domenica 13 maggio 2012

Cipuddhàzzu del Salento leccese ovvero Charybdis pancration (Stein) Speta = Urginea Maritima (L.) Baker - Hyacinthaceae - Scilla marina

Cipuddhàzzu del Salento leccese ovvero Charybdis pancration (Stein) Speta = Urginea Maritima (L.) Baker - Hyacinthaceae - Scilla marina



L'unica specie del genere Urginea coltivata con una certa frequenza soprattutto nelle vicinanze delle coste occidentali della penisola italiana, sulle isole del Mediterraneo ed in Puglia è la cosiddetta cipolla del mare, Urginea martima. Secondo la classificazione botanica più recente questo nome è un sinonimo del corretto nome Drimia maritima (L.) Stearn, (1978). La pianta è nota già dall'antichità con il nome Scilla. Quest'ultimo nome viene tuttora frequentemente usato, soprattutto in erboristeria. Infatti, la pianta era conosciuta come droga per le sue proprietà cardiotoniche e diuretiche già dagli egizi, greci e arabi ed è stata descritta da Dioscoride, Plinio e Galeno. L'attività è dovuta a glicosidi cardioattivi (vedi) con notevole tossicità per l'uomo. E' interessante notare che in Sardegna la pianta è considerata magica e per questo viene spesso coltivata negli orti come protezione dal malocchio. Le si attribuisce anche attività ratticida. Nel 2002 è stato pubblicato uno studio approfondito sugli effetti insetticidi degli estratti di Urginea maritima, il quale conferma la validità della prassi di usare la pianta come agente protettivo di alimenti e suggerisce l'opportunità di ulteriori indagini in questo campo.

L'Urginea maritima è caratterizzata da un pesante bulbo (fino 4 kg) di grande dimensione, frequentemente del diametro di 12-15 cm ed oltre. Le foglie verde scuro spuntano in tardo autunno o in primavera ed appassiscono prima della fioritura che avviene in tarda estate. Esse sono di forma lanceolata, larghe ca. 10 cm e lunghe fino a 50 cm. Lo stelo fiorale è verde biancastro e raggiunge normalmente l'altezza di più di 100 cm, in casi eccezionali fino a 2 m. L'infiorescenza è costituita da un grande numero di fiori (anche oltre 100) a forma stellare del diametro di poco più di 1 cm, con tepali bianchi con una costola mediana marroncina e con filamenti giallo-verdastri. La punta dell'infiorescenza a racemo denso (pannocchia) tende frequentemente ad incurvarsi a causa del peso dei fiori. La fioritura inizia dal basso, si protrae a lungo ed è molto decorativa. I fiori sono inodori.

La coltivazione della Urginea (Drimia) maritima non presenta problemi in zone temperate. Il bulbo deve essere piantato poco profondo, con la sua punta coperta solo da 2-3 cm di suolo in un posto esposto al pieno sole. Il substrato deve essere molto permeabile, preferibilmente sabbioso. Durante il periodo del ciclo vegetativo in cui sono presenti le foglie, può risultare vantaggioso somministrare due o tre volte un debole concime liquido per piante fiorite. Durante la piena estate i bulbi non dovrebbero essere mai annaffiati. L'Urginea maritima è ben adatta per la coltivazione in piena terra.

I bulbi venduti in primavera sono gli stessi che vengono già offerti nel periodo più adatto - in autunno. Essi sono stati conservati in maniera da contenere più possibile il desiderio della pianta di emettere il fogliame ed hanno dunque lo svantaggio, rispetto a quelli in vendita in autunno e piantati in quel periodo, di non aver potuto radicare prima del freddo invernale. Si deve però notare che in zone con freddi più intensi il fogliame sviluppato in autunno può essere danneggiato. Pertanto in tali zone può risultare più conveniente acquistare e piantare i bulbi in primavera. In tardo autunno sarà però comunque necessario proteggere il fogliame che spunterà in ottobre-novembre. Nelle zone fredde è pertanto consigliabile coltivare l'Urginea maritima in grandi vasi che potranno essere d'inverno collocati in zone dove non si verifica il gelo.

In Italia persone senza scrupoli offrono spesso ai giardinieri poco esperti bulbi di Urginea maritima raccolti in natura. Li chiamano spesso "amarillis" e cercano di spuntare prezzi esagerati, oppure usano il nome tradizionale "Scilla maritima", ma non danno informazioni sulla provenienza da zone costiere piuttosto calde. In zone fredde tali piante spesso non riescono a sopravvivere e l'unico risultato è il danno provocato alla natura. Infatti, questi bulbi sono stati prelevati dalle zone costiere sarde, liguri, campane o calabresi, recando un danno al patrimonio naturale di queste zone. Basterebbe respingere i mercanti clandestini e rivenditori irresponsabili dicendo loro che i bulbi non sono altro che Cipolle di mare, dette volgarmente anche Squille, Carpentarie, Scille rosse o Scille marittime, dunque piante di bassissimo valore commerciale.



Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche sono indicate a solo scopo informativo. Devono essere consigliate e prescritte dal medico.



Plinio I° secolo d. C.

“Dalle piante che nascono nei giardini si ricava il vino dalla radice dell’asparago, dalla cunila, dall’origano, dal seme del sedano, dall’abrotono, dalla menta selvatica, dalla ruta, dalla nepitella, dal serpillo, dal marrobbio. Mettono due fascetti in un orcio pieno di mosto, un sestario di mosto cotto e mezza coppa di acqua marina. Col mosto cotto si fa aggiungendone due denari di mosto, allo stesso modo con la radice della scilla”;

“Si dice che se il fico viene piantato nella scilla -questa è un bulbo- rapidissimamente fruttifica e non è soggetto all’inverminamento, difetto da cui sono immuni anche gli altri alberi da frutto piantati allo stesso modo”;

“In verità nobilissima è la scilla, sebbene nata per i medicamenti e per rinforzare l’aceto. Non c’è bulbo più grande e che abbia maggior forza. Due sono le varietà della medicinale, il maschio dalle foglie bianche, la femmina dalle foglie nere. Ma la terza varietà è un cibo gradevole, si chiama Epimedio, dalle foglie piccole e meno aspro. Hanno tutte molto seme; tuttavia crescono abbastanza celermente con i bulbilli nati attorno e, perché crescano, le foglie, che hanno ampie, si sotterrano; così i bulbilli ne assumono le sostanze nutritive. Nascono spontaneamente numerosissime nelle isole Baleari e ad Ibiza e per tutta la Spagna. Il filosofo Pitagora scrisse un libro su di loro, compendiandone le proprietà medicamentose di cui parlerò nel prossimo libro”;

“ Tra le scille con proprietà medicinali la bianca è il maschio, la nera la femmina; la più bianca è la migliore. Tolta a questa la scorza secca, fatta a fette la parte verde restante, si pongono queste su un panno a piccola distanza l’una dall’altra. Poi i pezzi seccati vengono sospesi in un orcio pieno di aceto quanto più forte possibile in modo che non tocchino nessuna parte del vaso. Si fa questo quarantotto giorni prima del solstizio. Poi il vaso otturato con gesso viene posto sotto le tegole perché ricevano il sole dell’intera giornata. Dopo quel numero di giorni si tira fuori il vaso, si estrae la scilla e si cola l’aceto. Questo rischiara molto la vista, è salutare per lo stomaco, per i dolori al fianco assunto a digiuno ogni due giorni. Ma è tanto forte che assumendolo con troppa avidità per un momento sembra che uno sia morto. Giova pure alle gengive e ai denti anche solo masticandola. Assunta con aceto e miele elimina le tenie e gli altri parassiti del corpo. Messa fresca sotto la lingua fa che gli idropici non sentano sete. Si cucina in diversi modi: in una pentola che si mette nel forno spalmata di grasso o di fango o a pezzi in tegame. E cruda viene seccata, poi si taglia a pezzi e si cuoce nell’aceto, quando serve contro i morsi dei serpenti. Quando è arrostita si netta e la sua parte centrale viene cotta di nuovo in acqua. Così cotta viene somministrata agli idropici, per stimolare la diuresi bevuta nella dose di tre oboli con miele ed aceto, allo stesso modo ai sofferenti di milza e ai sofferenti di stomaco, se non avvertono i sintomi dell’ulcera, che abbiano problemi di digestione, per le coliche, per i sofferenti di bile, per la tosse cronica che toglie il respiro. In soluzione con le foglie per quattro giorni combatte la scrofolosi, cotta in olio ad empiastro la forfora e le ulcere che emettono liquido. Si cuoce pure nel miele per cibo, soprattutto per favorire la digestione. Così purifica anche l’intestino. Cotta in olio e mista ad acquaragia sana le screpolature dei piedi. Il suo seme viene applicato con miele nel caso di dolore dei fianchi. Pitagora tramanda che la scilla sospesa anche sulla porta è efficace a tenere lontani i malefici”.

“L’aceto di scilla quanto più è invecchiato tanto più è utile. Giova, oltre a quanto abbiamo detto, ai cibi inaciditi perché li rende più gradevoli al gusto; parimenti a quelli che vomitano a digiuno perché dà insensibilità alla gola e allo stomaco. Elimina l’alitosi, cicatrizza le gengive, rende saldi i denti, dà un colorito migliore. Gargarizzandolo elimina la durezza di orecchi e apre le vie dell’udito. In pari tempo acuisce la vista. È straordinariamente utile agli epilettici, ai biliosi, contro le vertigini, i restringimenti della matrice, gli urti, le cadute e gli ematomi che ne conseguono, i nervi ammalati, le malattie dei reni, da evitare in caso di ulcera”;

“Le rane cotte con la scilla curano la dissenteria, come dice Nicerato”.

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