE MATERIALS
Giulia Minotti: I rifiuti: un problema scomodo da gestire o una opportunità da sfruttare?
Produzione rifiuti Puglia http://www.agensir.it/pls/sir/V3_S2EW_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=1547
Popolazione residente in provincia di Lecce http://www.istat.it/istat/eventi/2006/annuariopuglia/volume/PDF/03Popolazione.pdf
Andamento dei consumi di Energia della Provincia di Lecce http://www.a21arneo.it/RapportoStatoAmbiente1/Index35.htm
Fattori di Conversione dell'Energia http://www.eni.com/it_IT/cultura-energia/fattori-conversione-energia/fattori-conversione-energia.shtml