giovedì 16 maggio 2019

I Kalash e il vino dei tempi di Alessandro Magno



Dei kalash, di questo popolo, ho avuto notizia a Lecce in una conferenza del 3 maggio 2019 tenuta prof. Attilio Scienza. Ho acquistato il suo libero "La stirpe del vino"e ho letto alcune informazioni ivi contenute riguardanti questo popolo . Se ne parla in un articolo pubblicato su National Geografic dell’ottobre 2001, firmato dalla giornalista Silvie Brieu e titolato: “Il vino degli dei”.
In pratica i kalash giunsero a Paropamiso, oggi Afghanistan nord-orientale ai confini dell’Hindukush, intorno al 327, al seguito di Alessandro Magno. E li sono rimasti, con alterne vicende, sino ai giorni nostri in cui sono rimasti in circa 4000 persone che vivono in tre valli isolate, alle soglie dell'Hindukush, nel Pakistan nord-occidentale ai confini con l'Afghanistan.Recenti analisi dei DNA hanno accertato la loro parentela genetica con italiani e tedeschi. (Attilio Scienza 2018)


Questo popolo coltiva le viti come le coltivavano i contadini greci e romani che usavano come tutore un albero vivo (vite maritata) questo perché è noto che la coltivazione della vite prevede la presenza di un tutore.
In quei tempi i contadini praticavano l’agricoltura per avere il cibo che poi consumavano e quindi quasi sempre ai confini del loro terreno praticavano la coltivazione della vite maritata. L’olmo, il pioppo e l’acero campestre erano gli alberi più diffusi. (“La vite maritata in Campania” di Raffaele Buono, Gioacchino Vallariello – 2003 – Orto Botanico di Napoli, Università degli Studi di Napoli Federico II)
Tornando a questo popolo, che è un vero e proprio fossile vivente, praticano la vendemmia di quest’uva cche è rossa e bianca e conseguentemente affidano la pigiatura ai solo bambini maschi ottenendo alla fine il vino che viene consumato tutto in una festa quando arriva il solstizio d’inverno.
Lo consumano tutto in questa festa dove si ubriacano e praticano ogni tipo di eccesso giustificato dall’ebrezza. Dopo questa festa i kalash non bevono più vino.
Un popolo che è rimasto legato al vino per più di 1.600 anni, in quel paese, lontano da dove provenivano, e che ha perpetuato sino ad oggi la sua cultura, sordo a ogni sirena di modernità.

Antonio Bruno Ferro




Nessun commento:

Posta un commento