sabato 14 aprile 2012

1 743-1788 «Ricetta per fare il pane schiavonesco all'uso di Corato» .

1 743-1788 «Ricetta per fare il pane schiavonesco all'uso di Corato» .


SEZIONE D I ARCHIVIO D I STATO D I LucERA, Atti dei notai, Repertori, vol. 89, fase. 476.

Non era raro il caso che i notai inserissero nei protocolli e registri utilizzati nel corso della loro attività annotazioni che nulla avevano a che fare con essa. Esercizi letterari, disegni, segnalazioni di eventi pubblici e privati di particolare rilievo, indicazioni delle quali si desiderava conservare memoria, trovano posto in questa produzione documentaria arricchendola di informazioni inaspettate (di norma non mediate) sulla vita e sugli interessi del notaio e dell'ambiente in cui egli viveva. Di tale antico costume il repertorio del notaio Ferrandina costituisce un esempio tipico anche se relativamente tardo. Sull'ultima carta del volume, di seguito alla ricetta qui considerata, è, infatti, annotato un sonetto «capitato in Vieste» nel febbraio 1775 che nella sua forma letteraria attesta tutto il livore riservato in quegli anni agli aderenti alla soppressa Compagnia di Gesù. L'annotazione della ricetta attiene, invece, a un livello più quotidiano degli interessi del notaio, desideroso di fissare sulla carta non solo gli ingredienti nelle opportune proporzioni, ma anche il segreto per una perfetta cottura del dolce. Di questo, infatti, si tratta: di una sorta di panforte o panpepato preparato rimestando in un paiolo, posto sul fuoco, due elementi fondamentali dell'alimentazione mediterranea, vale a dire il vino (in questo caso nella sua variante di mosto cotto) e la farina. Ad essi si aggiungevano, secondo i gusti dei tempi, spezie, quali il pepe, « la polve di Cipro », il « carofano » e frutta candita polverizzata («scorze di cetrangolo portagallo »). Si tratta, del resto, di un dolce molto noto nelle province pugliesi, al punto che a fine Seicento il Pacichelli poteva annotare che in Capitanata ve n'era un tal « dispaccio » da permettere ad alcune famiglie di « costituire alle fanciulle la dote» . D i tale successo è, d'altro canto, attestazione l'interesse dimostrato per la ricetta dal notaio Ferrandina, ma soprattutto l'ampia diffusione della stessa (anche se con le inevitabili varianti locali) e la sua persistenza fino ai nostri giorni. [m.c.n.]

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