I tratturi
E vanno per tratturo antico al piano; quasi per un erbal fiume silente, sulle vestige degli antichi padri. (Gabriele D’Annunzio, I pastori)
Sessanta passi napoletani pari a 111 metri, questa era la larghezza dei tratturi su cui si effettuava la transumanza.
Ma perché proprio 111 metri?
Lo studioso Aldo Tavolaro spiega questa misura con la tendenza dei nostri antenati a utilizzare "miniaturizzazioni cosmiche". Se dividiamo l' equatore che è lungo 40mila chilometri ed è una circonferenza, per la misura del suo angolo (360 gradi) otteniamo che un grado è uguale a 111 chilometri. Ogni tratturo era la millesima parte di un grado dell' Equatore e di qualsiasi meridiano terrestre.
La vitalità economica impressa alla parte meridionale della penisola dal sistema Svevo-Angioino viene man mano spegnendosi a partire dal dominio degli Aragonesi fino agli Spagnoli. In particolare il territorio pugliese, con lo spostamento del traffico commerciale dall’Adriatico al Tirreno, e poi dal Mediterraneo all’Atlantico, perde l’originario ruolo di ponte verso l’Oriente e si trova ad essere sempre più emarginato dai grandi circuiti marittimi e commerciali.
Inoltre, a peggiorare la situazione contribuì il ritorno offensivo della pirateria della potenza Turca che a partire dalla metà del XV secolo che rese sempre più insicuri gli approdi costieri. Difatti, iI mare, che sino a quel momento era stato veicolo privilegiato di scambi e di relazioni, si trasforma in un pericoloso elemento di fronte a cui non resta che chiudersi e difendersi.
Si costruiscono sistemi di torri sulle coste, di difesa e controllo ed alcuni approdi vengono mi-nati, riducendo notevolmente gli scambi commerciali con gli altri porti del Mediterraneo.
La perdita dal punto di vista economico, di una posizione strategica sul mare ha concentrato le potenzialità produttive e nella pastorizia.
Il fenomeno della transumanza, che ha inciso in modo determinante l’assetto fisico del nostro territorio, ha rappresentato, fin dai tempi più remoti una via obbligata per le greggi allevate nelle zone montane. A causa dalla presenza della neve nei mesi invernali, che impediva il pa-scolo degli erbaggi, i pastori erano costretti a cercare posti più caldi dove spostare i propri greggi di pecore.
L’istituzione della Regia Dogana, voluta da Alfonso V d’Aragona, figlio adottivo di Giovanna II regina di Napoli, impose che le aree adibite fino ad allora quasi esclusivamente a colture, an-darono a perdere una grossa fetta della loro estensione territoriale, in favore della pastorizia.
In questo periodo si decise di incentivare e regolamentare, attraverso il perfezionamento della cosiddetta “mena delle pecore”, un nuovo complesso costituito da una rete di tracciati deno-minati “Tratturi” di discrete dimensioni, 60 passi corrispondenti a 111,60 m, ben organizzata e distribuita sul territorio fino alle zone più a Sud della provincia Barese, del Tarantino ed estese anche su una buona fetta del territorio Salentino, facilitando lo spostamento delle grandi gregge,ed agevolandone le soste, negli spazi denominati “riposi”.
Con la nomina di Francesco Montluber a capo della Dogana, la sede operativa, dopo una fase iniziale nella città di Lucera, nel 1447, veniva collocata definitivamente nella città di Foggia. La presenza di questo sistema nelle casse del Regno delle Due Sicilie un congruo introito di denaro, dimostrandosi il più valido supporto per lo sviluppo ed il sostentamento delle comuni-tà locali, tanto che la sua “estinzione” è riconducibile al 1806.
Sfruttare il più favorevole clima Pugliese, assicurò la possibilità alle greggi provenienti dall’Abruzzo, Campania, Molise e Lucania, foraggio e acqua nei periodi più duri dell’anno, nei mesi invernali che vanno dalla fine dell’autunno alle più calde giornate primaverili, e per il Regno la possibilità per parecchi secoli di controllare, organizzare e tassare i movimenti sulla rete tratturale e gestirne il mercato dei prodotti che da esso ne deriva attraverso un sistema di Fiere locali. Era in queste occasioni che i capi in esubero ed i prodotti del latte che in questi mesi si erano lavorati, venivano venduti in queste che risultavano le più importanti e grandi fiere del contesto storico del meridione.
Ad incentivare la transumanza vie erano una serie di benefici di cui fruivano gli addetti ai lavori, quali: esenzione dai dazi di attraversamento sulle pertinenze di qualsiasi feudatario; ridotti costi di acquisto per le provviste alimentari e per il sale (allora di grande valore); delegazione di rappresentanti che esercitava la difesa dei loro interessi nei confronti “dello Sovrano”; il privilegio di sottrarsi alla giurisdizione ordinaria, esplicata differentemente dai feudatari e dallo Stato, per essere giudicati esclusivamente dal Tribunale della Dogana..
Dall’anno 1500 la Regia Dogana di Foggia, che ne aveva definito una propria struttura operati-va, governata dalla supervisione di Montluber, fu in grado di quantificare, con meticolosità, le superfici da adibire a pascolo e quelle da impiegare per le coltivazioni stabilendo, inoltre, sia i percorsi per potervi pervenire ( tratturi, tratturelli e tratturelli comunali e viottoli o bracci di collegamento) sia la configurazione delle locazioni stabili, delle poste, e dei riposi di sosta nel viaggio.
Il termine “tratturo” ,usato per la prima volta intorno al 1480, in epoca aragonese, deriva, pro-babilmente, da “tractoria”, con cui si denominava tra i Romani il privilegio di far uso di strade pubbliche. Scopo principale dei tratturi fu di servire al passaggio delle greggi che, con l’arrivo dell’autunno, dai monti venivano condotte a svernare nei ricchi pascoli del Tavoliere per poi ritornare, con l’approssimarsi della bella stagione, nei luoghi d’origine dando vita a quella pe-riodica trasmigrazione del bestiame, per lo più ovino, che va sotto il nome di “transumanza”.
Consuetudine antichissima e diffusa fra tutti i popoli dell’area, alla transumanza erano inte-ressate cinque Régioni dell’Italia meridionale: Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Lucania, sebbene la maggiore migrazione del bestiame si registrasse tra l’Abruzzo e il Tavoliere, con diramazioni ai monti del Matese, al Gargano, alla piana di Metaponto e del Salento.
I tratturi hanno rappresentato per secoli il solo mezzo di trasmissione di una cultura e di una civiltà pastorale che non trovano riscontro in nessun’altra parte d’Italia. anche se non si è in grado di stabilire quante e quali fossero nella più remota antichità le vie della transumanza.
Sull’esempio della “mesta” o “meseta” spagnola, anche nel Mezzogiorno d’Italia la pastorizia
venne sistematicamente organizzata e favorita con l’istituzione della “Regia Dogana per la Mena delle pecore in Puglia”, voluta da Alfonso I d’Aragona, nel 1446.
L’accesso ai tratturi avveniva attraverso i “passi”, posti all’inizio di ogni tratturo qui i “locati” (i pastori iscritti nei registri della Dogana) dovevano dichiarare ai “cavallari” il numero delle pe-core possedute sulla base del quale poi si sarebbe pagata la “fida” (canone annuo per l’uso dei pascoli) e sarebbe stato attribuito il pascolo necessario, previo rilascio della “passata”, l’autorizzazione che dava il diritto all’entrata nel tratta fissata per tutti il 15 ottobre.
La rete tratturale era molto complessa, ma semplice allo stesso tempo: dai tronchi principali, i tratturi, che rappresentavano le direttrici della transumanza, si diramavano i “tratturelli”, di mi-nore estensione ed aventi, per lo più, funzioni di smistamento; da essi, infine, si distaccavano i cosiddetti “bracci”, che collegavano più tratturelli. Adiacenti ai tratturi, in prossimità dei corsi d’acqua, si stendevano i “riposi”, vaste piane erbose, dove le greggi potevano sostare fino a tre notti.
I tratturi principali erano 15, per una estensione complessiva di 1360 chilometrì, di solito prendevano i nomi del paese di origine e destinazione, con il loro maggiore sviluppo in pianura in quanto era necessario immettere nei pascoli del Tavoliere le innumerevoli greggi provenienti dai monti, formando quattro grandi diramazioni. Tutti i tratturi erano larghi non meno di 60 passi napoletani, corrispondenti a 111,11 metri. Non essendo recintati, venivano delimitati lungo il percorso da termini lapidei su cui erano scolpite le lettere R.T. (Régio Tratturo).
Il tratturo più lungo era quello che collegava l’Aquila a Foggia (Km 243); il più corto era il tratturo S. Andrea-Biferno, di soli 27 chilometri. Gli altri tre importanti tratturi erano quelli che collegavano rispettivamente Foggia a Celano (Km 207), Candela a Pescasseroli (Km 211) e Lucera a Castel di Sangro (Km 127).
I tratturelli erano in tutto 60 ed erano larghi fino a 37 metri; i bracci, in numero di 11, avevano una larghezza di circa 10 passi napoletani (pari a 18,50 metri).
I riposi principali erano 8: il più esteso era quello soprannominato del Saccione, situato tra i fiumi Trigno, Biferno e Fortore; in seguito ne vennero aggiunti altri, cosiddetti “particolari”, per distinguerli dai primi, riposi “reali” o “principali”.
Fino all’epoca aragonese, la più “felice” per i pastori, i tratturi non furono sottoposti ad alcuna precisa regolamentazione, per cui niente e nessuno tutelava gli interessi dei pastori e controllava le usurpazioni perpetrate dai feudatari. Questi allargavano abusivamente i confini delle terre poste sotto la loro tutela a discapito delle aree destinate ai tratturi ed ai riposi, vietando il passaggio delle greggi su di esse, se non dietro pagamento di forti gabelle.
Con l’istituzione della Dogana la monarchia aragonese, sensibile alle numerose lagnanze dei pastori, ordinò che i tratturi fossero ampliati e tentò di arginare le usurpazioni dei baroni facendo loro pagare dal fisco una tassa per il passaggio delle greggi sulle loro terre.
Ma gli abusi non ebbero fine, sebbene nel corso dei secoli si procedesse più volte alla reintegra delle aree tratturali. Ogni reintegra consisteva nella misurazione, accompagnata o meno dalla redazione di piante, di parte o di tutti i territori tratturali del Tavoliere. Tale compito veni-va affidato dalla Dogana a personale specializzato, gli “agrimensori” o “compassatori”.
Scopo delle reintegre era, dunque, di recuperare quelle aree primitivamente occupate da trat-turi o da riposi e poi abusivamente messe a coltura, trasformate in parchi, boschi, mezzane o su cui erano sorte costruzioni.
Ogni reintegra era preceduta da un bando, con cui si portavano a conoscenza i modi ed i tempi dell’operazione e si indicavano le pene da applicare ai trasgressori.
La prima generale reintegra che permise la misurazione di tutti i fondi del Tavoliere fu eseguita, per ordine del viceré Toledo, dal reggente Francesco Revertera, tra il 1548 ed il 1551,anche se riguardò solo marginalmente i tratturi, e di cui ne fisso la larghezza a non me-no di 60 passi napoletani, pari a 111,11 metri.
Negli anni 1574-1576 fu effettuata una reintegra per ordine del Régio doganiere Fabrizio de Sangro, un’altra negli anni 1599 e 1600, per ordine dell’uditore della Dogana Lelio Ricciardi,.
L’Uditore partecipò di persona alla ricognizione, verificando i tratturi di Celano e di Aquila, non anche quello di Pescasseroli.
Furono individuate le varie usurpazioni, ma non furono apposti i titoli lapidei, giacchè per ordi-ne del viceré conte di Lemos tutta l’operazione venne sospesa e gli atti già formati trasmessi a Napoli, al Collaterale.
Nell’anno 1601 fu effettuata una nuova reintegra per ordine del presidente della regia Camera della Sommaria Pietro Antonio Mastrillo. Nei mesi di aprile e maggio 1601 venne completata-la reintegra avviata dall’uditore Ricciardi e fu provveduto alla titolazione di tutti i tratturi, ripor-tandoli all’antica misura di 60 trapassi.
A chiusura del proprio incarico il Mastrillo, con bando del 24 maggio, ordinò a tutte le autorità dei luoghi prossimi ai tratturi di vigilare sulla conservazione dei titoli di pietra e di impedire o-gni occupazione dei tratturi, colpita non più con pene corporali, ma solo con sanzioni pecunia-rie.
La reintegra eseguita negli anni 1611 e 1612 dal credenziere Gianluigi Corcione ed altri uffi-ciali della Dogana, per ordine del duca di Vietri, fu seguita, nell’anno 1645, da quella del reg-gente Fabio, Capece Galeota, duca della Regina, con la ricognizione e titolazioni della mag-gior parte dei tratturi dagli Abruzzi alla Puglia.
Per ordine sovrano del 23 dicembre 1649, nel 1651 fu diretta una nuova reintegra da Ettore Capecelatro, marchese di Torella e governatore doganale, con l’ausilio di numerosi collabora-tori ed in seguito a tale operazione, ultimata nel 1656, furono disegnate per la prima volta, an-che se in modo impreciso, le piante di diversi tratturi, ad opera dell’agrimensore Giuseppe di Falco.
Per ordine dell’imperatore Carlo VI, nel 1712 l’avvocato fiscale Alfonso Crivelli ed il credenziere Domenico Freda reintegrarono, tra l’altro, l’intero tratturo Aquila-Foggia, le cui piante furono disegnate dall’agrimensore Giacomo di Giacomo di Bisegna. La legge del 21 maggio 1806, istituendo la Giunta del Tavoliere, contemplava la cura dei tratturi e la loro reitegra. Quando alla Giunta subentrò il duca della Torre, amministratore generale del Tavoliere, questi affidò a vari ufficiali, l’operazione della reintegra iniziata nel dicembre 1809, che riguardò prima tutti i tratturi, tratturelli e riposi in territorio pugliese, con l’esclusione di quelli che da Candelaro conducevano nei demani del Gargano e San Giovanni Rotondo e poi, tra il 1810 e il 1812, dei tratturi abruzzesi.
Dopo il ritorno dei Borboni, l’amministrazione e la reintegra dei tratturi furono di competenza della Commissione istituita con reale rescritto del 29 novembre 1815.
La legge sul Tavoliere del 13 gennaio 1817 dedicò ai tratturi e alla loro reintegra gli articoli 53-57, mentre quella del 25 febbraio 1820, istitutiva di una seconda camera aggiunta al Consiglio d’Intendenza di Capitanata, attribuì a questa Camera le controversie riguardanti i tratturi ed anche l’incarico della reintegra.
Nel 1826, per il decreto del 9 ottobre, Nicola Santangelo, intendente di Capitanata e commissario civile del Re con i poteri dell’alter ego, ricevette l’incombenza di provvedere al più presto alla reintegra dei tratturi. Le relative operazioni durarono molti anni: il braccio di tratturale che collegava il tratturo Foggia-Cerignola con la tenuta di Tressanti fu reintegrato nel 1838 dall’incaricato Tommaso de Seriis; il tratturo che dal Ponte della Tittola portava a Palmori, in tenimento di Lucera, fu reintegrato addirittura nel 1843 dall’incaricato Pasquale Balestrieri.
Le piante dei tratturi reintegrati, per la maggior parte, furono disegnate dal geometra Michele Iannantuono e riunite in unico atlante di grande formato tutte quelle che si riferivano ad un so-lo tratturo.
Con decreto 14 dicembre 1858, n. 5439 si ebbe l’approvazione di un regolamento sui tratturi che conteneva nuove norme sulla loro amministrazione, accentrata a Foggia presso la Dire-zione del Tavoliere e l’Intendente di Capitanata. L’amministrazione unica dei tratturi cessò con la legge 26 febbraio 1865, n. 2163 ed il regolamento di esecuzione approvato con R.D. 23 marzo 1865, n. 2211, con cui ebbe fine il sistema del Tavoliere. Per l’art. 23 di quel rego-lamento la conservazione dei tratturi e dei riposi fu affidata alle Direzioni delle Tasse e del Demanio delle varie province interessate (Aquila, Teramo, Chieti, Foggia, Campobasso, Be-nevento, Avellino, Potenza, Bari, Lecce), ma gli effetti di questa disposizione non furono posi-tivi.
Moltiplicatesi le occupazioni ed i disordini tratturali, già nel 1868 si cominciò a parlare della necessità di una nuova generale reintegra, ma le necessarie norme di esecuzione si ebbero solo nel 1875, con circolare del Ministero delle Finanze, in data 18 aprile. Le operazioni di reintegra, affidate all’amministrazione forestale (per cui si ebbe una Direzione di Reintegra dei
Regi tratturi presso l’Ispettorato Forestale di Foggia), cominciarono verso la fine del 1875 ed ebbero termine nel 1884. L’anno seguente l’Ispettorato Forestale trasmise all’Intendenza di Finanza di Foggia tutte le carte relative alla reintegra.
In seguito, i suoli dei tratturi continuarono ad essere usurpati e messi a coltura o occupati anche da centri abitati in espansione. Nel 1908 fu costituito il Commissariato per la reintegra dei tratturi, con il compito di procedere alla misurazione e, quindi, alla alienazione delle aree tratturali ancora disponibili, ad eccezione dei 4 tratturi più importanti.
Attualmente, la superficie tratturale a disposizione delle pochissime greggi transumanti che, ancora oggi, sebbene con mezzi meccanici, vengono a pascere nel Tavoliere risulta essere di circa 1500 ettari, per una lunghezza di circa 3000 chilometri.
Nessun commento:
Posta un commento