Antonio Bruno è Laureato in Scienze Agrarie Dottore Agronomo iscritto all'Ordine di Lecce - Esperto in diagnostica urbana e territoriale e studente all'Università del Salento del Corso di laurea in Viticultura ed Enologia
lunedì 2 luglio 2012
Dieta Mediterranea culla di civiltà
Dieta Mediterranea culla di civiltà
Le radici della dieta mediterranea sono la culla della civiltà
Ogni paese ha sviluppato, in rapporto alla propria cultura e al proprio territorio, delle abitudini alimentari che lo contraddistinguono. Parlando dei paesi europei, le abitudini alimentari possono essere essenzialmente ricondotte a due modelli storici. Il primo modello, che si diffuse in tutti i paesi del bacino del mediterraneo, vede un’organizzazione sociale tipicamente sedentaria, cioè le popolazioni avevano insediamenti stabili in quanto si dedicavano all’agricoltura, ed in particolare alla coltivazione del grano insieme alla arboricoltura, rappresentata dalla vite e dall’uva. Capite che il nostro antenato agricoltore ha sviluppato un modo di vivere stabile in un territorio, la coltivazione dei campi e la cura dell’ulivo e della vita è resa possibile solo da chi stabilmente cura il territorio nel quale vive. È intuitivo capire come in queste popolazioni il ruolo primario dell’alimentazione è rappresentato dal grano insieme alle olive (e quindi l’olio di oliva) ed all’uva (e quindi al vino). La cultura alimentare, le abitudini a tavole di queste popolazioni era il frutto proprio di quel modello produttivo: coltivavano il grano ed il grano diventa l’alimento primario, così come l’ulivo e quindi l’olio, che dalla premitura delle olive si ricava, è la fonte dei grassi; ed il vino frutto della coltivazione della vite. Se esiste un simbolo per identificare questa cultura alimentare, questo è la triade grano-olio-vino. Questi tre alimenti caratteristici erano integrati non tanto dalla carne e dal pesce quanto dai formaggi ovini e caprini per la magra pastorizia, soprattutto di pecore e capre, che affiancava l’agricoltura. Ed è in questo contesto di organizzazione della società (sedentaria-agricola) che si è sviluppata la grande civiltà classica greco-romanica.
Il secondo modello è quello della civiltà barbarica, celtica e germanica, che si è sviluppato questa volta nel cuore dell’Europa, nella parte continentale. Queste popolazioni avevano un sistema di vita seminomade e la loro economia era basata sullo sfruttamento degli spazi incolti e dei boschi dove praticavano la caccia, la raccolta dei frutti spontanei e l’allevamento del bestiame allo stato brado, principalmente i maiali. Coltivavano anche loro qualcosa, ma l’agricoltura era del tutto marginale: la coltura dei cereali era essenzialmente destinata alla produzione della birra, non certo ai farinacei per l’alimentazione. Oddio, qualcosa la coltivavano, ma erano produzioni orticole, piccoli orti a fianco degli accampamenti; del resto spostandosi di frequente non pensavano certo ad arare un grande campo, a seminarlo e aspettare il raccolto!
Ecco i nostri avi: i contadini del bacino del Mediterraneo, che diedero vita alle grandi civiltà, e i barbari cacciatori e mangiatori di carne.
Ora queste due culture inevitabilmente finirono con lo scontarsi-incontrarsi: lo sconto in quanto ciascuna cercò di imporsi sull’altra; l’incontro in quanto finirono col fondersi, arricchendosi l’una con l’altra. Il pane, il vino e l’olio, la triade distintiva dell’alimentazione mediterranea, si diffusero in tutta l’Europa grazie ai monasteri e alle chiese: nel simbolismo e nella ritualità cristiana il pane, l’olio ed il vino erano considerati liturgicamente indispensabili. È nel cuore dell’Europa il loro uso non restò confinato solo nella liturgia, ma entro a far parte delle abitudini alimentari. Dai barbari i mediterranei mutuarono l’attenzione agli spazi incolti (boschi, pascoli) assai presenti soprattutto al sud, che furono utilizzati come luoghi di allevamento, di caccia e di raccolto. Ed ecco che la carne ed il pesce fanno la loro entrata nei mediterranei. Ma sentite cosa succede ai cereali. Durante l’impero romano, si sviluppò un sistema di comunicazione attraverso i porti: la Puglia, la Sicilia, l’Egitto diventarono gli esportatori in tutto l’impero del grano. Quando l’impero cadde, e con esso i porti e il commercio che questi garantivano, mentre nelle popolazione del sud continuò a radicarsi la cultura del grano e dei farinacei, nei paesi più lontani necessariamente si sviluppò una coltivazione di granaglie minori e di scarsa qualità: ed ecco il farro in Toscana, il mais in Emilia, il camut, ecc. e quindi il ruolo del pane si ridimensionò a vantaggio delle polente e delle zuppe e, soprattutto nella pianura padana e nella longobarda Emilia, furono adottati modelli di alimentazione barbarici a base di cereali di basso profilo e di carne soprattutto maiale (grassi animali). I nostri contadini invece rimasero legati alle tradizioni e furono meno recettivi continuando a produrre ed a consumare grano, vino ed ha condire solamente ed esclusivamente con l’olio di oliva, mangiando poca carne e formaggi (quindi pochissimi grassi animali e molto olio di oliva).
Tutto qui: le radici della dieta mediterranea sono la culla della civiltà e i ceti più poveri, i contadini del sud di Roma con la loro testardaggine ad opporsi ai modelli alimentari barbarici, mantennero viva la tradizione del pane di grano, dell’olio di oliva, del vino, dei legumi, dell’orzo. È così vivono più a lungo, più a lungo soprattutto senza malattie. Teniamocela cara questa tradizione: la scienza ci dimostra che tesoro che è!
Agostino Grassi
Segretario Fondazione Dieta Mediterranea
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