martedì 28 settembre 2010

Salento Leccese: Quanto sei disposto a dare per vivere nel Paradiso Terrestre?


Salento Leccese: Quanto sei disposto a dare per vivere nel Paradiso Terrestre?di Antonio Bruno*
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E' bello il paesaggio del Salento leccese vero? E allora perchè non dovresti pagare per osservarlo? In questa nota alcune considerazioni sul rischio di perdere la funzionalità ecologica dei sistemi naturali e rurali del Salento leccese.


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Il viaggio ha una cornice continua, sia che attraversi pianure, sia che ti affondi nelle valli che ti propongono il ripido versante delle serre del Salento leccese. E' un film che si svolge davanti ai tuoi occhi e che accompagna ogni spostamento, una serie interminabile di alberi d'olivo, piante, animali, fiori e frutti che ti riempiono di stupore. E' bello il paesaggio del Salento leccese vero? E allora perchè non dovresti pagare per osservarlo? Quando attraversi il Salento leccese sei il visitatore di una mostra delle opere dell'uomo che necessita di una attività di manutenzione continua. Bene pensaci, tale frutto della creatività di generazioni di uomini e di donne che per secoli hanno abitato questo territorio, è meno meritevole rispetto a un parco archeologico o a una visita in un museo? Pensaci amica o amico mio. Lo so che i tuoi occhi stanno scorrendo la linea che si torce per formare i simboli che sono le lettere dell'alfabeto, so che la tua mente sta osservando quelle bellezze del Paesaggio del Salento leccese che ti hanno lasciato a bocca aperta, ma tutto questo Eden non è frutto del caso, ha necessità di uomini e di donne che se ne occupino, e che continuino a farlo con l'amore dei loro antenati, altrimenti la terra finisce per divenire l'oggetto di un accanimento che porta prima allo sfruttamento e poi all'aridità e al deserto.E poi c'è il mistero, la scoperta, magari proprio accanto a casa tua, dietro a quel portone che è sempre stato chiuso e al di la del quale c'è, forse, un giardino segreto. Si! Anche nei centri urbani c'è l'esigenza di portarsi in un ambiente artificiale la natura che pacifica, che mette ordine e che tranquillizza mettendoti di nuovo in contatto con la realtà che è il reale e non l'artificiale delle comodità e della mollezza dei cosiddetti comfort.Certamente tutti dovremmo essere consapevoli che siamo o a monte o a valle di qualcun'altro e che questa comporta che possiamo avere acqua che dalla parte più alta(monte) scende nella parte più bassa (valle) e che, quando la parte più bassa non permette il deflusso dell'acqua, si hanno gli allagamenti e, se la pioggia e molto intensa, le alluvioni. Ma c'è l'uomo che attraverso “le sistemazioni idraulico-forestali realizza le opere, tenendo conto di regole per costruirle e il modo di impiegarle per eliminare le cause o contrastare gli effetti dei fenomeni alluvionali, dei processi erosivi e franosi, delle colate detritiche e fangose, del distacco di massi e delle cadute di valanghe, che avvengono nei bacini torrentizi” (Puglisi 2003).Inoltre c'è l'amara constatazione che noi costruiamo senza tener conto che la nostra azione scriteriata può causare disastri, l'antica saggezza di scegliere di insediarsi in posti al riparo da rischi è dissolta, soprattutto ciò che era stato realizzato per rendere le zone “sicure” non viene mantenuto efficiente attraverso la manutenzione, cosa già nota a Leo Longanesi che diceva: “L'Italia alla manutenzione preferisce l'inaugurazione”.C'è un'azione dell'uomo che produce dei benefici agli altri uomini che può e deve essere quantificata. Si tratta dell'azione dell'uomo che mantiene le funzioni dei sistemi ecologici (ecosistemi). Questo “servizio ambientale” che alcuni uomini rendono ad altri uomini sono fondamentali per la sopravvivenza. Infatti noi agiamo in un contesto vivo che reagisce alle nostre attività e che lo fa in modo complesso e con effetti imprevedibili, molte volte di difficile comprensione anche dopo che si siano verificati.Noi del Salento leccese cominciamo ad essere sempre più consapevoli dei vantaggi che offre il nostro ambiente, che per più del 90% è paesaggio rurale e, nello stesso tempo, dobbiamo essere disposti a sopportare il “costo” della sua conservazione per continuare a usufruire dei vantaggi che offre a ognuno di noi.Nel territorio del Salento leccese è forte il rischio di perdere la funzionalità ecologica dei sistemi naturali e rurali attraverso la riduzione della diversità biologica e paesaggistica. Nel Salento leccese divengono sempre più avvertite queste due affermazioni: “La maggior parte di noi ha perso quel senso di unità di biosfera è umanità che ci legherebbe e ci rassicurerebbe tutti con un affermazione di bellezza” (Gregory Bateson). <> (Steven Rockefeller). Ecco allora che diviene fondamentale l'altra affermazione: Essere ecologicamente colti (ecolitterate), significa comprendere i principi organizzativi di base delle comunità ecologiche e utilizzarli per realizzare comunità umane sostenibili (F. Capra).Nessun organismo può esistere in isolamento. E' importante per tutti noi avere chiare le parole del Preambolo della Carta della Terra :”Ci troviamo in un momento critico della storia della Terra, un periodo in cui l’umanità deve scegliere il suo futuro. (…) È imperativo che noi, popoli della Terra, dichiariamo le nostre responsabilità reciproche e nei confronti della comunità più grande della vita e delle generazioni future.E desidero concludere con una domanda che faccio a me stesso: Come possiamo valutare economicamente i benefici che ci rendono gli Ecosistemi? La risposta alla prossima puntata!
*Dottore Agronomo



Bibliografia



Federico Preti:SISTEMAZIONI IDRAULICO-FORESTALI E INGEGNERIA NATURALISTICA PER LA DIFESA DEL TERRITORIO


Salvatore Puglisi:Profilo delle sistemazioni idraulico-forestali


Stefano Bocchi:Sistemi agro-ecologici: natura e proprietà


Claudio Saragosa:L'insediamento umano: ecologia e sostenibilità


Marco Paci:L'ecologia siamo noiThomas M. Smith, Robert L. Smith: Elementi di ecologia


domenica 26 settembre 2010

Il Salento leccese al XIII Congresso Nazionale dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali


Il Salento leccese al XIII Congresso Nazionale dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali
di Antonio Bruno*
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Dal 22 al 25 settembre 2010 si sono svolti i lavori del XIII Congresso Nazionale dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali. In questa nota qualche riflessione del Delegato del Salento leccese.
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Come? Sei andato al XIII Congresso Nazionale dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali e non ci racconti nulla? Intanto ci sono andato perchè me l'ha chiesto il mio Presidente dell'Ordine di Lecce Vico Maglie, ci dovevano andare lui e Rodolfo Rossi, delegati dal Consiglio, ma impegni improrogabili hanno trattenuto entrambi a Lecce ed ecco che arriva l'invito rivolto alla mia modestissima persona, ed io accetto.
Sapete tutti che ho un impegno con me stesso: scrivere del Salento leccese, degli altri percorsi non tratto, non li conosco e non posso che scrivere di ciò con cui entro in contatto.
Cosa cava il Salento leccese dal XIII Congresso Nazionale dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali? Ecco una domanda che merita una risposta!
Già! Che cosa porto a casa?
La lunga serie di tavole rotonde, i pezzi sul Sole 24 ore e su Italia Oggi, i servizi su tutte le TV Nazionali vi hanno raccontato dei quattro giorni (dal 22 al 25 settembre 2010) dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali d'Italia sulla Via Emilia, tra Reggio Emilia, Parma e Bologna; ma il Salento leccese cosa rimedia da questa lunga ed estenuante Kermesse?
La penisola che si immerge nel Mediterraneo come può entrare in un dibattito su una serie di tesi , che ha fatto convergere interessi e personalità come il presidente della Ferrari e della Maserati Luca Cordero di Montezemolo, il direttore del Giornale TV della TV La 7 Enrico Mentana, il presidente di Confagricoltura Federico Vecchioni, il Presidente Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo Paolo De Castro?
Io sono stato un delegato che prende il treno e arriva in mezzo ai colleghi d'Italia, li vede con la spalla dritta, con delle buone idee e con la consapevolezza di poter contribuire al bene di questo paese, ognuno nel suo territorio e, soprattutto facendo la propria parte con rigore e con efficienza, ma senza prendersi troppo sul serio.
Quello che ho visto in Emilia Romagna è un Congresso di professionisti! Ho preso parte a un tentativo di metter al servizio del territorio le nostre competenze e la nostra preparazione scientifica, per affrontare e risolvere problemi! Un tecnico fa questo!
Nel Salento leccese c'è una diffusa consapevolezza di quanto sia importante l'ambiente, che come più volte ho scritto è al 90 % e più Paesaggio rurale. La mia professione può dare spessore scientifico a chi ha a cuore le sorti dell'ambiente e del territorio.
Inoltre la mia professione è al servizio di chi ha in animo di intraprendere nel settore agricolo! Nel Salento leccese, nella mia terra c'è davvero necessità di imprenditori agricoli!
Questa consapevolezza di fare ed essere i professionisti del territorio, si è rafforzata ascoltando i dibattiti e le relazioni che si sono susseguite in questi quattro giorni. Consapevolezza che pur nella diversità di ogni territorio della Penisola Italiana il fil rouge che unisce tutti, dalle Alpi sino al tacco del Salento leccese, è la conoscenza approfondita che ogni professionista Dottore Agronomo e Dottore Forestale possiede dell'ambiente in cui vive ed opera ogni giorno. Una sapienza che non deriva solamente dallo studio, ma che è la sommatoria delle esperienze di anni di professione.
Ricordate quante volte ho scritto della professionalità dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali? Della assoluta inadeguatezza dei Centri di Assistenza (C.A.) delle Categorie Professionali Coldiretti, Confagricoltura e Cia? Il presidente di Confagricoltura Federico Vecchioni, a Parma in quello che fu uno dei tanti stabilimenti dell'Eridania, ha detto a chiare lettere che chi fa il Sindacato degli Imprenditori Agricoli subisce il danno della Consulenza a pagamento dei C.A.! Insomma chi deve fare il consulente è terzo rispetto allo Stato e anche rispetto all'imprenditore! Terzo!
L'ho sempre detto che come si dice “Ogni scarrafone è bello a mamma soia” ovvero “Ogni scarafaggio per sua madre è bello”! Insomma come può una Categoria professionale fare consulenza tecnica senza fare “rivendicazione”? Si badi, la rivendicazione è legittima, ma altro è questo ruolo, altro è il ruolo di un tecnico professionista che dal suo studio, mettendo in campo il rapporto fiduciario e rispondendo del suo operato di fronte alla legge, opera per il raggiungimento degli scopi dell'imprenditore.
Diciamocelo tra noi e diciamolo anche al Presidente Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo Paolo De Castro: i Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali non hanno potuto svolgere il loro compito perchè c'era e ancora c'è una concorrenza nel fornire prestazioni professionali a pagamento da parte delle Categorie Professionali Coldiretti, Confagricoltura e Cia.
Ma adesso che le Categorie professionali si vedono snaturate dalla loro funzione, almeno nella analisi del presidente di Confagricoltura Federico Vecchioni, ecco che si fa chiaro il ruolo del professionista Dottore Agronomo e Dottore Forestale. Ecco un compito per il Salento leccese, per i colleghi del mio territorio!
Ma non finisce qui: c'è l'incitamento del Presidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo Paolo De Castro che ha preso atto dell'assenza dal dibattito sulla nuova Politica Agricola Comune degli Italiani. Pare che solo io e altri quattro italiani abbiamo partecipato a quel dibattito. Siamo stati in tutto cinque! Ecco che il Presidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo Paolo De Castro ci chiede di innescare noi Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali il dibattito: un altro compito per noi del Salento leccese.
Ma c'è tantissimo altro che vedrà impegnati i Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali della Provincia di Lecce da qui al prossimo XIV Congresso Nazionale del 2011, c'è tanto da fare, c'è da giocare di nuovo una partita anche se nel Salento leccese c'è troppa gente che è stata abituata a vincere le partite a “tavolino”. Non è più quel tempo, non ci sono le risorse e, soprattutto, quelle persone di allora, oggi hanno più di 65 anni e con quelle vittorie a tavolino hanno fatto dei loro figli dei professionisti stimati ed apprezzati ma non degli agricoltori, quasi nessuno dei loro figli è oggi un contadino! Oggi possiamo giocare una partita con tutti, con i bancari, i ferrovieri, i ragionieri e i medici! Lo scrivo soprattutto a chi ancora non si è reso conto che viene a chiederci come risolvere problemi tecnici l'hobby farmer (o agricoltore amatoriale) che affolla anche le conferenze e i seminari su temi agricoli. L'ho scritto anche al commissario europeo per l'Agricoltura e lo Sviluppo rurale è un membro della Commissione europea Dacian Cioloş, gli ho scritto che della nuova PAC si deve parlare con tutti i cittadini dell'Europa. Certo che dopo che si poteva intervenire sul sito http://ec.europa.eu/agriculture/cap-post-2013/debate e preso atto che noi italiani che abbiamo preso la parola siamo stati in tutto cinque, diventa difficile partire in questo assoluto disinteresse generale pensate che le Categorie professionali non sono intervenute in questo dibattito che le riguarda in prima persona. Ma se ognuno di noi professionisti si rimbocca le maniche per far comprendere questo nuovo diverso modo di operare ecco che le cose potrebbero cominciare a cambiare: io faccio la mia parte, adesso tocca a te fare la tua!

Bibliografia
Andrea Sisti: Agronomi e Forestali: una professione che guarda al futuro http://www.teatronaturale.it/articolo/9912.html
Montezemolo agli agronomi "Premiare le competenze" http://www.ilrestodelcarlino.it/reggio_emilia/cronaca/2010/09/22/388657-montezemolo.shtml
Tradizione rurale e innovazione, dottori agronomi e forestali a congresso http://agricolturaonweb.imagelinenetwork.com/dall-italia-e-dal-mondo/tradizione-rurale-e-innovazione-dottori-agronomi-e-forestali-a-congresso-11656.cfm
Agricoltura: All’avvocato Anna Maria Martuccelli il Premio Conaf "Massimo Montezemolo" http://www.agenziaimpress.it/ingr_news.php?id_news=6642
Antonio Bruno: Una decisione nel territorio sarà accettata solo se sarà una decisione partecipata http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2010/05/una-decisione-nel-territorio-sara.html
Antonio Bruno: La crisi dell'agricoltura e la Nuova Politica Agricola Comune per superare la logica del PAREGGIO A RETI INVIOLATE http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2010/05/la-crisi-dellagricoltura-e-la-nuova.html
Antonio Bruno: Dal sostenibile locale a quello globale: tutto ciò che fai ha conseguenze nel resto del mondo http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2010/05/dal-sostenibile-locale-quello-globale.html
Antonio Bruno:Il Dottore Agronomo di famiglia per proteggere il territorio dalle alluvioni http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2010/04/il-dottore-agronomo-di-famiglia-per.html
Antonio Bruno:Nuova Politica Agricola Comune: il processo di partecipazione deve sancire la centralità dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2010/03/nuova-politica-agricola-comune-il.html

lunedì 20 settembre 2010

Vendemmia 2010 nel Salento leccese


Vendemmia 2010 nel Salento leccese
di Antonio Bruno*

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A Copertino del Salento leccese una famiglia ripete ogni anno i gesti che di generazione in generazione si sono tramandati per fare il vino. A Salice salentino “Benvenuta vendemmia”. In questa nota due facce dell'uva e del vino del Salento leccese.
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Io, mia moglie e mia figlia Sara, tutti e tre domenica 19 settembre 2010 a Copertino del Salento leccese, per la festa di San Giuseppe, Giuseppe Maria Desa, il santo che andava in estasi e volava! Questa passione per il volo gli valse un processo davanti al Santo Uffizio.
Prendiamo la porta che nel 1430 fece costruire il conte Tristano di Chiaromonte e costeggiamo il Castello progettato dall'architetto militare Evangelista Menga, lo sappiamo che era contento Alfonso Castriota che gliel'aveva ordinato, quando vide nel 1540 che finalmente aveva la sua fortezza! Poi prendiamo Via San Giuseppe ed è li che c'è l'inaspettato di Eraclito. Un ape Piaggio carica di tinelle piene d'uva! C'è una signora in nero, un anziano e un baldo giovane che scoprirò poi sia Daniele Schito che, oltre a farsi il vino il giorno della festa del santo patrono, intrattiene con il Karaoke nei compleanni, Comunioni e feste in genere. Vedo una diraspatrice, la macchina che separa gli acini dell'uva dai raspi, ovvero dalla parte legnosa. Daniele usa questa macchina perchè è consapevole che eliminando i raspi evita di trasferire al vino profumi e sapori erbacei e astringenti.
La signora mi dice che il vino se lo fanno da soli, perchè solo così sono certi della provenienza. Gli Schito di Copertino del Salento leccese curano con amore la loro vigna, coccolano i loro arbusti carichi di quei grappoli che poi daranno il vino che allieterà la loro mensa per tutto l'anno. La signora dice che per loro è una tradizione! Già! Sembra una parola priva di senso, ma invece un senso ce l'ha! Tradizione dal latino traditiònem da tràdere consegnare, trasmettere di generazione in generazione, gli elementi della vita e della cultura del mio popolo attraverso l'insegnamento orale. Io voglio trasmettere a mia figlia con la mia narrazione senza affidare questo compito alla prova autentica scritta, ai documenti scritti.
Mi vuole donare dei grappoli, l'hanno raccolti loro, sarebbe un offesa rifiutare! Con la busta in mano andiamo a partecipare alla messa. Poi ci immergiamo nella festa, ore di passeggiate tra le bancarelle che vendono tutto il vendibile e infine a casa. Dopo un po' porto mia figlia dalla sua amichetta Isabella. E' li perchè con la sua mamma Luisa andranno a visitare la cantina di Leone de Castris a Salice Salentino (Le) in Via Senatore de Castris, 26. Lei e la sua amichetta con la mamma per una visita guidata nel Museo del Vino "Piero e Salvatore Leone de Castris".
Una bella festa! Mia figlia mi ha riferito che è stato tutto molto emozionante e che aveva nel naso il profumo del vino che tutti ricordano per sempre se hanno visitato una cantina.
La mamma di Isabella mi ha raccontato di quando era piccola lei, la raccolta dell'uva ogni anno: tagliava qualche grappolo e poi sul carro che trasportava i preziosi grappoli alla cantina. La tradizione l'aveva portata avanti con i suoi figli che con il nonno dopo aver raccolto l'uva, averla pigiata e fatta fermentare hanno imbottigliato quel prezioso vino per conservare la memoria dei profumi, delle voci e delle emozioni della vendemmia!
Da Copertino del Salento leccese a Salice Salentino la tradizione della vendemmia che coinvolge i visitatori, i viaggiatori che in questa domenica afosa dopo aver immerso il loro corpo nei caldi mari del Salento leccese hanno potuto vedere con i loro occhi ciò che Dante Alighieri, nei suoi versi, descrisse come «terra sitibonda ove il sole si fa vino». L'energia e la luce del Salento leccese racchiusa in un liquido prezioso, pronta a trasformarsi in calore e in allegria a ogni sorso, in ogni parte del mondo perchè chiuso in quella bottiglia c'è pronto un messaggio di felicità! Se apri una bottiglia di vino del Salento leccese si sprigiona l'allegria della luce e del calore di questa terra inondando ogni angolo del tuo mondo perchè con il vino arriva tutta l'energia del Salento leccese.
Un messaggio che arriva dal Salento leccese, dalla penisola immersa nel mediterraneo, un messaggio di pace e di fratellanza, perchè il vino si beve a tavola ed è a tavola che si stringono patti e alleanze, ed è a tavola che si decreta ogni unità, inclusa quella della famiglia.
Dal vino del Salento leccese arriva un anelito di pace e di libertà! Stappa una bottiglia e dai il benvenuto agli ospiti, perchè dopo qualche sorso di vino del Salento leccese tutto è più semplice, tutto è più bello.

*Dottore Agronomo

domenica 19 settembre 2010

Il Maiale “Or.Vi.” del Salento leccese


Il Maiale “Or.Vi.” del Salento leccese
di Antonio Bruno*

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Il maiale (Sus scrofa, o anche Sus domesticus), è un suide addomesticato appartenente ai Mammiferi dell'ordine Artiodattili Suiformi. Il Comune di Ortelle la sua frazione Vignacastrisi hanno messo a punto il progetto di tracciabilità del marchio Or.Vi. (Ortelle e Vignacastrisi) degli allevamenti del maiale del Salento leccese. In questa nota alcune riflessioni su questa interessante esperienza.
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L'allevamento del maiale pare antichissimo, ci sono graffiti che raffigurano animali molto simili ai maiali, o suoi presumibili progenitori, nella grotta di Altamira (ca. 40.000 a.C.). Sembra che intorno al 5.000 a.C., sia avvenuta la domesticazione in Cina e si sono trovate anche tracce dell'allevamento del maiale in Mesopotamia. Comunque il maiale pare sia un cinghiale domesticato che compare precocemente nei livelli neolitici europei ed asiatici e che assume un ruolo rilevante anche come vittima nei sacrifici.
Il maiale è uno degli animali che è riuscito a vivere libero nelle foreste sino al medio evo. Libertà che forse ha destato l'invidia degli uomini o meglio delle persone cosiddette “perbene”che apostrofano con l'offesa “maiale” o “porco” chi si “lascia andare” .
Il maiale libero delle foreste del Salento leccese ha costituito il cibo di Romani, Longobardi, e feudatari. Come tutti sappiamo le foreste del Salento leccese sono state soppiantate dalle foreste degli ulivi e per questo, il maiale ha perduto da allora la sua libertà! Non più immense distese di Querce che garantivano il pascolo delle ghiande ai maiali liberi di muoversi in quell'ambiente incontaminato, ma olivi coltivati che davano frutto per la produzione del prezioso olio lampante, l'energia luminosa del “tempo che fu”.
Mentre i Saraceni mettevano a ferro e fuoco Vaste e Castro del Salento leccese, ecco che i nostri antenati, che dimoravano in quegli antichi borghi fatti sorgere dai Messapi, si allontanano nell'entro terra, facendo casa “tra gli orticelli” che coltivavano e da cui, ricavavano il cibo in un territorio lontano dal mare, che gli garantiva la salvezza dall'incubo saraceno. E' nata così Ortelle del Salento leccese e vicino a Ortelle siccome c'erano tante vigne prese vita la Frazione “Vignacastrisi”.
Il Comune di Ortelle del Salento leccese e la sua frazione Vignacastrisi hanno messo a punto il progetto di tracciabilità del marchio Or.Vi. (Ortelle e Vignacastrisi) degli allevamenti del maiale del Salento leccese.
Ma tu che mi stai leggendo, che sei del Salento leccese, e non hai mai sentito del maiale “Or. Vi” ti stai chiedendo dove potrai gustare la sua carne vero? Te lo scrivo io, non preoccuparti, la tua curiosità verrà immediatamente soddisfatta! La carne di maiale “Or. Vi” potrai gustarla nel prossimo mese di ottobre dal 21 al 24 presso gli stand della Fiera di San Vito a Ortelle del Salento leccese! Quattro giorni per la “Fiera di San Vito” appuntamento che ha origine nella tradizione! Infatti questa fiera è una delle più antiche del sud Italia, tanto da avere origini, si legge in alcuni scritti, addirittura nel XVI secolo.
E' davvero interessante l'impegno dell'Amministrazione comunale di Ortelle del Salento leccese , impegnata da diversi anni nella selezione degli allevamenti di suini controllati fin dalla nascita dal dott. Maurizio Caputo e, cresciuti obbedendo alle regole imposte dal Disciplinare della tracciabilità che prevede, tra le altre cose, una particolare attenzione all'alimentazione dei maiali per i quali, così come un tempo, devono essere impiegati esclusivamente prodotti naturali della terra come gli sfarinati dei cereali e i legumi.
Tutto questo conferisce alla carne, oltre che un particolarissimo sapore, che gli intenditori conoscono bene tanto da affollare i quattro giorni della fiera, anche la sua assoluta genuinità.
Il Progetto sulla tracciabilità del Maiale del Salento leccese “Or. Vi.” è stato avviato nel 2004 dal Professore Augusto Carluccio, originario di Ortelle, Professore dell'Università di Teramo e seguito in loco dal dott. Maurizio Caputo, veterinario e responsabile della Fiera di San Vito lo stesso che rende noto che i rappresentanti delle TV e dei giornali tedeschi e austriaci interessati ai prodotti del Salento leccese e alla fiera di San Vito, hanno visitato domenica 2 Maggio 2010 l'azienda agricola De Luca Maria Lucia e “Lu Campu” di Vittorio Circhetta nell'antico agro di Ortelle del Salento leccese!
La circostanza che le aziende che allevano il Maiale del Salento leccese “Or. Vi.” suscitino moltissimo interesse oltralpe fa si che questi stessi visitatori stranieri, unitamente ad altri, hanno promesso di ripetere l'esperienza dal 21 al 24 Ottobre 2010 durante la Fiera! E' noto come i tedeschi e gli austriaci consumino la carne di maiale e i suoi insaccati e come ricerchino i prodotti di qualità!
L'azione del dott. Caputo nel progetto è finalizzata a valorizzare le carni suine locali attraverso le antiche tecniche di allevamento per recuperare la tradizione, i gusti ed i sapori di un tempo, in modo da incrementare i capi allevati e di favorire la nascita di aziende a conduzione giovanile, oltre ad accrescere di molto il numero dei consumatori. Ciò potrà costituire una fonte di reddito poiché le aziende che allevano il Maiale del Salento leccese “Or. Vi.” sono di modesta dimensione per cui hanno la scelta obbligata di investire sulla qualità del prodotto.
Il dott. Maurizio Caputo ha analizzato attentamente le tecniche di produzione e il tipo di alimentazione del Maiale del Salento leccese “Or. Vi.” con la conseguenza che si è preso atto che in passato l’allevamento dei maiali era basato solo ed esclusivamente sull’uso di prodotti provenienti dalla propria azienda tra cui lupini, fave, piselli, grano, orzo, biada, mais, crusca, carrube, ortaggi vari e derivati della trasformazione del latte che costituivano “l’eccedenza” del fabbisogno del ciclo produttivo uomo- animale.
Allora che aspettate? Prendete la vostra agenda e segnate l'appuntamento del prossimo 21, 22, 23 e 24 ottobre 2010 con i sapori del Salento leccese!


*Dottore Agronomo

Bibliografia
Eugenio Camerlenghi: STORIA DEL MAIALE
Cristina Terzani: La domesticazione animale
PROGETTO SULLA TRACCIABILITA’ DEL "MAIALE SALENTINO ^OR-VI^” http://ortelle.org/index.php?option=com_content&view=article&id=149:progetto-sulla-traciailita-del-maiale-salentino&catid=57:fiera-di-san-vito&Itemid=38
Orvì, il maiale di Ortelle: serata di beneficenza http://www.ilgallo.it/2010/04/orvi-il-maiale-di-ortelle-serata-di-beneficenza/
Ortelle, serata di beneficenza e gusto http://www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=10276
La Fiera di San Vito http://www.repubblicasalentina.it/sanvito.html
Orvì il maiale di Ortelle Serata conviviale di beneficienza 21 aprile 2010 http://et-ee.facebook.com/topic.php?uid=129779073854&topic=14374

mercoledì 15 settembre 2010

Il falò delle povertà: i fuochi dopo la potatura del Salento leccese


Il falò delle povertà: i fuochi dopo la potatura del Salento leccese
di Antonio Bruno*

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L’olivicoltura del Salento leccese anno dopo anno è costretta a registrare una disfatta dopo l'altra. Il prezzo dell'olio rilevato lo scorso 3 settembre va da Euro 2,70 per l'olio extravergine a Euro 1,23 dell'olio di sansa di oliva, poco meno di un litro di gasolio. Il D.Lgs. 152/2006 considera i residui della potatura rifiuti di attività agricole e agro-industriali e per questo motivo li pone fra i "rifiuti speciali" e quindi ne vieta la combustione nella campagna. Che cosa fare delle ramaglie?
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Percorrendo la statale 16 da Lecce a Santa Maria di Leuca guardo dal finestrino, bianco fumo nell'atmosfera del Salento leccese, apro il finestrino, quell'odore caratteristico della legna d'olivo che brucia, osservo il vapore acqueo che so viene fuori dalle foglie, denso, immobile come le nebbie del profondo Nord. Bruciare i residui della potatura: una pratica che mette a rischio gli agricoltori!
Un passo indietro, i ricordi dell'infanzia, carretti pieni di ramaglie e sarmenti che passavano vicino alla mia abitazione e mia madre che acquistava queste fascine per alimentare la “cucina economica” che dava il nostro pane quotidiano.
Nelle cronache tecniche di tanto tempo fa si sconsigliava la pratica della potatura annuale dell'olivo per ottenere le fascine da vendere, si suggeriva di rinunciare al facile reddito ricavato dai residui della potatura.
Adesso sono certo che anche voi avete notato in campagna ci sono delle grosse balle circolari (rotoballe) fatte con l'ausilio di alcune macchine, le Rotoimballatrici per sarmenti e le rotoimballatrici per potature. Sono ferme, immobili, come grosse ruote che cercano un pendio per rotolare giù, per fare a gara a chi arriva prima. Le ruote di ramaglie ferme in alcuni oliveti, aspettano di essere trasportate in quei luoghi in cui saranno valorizzate, per ottenere in grande ciò che mia madre otteneva nel piccolo della sua cucina alchemica da dove usciva ogni ben di Dio!
L’olivicoltura del Salento leccese anno dopo anno è costretta a registrare una disfatta dopo l'altra. Il prezzo dell'olio rilevato lo scorso 3 settembre va da Euro 2,70 per l'olio extravergine a Euro 1,23 dell'olio di sansa di oliva, poco meno di un litro di gasolio. Gli olivicoltori del Salento leccese vorrebbero non potare gli olivi magari hanno pensato di abbandonare l’attività, ma sono costretti a farlo in virtù delle leggi sugli ulivi monumentali che li costringe alla salvaguardia ed alla manutenzione come impone la Legge regionale 14/2007. Costretti a finanziare l'ambiente anche se la finanza mondiale ha globalizzato il mercato dell'olio facendo subire la concorrenza ai nostri custodi del Paesaggio Rurale del Salento leccese costretti a svendere l'olio per evitare il peggio.
Quali conseguenze ci sono per un olivicoltore che sia sorpreso a bruciare nel suo fondo i residui rivenienti dalla potatura?
Il controllo dovrebbe concludersi con l’apertura di un procedimento penale a carico dell'olivicoltore per la violazione delle norme sui rifiuti.
In pratica all'olivicoltore verrà contestata la violazione del Decreto legislativo 152/2006 (Testo Unico di norme in materia ambientale), riguardo lo smaltimento, commercio e intermediazione dei rifiuti, che prevede notevoli pene pecuniarie e risvolti di carattere penale al fine di assicurare
un’elevata protezione dell’ambiente, tenendo conto della specificità dei rifiuti pericolosi, nonché’ al
fine di preservare le risorse naturali. Il D.Lgs. considera i residui della potatura rifiuti di attività agricole e agro-industriali e per questo motivo li pone fra i "rifiuti speciali".
Ma è giunta in soccorso la DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE 26 aprile 2010, n. 1106 che ha la finalità di definire la corretta gestione dei residui dei vegetali finalizzata al contenimento dei parassiti vegetali e animali nonché al rispetto dei principi della tutela ambientale. Siccome prende atto che nelle Misure 121, 123 e 311 del Programma di Sviluppo Rurale della Puglia 2007-2013 sono previste risorse finanziarie per le aziende che intendano dotarsi di impianti per ricavare energia dalle biomasse, allo scopo di ridurre il costo energetico per le aziende agricole e di promuovere la diversificazione del reddito aziendale e anche perchè nel salento leccese e in tutta la Regione è prioritario porre in essere azioni mirate a contrastare il fenomeno dell’abbandono dell’attività agricola, già caratterizzata da una marcata polverizzazione e frammentazione delle aziende agricole pugliesi. Questa deliberazione istituisce un tavolo tecnico per ottenere gli obiettivi scritti prima.
In una lettera scritta da Mario De Angelis alla rivista Teatro naturale si legge: “... quando tali residui (i residui della potatura n.d.r.) sono raccolti e confezionati in "piccole balle" da utilizzare per il riscaldamento delle abitazioni degli agricoltori oppure bruciati per scaldare i forni annessi alle case coloniche, per produrre il pane ad uso della famiglia contadina, non sono più rifiuti speciali?”
Ma è davvero possibile riciclare i sottoprodotti della rimonda ulivo per pressare ballette da rivendere ai forni? Un piccolo produttore che è proprietario di 500 alberi di olivo di varie età anche Ulivi secolari, che ha il problema degli scarti di potatura perchè non possono più essere bruciati in campo ha la possibilità di acquistare una pressa ballette senza spendere molto?
Io posso riferirvi di un colloquio con l'imprenditrice che pòroduce la pressa LERDA "SPECIALE SARMENTI" , mi ha detto che deriva da una elaborazione della pressa tradizionale e che produce una balla pari 32x42 o 36x46 cm con la caratteristica di ottenere una lunghezza minima di 30 cm sino a 1,20 metri, in tal modo garantendo la possibilità di entrare in tutti i focolari delle diverse caldaie in uso.
Secondo la Dott.ssa Lerda, questi accorgimenti costruttivi ne fanno una macchina per la raccolta di sarmenti di vite, ramaglia di ulivo e di tutti i tralci provenienti dalla potatura di alberi da frutta in genere. Il costo? Da un minimo di 10.000 a un massimo di 16.000 euro. Imballa rami che possono raggiungere i 4 – 5 centimetri di diametro.
Se dieci olivicoltori proprietari di aziende che hanno più o meno la stessa superficie di oliveto,,, si mettono insieme, spendendo al massimo 1.600 euro hanno la possibilità di produrre le balle di ramaglia che potranno poi vendere. A chi le vendono? Magari ai possessori dei piccoli generatori per produrre energia dai residui dell'agricoltura, ricordate?

*Dottore Agronomo



Bibliografia

Antonio Giangrande: Agricoltori multati per la bruciatura degli scarti della potatura http://www.in-dies.info/27/03/2010/agricoltori-multati-la-bruciatura-degli-scarti-della-potatura/3099
Marcello Scoccia: Rilevazione prezzi del 03 Settembre 2010 http://www.teatronaturale.it/borsino/252.html
DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE 26 aprile 2010, n. 1106
Rivista "Olivo e Olio" numero 6 2010
Teatro Naturale: I residui di potatura considerati rifiuti speciali, i panel test volanti...http://www.teatronaturale.it/articolo/9408.html
Pressa LERDA "SPECIALE SARMENTI" http://www.lerdaagri.com/sarm-it.htm info@lerdaagri.com
Antonio Bruno: Nel Salento leccese piccoli generatori per produrre energia dai residui dell'agricoltura http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2010/09/nel-salento-leccese-piccoli-generatori.html

martedì 14 settembre 2010

Roberto Benigni: gli olivi del Salento leccese guariscono da tutte le malattie


Roberto Benigni: gli olivi del Salento leccese guariscono da tutte le malattie
di Antonio Bruno*
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Il GAL "Capo S. Maria di Leuca" è una società a responsabilità limitata a capitale misto pubblico-privato. L'obiettivo principale del GAL è la valorizzazione delle risorse di imprenditorialità, storia, cultura e natura presenti nel Salento meridionale terra bagnata dal Mar Jonio e dal Mare Adriatico. Lunedì a Nociglia del Salento leccese il Presidente del Gal on. Antonio Lia ha tenuto una "lectio magistralis" sull'accoglienza della gente che abita nella Terra tra i due mari: il Salento leccese.
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Ieri era un buon lunedì per decidere di andare a Nociglia del Salento leccese! Come perchè? C'era la presentazione del Piano di Azione Locale predisposto dal Gruppo di Azione Locale “"Capo S. Maria di Leuca". Insomma uno degli incontri pubblici per informare sui contributi finanziari a fondo perduto per l'Agricoltura, l'Artigianato Tipico, i Servizi e il Turismo Rurale, nell’ambito del Piano di Azione Locale (PSL) “Capo di Leuca 2015” .
Io ed i miei collaboratori ci ritroviamo nel Palazzo Baronale di Nociglia, un maniero della fine del XVII secolo che sorge accanto ai resti del castello cinquecentesco di cui ho potuto ammirare la grande torre quadrata dotata di feritoie e piombatoie, unico resto di quel castello che difese egregiamente il territorio.
Ho ammirato l' austera facciata con portale a tutto sesto, ho visto lo stemma araldico della famiglia feudataria e poi quelle belle finestre distribuite nell'ordine superiore diviso da quello inferiore da una cornice marcapiano.
Era evidente il restauro realizzato da pochi anni. Sono entrato dal caratteristico giardino pubblico che si affaccia sulla piazza principale del paese.
Ho potuto godere dell'eloquenza di un ottimo dott. Maurizio Antonazzo che ha illustrato con competenza e professionalità le opportunità di finanziamento del Piano di Azione Locale. Ha detto che loro, i tecnici del Gal, i consulenti di questo territorio, sono a un passo da Nociglia nella Tricase del Salento leccese. Ha dichiarato che tutti a Tricase, nel Gal, sono sempre pronti per un suggerimento, un'indicazione o anche per dei semplici chiarimenti. Gente ospitale i collaboratori del Gal, gente disponibile pronta a mettersi a disposizione di chi ne ha necessità. Bravo Maurizio!
Ieri sera ha preso la parola l'on. Antonio Lia, il Presidente del Gruppo di Azione Locale, ha illustrato vent'anni di realizzazioni, ha narrato dell'avverarsi di un sogno, ha dato conto di una efficienza che ha portato ricchezza nel territorio. E' orgoglioso Antonio Lia, della circostanza che il suo Gal ha sempre impiegato tutte le risorse, non ha mai restituito neppure un Euro alla lontana e fredda Bruxelles, è contento Antonio Lia perchè tutti quei soldi sono stati spesi per dare opportunità di lavoro alle persone e per creare ricchezza per il territorio.
Antonio Lia ha parlato di Specchia del Salento leccese, ha detto dell'Albergo diffuso, ha ripetuto quasi schernendosi che l'avrebbero potuto realizzare tutti i Comuni del Gal, ma che solo a Specchia, nel paese di cui è stato sindaco decenni, ci hanno creduto e quella bella cittadina oggi è divenuta un Albergo diffuso. Cos'è l'albergo diffuso? Non lo sapete? Adesso ve lo scrivo: immaginate una casa tipica del Salento leccese, ristrutturata, che diviene la suite che ti immerge in questo territorio che affonda le sue origini nelle ere geologiche più antiche. Immagina di entrare in una suite. Adesso lo so che stai provando l'emozione del viaggiatore che arriva sin qui, in questa pista di atterraggio immersa nel mediterraneo, e so che sai di essere di fronte ad un piccolo gioiello, una camera matrimoniale arredata rigorosamente in bianco e un bagno accogliente con doccia, il tutto aperto su una magnifica terrazza che si presenta magnifica nelle sere d’estate immersa com'è nella foresta degli ulivi del Salento leccese.
Roberto Benigni è venuto a stare a Specchia, negli oliveti, non è voluto nemmeno scendere in paese, è rimasto nella foresta degli olivi, ha manifestato il desiderio di acquistare una casa qui. E' come se lo ascoltassi attraverso le parole di Antonio Lia, è come se la sua voce, che tu immagini in questo momento, rimbalzasse tra le mura del Castello baronale di Nociglia del Salento leccese per dire: “l'emozione di vedere tutti questi olivi mi fa battere il cuore a duemila, ma è proprio un'emozione perché è una cosa bella e le cose belle fanno battere il cuore, è una delle forme della felicità la natura” e poi è come se si rivolgesse a tutti voi che state leggendo ora, qui, per dire: “Guardate la bellezza, la natura fa bene, è una cosa proprio che cura, come la farmacia, invece d'andare in farmacia uno va in un oliveto, fa una passeggiata sotto gli alberi, raccoglie qualche cicoria selvatica, oppure della rughetta e guarisce da tutte le malattie.”
Antonio Lia riesce a fare una narrazione del territorio del Salento leccese che coinvolge, i miei collaboratori mi dicono di esserne stati ipnotizzati, sono assolutamente coinvolti e anche loro mi dicono che questo Psl è un opportunità per il territorio, che bisogna collaborare, mettersi a disposizione per fare il bene di tutti: tutti noi che se un viaggiatore giunto nei nostri paesini ci chiede dove abita Antonio ci mettiamo a disposizione e lo accompagniamo sino a casa sua.
Ma Antonio Lia continua, ci fa la narrazione dell'Ambasciatore degli Stati Uniti, delle sue passeggiate nella Specchia del Salento leccese, della Sua meraviglia quando avendo trovato tutti i ristoranti chiusi, un signore di Specchia, che lo vedeva spaesato gli ha detto: “Vieni a casa mia! Qualcosa da mangiare sempre si trova...”
Potrei continuare a scrivere pagine intere delle suggestioni che la narrazione di Antonio Lia, Presidente del Gal "Capo S. Maria di Leuca" , ha dato ai presenti. Ma mi fermo, vi dico che chi ama questo territorio lo racconta, vi scrivo che chi prova la tipicità del Salento leccese ne rimane ipnotizzato e la racconta agli amici, che arriveranno presto da noi, per favorire una accoglienza e una convivenza che porti benessere e felicità a tutti noi che abbiamo ereditato dai nostri antenati un territorio che fa sognare!

*Dottore Agronomo

lunedì 13 settembre 2010

La Rapacaula del Salento leccese (Brassica rapa subsp. sylvestris var. esculenta) che a Bari diventa “Cime di Rape” e che a Napoli chiamano “Friariell


La Rapacaula del Salento leccese (Brassica rapa subsp. sylvestris var. esculenta) che a Bari diventa “Cime di Rape” e che a Napoli chiamano “Friarielli”
di Antonio Bruno*

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La Rapacaula del Salento leccese (Brassica rapa subsp. sylvestris var. esculenta) è un ortaggio tipicamente italiano ma, introdotta dagli emigranti, si coltiva anche negli Stati Uniti e in Australia. In Italia il 95% della superficie coltivata si trova in Lazio, Puglia e Campania. Di essa si consumano le infiorescenze in boccio con le foglie tenere presenti, secondo ricette che in generale fanno riferimento alla tradizione locale nelle diverse regioni, in questa nota alcune notizie per conoscerla meglio.
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Ho letto nel sito del Comune di Botrugno del Salento leccese http://www.comune.botrugno.le.it/guestbook_leggi.php?pp=3 : “Pronto Radio sole!!! Si!! Senta vorrei ascoltare la canzone di Nino d'Angelo: senza giacca e cravatta!!! Posso fare un saluto!!! Prego!!! Saluto l'amico mio che ha rubato le rape al fore mio!!! Grazie Arrivederci!!!! “ Marco Ponsiglione Chef de "I Vicerè RistorArte" racconta le sue origini e scrive di essere stato ammaliato dalle verdure salentine, rape e cicorielle, da sposare con agnelli, filetti padellati e conigli lardellati.
Quando arriva l'autunno ecco che arrivano le Rape, per i baresi cime di rapa, mentre nel Salento leccese sono chiamate Rapacaule.
Della Rapacaula del Salento leccese (Brassica rapa subsp. sylvestris var. esculenta) io adoro mangiare le infiorescenze in boccio con le foglie tenere presenti.
Vegeta e produce con basse temperature quindi è un ortaggio autunnale o invernale. A parte il sapore che non posso descrivere, dovete provarlo saltato con l'olio oppure semplicemente lesso con l'olio d'oliva del Salento leccese ma mi sento di consigliare un largo consumo di questa verdura per il contenuto in sali minerali, vitamine e fattori antiossidanti.
La Rapacaula del Salento leccese ha un basso valore calorico, 22 kcal su 100 g. La sua composizione chimica media presenta circa il 92% di acqua, 2,9% di proteine, 0,3% di lipidi, 2% di carboidrati e 2,9% di fibra. In 100 g di parte edule sono presenti inoltre 1,5 mg di ferro, 97 mg di calcio, 69 mg di fosforo, 225 µg di vitamina A e 110 mg di vitamina C, nonché un elevato contenuto di polifenoli.
La raccolta è scalare, a partire dall'autunno proseguendo nell'inverno per giungere infine nella successiva primavera.
La Rapacaula del Salento leccese è una pianta erbacea, con radice fittonante nella fase giovanile, poi fascicolate ma sempre superficiale. Il fusto nelle normali situazioni di coltura è molto corto. Le foglie basali possono superare gli 80 cm. di lunghezza, quelle più in alto sempre più piccole. La lamina è di colore verde chiaro, spesso lucida ed interamente glabra; le nervature sono molto appariscenti, a volte quasi di colore bianco, rilevate nella parte inferiore.
Le foglie che accompagnano gli steli floreali sono piccole. Sul fusto e sulle foglie giovani compare una pruina cerosa ben evidente. L’infiorescenza quando non viene raccolta si allunga ed assume le caratteristiche comuni alle altre brassicacce; essa è rappresentata da un corimbo con pedicelli fiorali allungati in modo da portare i fiori con petali gialli tutti alla stessa altezza.
La Rapacaula del Salento leccese è un prodotto inodore dal sapore dolciastro; il sapore amarognolo può essere sinonimo sia di concimazioni ed irrigazioni eccessive che di infestazione da parte di insetti.
Il seme utilizzato è stato prodotto sin dagli inizi del 1700 dal singolo produttore. Attualmente, c’è la possibilità di sostituire la semina con il trapianto di piantine acquistate da vivai orticoli regionali che, come le ditte sementiere, prediligono la produzione di piantine appartenenti a varietà autoctone e tradizionali.
La Rapacaula del Salento leccese, può essere seminata in tre epoche diverse: metà agosto, fine settembre e fine di ottobre, per iniziare la raccolta da dicembre e protrarla fino alla fine di marzo.
La Rapacaula richiede alti livelli nutrizionali, la prima operazione colturale da fare è la concimazione di base, utile allo scopo, effettuata con letame o con concimi minerali (solfato ammonio, NPK 15.15.15, o similari) ad inizio primavera.
La semina può essere diretta su fila, in solchi (distanti tra loro 60-80 cm), manualmente o con seminatrici meccaniche, indipendentemente dal periodo ed utilizzando in media 300 - 400 g/ha di semi oppure a spaglio e in questo caso si evita la concimazione di base iniziale e si effettuano insieme semina e concimazione con la spandiconcime utilizzando 800 – 1000 g/ha di semi. La semina a spaglio prevede, subito dopo l’emergenza delle piantine, un diradamento, mirato ad eliminare circa il 20% delle piante nate con lo scopo finale di aumentare la pezzatura delle cime.
La semina può essere sostituita dal trapianto di piantine provenienti da vivaio. In questo caso le piantine acquistate, vengono sistemate su file distanti tra loro 30-40 cm pari a 25.000 - 30.000 piante per ettaro.
Durante la fase di crescita delle piante, si rendono necessarie sia adacquate se si è in assenza di pioggia, sia concimazioni fogliari, che trattamenti fitosanitari, indipendentemente dall’epoca di semina o trapianto. Dopo 7-8 giorni dalla semina, con piantine già emerse, e comunque al raggiungimento di una altezza di 10 – 20 cm, si esegue un primo trattamento fitosanitario, preventivo, contro la tignola o mosca del fusto (piccola larva che scava gallerie nel fusto determinando la morte della piantina). Un secondo trattamento si rende necessario se le condizioni meteorologiche risultano favorevoli allo sviluppo dei parassiti. La coltivazione va seguita badando alle irrigazioni (ogni 15-20 giorni) ed infine una fertirrigazione 20 - 25 giorni prima della raccolta.
La raccolta è fatta eseguendo il taglio delle cime (nelle cultivar tardive, ogni pianta produce in media 300-500 g di cime) ed il loro posizionamento in apposite cassette di plastica arieggiate. Così il prodotto è pronto per la commercializzazione nei mercati regionali entro 12 ore dalla raccolta. Per i mercati nazionali ed internazionali, invece, dopo la raccolta (che prevede anche il taglio delle foglie apicali), la ditta di commercializzazione provvede oltre al taglio, anche alla selezione, al trattamento con ghiaccio, al confezionamento ed al trasporto.
Affinché non perda le sue caratteristiche organolettiche che la contraddistinguono, la sua shelf-life ( durata di conservazione - vita da banco) non deve superare i 3 giorni.
E' stata fatta una ricerca per verificare l'effetto della concimazione con zolfo (10 q haE-1 S agricolo) sulla produzione e l'adattabilità al confezionamento in IV gamma di due ecotipi di friariello Sorrentino e Lingua di Cane o Cima di rapa o Rapacaula per il Salento leccese (Brassica rapa subsp. sylvestris var. esculenta). In quella ricerca è stata effettuata la semina a il 3 ottobre 2003. Una volta che il prodotto è stato raccolto per il confezionamento è stato utilizzato un film multistrato altamente impermeabile ai gas, compreso il vapore d'acqua.
La prova è consistita nel conservare per 10 giorni a 4 gradi °C le confezioni, in cui era stata immessa aria. A quel punto sia sul prodotto fresco, sia su quello confezionato, sono stati determinati il contenuto di acqua, nitrati,clorofilla e zuccheri, il pH e i parametri colorimetrici standard. Dal punto di vista agronomico, lo zolfo ha comportato un vantaggio produttivo del 18%, con effetto positivo sull'incremento di clorofilla pari al 35%. Dal punto di vista tecnologico, i risultati delle analisi strumentali non hanno mostrato differenze tra gli ecotipi, che sono risultati idonei al confezionamento in IV gamma, con una durata di conservazione o vita da banco (shelf-life) media di circa una settimana.

Bibliografia
Wikipedia Brassica rapa sylvestris
Sito del Comune di Botrugno del Salento leccese http://www.comune.botrugno.le.it/guestbook_leggi.php?pp=3
REGIONE PUGLIA Scheda identificativa per l’Elenco dei Prodotti Tradizionali - Cima di rapa di Puglia
CIMA DI RAPA Prodotto agroalimentare tradizionale (ai sensi dell'art. 8 del D.Lgs. 30 aprile 1998, n. 173)
Pascale, S. De; Nicolais, V.; Cardone, A.; Raimondi, G.; Barbieri, G.Attitudine di ecotipi locali di friariello alla conservazione in IV gamma [Brassica rapa L. subsp. sylvestris (L.) Janchen var. esculenta Hort.; concimazione solforica

domenica 12 settembre 2010

La Caduta dell'Impero del riciclo: San Cesario del Salento leccese


La Caduta dell'Impero del riciclo: San Cesario del Salento leccese
di Antonio Bruno*

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I primi anni del XIX secolo a San Cesario del Salento leccese un manipolo di uomini decisi ha realizzato il sogno di un ciclo continuo per il riciclo di alcuni prodotti e sottoprodotti agricoli. Tutto ciò che veniva dalla terra dava frutto e da qui frutti è venuta la ricchezza di un territorio. Oggi nulla rimane di questo stile di vita, oggi i rifiuti fanno l'Impero della sporcizia e dell'inquinamento. In questa nota il modello San Cesario del Salento leccese proposto nuovamente per rispetttare sino in fondo l'ambiente in cui viviamo.
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Un sogno diventa realtà, un uomo sogna il suo destino e coinvolge in questa “allucinazione” altri uomini che insieme fanno l'impresa.
A San Cesario del Salento leccese, in Via Umberto I che per gli indigeni si chiama “la spallata”, il mugnaio Carmine De Bonis aveva un mulino a vapore. Aveva l'energia e capiva che oltre a fare girare la macina per produrre la farina dal grano poteva affiancare altre attività. Un genio! Coinvolge le figlie femmine Addolorata e Marianna!
Addolorata era sposata con Vito De Giorgi e Marianna con Pietro Pistilli.
Addolorata da alla luce il figlio Nicola. Già! Nicola De Giorgi, figlio di Vito, che aveva sposato la figlia di Carmine De Bonis, il mugnaio di San Cesario del Salento leccese.
Sia Vito De Giorgi che Pietro Pistilli lavoravano con il suocero.
Poi a lavorare con il Mugnaio restò solo Pietro Pistilli. Vito con il Figlio Nicola nel 1905 - 06, iniziò la sua attività in un piccolo locale della piazza di San Cesario ma presto arrivò l’edificio nella Via in cui abito io adesso, Vittorio Emanuele III, era stato costruito nella seconda meta dell’Ottocento. Gli affari andavano bene e nel 1915, Nicola De Giorgi acquistò un altro edificio che confinava con il primo nucleo e tutto il terreno che era nelle vicinanze. Come sempre un attività che decolla ha necessità di infrastrutture e di personale per poter soddisfare le richieste del mercato.
E che ne è stato di Marianna, l'altra figlia del mugnaio, e di suo marito Pietro Pistilli? Intanto è bene recarsi a San Cesario del Salento leccese in Via Ferrovia e ammirare una costruzione che costeggiando la linea ferroviaria verso Sud, si estende di fronte al Piazzale della Stazione ferroviaria delle Ferrovie Sud Est. E' la distilleria Pistilli! Non si può entrare dentro ma io ho ancora negli occhi quello che facevo da ragazzino, è come se vedessi il mio arrivo, in due sulla Bianchi nera di papà, io e il mio inseparabile amico Sandro, di fronte alla stazione, vicino al cancello della distilleria Pistilli, le montagne di vinacce esauste su cui ci improvvisavamo scalatori, sciatori e alpini! E non c'eravamo solo noi ma tutti i ragazzi di San Cesario, tutti con le biciclette e tutti a giocare alla Stazione! Quanti ricordi!
Quanti operai un tempo lavorano in quell'industria, e come dimenticare il continuo via vai di mezzi carichi di vinacce, sansa e altre materie necessarie all’ottenimento dell’alcool.
Cercate di capire, in questo paesino a un tiro di schioppo dal capoluogo, c'erano enormi macchinari montati in altissime torri, cantine piene fino sino a traboccare, capannoni con macchinari e caldaie che garantivano il processo di distillazione.
E poi la stazione vicina garantiva che il prodotto di ottima qualità fosse spedito in tutta Europa creando ricchezza sia per gli imprenditori e gli operai.
Rifare l'impresa? Manco a pensarci! Oggi ogni sforzo di recuperare l’operatività della distilleria sarebbe inutile di fronte alla tecnologia, agli attuali costi di produzione, alle normative che prevede il settore.
Eppure il sogno di Carmine De Bonis aveva creato l'Impero di San Cesario del Salento leccese con le due regine Marianna e Addolorata sposate ai Regnanti delle distillerie! San Cesario del Salento leccese era il Regno del riciclaggio, il paese della cuccagna dove l’ottenimento di sottoprodotti di ottima qualità da materiali che hanno già subito vari processi di trasformazione era la norma!
Riccardo Pistilli era figlio di Vito, e anche lui come il nonno Carmine aveva un sogno: voleva costruire un complesso industriale costituito dalla distilleria, dallo stabilimento vinicolo e da un oleificio quest'utimo mai realizzato per conquistare l'Impero del riciclaggio, per creare un circuito perfetto che rendesse la distilleria autonoma da forniture di materie prime provenienti dall’esterno, sfruttando scarti e prodotti degli altri due processi produttivi! Riccardo Pistilli fallì probabilmente, per i mancati pagamenti di commesse.
Pietro Pistilli e il figlio Riccardo nel 1921 realizzano un piccolo stabilimento e l’abitazione in cui abitavano. Fra il 1930 ed il 1935 Riccardo cominciò a realizzare il suo impero: fece ampliare l’opificio, trasformandolo in una grande “fabbrica di alcol ed opificio di imbottigliamento” costruendo altri ambienti con una nuova torre di distillazione e la ciminiera. La sua impresa continua fra il 1948 e il 1949 perchè realizzò, ai confini alla distilleria, uno stabilimento vinicolo d’avanguardia utilizzando macchinari che all'epoca erano altamente innovativi.
Aveva un progetto fare il vino e l'olio e la costruzione era stata pensata a staffa di cavallo con una parte della staffa destinata alla produzione del vino e l'altra all'olio! Come ho già scritto Riccardo Pistilli realizzò la parte dell'industria destinata al vino ma non riuscì a realizzare quella che doveva produrre l'olio.
L'Impero Pistilli negli anni 40-60 produsse enormi quantità di alcol, il prodotto andava a ruba in tutto il paese e per questo motivo Riccardo aprì un ufficio vendite nel profondo Nord, a Milano!
che veniva venduto un diverse parti d’Italia, tanto che fu necessario aprire un ufficio vendite a Milano. Il Boom degli anni '60 portò l'Impero Pistilli al suo massimo splendore tanto che tra il 1960 ed il ’61 l’impianto fu potenziato ulteriormente con il risultato di far diventare la distilleria una delle più grandi della Puglia.
Poi la fine immediata, l'Impero Pistilli essò l’attività nel 1978! Ci fu chi acquistò il castello! Qell'immenso maniero davanti alla stazione, la mezza staffa di cavallo andò nel 1984 all'anonima ditta Eural Sud che tentò, con scarso successo, di produrre alcol sino al 1989. Nel 1993 l’impianto di distillazione fu in parte smontato.
Abbiamo di nuovo perso tutti perchè è importante che tutti siamo consapevoli di cosa si facesse nelle distillerie.
Intanto sapete quali sono le materie prime che utilizzavano le distillerie di San Cesario del Salento leccese? No? E allora ve lo scrivo: carrube, fichi, datteri, vinacce, vino.
Le carrube potevano essere conferite tal quale e in tal caso si provvedeva a tritarle oppure già tritate. Una volta ridotte in triturato venivano immesse in grandi serbatoi per il lavaggio e la bollitura. La bollitura trasformava il triturato in un liquido zuccherino che veniva fatto fermentare per ricavarne il sidro.
Il sidro veniva distillato ottenendo l’alcol. Ma nulla andava perduto, infatti gli scarti della lavorazione venivano utilizzati come combustibile per la caldaia o venduti come mangime per gli animali.
E le vinacce? Come? Non sai cosa soni le vinacce? La vinaccia è la buccia dell'uva, solitamente senza raspo. Come non sai nemmeno cos'è il raspo? Non preoccuparti te lo scrivo subito: è la struttura legnosa che funge da scheletro ad un grappolo d'uva (picca d'uva).
Adesso che sai cosa sono ti dico che ne facevano gli Imperatori del riciclo di San Cesario del Salento leccese: le scaricavano in grandi vasche e qui con delle pompe veniva immessa acqua. In questo modo si otteneva un vinello che faceva la stessa fine del trinciato di carrube ovvero veniva introdotto nel distillatore per ottenere l’alcol puro.
Ma non finisce qui! Dopo il lavaggio le vinacce esauste venivano pressate. Con una lavorazione successiva si separava la buccia dai semi. Dai semi si ricavava l’olio di semi di vinaccia. Le bucce venivano usate come combustibile. Le ceneri della combustione delle bucce venivano utilizzate come concime.
L'impero del riciclo, un paradigma distrutto da un mercato vorace che produce tonnellate di rifiuti che nessuno vuole. Forse sarebbe il caso di riprendere a ragionare sul riciclo prendendo ad esempio l'industria di San Cesario del Salento leccese.

*Dottore Agronomo

Bibliografia
Scuola Media "A. Manzoni": Relazione progetto "Helianthus" San Cesario modulo 10
Stagira, Anna Maria (2003) Impianti di distillazione in San Cesario di Lecce: lo stabilimento Nicola De Giorgi.
Antonio Monte: Storte ed alambicchi. L'industria della distillazione a San Cesario di Lecce
Antonio Monte, Andrea Romano, Lorena Sambati: L’INDUSTRIA DELLA DISTILLAZIONE A SAN CESARIO DI LECCE E IL COSTITUENDO MUSEO DELL’ALCOL
Antonio Monte e Anna Maria Stagira con un contributo di Lorena Sambati: La Distilleria De Giorgi a San Cesario di Lecce da opificio a monumento. Conservazione, recupero e valorizzazione
Antonio Bruno: A San Cesario del Salento leccese si distillava l'alcool http://www.viniesapori.net/articolo/a-san-cesario-del-salento-leccese-si-distillava-l-alcool-0609.html
UN BRINDISI PER I 100 ANNI DELL’ANISETTA DE GIORGI http://www.lecceprima.it/articolo.asp?articolo=666

sabato 11 settembre 2010

“Apriti, Stefano!”: Il Sesamo del Salento leccese (Sesamum indicum)


“Apriti, Stefano!”: Il Sesamo del Salento leccese (Sesamum indicum)
di Antonio Bruno*
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Il sesamo (Sesamum indicum L.) è una pianta erbacea della famiglia delle Pedaliaceae, originaria dell'India e dell'Africa, i cui semi sono utilizzati nell'alimentazione umana.
In questa nota vengono spiegate le ragioni della ripresa della coltivazione nel Salento leccese.
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Quella TV che nel 1983 mandava in onda la trasmissione “OK il prezzo è giusto” quando la nonna di mia moglie, una nonnina arzilla e mitica di nome Maria Capone, osservava la postazione davanti alla quale Sabani conduceva parte della trasmissione: ricordate? Era costituita da un piccolo palco con a fianco una pedana girevole che celava gli Oggetti-Invito che poi il conduttore ribattezzò "Apriti, Sesamo!" La nonna di mia moglie alla vista di quella pedana coprendo la voce di Sabani , con enfasi, con gli occhi furbetti e il sorriso sulle labbra diceva:“Apriti, Stefano!”. La nonna di mia moglie era stata amica d'infanzia di mia nonna Domenica detta “Memmi” e non penso immaginassero, mentre erano intente nei giochi dell'infanzia, che due loro nipoti si sarebbero poi sposati.
Sembra ieri ma sono volati trent'anni senza che nemmeno me ne accorgessi e con la nonna di mia moglie che adesso non c'è più. Però, ogni volta che ascolto la formula magica “Apriti, Sesamo!” rivedo la sua casa, il suo viso e il suo sorriso.
La nonna Maria chiedeva a Stefano di aprirsi in una sorta di “parodia” della formula magica “Apriti, Sesamo”, che viene dritta dritta dalla Persia dove viene usata nella fiaba di Alì Baba e i 40 ladroni perchè esclamando “Apriti, Sesamo” questi briganti avevano accesso alla caverna del tesoro. E sapete perchè i persiani usavano questa formula magica? Perché fa riferimento alle “incredibili” proprietà nutritive e vitali del sesamo, che aprirebbero all’uomo le porte della forza e della vitalità.
I suoi semi vengono usati per aromatizzare i prodotti da forno del Salento leccese: i taralli al sesamo, o il pane al sesamo, e il suo olio ha preceduto l'uso dell'olio d'oliva. Semi e olio di sesamo hanno caratteristiche forse uniche per il nostro sistema nervoso, immunitario e motorio.
L'olio di sesamo copre il 75% della produzione mondiale di grassi.
In India ed Egitto diversi millenni fa, l’olio di sesamo accompagnato da rituali magici, era bevuto contro mal di testa ed emorragie.
I Babilonesi gli attribuivano proprietà cosmetiche, ma è nella letteratura antica che si riporta l'usanza di spargere con semi di sesamo i sedili dei commensali, per cacciare i demoni che potrebbero impossessarsi del cibo.
Il sesamo ha semi ovali e piatti dai quali i nostri antenati estraevano l'olio che era usato come condimento. Per questo motivo le donne di 10.000 anni fa l'hanno coltivato anche se la prima testimonianza dell'olio di sesamo è in alcune tavolette d'argilla sumeriche, risalenti al 2300 a. C.
Anche in un testo Mesopotamico in lingua aramaica in onore del dio Hadad, si legge di un olio alimentare diverso da quello d’oliva : "...ho dedicato loro offerte funerarie di buoi, pecore ingrassate, pane, birra di qualità, vino, olio di sesamo, miele e ogni altro prodotto dell’orto...".
Il nome scientifico della pianta “Indicum” è la conseguenza della circostanza che vede l'India maggiore produttrice mondiale. Arrivano informazioni sulla presenza del Sesamo in India da autori e viaggiatori greci come lo storico Ctesia o il geografo Strabon. Comunque c'è il ritrovamento di un grumo di semi carbonizzati nel sito archeologico di Harappa in India che può essere ricondotto all'arrivo degli Ari nel Subcontinente circa il III millennio a. C.
Il sesamo Sesamum Indicum (LINN.) appartiene alla famiglia delle Pedaliaceae. Ti dico due cose che possono interessarti: la prima è che l'olio di sesamo si vende a a 15 – 25 Euro al litro e la seconda è il prezzo del seme che va da 8 a 10 Euro al chilo.
Poi mi chiederai quanti quintali di seme produce un ettaro di terreno coltivato a sesamo. E io te lo scrivo così cominci a farti due conticini: la produzione è da 10 a 20 quintali di seme per ettaro. Un quintale di seme di sesamo lo puoi vendere ricavando sino a 1.000 Euro e se ne produci 20 quintali ottieni 20.000 Euro ad ettaro. Come dici? Non ci credi? Vai a fare una ricerca di mercato e vedrai che converrai con me su questi numeri. E l'olio? Dal seme si ottiene da un minimo del 40% a un massimo del 63% di olio. Tradotto avrai dai 20 quintali di seme 12 quintali di olio! E se lo vendi a 20 Euro al litro ecco che 24.000 Euro non te li toglie nessuno!
Non ci credi vero? E cosa devi fare per coltivarlo nei campi incolti del Salento leccese? Lo semini a maggio a righe e ti bastano 3 – 4 chili di seme per ettaro. Il 13 giugno, per la festa di Sant'Antonio da Padova, eccolo fiorire e, prima di ferragosto, lo potrai raccogliere! La cosa bella è che devi raccogliere la pianta intera prima che si aprano le capsule che contengono il seme e poi, queste piante devi lasciarle stagionare su una superficie liscia, perchè il seme uscirà da solo. A quel punto non ti resta che ammucchiarlo e metterlo nei sacchi. Le spese? La seminatrice per la semina,un paio di sarchiature, un diradamento a 30 centimentri da una pianta all'altra sulla fila e qualche irrigazione di soccorso di non più di 500 metri cubi di acqua per ettaro.
Insomma il sesamo essendo tra le prime piante coltivate nel neolitico, scelta dalle nostre antenate perchè facile da coltivare, rende gustoso il pane e regala l'olio ottenuto con la spremitura a freddo dei semi della pianta, con ottime proprietà emollienti, antiossidanti e seborestitutive.
Fammelo sapere come è andata la coltivazione del tuo campo di sesamo, chiama i tuoi figli, mostragli la pianta dei nostri antenati, quella che ha dato semi e olio per lungo tempo e che a te che hai un seminativo nel Salento leccese, con una spesa minima, in 100 giorni con ogni probabilità ti darà un buon reddito. Mi raccomando quando vedrai le piante di sesamo devi ripetere “Apriti, Stefano!”: la formula magica di Maria Capone, vedrai che funzionerà!


Bibliografia
D. BEDIGIAN – J. R. HARLAN, Evidence for cultivation of sesame in the ancient world, in «Economic Botany» XL (1985), p. 137.
J. W. MAC CRINDLE, Ancient Indian as Described by Ktesias the Kuidian, rist. Dehli 1976, p. 16; B. N. PURI, India as Described by Greek Writers, Allahabad 1939, p. 88 sgg.
M. S. VATTS, Excavations at Harappa, Calcutta 1940, p. 466, S. PIGGOTT, Pre-Historic India, New York 1950, p. 153; R. E. M. WHEELER, The Indus Civilization, Cambridge 1953, p. 62.
Aldo Quindo Lazzari: Storia dell'uomo attraverso il suo cibo
Wikipedia: Sesamum indicum
Saverio Sani: Il Sesamo nell'India Antica
Prezzi Olio di Sesamo: http://www.twenga.it/dir-Gastronomia,Olio-e-Aceto,Olio-di-sesamo
Enrico Pantanelli: Il Sesamo

giovedì 9 settembre 2010

Dopo 200 anni rischia di scomparire la Manifattura Tabacchi del Salento leccese


Dopo 200 anni rischia di scomparire la Manifattura Tabacchi del Salento leccese

di Antonio Bruno*

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Nel 1812 viene istituita per speciale privilegio la Manifattura Tabacchi del Salento Leccese che lavorava dagli 11 ai 12 mila quintali di foglia di tabacco che veniva prodotta nei migliori terreni di 24 Comuni del Salento leccese. Oggi è la British American Tabacco l’erede di quell’opificio che è l’azienda anglo-americana unica in Italia a produrre tabacco e confezionare sigarette: le Ms, annuncia lo stop della produzione nel Salento.

In questa nota alcune considerazioni sulla distruzione della coltivazione del Tabacco del Salento leccese.

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Fimmene fimmene ca sciati allu tabaccu (Donne, Donne che andate a lavorare nei campi di tabacco)

‘nde sciati dhoi e ne turnati a quattro (quando andate siete due e dopo ritornate in quattro)

ci bu la dice cu chiantati lu tabaccu (chi è che vi dice di piantare il tabacco)

la ditta nu bu dae li taraletti (La ditta non vi da i telai su cui mettere le foglie per l'essiccazione)

ca poi li sordi bu li benedicu (benedico i vostri soldi)

bu ‘nde cattati nuci de Natale (con cui comprare le noci a Natale)

te dicu sempre cu nu chianti lu tabaccu (te lo dico sempre di non piantare il tabacco)

lu sule è forte e te lu sicca tuttu (il sole è forte e lo fa seccare)



Ricordate le nostre mamme o nonne che ci raccontavano del lavoro che facevano nelle “Fabbriche del Tabacco”? A San Cesario del Salento leccese di queste fabbriche ce n'erano parecchie anche se adesso non ce ne sono più da decenni. E cosa dire dei nostri nonni, sino ai nostri padri e fratelli che hanno coltivato il tabacco nel Salento leccese sino a qualche anno fa? Era estate quando si lavorava il tabacco e il sole salentino ardeva le campagne e la pelle delle donne e degli uomini che lavoravano in campagna. Giuseppe Abatianni di San Cesario del Salento leccese rimane turbato quando scopre che il tabacco, anche se non si coltiva più, produce il premio agli agricoltori, un premio in soldi! Mi chiede che ne facciano di quei soldi, mi chiede se li investono nelle campagne, io gli rispondo che non so... Giuseppe Abatianni è uno dei 500 dipendenti della British American Tabacco, l’azienda anglo-americana, l’unica in Italia a produrre tabacco e confezionare sigarette (le Ms), Giuseppe Abatianni mi racconta delle manifestazioni che sta facendo perché ha il suo posto di lavoro a rischio. Le cronache di questi giorni raccontano degli incontri tra azienda e sindacati per trovare soluzioni alternative allo stop della produzione annunciato nel Salento.

La tabacchicoltura del Salento leccese degli anni 2000 era ridotta ai margini tanto che nel 2006 rappresentava lo 0,36% dei 157.720 ettari coltivati. Nel 2006 dal tabacco venivano poco più di mezzo milione di Euro ovvero lo 0,2% dei 281 milioni di Euro che rappresentavano la Produzione lorda vendibile ottenuta dall’agricoltura del Salento leccese.
Eppure sino al 1996 si coltivavano 5.180 ettari di tabacco ed i 5.500 ettari di tabacco davano lavoro a 30 mila braccianti agricoli che lavoravano per 1 milione e 600 mila giornate agricole con 172 miliardi delle vecchie lire tra salari e contributi e con una produzione di tabacco di 14mila Tonnellate.

Ma non finisce qui, nella fase successiva della trasformazione c’erano 11mila addetti con 220mila giornate lavorative e 25 miliardi di lire tra compensi e contributi.

Nel 2004 dopo le varie crisi cancellano posti di lavoro e redditi mettendo al tappeto l’agricoltura del Salento leccese e, in questo 2010, appena sei anni dopo, rischia di accadere la stessa cosa per la Manifattura Tabacchi di Lecce.

Era l'anno 1561 quando il Cardinale Prospero Pubblicola di Santa Croce (1513-1589), Nunzio Apostolico in Portogallo, al ritorno da una missione diplomatica presso la Corte di Lisbona, portò i semi di tabacco in dono al Papa Pio IV che li fece coltivare dai monaci Cistercensi nei dintorni di Roma.
Proprio per questo motivo la coltivazione del Tabacco nel Salento leccese fu affidata per lungo tempo ai frati mendicanti. Nel 1800 la “polvere leccese” è considerata alla pari della “Siviglia di Spagna” come un prodotto di gran lusso che riesce a penetrare prepotentemente nelle Corti dei Re di tutto il Mondo, insomma il Tabacco del Salento leccese diviene un bene raffinato e costosissimo. Nel 1810 la coltivazione e il commercio del Tabacco diviene una “privativa di Stato” e per questo motivo subisce nel Salento leccese una temporanea contrazione: la quantità di prodotto si riduce perché vengono introdotte razze esotiche per la coltivazione. Nel 1812 viene istituita per speciale privilegio la Manifattura di Lecce che lavora dagli 11 ai 12 mila quintali di foglia di tabacco che viene prodotta nei migliori terreni di 24 Comuni del Salento leccese. E’ nel 1870 – 75 che la produzione riprende a crescere in quantità e in qualità. Infatti con l’unificazione del Regno d’Italia, nel 1870 c’è un nuovo orientamento dell’attività di produzione agricola determinato dalla maggiore sicurezza delle campagne e dai più facili mezzi di comunicazione. In quegli anni c’è anche un allargamento del mercato e un’ampia applicazione del contratto ventinovennale (di 29 anni) di “Colonia a miglioria” che si rivelò uno strumento formidabile per valorizzare terreni marginali e poco produttivi in quanto coniugava il vantaggio di nessun costo per il proprietario con un equo compenso per il lavoro del conduttore del fondo.

Sono passati appena cinque anni dal 2005 dalla nascita del Programma dell’Unione Europea denominato Coalta ovvero Colture alternative al Tabacco che aveva l’obiettivo di favorire la riconversione della tabacchicoltura del Salento leccese attraverso l’introduzione delle coltivazioni del Farro, l’artemisia, il muglolo (un cavolo del Salento leccese), l’asprago e le patate e ricordo vennero avviati campi sperimentali a Monteroni del Salento leccese nell’Azienda Agricola dell’Istituto sperimentale tabacchi e a Sternatia e Maglie sempre nel Salento leccese. Dal 2006 c’è il disaccoppiamento totale che ha provocato l’abbandono in massa della coltivazione del tabacco e i titoli storici maturati dai tabacchicoltori non sono stati più investiti nella coltura e nessuno in questi anni ha registrato investimenti di questi capitali nell’agricoltura del Salento leccese.

Abbiamo perso tutti! Più di 40 mila tra braccianti e addetti alla trasformazione non guadagnano più e non spendono più i quasi 200 miliardi di vecchie lire ovvero i 100 milioni di euro. Un danno enorme per l’Economia di questo territorio perché i 100 milioni di Euro sono spariti e nessuno è riuscito a cavarli da qualche altra “coltura del Salento leccese”. Adesso anche la Manifattura dei Tabacchi del Salento leccese, l’ultimo baluardo costituto quasi 200 anni fa, nel 1812 , rischia di scomparire. Il Tabacco, la “polvere leccese” il prodotto di gran lusso del Salento leccese ovvero la “Ferrari” del Tabacco non è che uno sbiadito ricordo lontano, il Tabacco del Salento leccese è l’ennesima vittima della mancanza di una politica in grado di competere in questo tempo della globalizzazione! Abbiamo un compito nuovo, siamo chiamati a un' impresa entusiasmante: c'è da ricostruire l'agricoltura del Salento leccese perchè di quella che è stata l'economia agricola rimangono solo macerie.





*Dottore Agronomo





Bibliografia

Vincenzo Rutigliano: Puglia, dal Tabacco nasce il farro Sole 24 ore del 1 febbraio 2007

Valentina Marzo: Produzione «Ms» in Romania La vertenza diventa nazionale Corriere della sera del 9 settembre 2010

Bat: fumata nera in Regione, si attende il vertice di venerdì a Roma - Il Paese Nuovo

L’Agricoltura Salentina, Lecce Giugno 1935

La Survia del Salento leccese Sorbo ( Sorbus domestica L.)


La Survia del Salento leccese Sorbo ( Sorbus domestica L.)

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Le donne come un frutto: la Survia del Salento leccese! Un frutto antico il Sorbo ( Sorbus domestica L.) che è originario dell'Europa Meridionale, dalla Spagna alla Crimea e all'Asia Minore, e che meriterebbe di essere presente sulla nostra tavola che sempre più spesso subisce la “monotonia” dei frutti dai sapori sempre uguali, che oramai non provocano “stupore”. In questa nota le caratteristiche di questo frutto del Salento leccese.
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Leo (Lionardo) Vinci da non confondere con il geniale Leonardo da Vinci è un compositore e maestro di cappella vissuto intorno al 1600 che inserì il brano che segue nella sua commedia "Lo cecato Fauzo"



So' le sorbe e le nespole amare,

So' le sorbe e le nespole amare,

ma lo tiempo le fa maturare

e chi aspetta se ll'adda magna'',

se ll'adda magna', se l'adda magna',

se ll'adda magna', se l'adda magna',



So' le sorbe e le nespole amare,

ma lo tiempo le fa maturare

e chi aspetta se ll'adda magna',

se ll'adda magna', se l'adda magna',

se ll'adda magna', se l'adda magna',



Accussi' so' le femmene toste,

che s'arrangiano quanno t'accuoste,

tiempo e purchie le fanno ammulla',

tiempo tiempo, purchie purchie,

tiempo e purchie le fanno ammulla'



Naturalmente le “purchie” altro non sono che i soldi!



Il Sorbo ( Sorbus domestica L.) è conosciuto nel Salento leccese con il nome di survia.

Il territorio rurale del Salento leccese è stato storicamente plasmato dall’attività di tanti agricoltori e basta fare una passeggiata per cogliere immediatamente la correlazione tra il sistema produttivo agricolo e la presenza di torri, castelli e masserie fortificate. Proprio in queste piccole porzioni di territorio una volta abitate dai nostri antenati è possibile cogliere una particolare forma di paesaggio, caratterizzata dalla presenza di colture tradizionali, spesso non più redditizie, che sono in stato di abbandono con il rischio di estinzione di alcune specie e varietà vegetali.

Ed è in queste particolari porzioni di territorio rurale del Salento leccese che è possibile la coesistenza di diverse condizioni produttive e paesaggistiche in un dinamico equilibrio ambientale che è ogni giorno a messo a rischio da una antropizzazione che rischia di far divenire il Salento leccese un'unica megalopoli popolata da case e strade.

Nel classico giardino familiare della masseria delle Cesine a Vernole del Salento leccese, piantato a lato della corte con lo scopo di avere sempre nella masseria un po’ di tutto, o meglio, almeno un frutto per ogni mese dell’anno, c'è un albero di Sorbo (Sorbus domestica L.).

Fra' Domenico Palombi ha rinvenuto nel territorio del Comune di Martano del Salento leccese e di Carpignano Salentino alberi di Sorbo.

Nella determinazione del dirigente del Servizio Foreste della Regione Puglia del 26 marzo 2010, n. 65 in tema di “Disposizioni attuative per la raccolta ed epoche di raccolta del materiale di moltiplicazione forestale nei boschi e popolamenti da semi della Regione Puglia” si legge di un intervento finalizzato ad eliminare specie dominanti per dare spazio a specie sporadiche tra cui c'è il sorbo.

Anche l'Università del Salento ha rilevato in uno studio la presenza del Sorbo anche se ha registrato un inselvatichimento dell'albero che una volta era coltivato (Curti et alt. 1974).

Roberto Quaranta, Marcello Solferino e Fabrizio Licchelli nel loro progetto “Piccoli Giardini” a Tiggiano del Salento leccese hanno previsto uno spazio chiamato "Alberi della memoria o dei frutti dimenticati" dove c'è il Sorbo. L'area di progetto si sviluppa lungo la direttrice di attraversamento del paese, che collega i comuni di Alessano, Corsano, Tricase: una strada che non è quasi più trafficata e che lascia spazio a un Giardino che tiene conto degli alberi del Salento leccese che rischiano l'estinzione e tra questi c'è appunto il Sorbo e che si ricollega alla tradizione dei Giardini delle Masserie del Salento leccese.

L'albero do Sorbo è elegante e ciò gli da titolo per essere presente nei parchi urbani e nei frutteti. E' alto fino a 13 metri, molto longevo, i rami sono grigi e la gemma quasi glabra e vischiosa. Le foglie sono alterne e lunghe fino a 20 cm, con 6-10 paia di foglioline ovale o lanceolate sessili, dentate ai margini e acute all'apice. I fiori sono numerosi con il calice a cinque lacinie triangolari acute. Il frutto e' lungo da 2 a 4 centimetri, di colore giallo-rossastro-arancione e punteggiato diventa di colore bruno a maturità. La polpa e' verdognola e dolce quando il frutto è maturo.

Si adatta ovunque e ciò rende il Sorbo un'essenza utile alla valorizzazione di ambienti marginali.

La verità è che le sorbe che cogliamo dall'albero sono immangiabili ed è per questo che il Vinci le paragona alle Donne particolarmente rinunciatarie e cocciute.

Le sorbe appena raccolte sono astringenti ed allappanti ma se di attende facendole maturare ancora, ad esempio nella paglia, ecco che le sorbe arrivano all’ammezzimento che è un processo mediante il quale i frutti acerbi, riposti ben distanziati l'uno dall'altro, su un vassoio di cartone o cassetta di legno, vengono conservati in un luogo asciutto e senza luce, fino a che non avranno raggiunto la giusta maturazione.

Dai frutti si ricavano anche marmellate e confetture, mentre dal legno durissimo e compatto dell’albero, si ricavavano un tempo, viti, ingranaggi ed altre componenti di attrezzi e utensili complessi come torchi e fucili.

Ma cosa significa la parola Sorbo? Sorbo deriva dal latino “Sorbus” che a sua volta deriva dal celtico “Sor”, che significa aspro.

Le tradizioni celte volevano che l’edera, il caprifoglio e il sorbo venissero intrecciati insieme in una corona e posti sotto i contenitori del latte per preservarne la salubrità.

Il medico greco Galeno, le consigliava come rimedio contro la dissenteria, infatti, sono diuretiche, astringenti, antinfiammatorie, lenitive, in questo caso, è consigliabile utilizzare frutti ancora più acerbi.

Questa sua capacità medicinale deriva dal fatto che possiedono dei principi attivi, sostanze peptiniche e tanniniche, acidi organici specialmente acido sorbico, malico, citrico e tartarico, sorbitolo (o sorbite).

Le testimonianze dell’uso del sorbo sono molto antiche: le prime risalgono al 400 a.C. in Grecia, i Romani lo fecero conoscere al resto dell’Europa.

Presso i romani è ampiamente documentato l’uso dei frutti del Sorbus Domestica. L’importanza di avere di questi frutti in dispensa è ricordata da Catone nel De Agricoltura,144 (CLII): "Tenga in dispensa: pere secche, sorbe, fichi, uva passa, uva in marmitte, mele stanziane in doglio e tutti gli altri frutti che è uso conservare, anche quelli selvatici, li conservi ogni anno con diligenza. "

Virgilio, nelle Georgiche (III, 380), narrando di popolazioni che vivevano nell’Europa dell’Est, a nord del Mar Nero, racconta che dopo cacce al cervo nella neve si riunivano in grotte dove accendevano grandi fuochi e “...trascorrono la notte nel gioco, e allegri imitano la bevanda delle vigne con quelle di orzo fermentato e acide sorbe”.

Plinio, nella sua opera “Naturalis Historia”, riferisce che: “alcune di esse sono tonde come mele; alcune aguzze come pere, altre ovate come son certe mele, queste rinforzano tosto. Le tonde sono più odorose e più delicate che le altre. L’altre hanno sapore di vino”.

Columella, nel suo “De re rustica” dà consigli sulla piantagione: “...le sorbe...piantale dopo la metà dell’inverno fino a metà febbraio”, sul modo di conservarle “raccoglile a mano con diligenza e mettile in piccoli orci spalmati di pece. Alcuni conservano molto bene il frutto nel vino passito o nel vino cotto, aggiungendovi una specie di tappo di finocchio secco dal quale le sorbe siano tenute bene in fondo”.

Apicio raccomanda un piatto caldo e freddo con le sorbe. “Prendi delle sorbe, puliscile, pestale nel mortaio e passale alla staccio. Snerva quattro cervella scottate, mettile nel mortaio con una decina di grani di pepe, bagna di salsa e pesta. Aggiungi le sorbe e amalgama, rompi otto uova, aggiungi una tazza di Salsa. Ungi una padella pulita e mettila sulla brace calda sopra e sotto. Quando sarà cotta cospargi di pepe tritato fine e servi”.

Lo scrittore Alexandre Dumas, consigliava di mangiarle, quando raggiungono una condizione intermedia tra la putrefazione e la maturazione, stato che chiamava di “mezzo”.

Stefano Giacchino, cultore del mondo forestale, sostiene che “La sorba può essere conservata in due modi: o lasciandola ammorbidire per qualche tempo su un letto di paglia o "alla sicana" (incastrati in un rametto di salicone o di salice in modo da formare un grosso grappolo)”. Inoltre, fa menzione di un ecotipo di sorba, presente nei monti Sicani, detta "natalina”, leggermente più grossa della varietà comune è di colore rosso, così chiamata poiché giunge a maturazione nel periodo “natalizio”.
Le donne come un frutto: la Survia del Salento leccese! Un frutto antico il Sorbo ( Sorbus domestica L.) che è originario dell'Europa Meridionale, dalla Spagna alla Crimea e all'Asia Minore, e che meriterebbe di essere presente sulla nostra tavola che sempre più spesso subisce la “monotonia” dei frutti dai sapori sempre uguali, che oramai non provocano “stupore”.






Bibliografia



Francesco Minonne con il Patrocinio scientifico dell'Orto Botanico dell’Università del Salento: Il Sorbo domestico (Sorbus domestica L.)

Mele, P. Medagli, R. Accogli, L. Beccarisi, A. Albano & S. Marchiori: Flora of Salento (Apulia, Southeastern Italy): an annotated checklist

FRA’ DOMENICO PALOMBI: ELENCO GENERALE DELLE PIANTE ERBACEE ED ARBUSTIVE, OFFICINALI E NON, E DI QUELLE COLTIVATE, MA CON PROPRIETA’MEDICINALI, RINVENUTE NEL TERRITORIO DI MARTANO E, MARGINALMENTE, IN QUELLO DI CARPIGNANO SALENTINO.

Roberto Quaranta, Marcello Solferino, Fabrizio Licchelli: Piccoli Giardini

P. Dal Sasso, G. Ruggiero, G. Marinelli: I SITI RURALI STORICI

Guida al Bosco didattico Ponte Felcino – Perugia

Roberta Conversi: Sorbolo L’origine del nome

Domenico Saccà: Cu lu tempu e cu la pagghia, maturanu li sorba

Mario e Giuseppe Liberto: Sorbo, il frutto dei nonni e della pazienza

I prodotti nella storia: Scoperte, viaggi e tradizioni dei cibi nella storia dell’uomo

Marzia Mariscalco - Le sorbe: ricordo di antichi sapori

Annamaria Ciarallo - Ricettario: i prodotti degli orti di Pompei utilizzati in cucina

Virgilio, Georgiche (III, 380)

Plinio: Naturalis Historia

Columella, “De re rustica”

Catone, De Agricoltura,144 (CLII)

mercoledì 8 settembre 2010

Il Consorzio di Bonifica del Salento leccese ha fatto sparire il flagello della Malaria


Il Consorzio di Bonifica del Salento leccese ha fatto sparire il flagello della Malaria
di Antonio Bruno*

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Nel Salento leccese il flagello della malaria nell'800 sino ai rimi del '900 ha mietuto centinaia di migliaia di vittime tra i nostri antenati. L'azione risolutrice del Consorzio di Bonifica del Salento leccese è stata dimenticata da tutti.
In questa nota le conferme che progvengono da diversi autori di quegli anni.
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Come ho più volte dimostrato, il Salento leccese non è stato sempre così come lo conosciamo ora. C'è da aggiungere che tra il 1800 ed i primi del '900 la presenza delle paludi nel territorio ci viene testimoniata da tanti autori. Questa grave situazione è stata affrontata e risolta dal Consorzio di Bonifica del Salento leccese nei primi anni del '900. L'azione risolutrice del Consorzio di Bonifica del Salento leccese è stata dimenticata da tutti e, come sempre, quando ormai un problema pensiamo sia risolto; non riusciamo a percepire che in assenza di chi si è fatto carico della soluzione, il problema incombente potrebbe ripresentarsi e riportare il territorio del Salento leccese, nel degrado e nella disperazione da cui il Consorzio di Bonifica l'ha salvato.
Per dimostrare tutto ciò basti verificare la circostanza che si realizza durante gli anni del 1800: in quegli anni la presenza di paludi aumentò e la situazione generale del Salento leccese precipitò per i problemi igienici.
Oramai è noto a tutti che le paludi portano con se la malaria detta anche paludismo, così come oggi è a tutti chiaro che si tratta di una malattia causata da parassiti e quindi provocata da protozoi del genere Plasmodium (Regno Protista, Phylum Apicomplexa, Classe Sporozoea, Ordine Eucoccidiida). Chi veicola il parassita, infettando le persone umane, immettendo nel sangue il protozoo e facendole ammalare sono le zanzare del genere Anopheles.
Nel Salento leccese la costa tra Porto Badisco e Santa Maria di Leuca è alta e, man mano che ci si sposta verso l'interno, l'altitudine si abbassa ed è per questo motivo che nell'800 era l'unico tratto in cui non c'erano le paludi in quanto l'acqua non ristagnava . Tutto la restante parte di costa era una immensa palude infestata di zanzare del genere Anopheles.
Tutto questo è riscontrabile visionando l’Atlante Geografico del Regno di Napoli di G. A. Rizzi-Zannoni, terminato nel 1808.
Altre conferme vengono da diversi autori come questa di Mainardi: …..L’intera penisola del Salento leccese era disseminata “di acque putride, di acquitrini costieri, di stagni e di paludi; chiazze macchiose, folti querceti, ampie radure, contribuivano, poi, a fare dell’area jonica e salentina un territorio, fino a buona parte dell’Ottocento specialmente, ancora da valorizzare in quanto a opportunità produttive, del settore agricolo primariamente” .
Oggi possiamo godere di immensi boschi di olivi, di distese pianeggianti di seminativi e dei pochi vigneti rimasti ma nel 1800 sino ai primi del '900 il territorio del Salento leccese era interessato dai boschi o dal latifondo e dal pascolo e chi aveva l'avventura di vivere in campagna doveva fare i conti con la mancanza di igiene rischiando di ammalarsi con una certa facilità.
Insomma i grandi feudatari che possedevano la quasi totalità del territorio del Salento leccese gestivano la terra mettendo in atto un agricoltura basata sulla pastorizia e utilizzando contadini che rischiavano di ammalarsi di malaria. Per questo rischio il territorio incolto era di 50 mila ettari su una Superficie utile totale della Provincia di Lecce che è stata Censita nel 2000 di 163 mila ettari.
Una testimonianza su tale grave situazione viene da G. Franco nel 1905 che così scriveva: “L’area salentina, contornata, come essa era, lungo il suo litorale di una corona di paludi, fomiti di aria malsana, e causa dell’improduttività de’ terreni sommersi e circostanti, era funestata dalla malaria, che mieteva vittime tra i contadini delle campagne vicino le coste”.
Ma non erano i soli 50 mila ettari di palude ad essere interessati dalla malaria, come testimonia G. Tanzarella nel 1885: …...la superficie di territorio del Salento leccese che era interessato dalla malaria era “sopra una estensione ben altrimenti più vasta di quella occupata dalle paludi. Ed a considerare quella soltanto, che potrebbe classificarsi di malaria grave, non si andrebbe errati ragguagliandola al quarto od al quinto della superficie totale”.
Un'altra conferma dell'impossibilità di coltivare terreni fertili per il rischio di essere infettati dalla malaria viene da D. Orlando nel 1885: “Tutta la costa di questa Provincia dal confine con quella di Bari presso Ostuni sino alla costiera di S. Cesaria e dal Capo di Leuca sino al Bradano sul confine della Basilicata, si costituiva di lande paludose e malsane, in cui l’agricoltura era quasi abbandonata, perché i pestilenziali miasmi trasportati a grandi distanze dal vario e frequente soffiare dei venti, producevano infermità e non di rado la morte a chi volesse mettere a coltura qualche zona di suolo”.
Anche il il Galateo descrive lo stato di abbandono e degrado che caratterizzava il Salento leccese: “Qui l’aria è grassa e malsana. Tutta la Iapigia gode d’un’atmosfera salutare secca e sincera, all’infuori del littorale, che dal Capo di Otranto si estende insino a Brindisi, dove in molti luoghi vicino al mare vi son delle paludi, ed all’infuori ancora di Cesaria della campagna neretina”.
Un'altra conferma proviene da due viaggiatori stranieri dell’Ottocento, J. Ross e G. Meyer-Graz: che sull' alimentazione dei contadini del Salento leccese scrivevano: “è fatta prevalentemente di pesce e di pane di orzo; e perciò soccombono senza pietà in questi siti di malaria”.
Meyer-Graz incontrando un giovane pastore del Salento leccese scrive: “un giovane messapo, ch’era a guardia di un branco di pecore e che osservava intanto con occhio curioso… La figura sparuta di costui attestava come fosse divorato dalle febbri malariche”.
Il Ross sulla paura di infettarsi di malaria nel Salento leccese scrive: “Ci saremmo trattenuti volentieri ancora un poco a gironzolare lungo la spiaggia, ma il nostro cocchiere aveva così paura della febbre, che ci decidemmo a ritornare a Lecce”.
J. H. Von Riedesel nel 1767 descrive la stessa situazione igienica che quindi era consolidata da tempo.
Adesso tutti prendiamo le nostre automobili e ci godiamo le coste del Salento leccese, facciamo il bagno in quelle che furono le zone al cui interno c'era la palude e la malaria, abbiamo realizzato centinaia di migliaia di case rurali e coltiviamo da Hobby Farmers verdura e ortaggi per la nostra famiglia. Passeggiamo indisturbati nel “Bosco degli Ulivi” del Salento leccese e nessuno di noi ha la malaria. Oggi tutto questo può di nuovo essere messo in pericolo se una scellerata superficialità determinasse la mancata azione del Consorzio di Bonifica del Salento leccese. Tutti dobbiamo pretendere che i sacrifici dei nostri padri non vengano vanificati dalla nostra clamorosa perdita di memoria. Dobbiamo pretendere che il Consorzio di Bonifica del Salento leccese abbia i finanziamenti necessari a conservare il nostro ambiente e territorio.

*Dottore Agronomo

Bibliografia
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