Intervista a...Andrea Segrè (1)
Nel suo ultimo lavoro “Economia a
colori” mette in luce come la nostra sia una società degli
sprechi, destinata all’implosione se non trova una nuova
prospettiva di sviluppo, che lei vede nel binomio ecologia-economia.
Ci può spiegare come si può concretizzare questa sua visione
dell’economia e della società? Quale percorso secondo lei potrebbe
essere intrapreso per cambiare la situazione?
La proposta che faccio è in realtà di
invertire i termini, perché ecologia ed economia stanno insieme,
hanno la stessa radice, eco-casa: l’economia è la buona gestione
della nostra casa, dove abitiamo, e l’ecologia dovrebbe essere la
buona gestione della nostra “grande casa”, cioè il pianeta.
Anche quegli economisti che considerano economia ed ecologia come un
unico insieme, i cosiddetti
economisti ecologici, in realtà non
tengono conto che abbiamo sbagliato le proporzioni. Si devono
invertire i termini: il punto di vista di noi agro-economisti, che
veniamo dall’agricoltura o dall’economia dell’agricoltura, è
quello di chi guarda le piante crescere, e ci appare dunque scontato
il fatto che la grande casa debba contenere la piccola casa. Non può
essere l’economia che contiene l’ecologia anche perché, e lo
sappiamo già da tanto tempo, le risorse naturali che ci servono per
produrre gli alimenti (la terra, l’acqua, l’energia, etc.) sono
limitate, sono scarse, non sono infinite come qualcuno ha pensato, e
dobbiamo dare loro il tempo di rigenerarsi attraverso dei cicli e,
quindi, se questo è vero, anche i consumi materiali devono essere
altrettanto limitati (è proprio una
legge fisica, il secondo principio
della termodinamica).
Tutto questo vuol dire che noi dobbiamo
considerare l’economia dentro l’ecologia e non viceversa,
dovremmo avere l’idea, appunto, di una società che ci porta verso
l’ecologia economica, dove l’economia è uno strumento, un
aggettivo, una parte; solo allora saremo in grado di capire bene
quali sono i limiti ecologici del nostro pianeta e non andremo oltre
i limiti che abbiamo già superato.
L’attuale crescita, in realtà non ci
sta facendo uscire dalla crisi, ma questa potrebbe essere proprio
un’opportunità per cambiare qualche cosa, e noi che studiamo,
l’agricoltura ne siamo ben consci. Torniamo all’economia reale,
all’economia primaria, quella vera, e facciamo capire anche che ha
un ruolo primario importante, e l’esempio più straordinario è
proprio l’agricoltura sociale.
Da anni lei si occupa del tema degli
sprechi sia dal punto di vista scientifico sia da quello dell’impegno
sociale, con iniziative importanti come il “Last Minute market”.
Come è nata quest’idea? Quali risultati ha dato finora?
L’idea è un po’ la scoperta
dell’acqua calda. Il sistema legato al mercato, alla crescita,
porta a degli sprechi a delle eccedenze, tutti ricordano ad esempio
qualche anno fa il caso delle eccedenze comunitarie: agrumi e
pomodori che venivano distrutti, per altro con gli stessi attrezzi
utilizzati per produrli. Col passare del tempo mi sono accorto,
operando sul campo, che lo spreco non è un fallimento del mercato,
cioè produci più di ciò che vendi e allora distruggi, ma che
proprio il sistema è costruito sullo spreco: la continua produzione
di beni presuppone una loro veloce sostituzione, così rapida che non
si fa in tempo neanche a consumarli perché si deve, appunto, far
andare avanti il sistema. Produrre, produrre, produrre, dunque,
acquistare, acquistare, acquistare e di conseguenza consumare,
consumare, consumare, in maniera talmente veloce che è in questa
sostituzione che si genera lo spreco:
cioè si getta via qualcosa che può ancora essere utilizzato. Alla
fine degli anni ‘90 abbiamo avviato un progetto concreto che è
diventato uno spin off, cioè una vera e propria società
dell’Università di Bologna, i cui soci sono miei ex studenti che
nel frattempo si sono laureati ed altri ricercatori, questa società
coniuga, per così dire, l’aspetto imprenditoriale a quello legato
alla solidarietà: hai una eccedenza, perché non la fai consumare a
chi ha una carenza? Creando un’economia del dono e quindi
un’economia solidale che dà a chi ne ha bisogno, però con un
obiettivo a monte, che è l’aspetto legato alla sostenibilità: gli
sprechi devono essere ridotti
perché non possono essere giustificati
neanche col fatto di essere indirizzati a persone indigenti, perché
questo sta succedendo. Lo spreco è in realtà un errore, è una
perdita, è un surplus, è una eccedenza che genera dei costi
ambientali ed economici perché questi rifiuti si devono smaltire,
tutto questo inquina e costa. Allora il recupero va bene fin quanto
ce n’è e ce ne sarà ancora molto, ma l’obiettivo deve essere
ridurre la produzione, rendere il sistema più efficiente, più
eco-efficiente. Tra le tante iniziative, abbiamo lanciato una
campagna europea contro lo spreco, per raggiungere
l’obiettivo che noi abbiamo chiamato
“spreco zero”, quando lo avremo raggiunto a quel punto ci
inventeremo qualcos’altro da fare, le idee non mancano.
Una delle iniziative di cui lei è
promotore è “Un anno contro lo spreco”, che ogni anno declina il
tema generale dello spreco dando un’attenzione particolare ai
diversi consumi: il cibo (2010), l’acqua (2011) e l’energia
(2012). Quali risultati hanno dato le campagne sul cibo e sull’acqua
degli anni precedenti? Quali risultati si aspetta per la campagna in
corso?
“Un anno contro lo spreco” è una
campagna europea, adottata dal Parlamento Europeo che ha votato, a
gennaio di quest’anno, una risoluzione sulla base di un documento
che avevamo presentato nel 2010, sullo spreco di cibo. Ci chiedevamo
cosa fare per ridurre a zero gli sprechi e allora decidemmo di
mettere in campo una serie di azioni, ma a che livello? Limitarlo a
quello nazionale sarebbe stato a dir poco riduttivo, essendo il
sistema globale che ci porta allo spreco: allora abbiamo trovato
udienza, non a caso, alla Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale
del Parlamento europeo che è presieduta da un italiano, Paolo De
Castro. Per nostra fortuna ha intuito subito la portata di questa
proposta, perché riguarda molto l’agricoltura: perché lo spreco
nei campi c’è ancora ed è una inefficienza che, in qualche modo,
anche gli agricoltori pagano. Quindi il primo anno abbiamo declinato
“Spreco Cibo” ed abbiamo pubblicato il libro nero dello spreco di
cibo in Italia: 16-18 milioni di tonnellate che si perdono per la
filiera agroalimentare, dal campo al nostro frigorifero e una buona
parte sta lì, nei campi. Abbiamo fatto un calcolo, anche dal punto
di vista economico, stiamo parlando di qualcosa con un valore
compreso tra gli 11 e 12 miliardi di euro, è
lo 0,7% del PIL (dati riferiti al
2010). Abbiamo trasformato queste tonnellate in nutrienti ed abbiamo
capito che si potrebbe dare da mangiare per un anno, colazione,
pranzo e cena, ad una popolazione come quella della Spagna di 44
milioni di persone. Il 2011 l’abbiamo dedicato all’acqua.
Gettando via il cibo si getta via anche l’acqua che abbiamo
utilizzato per produrre gli alimenti, ma non soltanto l’acqua di
quel momento, del cibo, di quella fettina di carne piuttosto che di
quella mela ma tutta l’acqua che si usa per produrre, trasformare,
distribuire e, anche, smaltire se non si consuma. E’ emerso un dato
piuttosto impressionante: è pari al 10% del Mare Adriatico, cioè 13
milioni di m3 , l’ acqua che, sostanzialmente, si getta via. È una
risorsa rinnovabile, ma teniamone conto perché questo poi vuol dire
che ogni alimento ha un suo costo in termini di acqua e la nostra
dieta, in qualche modo, ha un effetto anche sull’acqua e
sull’ambiente in generale.
Quest’anno la campagna è legata
all’energia (i dati non sono ancora disponibili, li stiamo
raccogliendo e li presenteremo ad ottobre come ogni anno), perché
gettare via il cibo significa sprecare il cibo stesso che potrebbe
essere mangiato, l’acqua come abbiamo detto, ma anche l’energia
che abbiamo utilizzato per produrre quel cibo. I primi dati che ho a
disposizione, e che non posso anticipare perché li dobbiamo
verificare, sono molto significativi. Nel 2013 faremo “Un anno a
spreco zero”, parleremo di tutti gli sprechi assieme: l’obiettivo
sarà quello di fare il punto della situazione dei risultati ottenuti
in termini di riduzione degli sprechi. Inoltre, il 2014 sarà, come
richiesto nella risoluzione del Parlamento Europeo, l’anno di lotta
europea contro lo spreco: allora io spero che lì, tutti i 27 i Paesi
metteranno in moto dei meccanismi per ridurre, come è scritto nella
risoluzione, del 50% gli sprechi alimentari entro il 2025.
(1) Economista, Preside della facoltà
di Agraria di Bologna
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