“Alla ricerca del cibo perduto”, intervista al Presidente Antonio Bruno
(25 febbraio 2012) SAN CESARIO- Grande partecipazione ieri sera, presso Palazzo Marulli (il Municipio di San Cesario di Lecce ex palestra) in Piazza Garibaldi, al seminario “Alla ricerca del cibo perduto” tenuto dal Antonio Bruno che è Presidente dell’Associazione dei laureati in Scienze Agrarie e Forestali della Provincia di Lecce
Sai cosa mangi? Sei in grado di scegliere il cibo più sano e adatto a te? Sai come si producono e trasformano gli alimenti? Dai una risposta a queste domande prima di acquistare un prodotto alimentare o agricolo? Scienza, economia, salute, cultura e ambiente si intrecciano ogni volta che decidiamo che cosa acquistare e consumare come cibo sulle nostre tavole.
“Troppo spesso siamo investiti da proposte che ci vengono da tutto il mondo. Ormai l’alimentazione è globalizzata e non sempre abbiamo consapevolezza della differenza tra un alimento e l’altro. Io non sto dicendo che ci sono degli alimenti più buoni o meno buoni , ma ci sono degli elementi diversi e bisogna capire che ci sono gusti diversi e questo seminario serve a questo: a mettere insieme diversi gusti e dare consapevolezza ai consumatori in maniera tale che questa consapevolezza si trasformi in una scelta oculata del cibo migliore per la propria salute”, spiega il dottor Antonio Bruno.
Spesso ciò che facciamo per la nostra salute ha ricadute positive per la salute di tutti, poiché ci porta a preferire soluzioni che fanno bene oltre che alla nostra salute anche alla nostra tasca e che sicuramente hanno anche un minor impatto ambientale.
“E’ importante perché è la vera prevenzione. Noi siamo tutti quanti investiti ogni anno da una spesa sanitaria enorme che mette a serio rischio tutta quanta la nostra finanza, anche quella regionale. Un’alimentazione corretta porterebbe a una diminuzione della spesa sanitaria –continua Bruno- Tutti gli alimenti sono funzionali , cioè sono dei farmaci. Noi siamo ciò che mangiamo e quindi è importantissimo essere attenti all’alimentazione” .
Magari, stando alle parole dell’esperto, si potrebbe optare a dare spazio a tavola alla dieta mediterranea : “E’ nata nel bacino , in questo lago salato, nel quale l’olivo insieme con la vite, con il grano e con tutti i legumi, rappresenta un’alternativa al fastfood, a questo mangiare americano pieno di grassi, pieno di proteine che possono dar problemi anche alla salute”.
E come dargli torto? Il seminario presentato a San Cesario è stato molto interessante, vero, ha aperto gli occhi davanti a delle realtà sconosciute. Anzi sarebbe il caso di poter far circolare “Alla ricerca del cibo perduto” un po’ ovunque al fine di far arrivare questa conoscenza a tutti. Il seminario è stato già tenuto a Carovigno e Corigliano D’Otranto, presto approderà anche a Lecce:
“Io sono disponibile a fare il seminario dappertutto, anche ai condomini, perché secondo me bisogna divulgare questa cosa. Quindi io sono disponibile, basta che mi diano una settimana di tempo per organizzarmi. Tutto sempre e comunque a titolo gratuito”, conclude il dottor Antonio Bruno.
Elisabetta Paladini
Antonio Bruno è Laureato in Scienze Agrarie Dottore Agronomo iscritto all'Ordine di Lecce - Esperto in diagnostica urbana e territoriale e studente all'Università del Salento del Corso di laurea in Viticultura ed Enologia
domenica 26 febbraio 2012
sabato 25 febbraio 2012
UN PARTICOLARE RINGRAZIAMENTO AL DOTT. ANTONIO BRUNO CHE MI HA DATO MODO DI TRASMETTERE NEL SUO SEMINARIO L'AMORE CHE HO PER LA MIA TERRA
UN PARTICOLARE RINGRAZIAMENTO AL DOTT. ANTONIO BRUNO CHE MI HA DATO MODO DI TRASMETTERE NEL SUO SEMINARIO L'AMORE CHE HO PER LA MIA TERRA
DOCUMENTO RELATIVO ALLA "GIORNATA NAZIONALE PER L'ALIMENTAZIONE SICURA COME PREVENZIONE DEL CANCRO". CHIUNQUE VOLESSE PARTECIPARE PER PRESENTARE I PROPRI PRODOTTI BIOLOGICI , O COLLABORARE IN ALTRO MODO, PUO' CONTATTARE falconieris@libero.it O I NUMERI DELLA LILT - LEGA TUMORI DI CASARANO.
DOCUMENTO RELATIVO ALLA "GIORNATA NAZIONALE PER L'ALIMENTAZIONE SICURA COME PREVENZIONE DEL CANCRO". CHIUNQUE VOLESSE PARTECIPARE PER PRESENTARE I PROPRI PRODOTTI BIOLOGICI , O COLLABORARE IN ALTRO MODO, PUO' CONTATTARE falconieris@libero.it O I NUMERI DELLA LILT - LEGA TUMORI DI CASARANO.
SALUTI , SERGIO FALCONIERI.
SALUTI , SERGIO FALCONIERI.
venerdì 24 febbraio 2012
La Repubblica del 24 febbraio 2004 L'INTERVISTA a Bill Gates: "Dobbiamo investire sull'agricoltura
L'INTERVISTA"Dobbiamo investire sull'agricoltura
solo così battiamo povertà e malattie"La sfida di Bill Gates: "E' inaccettabile che l'Africa sia costretta a importare prodotti della terra quando potrebbe invece esportarli". Poi dice: "Non andrò a dirigere la Banca mondiale"
Bill e Melinda Gates di EUGENIO OCCORSIO
ROMA - "Gli investimenti nell'agricoltura sono la miglior arma contro la fame e la povertà, e intorno ad essi passa la linea di demarcazione fra la vita e la morte per centinaia di milioni di persone. Se volete prendervi cura dei più poveri e sfortunati, dovete prendervi cura dell'agricoltura". Quando avevamo incontrato Bill Gates oltre vent'anni fa a Seattle, era un grintoso e nervoso amministratore delegato che non guardava in faccia nessuno. Oggi parla con il carisma di un capo di Stato. Delinea strategie con pacata risolutezza, prefigura scenari possibili, esemplifica costi e benefici. Ma non più in nome della Microsoft, l'azienda che ha fondato nel 1975 quando aveva vent'anni, fattura 70 miliardi di dollari con 92mila dipendenti in ogni angolo del pianeta e ora ha lasciato nelle mani dell'antico compagno di studi Steve Ballmer: ormai si dedica anima e corpo alla Bill&Melinda Gates Foundation, la charity che ha creato quindici anni fa con la moglie, a sua volta ex dirigente Microsoft, e attraverso la quale ha già donato qualcosa come 28 miliardi di dollari.
Una cifra destinata a raddoppiare in dieci anni, durante i quali il secondo uomo più ricco del mondo (dopo il messicano Carlos Slim) ha promesso di devolvere in beneficenza il 95% della sua fortuna. Forte di queste certezze, Gates è venuto a Roma per la sessione annuale dell'Ifad (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo).
Qual è il contributo, oltre a quello finanziario,
che sente di poter dare agli sforzi mondiali per migliorare la resa dei campi, la qualità dei raccolti, la distribuzione dei prodotti agricoli, le condizioni di vita nei Paesi in via di sviluppo?
"Quello di migliorare su tutti questi punti. Non c'è solo bisogno di finanziamenti: la comunità internazionale degli agricoltori deve essere più innovativa, organizzata, efficiente. Per questo, sei anni fa con Melinda abbiamo deciso di impegnarci non più solo contro le malattie più terribili del pianeta (malaria, tbc, polio) ma anche nell'agricoltura: per portare la nostra esperienza manageriale, ottimizzare gli investimenti, evitare sprechi e dispersioni. È inaccettabile che l'Africa sia costretta ad importare prodotti agricoli quando potrebbe essere un esportatore formidabile".
Proprio la sua capacità di portare un contributo da businessman agli aiuti allo sviluppo, l'hanno portata in testa nel toto-nomine per la presidenza della Banca mondiale...
"Sinceramente non penso che sarei disponibile per un incarico del genere. Ho lasciato l'azienda per impegnarmi a tempo pieno nella Fondazione, ed è quello che intendo continuare a fare. E poi guardate che la Banca Mondiale ha fatto passi da gigante negli ultimi tre-quattro anni sotto il profilo dell'efficienza. Non è più quell'istituzione burocratica, polverosa e autoreferenziale di un tempo. Certo, molto resta da fare ma ha uno staff motivato in grado di migliorare ancora. Sarà per noi un partner sempre più prezioso".
Su quali progetti siete concentrati in questo momento?
"Interveniamo a diversi livelli. Finanziamo piani di ricerca scientifica, in occidente o anche, sempre più spesso, negli stessi Paesi interessati, per la selezione delle migliori sementi: riso in grado di sopravvivere sott'acqua anche per settimane, una situazione frequente in molte zone tropicali, o grano che può crescere in terreni acidi o salini come sono quelli di tante aree sub-sahariane. E poi curiamo che essi vengano distribuiti presso, per esempio, i piccoli agricoltori africani, ovvero la stragrande maggioranza di quanti si dedicano al suolo in regioni fra le più povere nel mondo. Per di più questi agricoltori usano dieci volte meno fertilizzanti dei loro "concorrenti" su terreni che sono fra i più degradati del mondo. Tutti questi fattori fanno sì che i raccolti siano da due a cinque volte più scarsi della media. Si tratta di aiutarli non solo a comprare i fertilizzanti, ma anche a scegliere le piante che è più conveniente coltivare. Loro sono bravissimi: un gruppo di agricoltori kenioti ha creato senza nessuna ingegneria genetica la cassava, una varietà di mais più resistente e redditizia, che ora stiamo aiutando a diffondere in tutta la regione".
Della World Bank ci ha detto, ma con le altre organizzazioni internazionali, a partire appunto dall'Ifad, collaborate?
"Certo, è la chiave del successo: l'Ifad ma anche la Fao e il World Food Programme. Però è indispensabile, e questo sono venuto a dire a Roma, che tutte e tre queste istituzioni cambino approccio, seguendo appunto il cammino della Banca Mondiale, altrimenti la lotta contro la povertà e la fame sarà perduta irrimediabilmente. Le pratiche utilizzare sono ancora vecchie e inefficienti. Dobbiamo lavorare tutti insieme per raggiungere gli obiettivi, e dobbiamo farlo con metodi più innovativi, usando per esempio le possibilità offerte dalla tecnologia digitale. Non lo dico per il mio background, ma l'hi-tech di rete è in grado di dare un contributo straordinario alla produttività e all'efficienza in agricoltura. Considerate che se i piccoli agricoltori dell'Asia del Sud e dell'Africa sub-sahariana riusciranno a raddoppiare i loro raccolti, come è tecnicamente possibile, 400 milioni di persone si riscatteranno dalla povertà. È questa la portata della sfida che abbiamo di fronte e che dobbiamo vincere".
(24 febbraio 2012) © Riproduzione riservata
solo così battiamo povertà e malattie"La sfida di Bill Gates: "E' inaccettabile che l'Africa sia costretta a importare prodotti della terra quando potrebbe invece esportarli". Poi dice: "Non andrò a dirigere la Banca mondiale"
Bill e Melinda Gates di EUGENIO OCCORSIO
ROMA - "Gli investimenti nell'agricoltura sono la miglior arma contro la fame e la povertà, e intorno ad essi passa la linea di demarcazione fra la vita e la morte per centinaia di milioni di persone. Se volete prendervi cura dei più poveri e sfortunati, dovete prendervi cura dell'agricoltura". Quando avevamo incontrato Bill Gates oltre vent'anni fa a Seattle, era un grintoso e nervoso amministratore delegato che non guardava in faccia nessuno. Oggi parla con il carisma di un capo di Stato. Delinea strategie con pacata risolutezza, prefigura scenari possibili, esemplifica costi e benefici. Ma non più in nome della Microsoft, l'azienda che ha fondato nel 1975 quando aveva vent'anni, fattura 70 miliardi di dollari con 92mila dipendenti in ogni angolo del pianeta e ora ha lasciato nelle mani dell'antico compagno di studi Steve Ballmer: ormai si dedica anima e corpo alla Bill&Melinda Gates Foundation, la charity che ha creato quindici anni fa con la moglie, a sua volta ex dirigente Microsoft, e attraverso la quale ha già donato qualcosa come 28 miliardi di dollari.
Una cifra destinata a raddoppiare in dieci anni, durante i quali il secondo uomo più ricco del mondo (dopo il messicano Carlos Slim) ha promesso di devolvere in beneficenza il 95% della sua fortuna. Forte di queste certezze, Gates è venuto a Roma per la sessione annuale dell'Ifad (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo).
Qual è il contributo, oltre a quello finanziario,
che sente di poter dare agli sforzi mondiali per migliorare la resa dei campi, la qualità dei raccolti, la distribuzione dei prodotti agricoli, le condizioni di vita nei Paesi in via di sviluppo?
"Quello di migliorare su tutti questi punti. Non c'è solo bisogno di finanziamenti: la comunità internazionale degli agricoltori deve essere più innovativa, organizzata, efficiente. Per questo, sei anni fa con Melinda abbiamo deciso di impegnarci non più solo contro le malattie più terribili del pianeta (malaria, tbc, polio) ma anche nell'agricoltura: per portare la nostra esperienza manageriale, ottimizzare gli investimenti, evitare sprechi e dispersioni. È inaccettabile che l'Africa sia costretta ad importare prodotti agricoli quando potrebbe essere un esportatore formidabile".
Proprio la sua capacità di portare un contributo da businessman agli aiuti allo sviluppo, l'hanno portata in testa nel toto-nomine per la presidenza della Banca mondiale...
"Sinceramente non penso che sarei disponibile per un incarico del genere. Ho lasciato l'azienda per impegnarmi a tempo pieno nella Fondazione, ed è quello che intendo continuare a fare. E poi guardate che la Banca Mondiale ha fatto passi da gigante negli ultimi tre-quattro anni sotto il profilo dell'efficienza. Non è più quell'istituzione burocratica, polverosa e autoreferenziale di un tempo. Certo, molto resta da fare ma ha uno staff motivato in grado di migliorare ancora. Sarà per noi un partner sempre più prezioso".
Su quali progetti siete concentrati in questo momento?
"Interveniamo a diversi livelli. Finanziamo piani di ricerca scientifica, in occidente o anche, sempre più spesso, negli stessi Paesi interessati, per la selezione delle migliori sementi: riso in grado di sopravvivere sott'acqua anche per settimane, una situazione frequente in molte zone tropicali, o grano che può crescere in terreni acidi o salini come sono quelli di tante aree sub-sahariane. E poi curiamo che essi vengano distribuiti presso, per esempio, i piccoli agricoltori africani, ovvero la stragrande maggioranza di quanti si dedicano al suolo in regioni fra le più povere nel mondo. Per di più questi agricoltori usano dieci volte meno fertilizzanti dei loro "concorrenti" su terreni che sono fra i più degradati del mondo. Tutti questi fattori fanno sì che i raccolti siano da due a cinque volte più scarsi della media. Si tratta di aiutarli non solo a comprare i fertilizzanti, ma anche a scegliere le piante che è più conveniente coltivare. Loro sono bravissimi: un gruppo di agricoltori kenioti ha creato senza nessuna ingegneria genetica la cassava, una varietà di mais più resistente e redditizia, che ora stiamo aiutando a diffondere in tutta la regione".
Della World Bank ci ha detto, ma con le altre organizzazioni internazionali, a partire appunto dall'Ifad, collaborate?
"Certo, è la chiave del successo: l'Ifad ma anche la Fao e il World Food Programme. Però è indispensabile, e questo sono venuto a dire a Roma, che tutte e tre queste istituzioni cambino approccio, seguendo appunto il cammino della Banca Mondiale, altrimenti la lotta contro la povertà e la fame sarà perduta irrimediabilmente. Le pratiche utilizzare sono ancora vecchie e inefficienti. Dobbiamo lavorare tutti insieme per raggiungere gli obiettivi, e dobbiamo farlo con metodi più innovativi, usando per esempio le possibilità offerte dalla tecnologia digitale. Non lo dico per il mio background, ma l'hi-tech di rete è in grado di dare un contributo straordinario alla produttività e all'efficienza in agricoltura. Considerate che se i piccoli agricoltori dell'Asia del Sud e dell'Africa sub-sahariana riusciranno a raddoppiare i loro raccolti, come è tecnicamente possibile, 400 milioni di persone si riscatteranno dalla povertà. È questa la portata della sfida che abbiamo di fronte e che dobbiamo vincere".
(24 febbraio 2012) © Riproduzione riservata
giovedì 23 febbraio 2012
Venerdì 24 febbraio 2012 alle ore 11 e 45 su TELERAMA nella trasmissione di Manuela e Lino “In Famiglia” c’è Antonio BRUNO che presenta il seminario “Alla ricerca del cibo perduto” INSIEME all’Amministrazione Comunale di San Cesario di Lecce.
Venerdì 24 febbraio 2012 alle ore 11 e 45 su TELERAMA nella trasmissione di Manuela e Lino “In Famiglia” c’è Antonio BRUNO che presenta il seminario “Alla ricerca del cibo perduto” INSIEME all’Amministrazione Comunale di San Cesario di Lecce.
Seminario di studi: Alla ricerca del cibo perduto
venerdì 24 febbraio 2012 ore 18.00 Palazzo Marulli Municipio Piazza Garibaldi San Cesario di Lecce
http://www.facebook.com/centrostudi.agronomi#!/events/370248432994110/
Seminario di studi: Alla ricerca del cibo perduto
venerdì 24 febbraio 2012 ore 18.00 Palazzo Marulli Municipio Piazza Garibaldi San Cesario di Lecce
http://www.facebook.com/centrostudi.agronomi#!/events/370248432994110/
martedì 21 febbraio 2012
Conferenza stampa del 22 febbraio 2012
Conferenza stampa del 22 febbraio 2012
Via 95° Reggimento Fanteria – 75, Lecce
Ore 10.30
Realizzazione Lago di Lecce e Parco della vita
Mercoledì 22 febbraio in via 95° Reggimento Fanteria a Lecce si terrà una conferenza stampa per presentare il progetto del Parco della Vita e del grande lago di Lecce.
Interverranno in qualità di ospiti, tecnici dell’Ambiente ed esperti del settore, tra i quali Maurizio Durini in rappresentanza dell’ordine dei biologi, Daniele Errico e Franco Ruggiero rappresentanti dell’ordine dei dottori agronomi e forestali, Antonio Bruno delegato per l’Italia al Forum Mondiale Alternativo dell’acqua che si terrà dal 13 al 18 marzo 2012 a Marsiglia (Francia), , Vittorio De Vitis , presidente WWF Lecce, Giuseppe Ferro, esperto di politiche agricole.
Coordinerà il tavolo tecnico il colonnello Mario Mazzeo, già comandante provinciale del Corpo Forestale dello Stato di Lecce.
Il progetto che sarà presentato stamattina è inserito nell’ambito del più ampio “I cento laghi del Salento leccese” elaborato dal CICC http://www.web-cicc.org/site/ che sarà presentato da Antonio Bruno, delegato per l’Italia, al Forum Mondiale Alternativo dell’acqua che si terrà dal 13 al 18 marzo 2012 a Marsiglia (Francia). Il progetto “I cento laghi del Salento leccese” se realizzato farà in modo che i milioni di metri cubi di acqua reflua depurata che si producono in autunno, inverno e primavera divengano una risorsa. Grazie al questo progetto nemmeno una goccia d’acqua finirebbe in mare
Via 95° Reggimento Fanteria – 75, Lecce
Ore 10.30
Realizzazione Lago di Lecce e Parco della vita
Mercoledì 22 febbraio in via 95° Reggimento Fanteria a Lecce si terrà una conferenza stampa per presentare il progetto del Parco della Vita e del grande lago di Lecce.
Interverranno in qualità di ospiti, tecnici dell’Ambiente ed esperti del settore, tra i quali Maurizio Durini in rappresentanza dell’ordine dei biologi, Daniele Errico e Franco Ruggiero rappresentanti dell’ordine dei dottori agronomi e forestali, Antonio Bruno delegato per l’Italia al Forum Mondiale Alternativo dell’acqua che si terrà dal 13 al 18 marzo 2012 a Marsiglia (Francia), , Vittorio De Vitis , presidente WWF Lecce, Giuseppe Ferro, esperto di politiche agricole.
Coordinerà il tavolo tecnico il colonnello Mario Mazzeo, già comandante provinciale del Corpo Forestale dello Stato di Lecce.
Il progetto che sarà presentato stamattina è inserito nell’ambito del più ampio “I cento laghi del Salento leccese” elaborato dal CICC http://www.web-cicc.org/site/ che sarà presentato da Antonio Bruno, delegato per l’Italia, al Forum Mondiale Alternativo dell’acqua che si terrà dal 13 al 18 marzo 2012 a Marsiglia (Francia). Il progetto “I cento laghi del Salento leccese” se realizzato farà in modo che i milioni di metri cubi di acqua reflua depurata che si producono in autunno, inverno e primavera divengano una risorsa. Grazie al questo progetto nemmeno una goccia d’acqua finirebbe in mare
lunedì 20 febbraio 2012
Martedì 21 febbraio 2012 dalle 9.00 alle 11.00 il Presidente dell'ADAF Lecce Dottore Agronomo Antonio Bruno sarà ospite di TR News su TELERAMA per parlare del Seminario "Alla ricerca del cibo perduto"
Martedì 21 febbraio 2012 dalle 9.00 alle 11.00 il Presidente dell'ADAF Lecce Dottore Agronomo Antonio Bruno sarà ospite di TR News su TELERAMA per parlare del Seminario "Alla ricerca del cibo perduto"
La replica sempre Martedì 21 febbraio 2012 su TELERAMA 1 dalle 22.00
La replica sempre Martedì 21 febbraio 2012 su TELERAMA 1 dalle 22.00
sabato 18 febbraio 2012
Il Seminario “Alla ricerca del cibo perduto” è stato tenuto dal Presidente dell’ADAF Lecce Antonio Bruno Sabato 18 febbraio alle ore 09.00 presso l’Istituto Comprensivo di Corigliano d’Otranto.
Il Seminario “Alla ricerca del cibo perduto” è stato tenuto dal Presidente dell’ADAF Lecce Antonio Bruno Sabato 18 febbraio alle ore 09.00 presso l’Istituto Comprensivo di Corigliano d’Otranto.
venerdì 17 febbraio 2012
Tanti coloro che tagliano, pochi quelli che potano.
Tanti coloro che tagliano, pochi quelli che potano.
Una conversazione con Carlo Pisanello, insolito “parrucchiere” per ulivi salentini
di Marcello Gaballo
Recentemente abbiamo dedicato molta attenzione al patrimonio arboreo salentino, e all’ulivo in particolare, essendo la pianta più rappresentativa della Puglia. Abbiamo scoperto, anche grazie al web, che sono tantissimi ad amare particolarmente questo albero. Migliaia di firme su una improvvisata petizione online hanno amplificato l’allarme su una possibile facilitazione nell’espianto, come proponeva la sciagurata proposta di un consigliere regionale, per fortuna accantonata dopo tanto rumore mediatico sollevato da quanti hanno a cuore il paesaggio salentino.
Centinaia di foto scambiate tra gli internauti, migliaia di commenti e di apprezzamenti, numerosi articoli e bellissime poesie sull’ulivo di Puglia, hanno riunito tantissimi italiani, facilitando la conoscenza tra i tanti che hanno a cuore ed amano i patriarchi verdi, seriamente minacciati dal fotovoltaico e da insensate proposte che li farebbero soccombere al progresso a tutti i costi e alla cementificazione selvaggia che, purtroppo, sta invogliando molti a snaturare il Salento.
Tra i tanti “olivofili” anche Carlo Pisanello, che spessissimo è intervenuto nel tam-tam pro-ulivo, con dichiarazioni e prese di posizione quanto mai pertinenti e competenti.
Lo abbiamo cercato, dopo tanti apprezzamenti che ha ricevuto, e abbiamo scoperto che è un giovane nato a Sannicola ma residente a Tuglie (Lecce), di professione, ma guarda un po’, potatore di ulivi. Chi allora meglio di lui può svelarci alcuni aspetti che certamente aiutano d amare e rispettare ancora di più questa meravigliosa creatura?
Anche perché non è facile trovare in giro di questi tempi sacerdoti di un’arte e una tecnica assai definita come la sua.
Alcune domande per scoprire l’insolito “parrucchiere” e per far conoscere Carlo, che ci aiuterà ad amare ancora di più l’ulivo.
Ti vuoi presentare?
Sono Carlo ho 31 anni, vivo a Tuglie e ho un diploma magistrale. Ho cominciato praticare questo mestiere nel 2005, avviato da un maestro potatore di Sannicola (Lecce) che mi ha insegnato il metodo di potatura dei nostri nonni, il loro modo di affrontare la coltura di queste grandi piante, le malattie e la logica strutturale che, ci tengo a precisare, varia molto da provincia a provincia. La pianta si adatta ai vari metodi di raccolta e quindi non esistono regole generali, ma dei principi biologici che se ben applicati aiutano questi giganti a svilupparsi e produrre frutti con generosità. Sono cosi rimasto affascinato dalla storia di questa che considero un’arte, che già mio nonno praticava, ma che non ha fatto in tempo a trasmettermi. Indissolubilmente legata alla cultura contadina, rispetta in pieno il principio che tutto doveva essere riutilizzato e gli addetti dovevano produrre anche gli attrezzi del mestiere. “Mmundatori”, questo era ed è il loro nome, ed oggi come allora, per 3-4 mesi all’ anno, si inerpicano tra le cime degli ulivi con le inconfondibili lunghe scale e “lu serracchiu”, con il manico d’ulivo legato ai calzoni, intenti ad operare sotto lo sguardo vigile del “lu mesciu te mmunda “, che da terra dirige le operazioni di taglio di tutta la sua “ squadra te mmunda”.
Come sei considerato, visto il lavoro che fai, dai tuoi coetanei? E’ un lavoro che consiglieresti anche a loro? Avresti suggerimenti da dare ad un giovane che ha in mente di diventare olivicultore?
Penso che molti miei coetanei non sappiano purtroppo neanche dell’ esistenza di questo mestiere. è anche un lavoro che non tutti possono fare, richiedendo un grande sforzo fisico e notevole senso d’equilibrio. Appare ovvio che essendo praticato pochi mesi l’anno non è possibile svolgere solo questa attività, che comunque consiglio vivamente di valutare come possibilità di integrazione per quanti amano il contatto con la natura, per quelli che già sono agricoltori e comunque a tutti coloro che hanno a cuore il patrimonio ambientale e paesaggistico della nostra terra. Sono comunque consapevole delle difficoltà e della grave crisi in cui versa l’intera agricoltura italiana, che mi pare non favorisce la nascita di nuove attività agricole da parte delle nuove generazioni.
In quale periodo dell’anno va fatta la potatura e da dove cominci a potare?
Come ho gia accennato la potatura dell’Ulivo va praticata nei mesi invernali. Comincia a dicembre, dopo la raccolta, quando l’ulivo smette di vegetare per rinvigorirsi con l’inizio della primavera.
Si comincia sempre a tagliare dall’alto, procedendo verso il tronco dell’albero, così che le lunghe cime superiori cadendo non danneggino quelle basse, che vengono lavorate per ultime.
Si deve diradare in modo omogeneo la chioma della pianta, eliminando ciò che è secco o infetto da parassiti o che fuoriesce dal baricentro dell’albero e che potrebbe provocare la rottura di qualche braccio principale. La pianta nel suo interno deve essere svuotata dai germogli stagionali che sono improduttivi e impedirebbero lo sviluppo della vegetazione esterna, che poi è quella produttiva in quanto sviluppatasi dai rami e non direttamente dal tronco principale. A lavoro terminato l’ ulivo dovrà assumere una struttura circolare, quasi vuota all’interno, mentre esternamente le chiome saranno impostate su tre livelli in senso circolare, per far sì che l’irradiazione sia il più possibile omogenea. è importantissimo rispettare le proporzioni di ogni pianta, che sono date dall’altezza del tronco e dal suo baricentro. Occorre inoltre controllare che l’acqua piovana non trovi punti di stagnazione che fanno marcire il legno. Ricordo che anche l’ulivo ha il suo sistema linfatico sulla corteccia esterna, che è quindi il cuore di ogni pianta. Con il passare degli anni il tronco tende a svuotarsi al suo interno, a causa delle infiltrazioni piovane o per l’azione degli insetti che lo abitano.
Importante dunque trovare le cavità interne all’albero e forarle per far defluire l’ acqua: ciò viene fatto con una serie di scalpelli da legno. Una pratica antichissima, che favorisce nelle piante secolari la separazione del tronco in due o più parti, con combinazioni che le fanno apparire spesso ai nostri occhi come fantastiche opere d’arte e che nella pratica sono frutto dell’interazione secolare tra pianta, uomo e agenti atmosferici.
Potare un olivo, dunque, non è un’operazione banale, perché richiede esperienza e competenza, oltre la conoscenza sulla biologia della pianta. Una accurata potatura incide sulla produzione di un buon olio?
Dire che può incidere sulla produzione, perché la qualità dipende da più fattori che spaziano dalla cura del terreno, all’ uso di prodotti chimici antiparassitari/diserbanti, al metodo di spremitura delle olive.
Da tre a cinque parole per definire l’ulivo.
Padre, Generoso, Vitale…
Riesci a discernere un albero da un altro e riservi trattamenti particolari per qualcuno di essi?
Si, è importante saper distinguere le varietà di ulivo. Ognuno ha delle particolarità che caratterizzano la crescita e la buona produzione. Ogni pianta è un essere a sé stante e risente molto dell’affetto e cura che il proprietario riserva al proprio Uliveto.
Ti capita di ritornare sul posto a riguardare gli esiti del tuo intervento?
Certo, bisogna comunque tornarci, perchè la cura di un buon uliveto deve essere costante. Soprattutto dopo una potatura si interviene semestralmente effettuando la spollonatura dei germogli che ricopriranno l’albero nel periodo estivo. In quel caso si ha modo di rivedere il lavoro fatto su ogni pianta, stabilendosi con esse un rapporto empatico, tanto da riuscire a comprendere lo stato di salute che inciderà sulla fruttificazione.
Riesci a dare l’età ad un albero di olivo?
Non essendo un biologo non saprei dare un’età con certezza, specie se si tratta di un albero secolare, ma basandomi sulla morfologia della pianta e la storia del luogo in cui cresce, spesso ci riesco. Più semplice è per le piante relativamente giovani, di 20/40 anni, che si riconoscono dalla corteccia chiara e dal tronco ancora ben circolare.
Di fronte ad un albero millenario, che certamente incontrerai nel tuo lavoro, quali sensazioni provi? Credi che un albero di tal genere abbia la sua storia da raccontare?
Tutto dipende dall’amore con cui si pratica questo lavoro. Personalmente sono consapevole di trovarmi davanti ad un essere che esiste da molti secoli prima di me, che ha visto generazioni di uomini affaticarsi per lui e nutrirsi del suo frutto. Ogni estensione di ulivi incarna la nostra identità e le poderose radici delle sue piante ci spronano a legarci anche noi con questa terra. Gli ulivi sono un simbolo che ci accomuna tutti e attorno ad essi dovremmo unirci per ideali che vanno ben oltre l’arricchimento personale. La loro difesa e la lotta di tutti per conservare integro il nostro territorio mai come adesso dovrà essere strenua, per proteggere entrambi da gente avida, disposta a venderci per denaro.
Qual è il distretto della nostra provincia adibito a tale coltura che più ti affascina?
E’ difficile esprimere una preferenza. Tutte le località del Salento hanno una propria storia da raccontare. Per ovvi motivi mi sento particolarmente legato all’agro di Gallipoli, ma mi affascinano molto, per la storia e le particolarità paesaggistiche, anche l’area Idruntina ela Grecìa Salentina.
Un albero di olivo, secondo te, rispecchia il suo padrone?
Assolutamente si. Ogni uliveto rispecchia il suo proprietario, ed è facile notarlo guardando la cura con cui lo mantiene. Certo nell’attuale società in cui predomina la regola del profitto a tutti i costi notiamo tanti terreni in totale stato di abbandono, forse per volontà politiche occulte che perseguono un deliberato disinteresse per le politiche agricole, a favore di un mercato privo di regole, a danno dei nostri agricoltori. Il voluto abbandono sta facendo nascere un sempre maggiore interesse speculativo sul territorio da parte di imprese senza scrupoli, totalmente estranee e dissociate dalla realtà e dalla cultura del Salento.
Vista la tua sensibilità, trovi idonei i moderni criteri per la raccolta delle olive nel Salento?
Una domanda del genere richiederebbe un amplio dibattito sui metodi di coltura moderni e sull’inevitabile meccanizzazione delle agricolture. Certamente trovo ingiusto snaturare i nostri patriarchi, veri e propri giganti, per una questione di logistica della raccolta, che ormai va verso una ottimizzazione dei tempi, favorendo una diminuzione dei costi di produzione. A mio parere queste nuove tecniche si applicano meglio ai nuovi uliveti, mentre per i nostri patriarchi verdi avremmo bisogno di nuove regole, poche e chiare, per poterli tutelare.
Ed ora ti chiediamo di risponderci con gran sincerità. Di fronte a tanta passione, dietro lauto compenso capitozzeresti un albero di ulivo che dovrà essere espiantato?
NO! Anche se devo dire la verità mi capita sempre più spesso di essere chiamato a farlo. Certo bisogna capire se l’ espianto è causa di un ripristino del terreno, quindi di uno spostamento al suo interno. Ma sta accadendo molto spesso che l’espianto obbedisce a speculazione edilizia.
Immagina di avere in questo momento come tuo interlocutore un influente personaggio politico che potrebbe incidere molto sulla tutela degli ulivi di Puglia. Cosa gli chiederesti, a nome di tutti quelli che amano i verdi patriarchi e che sono fermamente convinti che l’ulivo debba continuare ad essere il simbolo della nostra regione.
Di rivedere le politiche agricole a favore dei nostri agricoltori salentini.
Di agricoltura si può vivere dignitosamente, a patto che non si abbandoni il territorio alla barbarie speculativa. Non servono leggi repressive sui proprietari di questi magnifici esseri, ma occorrono incentivi allo sviluppo e alla loro protezione.
Lo sviluppo economico non deve passare necessariamente per le vie più facili. Un altro sviluppo più sostenibile è possibile; non sarà la via più semplice, ma sicuramente è quella più giusta e democratica .
Fonte http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2012/02/17/tanti-coloro-che-tagliano-pochi-quelli-che-potano/
Una conversazione con Carlo Pisanello, insolito “parrucchiere” per ulivi salentini
di Marcello Gaballo
Recentemente abbiamo dedicato molta attenzione al patrimonio arboreo salentino, e all’ulivo in particolare, essendo la pianta più rappresentativa della Puglia. Abbiamo scoperto, anche grazie al web, che sono tantissimi ad amare particolarmente questo albero. Migliaia di firme su una improvvisata petizione online hanno amplificato l’allarme su una possibile facilitazione nell’espianto, come proponeva la sciagurata proposta di un consigliere regionale, per fortuna accantonata dopo tanto rumore mediatico sollevato da quanti hanno a cuore il paesaggio salentino.
Centinaia di foto scambiate tra gli internauti, migliaia di commenti e di apprezzamenti, numerosi articoli e bellissime poesie sull’ulivo di Puglia, hanno riunito tantissimi italiani, facilitando la conoscenza tra i tanti che hanno a cuore ed amano i patriarchi verdi, seriamente minacciati dal fotovoltaico e da insensate proposte che li farebbero soccombere al progresso a tutti i costi e alla cementificazione selvaggia che, purtroppo, sta invogliando molti a snaturare il Salento.
Tra i tanti “olivofili” anche Carlo Pisanello, che spessissimo è intervenuto nel tam-tam pro-ulivo, con dichiarazioni e prese di posizione quanto mai pertinenti e competenti.
Lo abbiamo cercato, dopo tanti apprezzamenti che ha ricevuto, e abbiamo scoperto che è un giovane nato a Sannicola ma residente a Tuglie (Lecce), di professione, ma guarda un po’, potatore di ulivi. Chi allora meglio di lui può svelarci alcuni aspetti che certamente aiutano d amare e rispettare ancora di più questa meravigliosa creatura?
Anche perché non è facile trovare in giro di questi tempi sacerdoti di un’arte e una tecnica assai definita come la sua.
Alcune domande per scoprire l’insolito “parrucchiere” e per far conoscere Carlo, che ci aiuterà ad amare ancora di più l’ulivo.
Ti vuoi presentare?
Sono Carlo ho 31 anni, vivo a Tuglie e ho un diploma magistrale. Ho cominciato praticare questo mestiere nel 2005, avviato da un maestro potatore di Sannicola (Lecce) che mi ha insegnato il metodo di potatura dei nostri nonni, il loro modo di affrontare la coltura di queste grandi piante, le malattie e la logica strutturale che, ci tengo a precisare, varia molto da provincia a provincia. La pianta si adatta ai vari metodi di raccolta e quindi non esistono regole generali, ma dei principi biologici che se ben applicati aiutano questi giganti a svilupparsi e produrre frutti con generosità. Sono cosi rimasto affascinato dalla storia di questa che considero un’arte, che già mio nonno praticava, ma che non ha fatto in tempo a trasmettermi. Indissolubilmente legata alla cultura contadina, rispetta in pieno il principio che tutto doveva essere riutilizzato e gli addetti dovevano produrre anche gli attrezzi del mestiere. “Mmundatori”, questo era ed è il loro nome, ed oggi come allora, per 3-4 mesi all’ anno, si inerpicano tra le cime degli ulivi con le inconfondibili lunghe scale e “lu serracchiu”, con il manico d’ulivo legato ai calzoni, intenti ad operare sotto lo sguardo vigile del “lu mesciu te mmunda “, che da terra dirige le operazioni di taglio di tutta la sua “ squadra te mmunda”.
Come sei considerato, visto il lavoro che fai, dai tuoi coetanei? E’ un lavoro che consiglieresti anche a loro? Avresti suggerimenti da dare ad un giovane che ha in mente di diventare olivicultore?
Penso che molti miei coetanei non sappiano purtroppo neanche dell’ esistenza di questo mestiere. è anche un lavoro che non tutti possono fare, richiedendo un grande sforzo fisico e notevole senso d’equilibrio. Appare ovvio che essendo praticato pochi mesi l’anno non è possibile svolgere solo questa attività, che comunque consiglio vivamente di valutare come possibilità di integrazione per quanti amano il contatto con la natura, per quelli che già sono agricoltori e comunque a tutti coloro che hanno a cuore il patrimonio ambientale e paesaggistico della nostra terra. Sono comunque consapevole delle difficoltà e della grave crisi in cui versa l’intera agricoltura italiana, che mi pare non favorisce la nascita di nuove attività agricole da parte delle nuove generazioni.
In quale periodo dell’anno va fatta la potatura e da dove cominci a potare?
Come ho gia accennato la potatura dell’Ulivo va praticata nei mesi invernali. Comincia a dicembre, dopo la raccolta, quando l’ulivo smette di vegetare per rinvigorirsi con l’inizio della primavera.
Si comincia sempre a tagliare dall’alto, procedendo verso il tronco dell’albero, così che le lunghe cime superiori cadendo non danneggino quelle basse, che vengono lavorate per ultime.
Si deve diradare in modo omogeneo la chioma della pianta, eliminando ciò che è secco o infetto da parassiti o che fuoriesce dal baricentro dell’albero e che potrebbe provocare la rottura di qualche braccio principale. La pianta nel suo interno deve essere svuotata dai germogli stagionali che sono improduttivi e impedirebbero lo sviluppo della vegetazione esterna, che poi è quella produttiva in quanto sviluppatasi dai rami e non direttamente dal tronco principale. A lavoro terminato l’ ulivo dovrà assumere una struttura circolare, quasi vuota all’interno, mentre esternamente le chiome saranno impostate su tre livelli in senso circolare, per far sì che l’irradiazione sia il più possibile omogenea. è importantissimo rispettare le proporzioni di ogni pianta, che sono date dall’altezza del tronco e dal suo baricentro. Occorre inoltre controllare che l’acqua piovana non trovi punti di stagnazione che fanno marcire il legno. Ricordo che anche l’ulivo ha il suo sistema linfatico sulla corteccia esterna, che è quindi il cuore di ogni pianta. Con il passare degli anni il tronco tende a svuotarsi al suo interno, a causa delle infiltrazioni piovane o per l’azione degli insetti che lo abitano.
Importante dunque trovare le cavità interne all’albero e forarle per far defluire l’ acqua: ciò viene fatto con una serie di scalpelli da legno. Una pratica antichissima, che favorisce nelle piante secolari la separazione del tronco in due o più parti, con combinazioni che le fanno apparire spesso ai nostri occhi come fantastiche opere d’arte e che nella pratica sono frutto dell’interazione secolare tra pianta, uomo e agenti atmosferici.
Potare un olivo, dunque, non è un’operazione banale, perché richiede esperienza e competenza, oltre la conoscenza sulla biologia della pianta. Una accurata potatura incide sulla produzione di un buon olio?
Dire che può incidere sulla produzione, perché la qualità dipende da più fattori che spaziano dalla cura del terreno, all’ uso di prodotti chimici antiparassitari/diserbanti, al metodo di spremitura delle olive.
Da tre a cinque parole per definire l’ulivo.
Padre, Generoso, Vitale…
Riesci a discernere un albero da un altro e riservi trattamenti particolari per qualcuno di essi?
Si, è importante saper distinguere le varietà di ulivo. Ognuno ha delle particolarità che caratterizzano la crescita e la buona produzione. Ogni pianta è un essere a sé stante e risente molto dell’affetto e cura che il proprietario riserva al proprio Uliveto.
Ti capita di ritornare sul posto a riguardare gli esiti del tuo intervento?
Certo, bisogna comunque tornarci, perchè la cura di un buon uliveto deve essere costante. Soprattutto dopo una potatura si interviene semestralmente effettuando la spollonatura dei germogli che ricopriranno l’albero nel periodo estivo. In quel caso si ha modo di rivedere il lavoro fatto su ogni pianta, stabilendosi con esse un rapporto empatico, tanto da riuscire a comprendere lo stato di salute che inciderà sulla fruttificazione.
Riesci a dare l’età ad un albero di olivo?
Non essendo un biologo non saprei dare un’età con certezza, specie se si tratta di un albero secolare, ma basandomi sulla morfologia della pianta e la storia del luogo in cui cresce, spesso ci riesco. Più semplice è per le piante relativamente giovani, di 20/40 anni, che si riconoscono dalla corteccia chiara e dal tronco ancora ben circolare.
Di fronte ad un albero millenario, che certamente incontrerai nel tuo lavoro, quali sensazioni provi? Credi che un albero di tal genere abbia la sua storia da raccontare?
Tutto dipende dall’amore con cui si pratica questo lavoro. Personalmente sono consapevole di trovarmi davanti ad un essere che esiste da molti secoli prima di me, che ha visto generazioni di uomini affaticarsi per lui e nutrirsi del suo frutto. Ogni estensione di ulivi incarna la nostra identità e le poderose radici delle sue piante ci spronano a legarci anche noi con questa terra. Gli ulivi sono un simbolo che ci accomuna tutti e attorno ad essi dovremmo unirci per ideali che vanno ben oltre l’arricchimento personale. La loro difesa e la lotta di tutti per conservare integro il nostro territorio mai come adesso dovrà essere strenua, per proteggere entrambi da gente avida, disposta a venderci per denaro.
Qual è il distretto della nostra provincia adibito a tale coltura che più ti affascina?
E’ difficile esprimere una preferenza. Tutte le località del Salento hanno una propria storia da raccontare. Per ovvi motivi mi sento particolarmente legato all’agro di Gallipoli, ma mi affascinano molto, per la storia e le particolarità paesaggistiche, anche l’area Idruntina ela Grecìa Salentina.
Un albero di olivo, secondo te, rispecchia il suo padrone?
Assolutamente si. Ogni uliveto rispecchia il suo proprietario, ed è facile notarlo guardando la cura con cui lo mantiene. Certo nell’attuale società in cui predomina la regola del profitto a tutti i costi notiamo tanti terreni in totale stato di abbandono, forse per volontà politiche occulte che perseguono un deliberato disinteresse per le politiche agricole, a favore di un mercato privo di regole, a danno dei nostri agricoltori. Il voluto abbandono sta facendo nascere un sempre maggiore interesse speculativo sul territorio da parte di imprese senza scrupoli, totalmente estranee e dissociate dalla realtà e dalla cultura del Salento.
Vista la tua sensibilità, trovi idonei i moderni criteri per la raccolta delle olive nel Salento?
Una domanda del genere richiederebbe un amplio dibattito sui metodi di coltura moderni e sull’inevitabile meccanizzazione delle agricolture. Certamente trovo ingiusto snaturare i nostri patriarchi, veri e propri giganti, per una questione di logistica della raccolta, che ormai va verso una ottimizzazione dei tempi, favorendo una diminuzione dei costi di produzione. A mio parere queste nuove tecniche si applicano meglio ai nuovi uliveti, mentre per i nostri patriarchi verdi avremmo bisogno di nuove regole, poche e chiare, per poterli tutelare.
Ed ora ti chiediamo di risponderci con gran sincerità. Di fronte a tanta passione, dietro lauto compenso capitozzeresti un albero di ulivo che dovrà essere espiantato?
NO! Anche se devo dire la verità mi capita sempre più spesso di essere chiamato a farlo. Certo bisogna capire se l’ espianto è causa di un ripristino del terreno, quindi di uno spostamento al suo interno. Ma sta accadendo molto spesso che l’espianto obbedisce a speculazione edilizia.
Immagina di avere in questo momento come tuo interlocutore un influente personaggio politico che potrebbe incidere molto sulla tutela degli ulivi di Puglia. Cosa gli chiederesti, a nome di tutti quelli che amano i verdi patriarchi e che sono fermamente convinti che l’ulivo debba continuare ad essere il simbolo della nostra regione.
Di rivedere le politiche agricole a favore dei nostri agricoltori salentini.
Di agricoltura si può vivere dignitosamente, a patto che non si abbandoni il territorio alla barbarie speculativa. Non servono leggi repressive sui proprietari di questi magnifici esseri, ma occorrono incentivi allo sviluppo e alla loro protezione.
Lo sviluppo economico non deve passare necessariamente per le vie più facili. Un altro sviluppo più sostenibile è possibile; non sarà la via più semplice, ma sicuramente è quella più giusta e democratica .
Fonte http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2012/02/17/tanti-coloro-che-tagliano-pochi-quelli-che-potano/
giovedì 16 febbraio 2012
Il Presidente dell’ADAF Lecce Antonio Bruno oggi su TELERAMA 1 dalle ore 13.00 alle ore 14.30 nel programma NEWS LINE!
Il Presidente dell’ADAF Lecce Antonio Bruno oggi su TELERAMA 1 dalle ore 13.00 alle ore 14.30 nel programma NEWS LINE!
Oggi alle ore 13.00 su TELERAMA 1 il Presidente dell’ADAF Lecce Antonio Bruno presenterà il Seminario “Alla ricerca del cibo perduto”. Il seminario che ha già sollevato grande interesse a Carovigno e Venerdì 24 febbraio alle ore 18.00 farà tappa a San Cesario di Lecce nella Sala Consiliare del Municipio (ex palestra) - Palazzo Marulli – Piazza Garibaldi San Cesario.
Tutti sappiamo che saper distinguere il cibo buono è patrimonio inestimabile. Infatti chi conosce le stagioni della Terra sono coloro che hanno le mani “nella terra”!
La maggior parte delle persone ha una clamorosa perdita della memoria a causa dell’inurbamento, dell’importazione delle merci, della scarsa consapevolezza, per il consumismo, per la fretta di volere tutto subito! E per il condizionamento.
Il Presidente dell’ADAF Lecce Antonio Bruno oggi su TELERAMA 1 dalle ore 13.00 alle ore 14.30 nel programma NEWS LINE denuncerà la perdita di un pezzo di storia e di tradizione della nostra terra basata principalmente sulle attività tradizionali. Se riscopriamo i cibi quel gusto e quel piacere che proveremo ci porterà ad avere attenzione particolare per la Natura che è fonte di ricchezza…e di salute; e per i suoi ritmi ciclici che ci rebderanno consapevoli della loro influenza sull’essere umano.
Oggi alle ore 13.00 su TELERAMA 1 il Presidente dell’ADAF Lecce Antonio Bruno presenterà il Seminario “Alla ricerca del cibo perduto”. Il seminario che ha già sollevato grande interesse a Carovigno e Venerdì 24 febbraio alle ore 18.00 farà tappa a San Cesario di Lecce nella Sala Consiliare del Municipio (ex palestra) - Palazzo Marulli – Piazza Garibaldi San Cesario.
Tutti sappiamo che saper distinguere il cibo buono è patrimonio inestimabile. Infatti chi conosce le stagioni della Terra sono coloro che hanno le mani “nella terra”!
La maggior parte delle persone ha una clamorosa perdita della memoria a causa dell’inurbamento, dell’importazione delle merci, della scarsa consapevolezza, per il consumismo, per la fretta di volere tutto subito! E per il condizionamento.
Il Presidente dell’ADAF Lecce Antonio Bruno oggi su TELERAMA 1 dalle ore 13.00 alle ore 14.30 nel programma NEWS LINE denuncerà la perdita di un pezzo di storia e di tradizione della nostra terra basata principalmente sulle attività tradizionali. Se riscopriamo i cibi quel gusto e quel piacere che proveremo ci porterà ad avere attenzione particolare per la Natura che è fonte di ricchezza…e di salute; e per i suoi ritmi ciclici che ci rebderanno consapevoli della loro influenza sull’essere umano.
mercoledì 15 febbraio 2012
martedì 14 febbraio 2012
La narrazione del mondo dei dottori agronomi del Salento leccese
La narrazione del mondo dei dottori agronomi del Salento leccese
Quando inizio la mia narrazione del mondo, quella della realtà fatta di piante, animali e paesaggio li vedo come in trance, immobilizzati ascoltano le mie parole e dimostrano un interesse che affonda nel loro profondo. Ma se non ascoltano le mie parole eccoli presi dalla cosiddetta Civiltà, eccoli tutti in file a intruppati come Comunità civilizzate che non vedono nulla al di fuori del loro centro urbano artificiale. Già perché non può esserci nulla di naturale in una casa fatta di mattoni o in una strada coperta di catrame.
La Terra d’Otranto del 1893
Nulla a che vedere con ciò che scriveva nel 1893 Giuseppe Gigli nel suo “SUPERSTIZIONI
PREGIUDIZI E TRADIZIONI IN TERRA D' OTRANTO CON UN'AGGIUNTA DI CANTI E FIABE POPOLARI” leggiamo insieme:
“Un' usanza più antica è certamente la seguente che hanno i nostri contadini, al tempo delle messi,
e che senza dubbio rimonta ai costumi degli idolatri : quando alla sera il sole sta quasi per giungere al tramonto, essi sospendono il lavoro, e tutt' insieme in semicerchio s'inginocchiano di fronte all’astro moribondo. Il capo intima allora qualche preghiera, a cui rispondono in coro tutti gli altri. Dopo ciò, il lavoro della giornata finisce.”
La professionalità di chi collabora con la natura
Oggi ci spalmiamo in un indistinto globale e ci dimentichiamo di ciò che ci circonda, della realtà, del paesaggio fatto di esseri viventi animali e vegetali ma anche di minerali e di gas. Io oggi sono epigono di chi, con competenza e professionalità, “collabora con la natura” esercitando quelle professioni in ambito agrario che in passato erano destinate a chi ne poteva godere perché appartenente a una casta sacerdotale o perché aveva frequentato specifiche scuole in cui apprendeva teoria (institutio) e pratica (instructio) del fare in ambito agrario. Ricordo a me stesso che epigono è un sostantivo maschile che significa seguace, imitatore; in particolare, scrittore o artista che rielabora le idee o ripete lo stile di qualche grande predecessore, senza apportarvi alcun contributo originale; chi è nato dopo; discendente.
Già e solo dopo aver terminato gli studi si otteneva un titolo che consentiva di esercitare la libera professione.
I miei predecessori Sumeri
Agronomi del tempio erano i Sumeri impegnati in aziende più o meno grandi a sostegno di un’agricoltura solida e tecnicamente avanzata. Su queste fondamenta si svilupparono tutte le agricolture e le civiltà agrarie successive.
I miei predecessori Greci
Nell’antica Grecia, agronòmos era il magistrato che, a seconda dei casi, presiedeva, ispezionava, regolava e amministrava l’attività agricola, in particolare nelle terre pubbliche da concedere in affitto o in altre forme di contratto e che, prima di procedere alla delimitazione dei possedimenti,
aveva il compito di valutare la produttività dei suoli per differenziarne la qualità e la successiva destinazione.
I miei predecessori Romani
Sulle questioni inerenti il territorio, la letteratura latina, con dovizia di particolari, riferisce dei tecnici che si occupavano della delimitazione delle terre o che si occupavano della gestione delle terre destinate all’agricoltura.
I miei predecessori del 1700
Nel ‘700, le tecniche agronomiche praticate subirono l’impulso necessario a spingere l’agricoltura verso la modernizzazione e quindi anche verso la specializzazione dell’agronomo
I miei predecessori del 1800
ma è solo nei primi anni dell’ottocento, che si recupera la figura del professionista in ambito agrario
distinta da quella dell’agricoltore, intendendo per i primi l’attività lavorativa di coloro che avevano
seguito uno specifico percorso formativo.
I miei predecessori al tempo del fascismo
Nel 1929, il «laureato nei regi Istituti superiori di scienze agrarie» fu definito agronomo. Questo ha costituito il punto di partenza per la progressiva identificazione di un professionista, in stretto rapporto con la delimitazione della sua base scientifica e degli ambiti di competenza che sono individuati nelle attività volte a valorizzare e gestire processi produttivi agricoli, zootecnici e forestali, a tutelare l’ambiente e, in generale, nelle attività riguardanti il mondo rurale.
Il percorso evolutivo
C’è stato un vero e proprio processo evolutivo delle tradizioni agricole del Salento iniziato
nel settecento ad opera di rappresentanti del potere ecclesiastico e sviluppatosi nel corso del XIX secolo con le cattedre ambulanti di Agricoltura fino alla nascita delle Stazioni agrarie sperimentali
e delle Scuole di Olivicoltura e Oleificio e di Enologia.
Oggi c’è la forte necessità di cooperazione che è richiesta da formazione e mondo operativo, al fine di dare risposte concrete alle innumerevoli domande in attesa e che contribuiranno a definire nel medio-lungo termine la direzione dell’agricoltura europea e di quella italiana in particolare e quale sarà il ruolo che dovranno avere i soggetti protagonisti dell’affascinante e indispensabile mondo agrario.
Quando inizio la mia narrazione del mondo, quella della realtà fatta di piante, animali e paesaggio li vedo come in trance, immobilizzati ascoltano le mie parole e dimostrano un interesse che affonda nel loro profondo. Ma se non ascoltano le mie parole eccoli presi dalla cosiddetta Civiltà, eccoli tutti in file a intruppati come Comunità civilizzate che non vedono nulla al di fuori del loro centro urbano artificiale. Già perché non può esserci nulla di naturale in una casa fatta di mattoni o in una strada coperta di catrame.
La Terra d’Otranto del 1893
Nulla a che vedere con ciò che scriveva nel 1893 Giuseppe Gigli nel suo “SUPERSTIZIONI
PREGIUDIZI E TRADIZIONI IN TERRA D' OTRANTO CON UN'AGGIUNTA DI CANTI E FIABE POPOLARI” leggiamo insieme:
“Un' usanza più antica è certamente la seguente che hanno i nostri contadini, al tempo delle messi,
e che senza dubbio rimonta ai costumi degli idolatri : quando alla sera il sole sta quasi per giungere al tramonto, essi sospendono il lavoro, e tutt' insieme in semicerchio s'inginocchiano di fronte all’astro moribondo. Il capo intima allora qualche preghiera, a cui rispondono in coro tutti gli altri. Dopo ciò, il lavoro della giornata finisce.”
La professionalità di chi collabora con la natura
Oggi ci spalmiamo in un indistinto globale e ci dimentichiamo di ciò che ci circonda, della realtà, del paesaggio fatto di esseri viventi animali e vegetali ma anche di minerali e di gas. Io oggi sono epigono di chi, con competenza e professionalità, “collabora con la natura” esercitando quelle professioni in ambito agrario che in passato erano destinate a chi ne poteva godere perché appartenente a una casta sacerdotale o perché aveva frequentato specifiche scuole in cui apprendeva teoria (institutio) e pratica (instructio) del fare in ambito agrario. Ricordo a me stesso che epigono è un sostantivo maschile che significa seguace, imitatore; in particolare, scrittore o artista che rielabora le idee o ripete lo stile di qualche grande predecessore, senza apportarvi alcun contributo originale; chi è nato dopo; discendente.
Già e solo dopo aver terminato gli studi si otteneva un titolo che consentiva di esercitare la libera professione.
I miei predecessori Sumeri
Agronomi del tempio erano i Sumeri impegnati in aziende più o meno grandi a sostegno di un’agricoltura solida e tecnicamente avanzata. Su queste fondamenta si svilupparono tutte le agricolture e le civiltà agrarie successive.
I miei predecessori Greci
Nell’antica Grecia, agronòmos era il magistrato che, a seconda dei casi, presiedeva, ispezionava, regolava e amministrava l’attività agricola, in particolare nelle terre pubbliche da concedere in affitto o in altre forme di contratto e che, prima di procedere alla delimitazione dei possedimenti,
aveva il compito di valutare la produttività dei suoli per differenziarne la qualità e la successiva destinazione.
I miei predecessori Romani
Sulle questioni inerenti il territorio, la letteratura latina, con dovizia di particolari, riferisce dei tecnici che si occupavano della delimitazione delle terre o che si occupavano della gestione delle terre destinate all’agricoltura.
I miei predecessori del 1700
Nel ‘700, le tecniche agronomiche praticate subirono l’impulso necessario a spingere l’agricoltura verso la modernizzazione e quindi anche verso la specializzazione dell’agronomo
I miei predecessori del 1800
ma è solo nei primi anni dell’ottocento, che si recupera la figura del professionista in ambito agrario
distinta da quella dell’agricoltore, intendendo per i primi l’attività lavorativa di coloro che avevano
seguito uno specifico percorso formativo.
I miei predecessori al tempo del fascismo
Nel 1929, il «laureato nei regi Istituti superiori di scienze agrarie» fu definito agronomo. Questo ha costituito il punto di partenza per la progressiva identificazione di un professionista, in stretto rapporto con la delimitazione della sua base scientifica e degli ambiti di competenza che sono individuati nelle attività volte a valorizzare e gestire processi produttivi agricoli, zootecnici e forestali, a tutelare l’ambiente e, in generale, nelle attività riguardanti il mondo rurale.
Il percorso evolutivo
C’è stato un vero e proprio processo evolutivo delle tradizioni agricole del Salento iniziato
nel settecento ad opera di rappresentanti del potere ecclesiastico e sviluppatosi nel corso del XIX secolo con le cattedre ambulanti di Agricoltura fino alla nascita delle Stazioni agrarie sperimentali
e delle Scuole di Olivicoltura e Oleificio e di Enologia.
Oggi c’è la forte necessità di cooperazione che è richiesta da formazione e mondo operativo, al fine di dare risposte concrete alle innumerevoli domande in attesa e che contribuiranno a definire nel medio-lungo termine la direzione dell’agricoltura europea e di quella italiana in particolare e quale sarà il ruolo che dovranno avere i soggetti protagonisti dell’affascinante e indispensabile mondo agrario.
lunedì 13 febbraio 2012
seminario “Alla ricerca del cibo perduto”
seminario “Alla ricerca del cibo perduto”
Sai cosa mangi? Sei in grado di scegliere il cibo più sano e adatto a te? Sai come si producono e trasformano gli alimenti?
Dai una risposta a queste domande prima di acquistare un prodotto alimentare o agricolo?
Scienza, economia, salute, cultura e ambiente si intrecciano ogni volta che decidiamo che cosa acquistare e consumare come cibo sulle nostre tavole.
Spesso ciò che facciamo per la nostra salute ha ricadute positive per la salute di tutti, poiché ci porta a preferire soluzioni che fanno bene oltre che alla nostra salute anche alla nostra tasca e che sicuramente hanno anche un minor impatto ambientale.
Quando noi scegliamo un certo alimento prodotto in un certo modo e in un certo posto piuttosto che un altro influenziamo la decisione di opportunità o meno di importare o esportare.
Se tutti noi rifiutassimo di comprare prodotti agricoli fuori stagione, probabilmente ridurremmo anche la richiesta su scala nazionale di importazione di questi prodotti.
Sai quali sono i principi nutritivi degli alimenti che consumi ogni giorno? Sai che il cibo e la tua salute sono strettamente correlati e che questi sono diversi a seconda della filiera produttiva e in funzione di come si effettuano le trasformazioni degli alimenti?
Partecipando venerdì 24 febbraio alle ore 18.00 presso Palazzo Marulli (il Municipio di San Cesario di Lecce ex palestra) in Piazza Garibaldi al seminario “alla ricerca del cibo perduto” tenuto dal Antonio Bruno che è Presidente dell’Associazione dei laureati in Scienze Agrarie e Forestali della Provincia di Lecce potrai scoprire che cosa si nasconde in quello che mangiamo e quindi potrai fare ogni giorno una scelta consapevole di ciò che acquisti e dai da mangiare alla tua famiglia.
Sai cosa mangi? Sei in grado di scegliere il cibo più sano e adatto a te? Sai come si producono e trasformano gli alimenti?
Dai una risposta a queste domande prima di acquistare un prodotto alimentare o agricolo?
Scienza, economia, salute, cultura e ambiente si intrecciano ogni volta che decidiamo che cosa acquistare e consumare come cibo sulle nostre tavole.
Spesso ciò che facciamo per la nostra salute ha ricadute positive per la salute di tutti, poiché ci porta a preferire soluzioni che fanno bene oltre che alla nostra salute anche alla nostra tasca e che sicuramente hanno anche un minor impatto ambientale.
Quando noi scegliamo un certo alimento prodotto in un certo modo e in un certo posto piuttosto che un altro influenziamo la decisione di opportunità o meno di importare o esportare.
Se tutti noi rifiutassimo di comprare prodotti agricoli fuori stagione, probabilmente ridurremmo anche la richiesta su scala nazionale di importazione di questi prodotti.
Sai quali sono i principi nutritivi degli alimenti che consumi ogni giorno? Sai che il cibo e la tua salute sono strettamente correlati e che questi sono diversi a seconda della filiera produttiva e in funzione di come si effettuano le trasformazioni degli alimenti?
Partecipando venerdì 24 febbraio alle ore 18.00 presso Palazzo Marulli (il Municipio di San Cesario di Lecce ex palestra) in Piazza Garibaldi al seminario “alla ricerca del cibo perduto” tenuto dal Antonio Bruno che è Presidente dell’Associazione dei laureati in Scienze Agrarie e Forestali della Provincia di Lecce potrai scoprire che cosa si nasconde in quello che mangiamo e quindi potrai fare ogni giorno una scelta consapevole di ciò che acquisti e dai da mangiare alla tua famiglia.
domenica 12 febbraio 2012
Salento leccese agricolo nel globo
Salento leccese agricolo nel globo
Ho notato che c’è un ansia che attanaglia le menti dei cercatori, quelli che si fanno le domande e che trovano delle risposte, tutti hanno l’urgenza di battezzare quello che fanno. Una giungla di aggettivi stanno soffocando la parola agricoltura. C’è quella biologica, biodinamica, sinergica, antica, moderna, tradizionale, verticale, orizzontale, macrobiotica e ancora potremmo trovarne tante altre.
Stiamo distruggendo il pianeta Terra.
Tutto però serve a dire una cosa sola. Quale cosa? Questa: il nostro pianeta non può continuare ad essere sottoposto agli stress che noi uomini causiamo perché abbiamo smesso di osservare ciò che ci accade intorno, quello che continua ad accadere anche quando non ci siamo noi.
Qualcuno a partire dagli anni ’80 ha messo in pratica un metodo di coltivazione che mette l’agricoltura in armonia con la natura.
L’armonia è la risposta
Si tratta di fare solo questo, stare in armonia con tutto quello che ci circonda, essere parte del tutto essendo intimamente legati a tutto. La natura siamo noi, siamo integrati nell’ambiente che ci circonda, per questo noi tutti se lo osserviamo attentamente contribuiremo a renderlo fonte di vita per noi e per tutti gli esseri viventi che popolano il nostro meraviglioso pianeta.
Quando le persone si incontrano accadono le cose! L’incontro non è detto che sia solo quello fisico. Anche tu che sei da qualche parte nel mondo che leggi la linea che si torce per formare i simboli, che nella tua mente divengono significato, ti stai incontrando con me adesso!
L’agricoltura sinergica
E che cosa scrivo? Io affermo che si può vivere in armonia, che c’è chi l’ha fatto e chi continua a farlo imitando quest’esempio messo in atto dall’agricoltrice spagnola Emilia Hazelip (1938-2003) adattando al clima mediterraneo i principi dell’agricoltura naturale estrapolati dall’agronomo giapponese Masanobu Fukuoka (1913-2008).
In questa mia breve nota vi scriverò questi quattro brevi e chiari principi e spero che insieme questo fatto ci porterà a fare una riflessione comune su quello che già da ora io e te possiamo fare. Ed ecco i quattro principi dell’agricoltura naturale:
I – Nessuna lavorazione del suolo
Nessuna lavorazione del suolo poiché la terra si lavora da sola attraverso la penetrazione delle radici, l’attività di microrganismi, lombrichi, insetti e piccoli animali.
II – Nessuna concimazione chimica
Nessun concime chimico né composto preparato poiché il suolo lasciato a se stesso conserva ed aumenta la propria fertilità.
III – Nessun diserbo
Nessun diserbo poiché le erbacce non vanno eliminate ma controllate attraverso consociazioni vegetali, pacciamatura e asportazione manuale.
IV – Niente chimica
Nessuna dipendenza da prodotti chimici poiché la natura, se lasciata fare, è in equilibrio perfetto.
Magari questo ci porta indietro nel tempo, sino ad arrivare sulle rive del lago di Giordania dove i Natufiani diedero inizio all’avventura dell’agricoltura. Perché sicuramente 13mila anni fa si applicavano questi quattro principi.
Solo che adesso li dobbiamo applicare sapendo di avere il dovere di sfamare tutte le persone umane sparse sulla faccia della terra. Oggi siamo in 7 miliardi e non riusciamo a dare cibo a tutti, nel 2050 saremo 10 miliardi e insieme dovremo dare la possibilità di vivere a tutti grazie al cibo che produrremo senza distruggere il nostro pianeta. Bella sfida vero? E allora io mi aspetto che tu cominci a pensarci, da subito, perché siamo tutti collegati e solo insieme possiamo farcela!
Amica, amico, leggi attentamente le parole che seguono, sono davvero importanti per me, per te e per i nostri figli. Grazie per l’attenzione!
“Abbiamo visto le cose da un punto di vista politico, scientifico e credo che adesso dovremmo vederle anche da un punto di vista filosofico. Perché gli uomini delle multinazionali vogliono il potere, vogliono controllare l’umanità, pensano solo al profitto, sono così avidi? Perché hanno paura in quanto hanno sviluppato un ego enorme. Credo che sia venuta l’ora di riconoscere questa avidità dentro di noi, la paura dentro di noi. È venuta l’ora di capire che questa civiltà dell’ego deve finire, altrimenti il mondo sarà distrutto. Dobbiamo diventare uomini umili, senza desideri, senza possessi materiali, con un’unica voglia: quella di servire la natura. Dobbiamo capire che tutto il nostro pianeta è un essere. Tutto è uno e uno è tutto. Ciò che succede alle farfalle, a un albero, a un animale, a un uomo, è di grande importanza per la nostra vita. Se la natura muore, l’uomo muore, Dio muore. Servendo la natura serviamo l’umanità. Il contrario è sbagliato”.( Panaiotis Manikis)
di Antonio Bruno
Ho notato che c’è un ansia che attanaglia le menti dei cercatori, quelli che si fanno le domande e che trovano delle risposte, tutti hanno l’urgenza di battezzare quello che fanno. Una giungla di aggettivi stanno soffocando la parola agricoltura. C’è quella biologica, biodinamica, sinergica, antica, moderna, tradizionale, verticale, orizzontale, macrobiotica e ancora potremmo trovarne tante altre.
Stiamo distruggendo il pianeta Terra.
Tutto però serve a dire una cosa sola. Quale cosa? Questa: il nostro pianeta non può continuare ad essere sottoposto agli stress che noi uomini causiamo perché abbiamo smesso di osservare ciò che ci accade intorno, quello che continua ad accadere anche quando non ci siamo noi.
Qualcuno a partire dagli anni ’80 ha messo in pratica un metodo di coltivazione che mette l’agricoltura in armonia con la natura.
L’armonia è la risposta
Si tratta di fare solo questo, stare in armonia con tutto quello che ci circonda, essere parte del tutto essendo intimamente legati a tutto. La natura siamo noi, siamo integrati nell’ambiente che ci circonda, per questo noi tutti se lo osserviamo attentamente contribuiremo a renderlo fonte di vita per noi e per tutti gli esseri viventi che popolano il nostro meraviglioso pianeta.
Quando le persone si incontrano accadono le cose! L’incontro non è detto che sia solo quello fisico. Anche tu che sei da qualche parte nel mondo che leggi la linea che si torce per formare i simboli, che nella tua mente divengono significato, ti stai incontrando con me adesso!
L’agricoltura sinergica
E che cosa scrivo? Io affermo che si può vivere in armonia, che c’è chi l’ha fatto e chi continua a farlo imitando quest’esempio messo in atto dall’agricoltrice spagnola Emilia Hazelip (1938-2003) adattando al clima mediterraneo i principi dell’agricoltura naturale estrapolati dall’agronomo giapponese Masanobu Fukuoka (1913-2008).
In questa mia breve nota vi scriverò questi quattro brevi e chiari principi e spero che insieme questo fatto ci porterà a fare una riflessione comune su quello che già da ora io e te possiamo fare. Ed ecco i quattro principi dell’agricoltura naturale:
I – Nessuna lavorazione del suolo
Nessuna lavorazione del suolo poiché la terra si lavora da sola attraverso la penetrazione delle radici, l’attività di microrganismi, lombrichi, insetti e piccoli animali.
II – Nessuna concimazione chimica
Nessun concime chimico né composto preparato poiché il suolo lasciato a se stesso conserva ed aumenta la propria fertilità.
III – Nessun diserbo
Nessun diserbo poiché le erbacce non vanno eliminate ma controllate attraverso consociazioni vegetali, pacciamatura e asportazione manuale.
IV – Niente chimica
Nessuna dipendenza da prodotti chimici poiché la natura, se lasciata fare, è in equilibrio perfetto.
Magari questo ci porta indietro nel tempo, sino ad arrivare sulle rive del lago di Giordania dove i Natufiani diedero inizio all’avventura dell’agricoltura. Perché sicuramente 13mila anni fa si applicavano questi quattro principi.
Solo che adesso li dobbiamo applicare sapendo di avere il dovere di sfamare tutte le persone umane sparse sulla faccia della terra. Oggi siamo in 7 miliardi e non riusciamo a dare cibo a tutti, nel 2050 saremo 10 miliardi e insieme dovremo dare la possibilità di vivere a tutti grazie al cibo che produrremo senza distruggere il nostro pianeta. Bella sfida vero? E allora io mi aspetto che tu cominci a pensarci, da subito, perché siamo tutti collegati e solo insieme possiamo farcela!
Amica, amico, leggi attentamente le parole che seguono, sono davvero importanti per me, per te e per i nostri figli. Grazie per l’attenzione!
“Abbiamo visto le cose da un punto di vista politico, scientifico e credo che adesso dovremmo vederle anche da un punto di vista filosofico. Perché gli uomini delle multinazionali vogliono il potere, vogliono controllare l’umanità, pensano solo al profitto, sono così avidi? Perché hanno paura in quanto hanno sviluppato un ego enorme. Credo che sia venuta l’ora di riconoscere questa avidità dentro di noi, la paura dentro di noi. È venuta l’ora di capire che questa civiltà dell’ego deve finire, altrimenti il mondo sarà distrutto. Dobbiamo diventare uomini umili, senza desideri, senza possessi materiali, con un’unica voglia: quella di servire la natura. Dobbiamo capire che tutto il nostro pianeta è un essere. Tutto è uno e uno è tutto. Ciò che succede alle farfalle, a un albero, a un animale, a un uomo, è di grande importanza per la nostra vita. Se la natura muore, l’uomo muore, Dio muore. Servendo la natura serviamo l’umanità. Il contrario è sbagliato”.( Panaiotis Manikis)
di Antonio Bruno
sabato 11 febbraio 2012
presso il Municipio di San Cesario (ex palestra) seminario "alla ricerca del cibo perduto"
Il giorno 24 febbraio 2012 alle ore 18 .00 presso il Municipio di San Cesario (ex palestra) il dottore agronomo Antonio Bruno, Presidente dell'Associazione Laureati in Scienze Agrarie e Forestali della Provincia di Lecce terrà il seminario "alla ricerca del cibo perduto"
venerdì 10 febbraio 2012
Archeologia industriale del Salento
La coltivazione dell'uva e la produzione di vino nelle provincie pugliesi è ampiamente documentata fin dal IV secolo a.C. (Leonida di Taranto, Orazio, Plinio il Vecchio, Marziale, Cassio Dione)
Le fonti artistiche nell'archeologia e le rappresentazioni mitologiche della ceramica appula: il vino nelle feste dionisiache e nei banchetti rituali. Le relazioni degli economisti e dei viaggiatori dal `700 al `900 sugli aspetti naturalistici e culturali del paesaggio naturalistico pugliese.
Archeologia industriale del Salento
Dai misteri antichi ai recenti sistemi di lavorazione dei prodotti della terra nei " palmenti " e nei frantoi: tutta la civiltà salentina passa attraverso l'acqua e la terra, e la storia del lavoro dell'uomo, in quest'area, è la storia della lotta con la campagna riarsa e delle colture della vite e dell'olivo, piante aride e stupende.
Non si può pretendere, per quanta fantasia si metta, che possa trattarsi del più remoto sistema irriguo del Salento. Ma il mistero rimane, pressoché intatto, e la leggenda non poteva che riaffiorarvi, con l'alone popolare che riverbera fino ai nostri giorni, con le suggestioni che affascinano anche gli uomini della nostra generazione, nell'età della ragione assoluta.
Parliamo di sessantotto pozzi di San Pantaleo, le sessantotto bocche che si aprono nel territorio di Martignano Salentino. La leggenda ricorrente vuole che il Santo, protettore del paese, perseguitato dai nemici, si fosse nascosto in quei pozzi, riemergendo dai diversi boccali. Questo straordinario sistema idraulico (unico nel mondo, con bocche e pance indipendenti) è a sud-ovest del centro abitato, su un'area di circa mille metri quadrati. Ciascun pozzo ha una profondità di tre metri. All'origine, dovevano essere molti di più, forse un centinaio. Una parte fu distrutta per l'apertura di una strada d'accesso al paese. La fantasia popolare ritiene che i pozzi non siano misurabili (come le colonne della cripta della Cattedrale di Otranto), e che la loro conta dia risultati inevitabilmente discordi. Ha scritto Raffaele Congedo che il metodo costruttivo dei pozzi è singolare: posti a distanza ravvicinatissima fra di loro, hanno forma di imbuto capovolto, completamente foderati di pietrame informe calcareo permeabile, cementato con terra bolosa, attraverso il quale filtrano abbondanti acque freatiche, attinte dalla popolazione, e celebri per salubrità, purezza e bontà. Nella località - sostiene Congedo - si svolge ogni anno un rito religioso, durante la festa del protettore. L'insolito paesaggio suscita interesse e attrae. L'acqua: l'oro del Salento di tutti i tempi. Tutta la civiltà della penisola salentina passa attraverso l'acqua e la terra, e la storia del lavoro dell'uomo, qui, è la storia della lotta con la campagna riarsa e del clima sitibondo, del tufo bianco e delle colture della vite e dell'olivo, piante aride e stupende. E in quest'area martignanese l'acqua venne fuori da una miniera di cento imbocchi, prezioso elemento di vita per l'uomo e per la terra, per le braccia dell'uomo e per l'industria primaria che quella terra consentiva con i suoi prodotti.
Anche i monumenti megalitici per eccellenza, i dolmen e i menhir e le stesse specchie possono direi qualcosa di interessante sull'acqua nascosta nel ventre carsico del Salento, e ricercata accanitamente, fin dall'epoca preistorica, dai nostri progenitori.
Scrive infatti il Bourdoux (in " Luce nelle tenebre ") , a proposito della ricerca idrica con l'aiuto della radiestesia, che un celebre rabdomante ha potuto accertare, in seguito a ricerche effettuate in Bretagna, che tra le varie ipotesi che avvolgono menhir e dolmen si può validamente includere quella che li ritiene stazioni di riferimento rivelanti la presenza di acqua nel sottosuolo. Grande fu infatti la sorpresa del ricercatore, prosegue Bourdoux, nel costatare che, in corrispondenza di quei monumenti megalitici, la bacchetta del rabdomante o il pendolo radiestesico segnalavano sempre l'acqua, e per di più, incroci di falde acquifere. I nostri progenitori avevano dunque scoperto il modo di rilevare l'andamento delle acque sotterranee. In particolare, per quel che riguarda gli spigoli più lisci delle pietrefitte salentine, l'ingegner Pietro Zampa (nel libro " Le meraviglie di una scienza nuova ") sostiene che siano sempre rivolti "verso il vertice dell'angolo costituito dall'incrocio di due correnti di acque sotterranee ".
Dai misteri alla realtà paleo-economica del Salento. Sappiamo come i Messapi macinavano il grano: in una piccola pietra incavata al centro, con una palla che aderiva all'incavo: si schiacciava a forza di muscoli il grano, con il quale si faceva il pane. Si usarono gli stessi sistemi, probabilmente, per la spremitura delle olive, mentre quella dell'uva ha conservato a lungo le caratteristiche della pigiatura. In "pile " di pietra, poi in tinozze di legno, infine nei grandi tini di rovere. L'uso del torchio rappresentò la rivoluzione copernicana nell'industria di trasformazione dei prodotti agricoli del Salento. E certamente ai lasci muscolari dell'uomo furono in buona parte sostituiti quelli degli animali da trazione. Fu una grande scoperta, che come tutte le grandi scoperte avviò attività complementari. Abbondavano un giorno, prima che si abbattessero forze distruttrici, le querce, nella penisola salentina. E dai porti di Otranto e Gallipoli partivano per tutte le rotte navi cariche di botti, costruite da sapienti mani artigiane.
Botti vuote, e botti piene: di olio e di vino. Agricoltura, industria di trasformazione e commercio avevano trovato un equilibrio pressoché perfetto. E fu, quella, l'epoca d'oro della campagna di Terra d'Otranto. I collegamenti marittimi giungevano fino alla lontana Marsiglia, e, dall'altra parte, fino a Venezia: da questi scali, botti e prodotti risalivano le vie dell'Europa, ambasciatori del lavoro e della civiltà del Salento. Fu un'età anche lunga. Poi, la decadenza. Gli Angioini avevano già frantumato le terre, e i latifondi finirono in mani straniere in tutto il Sud. Gli Aragonesi avevano spolpato anche le ossa del Sud: un'agricoltura di rapina inaridì fonti di reddito e qualità di produzioni. La campagna divenne simbolo per eccellenza di fame e di schiavitù fisica ed economica. Decaddero i commerci, si perdettero gli sbocchi di mercato crebbe l'importanza strategica dei porti di Brindisi e di Taranto, e di conseguenza furono offuscati gli scali di Otranto e di Gallipoli. Il Salento rientrò nei secoli più bui della sua storia, in un tunnel dal quale sarebbe rivenuto fuori solo molto più tardi, in questa seconda metà del nostro secolo. Con un'industria manifatturiera di piccole dimensioni, sparsa e quasi dispersa. E con le vestigia della sua industria primaria, archeologia vivente (gli aratri di legno per il tiro dei cavalli, i traini per il trasporto, i torchi superstiti, le grandi botti rastremate verso il basso); con terra e agricoltura sempre dominanti il paesaggio economico e sociale. E con niente, neanche un museo minimo, che raccolga le testimonianze di questa cronistoria: come se tra gli strumenti del lavoro dei secoli scorsi e le macchine automatiche contemporanee non ci fosse alcuna interrelazione; come se le memorie del passato avessero generato un iniziale rapporto di odio-amore, e un successivo momento di rimozione. Ma di quel passato, della nostra storia, non ci possiamo liberare. L'abbiamo, com'è giusto, nella pelle.
di Eloisa Malagoli
Le fonti artistiche nell'archeologia e le rappresentazioni mitologiche della ceramica appula: il vino nelle feste dionisiache e nei banchetti rituali. Le relazioni degli economisti e dei viaggiatori dal `700 al `900 sugli aspetti naturalistici e culturali del paesaggio naturalistico pugliese.
Archeologia industriale del Salento
Dai misteri antichi ai recenti sistemi di lavorazione dei prodotti della terra nei " palmenti " e nei frantoi: tutta la civiltà salentina passa attraverso l'acqua e la terra, e la storia del lavoro dell'uomo, in quest'area, è la storia della lotta con la campagna riarsa e delle colture della vite e dell'olivo, piante aride e stupende.
Non si può pretendere, per quanta fantasia si metta, che possa trattarsi del più remoto sistema irriguo del Salento. Ma il mistero rimane, pressoché intatto, e la leggenda non poteva che riaffiorarvi, con l'alone popolare che riverbera fino ai nostri giorni, con le suggestioni che affascinano anche gli uomini della nostra generazione, nell'età della ragione assoluta.
Parliamo di sessantotto pozzi di San Pantaleo, le sessantotto bocche che si aprono nel territorio di Martignano Salentino. La leggenda ricorrente vuole che il Santo, protettore del paese, perseguitato dai nemici, si fosse nascosto in quei pozzi, riemergendo dai diversi boccali. Questo straordinario sistema idraulico (unico nel mondo, con bocche e pance indipendenti) è a sud-ovest del centro abitato, su un'area di circa mille metri quadrati. Ciascun pozzo ha una profondità di tre metri. All'origine, dovevano essere molti di più, forse un centinaio. Una parte fu distrutta per l'apertura di una strada d'accesso al paese. La fantasia popolare ritiene che i pozzi non siano misurabili (come le colonne della cripta della Cattedrale di Otranto), e che la loro conta dia risultati inevitabilmente discordi. Ha scritto Raffaele Congedo che il metodo costruttivo dei pozzi è singolare: posti a distanza ravvicinatissima fra di loro, hanno forma di imbuto capovolto, completamente foderati di pietrame informe calcareo permeabile, cementato con terra bolosa, attraverso il quale filtrano abbondanti acque freatiche, attinte dalla popolazione, e celebri per salubrità, purezza e bontà. Nella località - sostiene Congedo - si svolge ogni anno un rito religioso, durante la festa del protettore. L'insolito paesaggio suscita interesse e attrae. L'acqua: l'oro del Salento di tutti i tempi. Tutta la civiltà della penisola salentina passa attraverso l'acqua e la terra, e la storia del lavoro dell'uomo, qui, è la storia della lotta con la campagna riarsa e del clima sitibondo, del tufo bianco e delle colture della vite e dell'olivo, piante aride e stupende. E in quest'area martignanese l'acqua venne fuori da una miniera di cento imbocchi, prezioso elemento di vita per l'uomo e per la terra, per le braccia dell'uomo e per l'industria primaria che quella terra consentiva con i suoi prodotti.
Anche i monumenti megalitici per eccellenza, i dolmen e i menhir e le stesse specchie possono direi qualcosa di interessante sull'acqua nascosta nel ventre carsico del Salento, e ricercata accanitamente, fin dall'epoca preistorica, dai nostri progenitori.
Scrive infatti il Bourdoux (in " Luce nelle tenebre ") , a proposito della ricerca idrica con l'aiuto della radiestesia, che un celebre rabdomante ha potuto accertare, in seguito a ricerche effettuate in Bretagna, che tra le varie ipotesi che avvolgono menhir e dolmen si può validamente includere quella che li ritiene stazioni di riferimento rivelanti la presenza di acqua nel sottosuolo. Grande fu infatti la sorpresa del ricercatore, prosegue Bourdoux, nel costatare che, in corrispondenza di quei monumenti megalitici, la bacchetta del rabdomante o il pendolo radiestesico segnalavano sempre l'acqua, e per di più, incroci di falde acquifere. I nostri progenitori avevano dunque scoperto il modo di rilevare l'andamento delle acque sotterranee. In particolare, per quel che riguarda gli spigoli più lisci delle pietrefitte salentine, l'ingegner Pietro Zampa (nel libro " Le meraviglie di una scienza nuova ") sostiene che siano sempre rivolti "verso il vertice dell'angolo costituito dall'incrocio di due correnti di acque sotterranee ".
Dai misteri alla realtà paleo-economica del Salento. Sappiamo come i Messapi macinavano il grano: in una piccola pietra incavata al centro, con una palla che aderiva all'incavo: si schiacciava a forza di muscoli il grano, con il quale si faceva il pane. Si usarono gli stessi sistemi, probabilmente, per la spremitura delle olive, mentre quella dell'uva ha conservato a lungo le caratteristiche della pigiatura. In "pile " di pietra, poi in tinozze di legno, infine nei grandi tini di rovere. L'uso del torchio rappresentò la rivoluzione copernicana nell'industria di trasformazione dei prodotti agricoli del Salento. E certamente ai lasci muscolari dell'uomo furono in buona parte sostituiti quelli degli animali da trazione. Fu una grande scoperta, che come tutte le grandi scoperte avviò attività complementari. Abbondavano un giorno, prima che si abbattessero forze distruttrici, le querce, nella penisola salentina. E dai porti di Otranto e Gallipoli partivano per tutte le rotte navi cariche di botti, costruite da sapienti mani artigiane.
Botti vuote, e botti piene: di olio e di vino. Agricoltura, industria di trasformazione e commercio avevano trovato un equilibrio pressoché perfetto. E fu, quella, l'epoca d'oro della campagna di Terra d'Otranto. I collegamenti marittimi giungevano fino alla lontana Marsiglia, e, dall'altra parte, fino a Venezia: da questi scali, botti e prodotti risalivano le vie dell'Europa, ambasciatori del lavoro e della civiltà del Salento. Fu un'età anche lunga. Poi, la decadenza. Gli Angioini avevano già frantumato le terre, e i latifondi finirono in mani straniere in tutto il Sud. Gli Aragonesi avevano spolpato anche le ossa del Sud: un'agricoltura di rapina inaridì fonti di reddito e qualità di produzioni. La campagna divenne simbolo per eccellenza di fame e di schiavitù fisica ed economica. Decaddero i commerci, si perdettero gli sbocchi di mercato crebbe l'importanza strategica dei porti di Brindisi e di Taranto, e di conseguenza furono offuscati gli scali di Otranto e di Gallipoli. Il Salento rientrò nei secoli più bui della sua storia, in un tunnel dal quale sarebbe rivenuto fuori solo molto più tardi, in questa seconda metà del nostro secolo. Con un'industria manifatturiera di piccole dimensioni, sparsa e quasi dispersa. E con le vestigia della sua industria primaria, archeologia vivente (gli aratri di legno per il tiro dei cavalli, i traini per il trasporto, i torchi superstiti, le grandi botti rastremate verso il basso); con terra e agricoltura sempre dominanti il paesaggio economico e sociale. E con niente, neanche un museo minimo, che raccolga le testimonianze di questa cronistoria: come se tra gli strumenti del lavoro dei secoli scorsi e le macchine automatiche contemporanee non ci fosse alcuna interrelazione; come se le memorie del passato avessero generato un iniziale rapporto di odio-amore, e un successivo momento di rimozione. Ma di quel passato, della nostra storia, non ci possiamo liberare. L'abbiamo, com'è giusto, nella pelle.
di Eloisa Malagoli
In cantina l’enologo a febbraio
In cantina l’enologo a febbraio
Durante questo mese, i lavori di cantina sono molto limitati e si riducono a mantenere i locali convenientemente riscaldati; a preparare e pulire con diligenza i vasi vinari e quanto potrà occorrere por operare il secondo travasamento e l'imbottigliamento dei vini, nel mese successivo.
Il cantiniere, però, non deve trascurare un'altra accurata ispezione ai suoi vini, specie se ne acquistò direttamente dai produttori. In tale ipotesi, se gli restasse ancora qualche dubbio sulla buona qualità dei vini può benissimo approfittare di questo mese in cui per la cantina ha poco da fare, per esaminarli e così assicurarsi se essi siano puri o sofisticati.
Una volta la sofisticazione del vino si riduceva alla sola aggiunta d’acqua; oggi, invece, la frode si è estesa a ben altre adulterazioni, assai più nocive all’igiene quali l’aggiunzione di materie coloranti (cocciniglia, malva, fitolacca, campeggio, fuesina, ecc.), di allume, gesso, arido solforico e di Sali metallici di rame, ferro, piombo.
Tranne nei grandi stabilimenti enologici ove non deve mancare un conveniente laboratorio per le analisi del vino, se il cantiniere non disporrà di mezzi necessari per iscoprire le sofisticazioni né di una sufficiente cultura, farà ottima cosa, nei casi detti, di avvalersi dell'opera di persone tecniche, sebbene le principali adulterazioni dei vini possono riconoscersi sommariamente, mediante processi pratici che sono alla portata di qualunque intelligenza.
Tratto dall’Almanacco Italiano del 1896 Pagine 192 e 193
Durante questo mese, i lavori di cantina sono molto limitati e si riducono a mantenere i locali convenientemente riscaldati; a preparare e pulire con diligenza i vasi vinari e quanto potrà occorrere por operare il secondo travasamento e l'imbottigliamento dei vini, nel mese successivo.
Il cantiniere, però, non deve trascurare un'altra accurata ispezione ai suoi vini, specie se ne acquistò direttamente dai produttori. In tale ipotesi, se gli restasse ancora qualche dubbio sulla buona qualità dei vini può benissimo approfittare di questo mese in cui per la cantina ha poco da fare, per esaminarli e così assicurarsi se essi siano puri o sofisticati.
Una volta la sofisticazione del vino si riduceva alla sola aggiunta d’acqua; oggi, invece, la frode si è estesa a ben altre adulterazioni, assai più nocive all’igiene quali l’aggiunzione di materie coloranti (cocciniglia, malva, fitolacca, campeggio, fuesina, ecc.), di allume, gesso, arido solforico e di Sali metallici di rame, ferro, piombo.
Tranne nei grandi stabilimenti enologici ove non deve mancare un conveniente laboratorio per le analisi del vino, se il cantiniere non disporrà di mezzi necessari per iscoprire le sofisticazioni né di una sufficiente cultura, farà ottima cosa, nei casi detti, di avvalersi dell'opera di persone tecniche, sebbene le principali adulterazioni dei vini possono riconoscersi sommariamente, mediante processi pratici che sono alla portata di qualunque intelligenza.
Tratto dall’Almanacco Italiano del 1896 Pagine 192 e 193
martedì 7 febbraio 2012
ALLA RICERCA DEL CIBO PERDUTO ovvero dai campi alla tavola, un viaggio alla ricerca di sè e dell'altro
ALLA RICERCA DEL CIBO PERDUTO ovvero dai campi alla tavola, un viaggio alla ricerca di sè e dell'altro
Referente:
ADAF Lecce
Antonio Bruno Presidente
tel 3398853904
e-mail: adaf.lecce@libero.it
Obiettivo del seminario è dare accesso ad una modalità nuova di affrontare il grande tema dell'alimentazione e dei cibi della Dieta Mediterranea. La dieta mediterranea è un modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari tradizionali dei paesi europei del bacino del mediterraneo, in particolare Italia, Francia meridionale (specialmente Provenza e Linguadoca), Grecia, Spagna e Marocco.
Questo modello nutrizionale è stato abbandonato nel periodo del boom economico degli anni sessanta e settanta perché ritenuta troppo povera e poco attraente rispetto ad altri modelli alimentari provenienti in particolare dalla ricca America, ma ora la dieta mediterranea sta sicuramente riconquistando, tra i modelli nutrizionali, l'interesse dei consumatori e sta conoscendo una grande diffusione, specie dopo gli anni novanta, in alcuni paesi americani fra cui l'Argentina, l'Uruguay e alcune zone degli Stati Uniti d'America. Nel 2010 è stata proclamata patrimonio immateriale culturale dell'umanità.
Il seminario si è tenuto a Carovigno (Br) il 4 febbraio 2012 nella sala Convegni del Castello. I contenuti sono disponibile ai seguenti link:
http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2012/02/alla-ricerca-del-cibo-perduto.html
http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2012/02/seminario-alla-ricerca-del-cibo-perduto.html
Il seminario offre non solo delle informazioni, ma apre una finestra sul mondo della produzione alimentare, dalla terra alle elaborazioni in cucina per sensibilizzare sull'importanza dell'alimentazione sana, corretta ed equilibrata.
Se vuoi organizzare questo seminario nel tuo Comune o presso la tua organizzazione contatta il Presidente dell'ADAF Lecce Dott. Agr. Antonio Bruno tel 3398853904 - e-mail: adaf.lecce@libero.it
Referente:
ADAF Lecce
Antonio Bruno Presidente
tel 3398853904
e-mail: adaf.lecce@libero.it
Obiettivo del seminario è dare accesso ad una modalità nuova di affrontare il grande tema dell'alimentazione e dei cibi della Dieta Mediterranea. La dieta mediterranea è un modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari tradizionali dei paesi europei del bacino del mediterraneo, in particolare Italia, Francia meridionale (specialmente Provenza e Linguadoca), Grecia, Spagna e Marocco.
Questo modello nutrizionale è stato abbandonato nel periodo del boom economico degli anni sessanta e settanta perché ritenuta troppo povera e poco attraente rispetto ad altri modelli alimentari provenienti in particolare dalla ricca America, ma ora la dieta mediterranea sta sicuramente riconquistando, tra i modelli nutrizionali, l'interesse dei consumatori e sta conoscendo una grande diffusione, specie dopo gli anni novanta, in alcuni paesi americani fra cui l'Argentina, l'Uruguay e alcune zone degli Stati Uniti d'America. Nel 2010 è stata proclamata patrimonio immateriale culturale dell'umanità.
Il seminario si è tenuto a Carovigno (Br) il 4 febbraio 2012 nella sala Convegni del Castello. I contenuti sono disponibile ai seguenti link:
http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2012/02/alla-ricerca-del-cibo-perduto.html
http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2012/02/seminario-alla-ricerca-del-cibo-perduto.html
Il seminario offre non solo delle informazioni, ma apre una finestra sul mondo della produzione alimentare, dalla terra alle elaborazioni in cucina per sensibilizzare sull'importanza dell'alimentazione sana, corretta ed equilibrata.
Se vuoi organizzare questo seminario nel tuo Comune o presso la tua organizzazione contatta il Presidente dell'ADAF Lecce Dott. Agr. Antonio Bruno tel 3398853904 - e-mail: adaf.lecce@libero.it
I lavori di febbraio nel Vigneto
I lavori di febbraio nel Vigneto
I lavori non eseguiti nel gennaio devono tosto essere ultimati. Dissodato il terreno, si preparano le fosse per le prossime piantagioni.
Ove il freddo non sia troppo intenso, comincia la slegatura delle viti.
A misura che le viti vengono liberate dai sostegni, si esaminano diligentemente sopprimendo quei lembi di corteccia secca, che, come brandelli, siano sparsi qua e là sul tronco.
Alla slegatura tien dietro la potatura; operazione questa che va fatta con grande accorgimento, poiché da essa dipendono la quantità e la qualità del raccolto; quindi il vignaiuolo, guidato dalla sua esperienza, procederà anzitutto alla razionale scelta dei tralci che vuole destinare al raccolto dell'anno in corso, e di quelli che devono produrre sarmenti nell'anno successivo.
Di mano in mano che le viti vengono potate, si affidano e si legano ai sostegni.
Si attende quindi alla sistemazione della vigna, e si completano i lavori del mese con una sarchiatura, intesa a mantenere aereate le radici e ad impedire lo sviluppo delle erbacee.
Comincia la preparazione dei magliuoli destinati alla propagazione, e poiché, non è ancora tempo di servirsene, sì raccolgono in fascetti e sì interrano in luogo asciutto e riparato.
Tratto dall’Almanacco Italiano del 1896 pagina 189
sabato 4 febbraio 2012
Alla ricerca del cibo perduto
L’immagine è tratta dalla "Provincia di Lecce Bozzetti di Viaggio" di Cosimo De Giorgi Lecce Tipolitografia Salentina Fratelli Spacciante tav.f.t. p.160-161 v.II. Vi e' una riproduzione fotomeccanica a cura di Michele Paone Galatina Congedo Editore 1975, quivi la stampa e' elencata nell'ordine delle figure illustrative alla fine del II volume ma e' assente.
Di seguito il testo del seminario tenuto dal Presidente ADAF Lecce Antonio BRUNO il 4 febbraio alle ore 18.00 presso il Castello di Carovigno (BR)
Chi come me si occupa di agricoltura ha preso atto che negli ultimi decenni gli abitanti dei 100 paesi del Salento leccese raramente si sono avventurati nelle campagne per vedere i frutti della terra.
Il fatto è che ciò che vedi con i tuoi occhi non può essere sostituito dall’immaginazione. Se non hai mai visto un castrillo non puoi immaginare il castrillo. Come dici? Non sai cos’è il castrillo? E’ chiaro che non lo sai me lo sono inventato io! Ma se esistesse veramente il castrillo allora l’unico modo che avresti a disposizione per capire cosa sia sarebbe quello di andare a vederlo di persona. E’ così che, dopo che ci hanno detto che quell’albero che era davanti a noi si chiamava olivo, noi in seguito, senza vederlo, siamo riusciti a immaginarlo in maniera corretta, le foglie, i rami e il tronco dell’olivo sono diversi da quelli del pino d’aleppo. E’vero? Se dico olivo tu immagini un albero di olivo e lo fai in maniera corretta se l’hai visto almeno una volta in vita tua e non lo confondi con il pino. Tutto chiaro no?
Tu sei un consumatore! Già! Non lo sapevi? Bene tu che vai al mercato a comprare le pesche o le arance è difficile che ti trovi immerso nella campagna del Salento leccese in un pescheto o in un aranceto. E’ vero? Oppure sei mai stato in un vigneto? Sei mai entrato in un ricovero delle capre o delle pecore? Magari tu che hai la mia età l’avrai fatto quand’eri piccolo, magari eri piccolissimo! Ma i tuoi figli l’hanno fatto? Ecco perché gli ortaggi e la frutta diventano sempre più distanti da noi, non li vediamo sulle piante e quindi siamo costretti a prendere atto che esistono sui banchi della Grande Distribuzione Organizzata o su quelli dei mercati rionali.
Ma lo sai che mi sono chiesto cosa pensi degli ortaggi e della frutta? E lo sai che siccome so che non hai mai visto un campo coltivato o un arboreo io non riesco proprio a immaginare cosa pensi di questo? Perché mi interessa saperlo? Perché noi dottori agronomi sappiamo quello che acquisti ma non sappiamo perché acquisti proprio quell’ortaggio o quella frutta. Non lo sappiamo, non sappiamo le motivazioni che ti fanno acquistare ciò che mangi a tavola ogni giorno e questo è inaccettabile.
Vuoi la prova? Alcuni ricercatori che si occupano delle pere hanno affidato a un istituto di ricerca il compito di fare questa domanda ai consumatori “Le pere migliori sono coltivate nelle regioni del Sud Italia?” si sono dichiarati d’accordo il 62% degli italiani. Ora io no so come hai risposto tu a questa domanda ma ti informo che le pere migliori provengono dalle zone del Nord Italia ed essenzialmente da tre province. Ma l’indagine è andata oltre. Hanno mostrato agli intervistati delle fotografie di pere chiedendogli di dire il nome della varietà della pera. Ebbene il risultato è stato sorprendente solo il 47% è riuscito a riconoscere le pere di varietà Abate Fetel ovvero una varietà di pero ottenuta dall'Abate Fétel nel 1866 in Francia, e ancora peggio è andata per le pere William con il 38% degli intervistati che le ha riconosciute nonostante che questa pera sia sulle nostre tavole da 250 – 300 anni infatti la William è una pera che venne selezionata per la prima volta verso la fine del Settecento in Inghilterra, infine le pere Kaiser sono state riconosciute solo dal 42% degli intervistati. Io mi chiedo e vi chiedo che risultati si avrebbero se l’istituto di indagini demoscopiche avesse chiesto di riconoscere tre automobili diverse. Immaginate una Fiat 500, una BMW e una Ferrari se vi chiedessero se le riconoscete sbagliereste?
Ma affrontiamo l’oro liquido del Salento leccese, già l’olio d’oliva che si consuma in Italia in maniera massiccia ma di cui i consumatori sanno pochissimo. L’Italia è il secondo paese per la produzione di olio d’oliva ma è al primo posto per i consumi di oro liquido anche se la Grecia ha un consumo pro capite superiore al nostro noi quantitativamente consumiamo in totale di più perché noi italiani siamo di più dei greci. Eppure noi non conosciamo l’olio extra vergine di oliva e lo consumiamo in maniera sbagliata.
L’olio extra vergine d’oliva non è conosciuto dagli italiani così come ha fatto emergere una indagine di Astra ricerche. Se si volesse assegnare una pagella al nostro Paese solo il 13% degli abitanti (dai 15 anni in su) sarebbe promosso a pieni voti, il 35% passerebbe con sufficiente mentre il 46% sarebbe rimandato ed il 7% bocciato.
Una sintesi dei risultati dell’indagine Astra per l’Osservatorio Bertolli
Oltre ad una scarsa conoscenza della materia, l'indagine Astra ha fatto emergere anche una serie di luoghi comuni sul mondo dell'olio ancora oggi fortemente radicate in gran parte della popolazione.
Luoghi comuni sbagliati:
1. l'olio di semi è migliore per friggere perché più leggero e digeribile
2. l'olio di oliva apporta più calorie rispetto a quello di semi
3. l'olio va conservato in un'oliera
4. l'olio del frantoio migliore dell'olio industriale
5. l'olio extra vergine che pizzica in gola è acido, quindi di scarsa qualità.
Ecco ribaltate le convinzioni errate
A scanso di ogni possibile equivoco è bene precisare che sono tutte convinzioni errate, infatti:
1. l'olio extra vergine è sempre da preferire in tutte le preparazioni a caldo, inclusa la frittura, non solo perché più resistente alle alte temperature, ma anche perché è più ricco di antiossidanti
2. l'olio di oliva, al pari dell'olio di semi, apporta 9 kcal per grammo
3. conservare l'olio in oliera è un ottimo sistema per farlo diventare rancido
4. la qualità va misurata con parametri di giudizio oggettivi
5. le sensazioni di amaro e piccante che si percepiscono durante l'assaggio sono note assolutamente positive.
I dati che emergono sono preoccupanti e testimoniano la scarsa efficacia delle molte iniziative di promozione e comunicazione avviate fino ad oggi. Insomma, si consuma tanto olio, e l’extra vergine in particolare, ma non lo si conosce a sufficienza. Eppure, a leggere punto per punto i risultati dell’indagine Astra per l'Osservatorio Bertolli, è possibile prendere le dovute contromisure.
La verità è che tu acquisti generalmente i prodotti agroalimentari che poi mangerai senza conoscere le caratteristiche che hanno né tanto meno quelle che dovrebbero avere.
E quindi da cosa sei informato quando acquisti un prodotto agroalimentare che poi mangerai tu e i tuoi figli? Sei informato dal tuo intuito e dal sapere popolare.
Invece nell’acquisto dovremmo essere informati dalle caratteristiche e proprietà organolettiche della frutta che acquistiamo che sono l'insieme delle sue caratteristiche fisiche e chimiche percepite dagli organi di senso e che nel complesso suscitano nella persona delle reazioni emotive più o meno intense. Manifestazioni della percezione delle proprietà organolettiche sono, ad esempio, il piacere, la soddisfazione, il gradimento, l'indifferenza, il disagio, il malessere, la repulsione. Tali sensazioni manifestano una più o meno elevata intensità secondo l'impatto che le proprietà hanno nei confronti della persona. Ma sappiamo quali sono le sostanze che ci sono nella frutta?
Alla domanda di una società di indagini di mercato “Ti fa piacere trovare Vitamina C nella frutta che consumi?” gli italiani hanno risposto nell’88% dei casi che più vitamina C c’è, meglio è! Alle stesse persone è stato chiesto “Ti fa piacere trovare Acido Ascorbico (che fra parentesi è la Vitamina C) nella frutta che consumi?” solo il 21% dice che vuole l’Acido Ascorbico. Poi è stato chiesto “Ti fa piacere trovare Liposomi (I liposomi sono microsfere cave formate da uno o più doppi strati lipidici. Fin dagli anni '70 sono stati utilizzati - in forma sperimentale - come veicoli di farmaci e la comprensione del loro comportamento "in vivo" ha permesso di realizzare studi mirati sul trattamento specifico di determinate patologie) nella frutta che consumi?” Siccome i risommi sono pubblicizzati dalla Garnier e dall’Oreal sostenendo che fanno parte dei prodotti di bellezza il 12% delle signore intervistate sostiene che li vuole nella frutta perché fanno bene.
La pasta italiana è fatta di grano Ucraino e Australiano
La pasta italiana è fatta da farina di grano proveniente dall’Ucraina o Australia e viene detta pasta italiana perché è fabbricata in Italia anche se con farina estera.
Proprio qui vicino al nostro Salento c’è la terra di Bari che nella città capoluogo di regione ha un porto che è uno degli scali più importanti d’Italia!
Dall’Ucraina arriva il grano che con la nave viene trasportato dal Mar Nero a Bari. Quest’anno a Bari c’era una nave enorme che occupava quasi tutta la banchina ed era una nave che conteneva grano australiano. La nave conteneva 55mila tonnellate di grano che per essere trasportato necessita di 1.500 autotreni! La nave australiana era lunga 200 metri, le stive sono sigillate durante la navigazione e vengono aperte solo nel porto di Bari per scaricare il grano. Nella nave ci sono sette stive ognuna delle quali contiene 9mila tonnellate di grano duro. Ci sono voluti dieci giorni per scaricare dalla nave tutto il grano. La nave era partita dall’Australia i primi di maggio 2011 e solo dopo 48 giorni è arrivata a Bari.
Di fronte al banco della frutta fresca scegliamo in base all’aspetto e al prezzo senza sapere cosa rende speciale e diversa dalle altre quella frutta. Infatti se è vero che per fare un buon formaggio serve un ottimo latte e per fare del buon vino serve dell’ottima uva è altrettanto vero che la trasformazione dei prodotti latte e uva può determinare la qualità del formaggio e del vino. Per la frutta non è così! In pratica o si stacca dall’albero di pesco una pesca di qualità oppure se non lo è non vi è nessuna possibilità di farla diventare buona! Quindi per il prodotto fresco tutto quello che si può fare per la qualità si deve fare nei campi. Io mi chiedo e vi chiedo se sapete che la stessa varietà di arancia è diversa se coltivata sul Gargano o nel Salento leccese? Sapete che ci sono delle differenze e quali sono? E se non lo sapete, come fate a fare una scelta consapevole della frutta che è sul bancone? Ecco perché c’è la necessità di informare tutti sulle caratteristiche dei prodotti, sia di quelli locali che di quelli che vengono da altri territori per conoscerli e quindi poter fare dei confronti consapevoli per poi scegliere.
E’ importante anche il rapporto tra valore nutrizionale e prezzo. Alla base della piramide alimentare della Dieta Mediterranea, patrimonio immateriale dell’UNESCO c’è la frutta e la verdura. Lo sapete perché? Perché hanno poche calorie, tanti fattori protettivi e tanta fibra. Quanta frutta e verdura dobbiamo mangiare per stare bene? Proprio quelle che per adesso ancora non ci mangiamo! Tre porzioni di frutta e due di verdura al giorno. Come arrivare a questi consumi? E’ facile per le tre porzioni di frutta basta mangiarla ai pasti principali ovvero colazione, pranzo e cena e utilizzarla come Snake. Se la frutta arrivasse in una forma idonea ai nostri giovani allora li vedremmo preferire la frutta alle varie merendine. Bisogna trasferire l’innovazione rendendo questa frutta conservabile e fruibile anche senza una mamma che ce la prepara. La frutta e gli ortaggi contengono l’80 – 90% di acqua che è migliore di qualsiasi acqua minerale in commercio. Vi faccio riflettere sulla circostanza che il prezzo della frutta e il prezzo dell’acqua se fate i conti che la frutta ha anche gli zuccheri, i Sali minerali e le sostanze protettive ed è naturale ovvero naturalmente funzionale.
Ma è meglio produrre prodotti tipici o prodotti di base?
Quando manca la produzione agricola che cosa succede? Io mi chiedo e vi chiedo: “Possiamo fare parmigiano con latte estero, prosciutto con maiali olandesi o danesi? Insomma per produrre il tipico legato al territorio devi avere anche la materia prima di quel territorio. Ma lo sapete che l’Italia importa il 95% della soia e il 23% del Mais necessario a produrre salumi e formaggi. Il solo costo dell’importazione del Mais vale la metà del valore delle esportazioni di tutti i prodotti tipici. E’ del tutto evidente che il caso del Mais è di grande rilevanza per il mercato agricolo italiano.
Cominciamo con un falso problema che è la contrapposizione tra il prodotto tipico e il prodotto di base. Infatti non c’è contrapposizione ma complementarietà perché altrimenti manca il prodotto tipico.
Il vero problema è potenziare il sistema agricolo e produttivo perché senza l’agricoltura italiana non c’è il Made in Italy agroalimentare. Quindi serve essere competitivi per quanto possibile sulla materia prima, produrre meglio, produrre a costi più bassi con qualità migliore grazie al progresso scientifico e all’innovazione tecnologica perché solo se noi salviamo l’agricoltura di base su quella potremo costruire le eccellenze.
Ma diciamolo con chiarezza per dare prospettiva alla nostra agricoltura è fondamentale accorciare la distanza tra il produttore e il consumatore. Questo è ottenibile soltanto con una comunicazione trasparente che faccia capire a chi compra cosa compra. Tutto questo al fine di ottenere che l’acquisto sia una scelta consapevole.
Bibliografia
Mena Aloia,L'arca olearia http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/3050-chi-la.htm
venerdì 3 febbraio 2012
Le semine di Febbraio con Luna crescente
Le semine di Febbraio con Luna crescente
La luna è mentitrice: quando dice che cresce (disegna una C) è decrescente, quando dice che decresce (disegna una lettera D) è crescente.
Nelle zone costiere del centro-sud seminare all'aperto:
Agretto ovvero Salsola soda L., conosciuta anche col nome di barba di frate
Barbabietola una pianta del genere Beta, appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae (Amaranthaceae secondo la classificazione APG).
Carota (Daucus carota L.) pianta erbacea dal fusto di colore verde appartenente alla famiglia delle Umbelliferae Fagiolo (Phaseolus vulgaris L., 1758) pianta della famiglia delle leguminose originaria dell'America centrale
fava (Vicia faba, L. 1753) pianta della famiglia delle leguminose
La lattuga (Lactuca sativa L.) è una pianta angiosperma, dicotiledone appartenente alla famiglia delle Compositae. Nel linguaggio colloquiale italiano essa viene spesso, ed erroneamente, chiamata insalata.
Il pisello (Pisum sativum, Linnaeus 1758), originario dell'area mediterranea e vicino-orientale, è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Fabaceae.
Il prezzemolo (Petroselinum crispum) è una pianta biennale, originaria delle zone mediterranee
La rapa (Brassica rapa L.) è una pianta della famiglia delle Brassicaceae largamente coltivata come ortaggio, di cui si consumano, secondo le varietà botaniche, le foglie, la radice, le cime fiorite, il seme oleoso.
Il Ravanello selvatico (Raphanus raphanistrum L., 1753) è una pianta erbacea, appartenente alla famiglia delle Brassicaceae.
La ruchetta (in usi regionali rughetta) o rucola, o anche ruca (Eruca sativa Mill.), è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Brassicaceae (Cruciferae),
La senape nera (Brassica nigra (L.) W.D.J. Koch, 1833) è una pianta erbacea, annuale, della famiglia delle Brassicacee
Queste stesse specie possono essere seminate anche nelle zone di pianura più interne (zone appenniniche escluse) dell'Italia Centromeridionale, ma solo in aiuole ben riparate e dove ci sia la possibilità di predisporre teloni di pvc per proteggere le piantine da improvvisi abbassamenti della temperatura.
A Febbraio nel podere e nella stalla
A Febbraio nel podere e nella stalla
In quelle località ove, atteso lo condizioni del clima e del terreno, non furono finora esenti i lavori di rinnovo, si procuri di ultimarli al più presto, e si disponga, senz'altro, il terreno a ricevere le semine primaverili.
Si continuino tutti quegli altri lavori relativi alla sistemazione degli appezzamenti, degli scoli, delle siepi, e, ove occorra, si provveda a rendere, il più che sia possibile, uniforme la superficie del terreno, in modo che non si riscontrino sensibili variazioni altimetriche.
Si rompono gli erbai, si lavora profondante la terra e si prepara per le semine tardive.
Nei prati si ridesta la vegetazione, ed allora una buona erpicatura non deve certamente trascurarsi; in seguito alla spargere concime ben trito. Alcuni sogliono spargere sulle fave della buona fuliggine.
Si seminano le varietà marzuole del frumento e dell' avena, la fava in terra ben concimata e profondamente lavorata, il trifoglio biennale e le vecce destinate a produrre seme. Il trifoglio pratense si mette sul grano. In condizioni favorevoli, si seminano cicerchie, mochi ed il lino marzuolo. Si piantano tuberi di patate e di topinambur.
Il bestiame richiede le stesse cure già indicate nel gennaio : è da raccomandarsi che le stalle siano mantenute sempre ben nette, che in esse la temperatura non sia troppo calda, affinché gli animali, uscendo, non risentano delle brusche sensazioni di freddo. Per rendere al bestiame più sapido il foraggio e più igienico ad un tempo, si usa somministrarlo con un po' di sale.
Inoltre si approfitta della scarsezza dei lavori in questo mese, per restaurare e ripulire le stalle, i pollai e le colombaie.
Tratto dall’Almanacco Italiano del 1896 pagina 186
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