Antonio Bruno è Laureato in Scienze Agrarie Dottore Agronomo iscritto all'Ordine di Lecce - Esperto in diagnostica urbana e territoriale e studente all'Università del Salento del Corso di laurea in Viticultura ed Enologia
venerdì 13 aprile 2012
Il bio piace ai consumatori ma non premia i produttori
Il bio piace ai consumatori ma non premia i produttori
DI GIANLUCA BARUZZI(1), LORENZO BALLINI(2),PAOLO SBRIGHI(1),WALTHER FAEDI(1)
(1) CraFrf, unità di ricerca per la Frutticoltura di Forlì
(2) Servizio agricoltura, Provincia di Verona
Sempre più stretta la forbice di prezzo con il prodotto tradizionale. Mancano varietà idonee
In Italia, da più di un ventennio la coltivazione della fragola ha perso costantemente di importanza. Se dalle poche esperienze pionieristiche degli anni ‘80 del secolo scorso si è arrivati a realtà più o meno significative che in alcuni casi hanno mantenuto elevate quote di mercato, la gestione dei problemi agronomici e il mantenimento di standard commerciali minimi ha indotto molti ad abbandonare.
Di seguito vengono riportate le informazioni fornite da alcune delle principali aziende e/o organizzazioni di produttori di fragola biologica nei più importanti areali fragolicoli italiani.
IN ROMAGNA
La fragola “biologica” ha riscontrato fin dall’inizio un forte interesse principalmente nel Cesenate. Fabio Mosconi di Apofruit Italia (ufficio tecnico) riferisce che la produzione di fragole bio è iniziata nel 1994 con circa 150mila piante (fig. 1) e ha raggiunto un massimo di circa 800mila piante (circa 16 ha) nel 2002. Successivamente i fragoleti bio si sono progressivamente ridotti, dimezzandosi in circa 10 anni fino alle attuali 370mila piante in coltivazione presso 33 aziende biologiche associate ad Apofruit Italia, su una superficie di circa 6,8 ha (media aziendale 0,21 ha). Gli impianti biologici rappresentano il 20% del totale dei fragoleti di Apofruit Italia e sono prevalentemente in coltura protetta (86%). Le principali varietà coltivate sono le stesse della coltura convenzionale: Alba (38%) e Tecla (29%), seguite a distanza da Zeta, Monterey (rifiorente), Clery e Roxana (fig. 2). La coltivazione bio di fragole richiede una specializzazione della tecnica colturale che prevede: rotazioni piuttosto strette (3-4 anni) con colture orticole oppure seminativi; colture da sovescio a ciclo invernale primaverile prima dell’impianto del fragoleto a volte in associazione con la solarizzazione; impianto a fila binata o fila singola, su prode ben baulate e pacciamate con film plastico nero; piante frigoconservate (90%) o fresche cime radicate (10%), messe a dimora anticipatamente (una settimana circa) rispetto al l’epoca tradizionale per permettere alla pianta di raggiungere un adeguato sviluppo vegetativo prima del riposo invernale; protezione della coltura con tunnel tradizionali di “tipo cesenate” (coperti in gennaio per anticipare l’epoca di maturazione dei frutti) oppure con tunnel multipli di “tipo veronese” coperti tardivamente nel periodo di fioritura delle piante con il solo scopo di assicurare la protezione dei frutti dalla pioggia. Questa seconda tipologia di protezione offre la possibilità di ospitare anche una coltura orticola (es. pomodoro, melone, peperone, ecc.) in successione alla fragola; prolungati arieggiamenti dei tunnel di “tipo cesenate” al fine di evitare un eccesso di umidità interna in grado di favorire lo sviluppo di marciumi sui frutti o di oidio sulle piante; all’occorrenza lanci d’insetti utili e tempestivi trattamenti con prodotti consentiti. Apofruit Italia commercializza i frutti dei fragoleti “bio” romagnoli da metà aprile fino alla fine di maggio. Per far fronte alla forte richiesta del mercato di fragole biologiche, acquista dalla Spagna la rimanente quota (30%). Complessivamente nel 2010 sono state immesse sul mercato oltre 100 t di fragole bio col marchio Almaverde Bio. Circa il 70% della produzione italiana viene commercializzata sul mercato interno, mentre il resto viene esportato in Austria e Germania. La gdo assorbe il 90% dell’intera produzione bio. Per sopperire alle crescenti richieste del mercato, Apofruit Italia intende avviare un partenariato con un gruppo francese di recente costituzione (Canova France). Gli esperti commerciali di Apofruit Italia ipotizzano per il futuro un ulteriore aumento delle vendite di fragola bio, in particolare nei negozi specializzati. Nonostante la crescente domanda di prodotto biologico, come mai il trend degli impianti di Apofruit Italia è da quasi 5 anni negativo? I motivi vanno ricercati nella scarsa redditività della coltura, che non sempre garantisce pienamente la remunerazione dei rischi e gli investimenti molto elevati che il produttore sostiene. Nei primi anni di commercializzazione le fragole “biologiche” sono state mediamente liquidate al produttore il 40% in più del prezzo liquidato per il prodotto convenzionale. Questo trend positivo dei prezzi, registrato fino al 2002, ha sostenuto gli investimenti in termini di superfici. Nel quadriennio successivo la differenza tra i prezzi dei due tipi di prodotto si è ridotta (passando dal 40 al 26%) e ciò ha avuto riflessi negativi sugli investimenti colturali. Questo calo è proseguito fino al 2011, nonostante i prezzi del 2010 siano tornati interessanti (quasi 3 €/kg). In media, la produzione 2010 delle oltre 300mila piante in coltura protetta biologica è risultata pari a circa 550 g/pianta, contro i 700 g registrati mediamente nelle coltura convenzionale. Secondo questi dati, la plv di un fragoleto biologico è risultata nello stesso anno superiore (circa il 6% in più) rispetto al tradizionale e questo dovrebbe essere un incentivo per futuri investimenti tenendo conto della crescente richiesta del mercato. Altre cause del ridimensionamento della fragola bio (in parte le stesse della fragola convenzionale) sono: la difficoltà di reperimento di manodopera specializzata per brevi periodi e la mancanza di cultivar ben adatte alla coltivazione biologica, in particolare alla coltivazione senza l’uso dei fumiganti in appezzamenti dove non c’è la possibilità di praticare ampie rotazioni.
VERONESE
Il Veronese rappresenta attualmente la più importante area fragolicola del Nord, con oltre 650 ha coltivati (Cso, 2010), ma solo 6 ha circa sono condotti con metodi di coltivazione biologica. Di questa superficie la quota più importante è detenuta dalla cooperativa La Primavera (3,5 ha), dedita alla produzione di frutta biologica. Filippo Prandi, dell’ufficio tecnico, riferisce che lo standard varietale è dominato dalla cultivar francese Darselect (fig. 3). Questa cultivar, ormai abbandonata nelle coltivazioni convenzionali a causa della limitata produttività e della intensa colorazione del frutto, è molto richiesta dai mercati del prodotto bio proprio per le ottime qualità organolettiche dei frutti. La tecnica colturale adottata in bio non è quella tipica del Veronese (coltura autunnale) in quanto le piante non producono nel periodo autunnale, ma solo nella primavera successiva alla piantagione. In genere, si adotta una rotazione piuttosto stretta (3-4 anni) con colture orticole. Prima dell’impianto di un fragoleto viene in genere effettuata una coltura da sovescio, spesso associata a solarizzazione. La pratica dell’apporto di sostanza organica (miscela di letame e pollina) prima dell’impianto è molto diffusa. Durante il ciclo colturale vengono effettuate fertirrigazioni con borlande, amminoacidi, acidi umici, alghe e altre miscele organiche al fine di consentire un buon apporto nutrizionale alla pianta. La protezione della coltura è generalizzata, ma con copertura in periodi differenziati al fine di ampliare e scaglionare il calendario di raccolta. I fragoleti bio sono costituiti con piante frigoconservate che provengono da vivai convenzionali e, con apposite “deroghe” annuali, ne viene autorizzato l’impiego. Le produzioni della Coop. La Primavera, afferma Gaetano Zenti, presidente della struttura, sono destinate principalmente a rivenditori e alla gdo italiana ed estere (Nord Europa in particolare). I prezzi di liquidazione del prodotto biologico, a confronto con quello tradizionale, sono risultati decisamente superiori. Pur considerando la minor resa unitaria (in media circa 25 t/ha contro 29) e i maggiori costi di produzione, si ritiene che il biologico possa essere un’interessante opportunità economica anche per i produttori veronesi, nonostante il maggior limite sembra sia dovuto alla carenza di varietà pienamente idonee e dotate di un profilo qualitativo molto elevato dei frutti. Limitate sono le superfici bio coltivate in altre aree fragolicole importanti del Nord, come ilCuneese, il Trentino e l’Alto Adige, per lo più in piccole aziende rivolte alla vendita diretta ai consumatori. Alcune strutture, come la cooperativa Meg, in Val Martello, sta già manifestando interesse verso questo tipo di prodotto.
IL BIOLOGICO NELLE AREE MERIDIONALI
Negli ambienti meridionali si sono da tempo consolidate due importanti realtà produttive, entrambe localizzate nell’arco ionico: l’Az. Acinapura (Rocca Imperiale, Cz) e l’Az. Taverna (Nova Siri, Mt). Presso la prima, commenta il responsabile tecnico Felician, sono attualmente coltivati in bio 12,5 ha di fragoleti. Il 90%degli impianti è realizzato con piante frigoconservate. L’azienda preferisce usre piante frigoconservate in quanto commercialmente è più interessata a fornire al mercato un flusso di produzione più concentrato da metà aprile a fine giugno. Il prodotto è prevalentemente destinato all’export sui mercati tedeschi. Lo standard varietale è distribuito quasi in parti uguali tra Tethis, Naiad®Civ135 e Siba. La coltivazione prevede rotazioni piuttosto strette, con colture di sovescio con Brassica juncea e la solarizzazione al momento del loro interramento. L’azienda Taverna a Nova Siri è una realtà in forte espansione. Il responsabile tecnico Berardino Marchitelli conferma che i fragoleti bio raggiungono attualmente una superficie di 8 ha, con un incremento nell’ultimo anno di ben 3 ha. In quest’azienda vengono coltivate limitati quantitativi di piante frigoconservate diNaiad®Civ135 (circa 2 ha),ma in prevalenza si fa ricorso a piante fresche a radice nuda (4 ha di Candonga®Sabrosa) e cime radicate (2 ha di Ventana) al fine di sfruttare la loro elevata precocità di maturazione. La tecnica di coltivazione prevede rotazioni triennali, alternando la non coltura a colture da sovesci di leguminose e foraggere. In media, il flusso produttivo va da febbraio marzo e dura fino a giugno, con la fase finale della produzione destinata soprattutto agli usi industriali. In Sicilia, nella zona di Sambuca (Ag), laCoop. I frutti del sole rappresenta un’interessante realtà anch’essa con prospettive di crescita,ma i quantitativi prodotti attualmente sono ancora piuttosto limitati.
DOSSIER FRAGOLA Terra e Vita n. 12/2012 24 marzo 2012
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento