Ad un cumulo di pietre e di sassi, a malsane paludi e a distese macchiose è andato man mano a sostituirsi quell’originale disegno dei campi formato dall’intricato intrecciarsi dei muretti a secco, dalle argentate prospettive di ulivi millenari e dagli infiniti, svariati e spesso maestosi ricoveri temporanei che, con sorprendente perizia tecnica, puntualizzano e segnano le proprietà.
Pagghiari, trulli, furni, Furnieddhi, caseddhe, liame, turri, chipuri, calavaci sono l’espressione multiforme dell’edilizia rustica e gratuita del territorio salentino. Di forma circolare o quadrata, talora a piramide a gradoni, essi erano destinate al ricovero temporaneo di persone e cose, ed erano accompagnate da un pozzo per attingere l’acqua dal sottosuolo o da vasche per raccogliere l’acqua piovana; in alcuni casi anche da torri colombaie disperse nelle campagne, o da torri di avvistamento che svettavano isolate dai punti più in vista delle coste. L’architettura rurale a secco diventa così la narrazione delle tappe che hanno segnato l’evoluzione storica di questo estremo lembo di Italia, dove l’uomo da sempre ha interagito e dialogato con la pietra.
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