La parola
ecologia è oggi sulla bocca di tutti. Nei più svariati contesti questo termine
viene usato ora per rappresentare una visione romantica di un modo di vivere
più vicino alla natura, ora per fare catastrofiche previsioni sulle conseguenze
delle varie attività dell'uomo. L'agricoltura è sul banco degli imputati. Ma è
possibile lo sviluppo senza un'agricoltura adeguata? Nelle prossime pagine
verranno lanciate alcune proposte, a cominciare dalla necessità di una
conoscenza scientifica del problema.
In qualunque
luogo della Terra, a parte poche eccezioni, le piante costituiscono una
componente immancabile del paesaggio molto più evidente e percepibile di
qualsiasi presenza animale. Perché tutto ciò? Qual è la funzione che le piante
svolgono nell'ambiente?
Per
rispondere a queste due semplici domande si può eseguire uno studio d'ambiente
in un luogo facilmente accessibile, nel quale si possa far ritorno anche in
periodi diversi dell'anno per poter raccogliere dati relativi alle stagioni
successive.
Ecosisterna
Generalizzando
i dati raccolti durante uno studio d'ambiente si evidenzia che in un determinato
luogo è sempre presente una varietà di comunità animali e vegetali, definite
nell'insieme biocenosi; l'habitat di queste biocenosi è di solito indicato col
termine biotopo.
L'insieme di
una biocenosi e del relativo biotopo costituisce un ecosistema, termine
introdotto per evidenziare l'interazione che si viene ad instaurare tra un
ambiente fisico e le forme viventi che lo popolano.
Si definiscono
elementi abiotici di un ecosistema tutti quei fattori che dipendono dall’ambiente
fisico quali il clima, la diponibilità idrica, la composizione del suolo, la
quantità di energia solare ricevuta e così via.
Sono invece
elementi biotici tutte le diverse forme viventi che popolano un determinato ambiente
il comportamento che esse assumono e le modificazioni che realizzano per
sopravvivere.
Catene e
reti alimentari
Analizzando
un ecosistema, il primo aspetto che ci colpisce è il fitto intreccio di
rapporti esistenti fra le varie componenti, e soprattutto fra gli esseri
viventi che lo popolano.
Osservando le comunità animali si nota che ogni essere
per procurarsi il cibo indispensabile per vivere, dipende da un altro vivente
sia esso animale o vegetale; proprio per questo fatto che gli animali sono
definiti erotrofi (che si nutrono di
altri viventi). Tale termine viene esteso anche a tutte quelle forme viventi
incapaci di organicare autonomamente gli elementi minerali. Gli animali vengono
poi suddivisi in base alla propria fonte di cibo; alcuni si nutrono di altri
animali e sono detti carnivori altri si
nutrono di organismi vegetali, e sono
erbivori, ed infine ne esistono alcuni ad alimentazione mista (onnivori)
come la specie umana.
Lo studio
delle relazioni trofiche permette di evidenziare che ogni animale si nutre di
un altro vivente, e a sua volta sarà il nutrimento di un terzo; un erbivoro
viene mangiato da un carnivoro, mangiato a sua volta da un altro carnivoro,
definito in genere predatore. L'insieme degli organismi collegati fra loro in
questo modo viene definito catena alimentare poiché ognuno di essi è
paragonabile ad un anello di una catena, legato cioè strettamente sia
all'anello che lo precede che a quello che lo segue.
In qualunque
catena alimentare si può notare come il primo anello sia sempre costituito da
una pianta, che viene mangiata da un erbivoro, a sua volta nutrimento di un
carnivoro, e così via fino all'ultimo anello.
Proprio per
questo motivo le piante vengono definite produttori; esse infatti, mediante la
fotosintesi, riescono a trasformare acqua ed anidride carbonica in glucosio,
una sostanza nutritiva che poi esse stesse utilizzano per il loro metabolismo..
Per la stessa ragione le piante vengono definite anche organismi autotrofi (che
fabbricano da soli il proprio nutrimento ).
Gli anima i
vengono detti consumatori in quanto si nutrono della sostanza organica già prodotta dagli altri
organismio. E si limitano quindi a trasformarla.
Tra i
consumatori si possono distinguere: consumatori primari, rappresentati dagli
erbivori, consumatori secondari, rappresentati dai carnivori, e così via, fino
a giungere all'ultimo anello della catena. Studiando attentamente una catena
alimentare non si può fare a meno di notare che un singolo individuo può
nutrirsi di più organismi diversi, e può essere cibo per più di un predatore.
Ciò porta a concludere che in uno stesso ecosistema esistono più catene
alimentari porta alla formazione della cosiddetta rete alimentare. Entro una
catena alimentare è presente un continuo trasferimento di materia organica da
un anello a quello successivo fino all'ultimo consumatore, il cui corpo, dopo
la morte, fungerà da nutrimento per una fitta rete di microrganismi, definiti
decompositori. Questi ultimi hanno l'importante compito di trasformare la
materia organica in materia inorganica, restituendo in tal modo all'ambiente
fisico le sostanze che i produttori avevano sottratto. Grazie all'importante
ruolo svolto dai decompositori la materia compie un ciclo continuo entro gli
ecosistemi (ciclo della materia).
Piramide
alimentare
Le catene e
le reti alimentari danno solo un'idea qualitativa del tipo dei rapporti trofici
presenti in un ecosistema; per poter eseguire anche un'analisi quantitativa si
devono definire due nuovi termini: biomassa, cioè la quantità di materia
organica presente in un dato livello trofico, e produttività, cioè la velocità,
riferita all'unità di superficie (ettaro, m.q.), con cui la biomassa viene
prodotta. Esistono vari tipi di produttività, ognuno riferito ad un determinato
livello trofico, come per es. la produttività primaria e la produttività
secondaria. Se si va a riportare su un grafico la biomassa o la produttività di
ciascun anello della catena alimentare, si ottiene la piramide alimentare, strumento
utile per evidenziare come, passando da un livello trofico ad un altro, gran
parte della biomassa (circa il 90% in media) venga perduta. Ciò dipende dal
fatto che un organismo trae dal cibo di cui si nutre non solo i materiali per
costruire e mantenere funzionale il proprio corpo, ma anche l'energia
necessaria al proprio metabolismo. In altre parole ogni organismo trasforma
buona parte della biomassa in energia; l'energia una volta prodotta non può più
essere riciclata ma solo dispersa, sotto forma di calore o di lavoro, in perfetta
sintonia con le leggi della termodinamica.
Il processo
attraverso il quale avviene tale trasformazione è la respirazione cellulare,
che utilizza come materiale di partenza proprio il prodotto finale della
fotosintesi, il glucosio, e lo trasforma in sostanze inorganiche, quali acqua
ed anidride carbonica, liberando energia. Si può notare, quindi, che in una
catena alimentare l'energia presente nella biomassa si riduce drasticamente via
via che si passa da un livello trofico a quello successivo; proprio per questo
motivo non si può parlare di ciclo bensì solamente di flusso dell'energia.
Ancora una
volta sono le piante gli unici organismi in grado di rifornire continuamente di
energia gli ecosistemi, e ciò è possibile solo grazie al processo di
fotosintesi clorofilliana, attraverso il quale l'energia luminosa di
provenienza solare viene trasformata in energia chimica. Una volta eseguita
questa trasformazione, l'energia risulta disponibile per qualunque tipo di
organismo: in primo luogo per le piante stesse, che la utilizzano per le
esigenze del proprio metabolismo, in secondo luogo per gli erbivori, che si nutrono
dell'energia che le piante conservano sotto forma di strutture cellulari,
successivamente per i carnivori, che si nutrono degli erbivori, e così via.
L'uomo non è
escluso da questi meccanismi, anzi, in quanto onnivoro, è al vertice di ogni
piramide.
Uomo e
agricoltura
Fin dalla
sua comparsa sulla Terra, l'uomo è entrato in un rapporto del tutto peculiare
con l'ambiente. Finché le attività umane furono limitate alla caccia e alla
raccolta dei frutti selvatici, in un contesto di esistenza nomade, al seguito
delle migrazioni dei grossi mammiferi, la presenza dell'uomo non interferì nei
delicati equilibri dell'ambiente. Le cose cambiarono in modo determinante
quando egli scoprì che, ponendo nel terreno alcuni semi, poteva riprodurre quel
ciclo naturale che vedeva ripetersi di anno in anno. Da quel momento
nell'ambiente furono provocati cambiamenti di immensa portata, quasi più grandi
di tutti i naturali sconvolgimenti climatici e geologici che per quattro
miliardi di anni si erano ripetutamente abbattuti sulla Terra.
I luoghi di
origine dell'agricoltura vanno individuati in aree geografiche fra loro molto
distanti, nel cosiddetto Medio Oriente e probabilmente in Asia centrale e in
Centroamerica. Non a caso per moltissimo tempo, prima dell'avvento dei commerci
su vasta scala e dei relativi traffici, il principale alimento energetico a
base glucidica fu sempre un cereale: il frumento in Europa, Nord Africa, Asia
occidentale; il riso in Asia; il mais in America; il sorgo e il miglio in molte
zone dell'Africa. Si potrebbe, in altri termini, parlare di civiltà del
frumento, del riso, del mais, tanto è stata l'importanza di queste colture per
lo sviluppo delle società umane, pur tra loro diverse e lontane.
Per quanto
concerne la nostra civiltà "occidentale", le prime tracce di
agricoltura sono state trovate in Medio Oriente, nella cosiddetta Mezzaluna
fertile, ove tuttora crescono spontaneamente orzo e frumento selvatici. Fra i
resti archeologici di alcuni villaggi sono stati rinvenuti semi tostati, che
hanno evidenziato come l'uomo fosse in grado di sfruttare le piantagioni e
conservare deliberatamente il raccolto. Le prime specie di cereali coltivate
furono due frumenti, il Triticum monococcum e il Triticum dicoccum, e l'orzo,
Hordeum vulgare disticum .
La
sostituzione dell'economia di caccia con una di tipo agricolo non avvenne
improvvisamente, ma in modo progressivo, fra il IX e il V millennio a.C.. Con
la fine delle glaciazioni i cambiamenti climatici trasformarono, anche se
lentamente, i territori dove vivevano le antiche popolazioni: le fredde steppe
divennero foreste ricche di vegetazione, non più in grado di ospitare i grossi
mammiferi migratori, al seguito dei quali si era svolta fino a quel momento
l'esistenza umana, mentre con buona probabilità la stessa "mezzaluna
fertile" divenne siccitosa e poco produttiva. Un altro aspetto va
individuato nella crescita della popolazione umana che era divenuta tale da
alterare l'equilibrio tra il numero degli individui e la possibilità di
alimentazione attraverso la raccolta di vegetali selvatici.
Gli antichi
cacciatori impararono a diffondere i semi delle piante selvatiche di cui si
erano nutriti e a selezionare quelli che erano in grado di dare origine a
piante più rigogliose o resistenti. In questo modo privilegiarono lo sviluppo
delle prime varietà, utilizzando anche le mutazioni che di tanto in tanto
apparivano, come processo naturale, fra i ceppi selvatici. E' noto, ad esempio,
che la specie coltivata Triticum monococcum, a spiga dura e indeiscente e
quindi trasportabile a distanza senza che se ne perdano i semi, è derivata
dalla specie spontanea Triticum boeoticum, che presenta spiga tenera e
spighette facilmente deiscenti.
Si stabilì
così un nuovo rapporto, più attivo, con la natura. La monotonia del lavoro, che
costrinse ad una attività confinata in luoghi ben definiti e stabili nel tempo
e ad una occupazione sedentaria, diede il via alla nascita di società basate
sulla distribuzione dei compiti e sul rafforzamento dei nuclei familiari.
Ricercando
una sempre maggiore produzione agricola furono apportate notevoli modifiche
all'ambiente, come il disboscamento, la rimozione del terreno per l'irrigazione
e il drenaggio, la manutenzione e la reintegrazione delle sostanze nutritive del
terreno. Tali modifiche ambientali richiedevano capacità progettuale e di
proiezione nel tempo futuro. Così il pensiero dell'uomo, legato alla terra e al
villaggio, acquistò astrazione; l'individuo prese sempre più coscienza di sè e
di ciò che lo circondava, rendendosi sempre più artefice del cambiamento della natura.
La maggior disponibilità di cibo ebbe come conseguenza immediata e diretta un
aumento della popolazione, una progressiva limitazione degli ambienti naturali,
la nascita dei villaggi stabili e poi delle città. Oggi, uno dei problemi
maggiori con cui deve fare i conti l'umanità, è quello della sovrappopolazione
e dello stato di fame e denutrizione in cui si dibatte più di un terzo di essa.
All'agricoltura di sussistenza, che fornisce materie di prima necessità, si è
sostituita un'agricoltura commerciale. La ricerca di maggior produzione ha
privilegiato la tecnica della monocoltura, mediante la quale notevoli
estensioni di terreno sono coltivate per ottenere un solo tipo di raccolto. Ciò
facilita lo sviluppo di una tecnologia avanzata, che ricorre ad una maggiore meccanizzazione
ed all'uso di prodotti chimici artificiali per la fertilizzazione e la lotta contro
infestanti e parassiti. Il rapido incremento attuale della popolazione
mondiale, rende le richieste alimentari sempre più pressanti. Nasce l'esigenza
di una produzione agricola ancor più estesa, più intensiva ed industriale, ma
essa, a sua volta, pone non pochi problemi, primo fra tutti quello della tutela
dell' ambiente naturale, che rischia di essere completamente alterato dagli
ecosistemi artificiali creati dall'uomo.
L'agroecosistema
Accanto agli
ecosistemi naturali esistono anche ecosistemi artificiali, creati dall'uomo per
far fronte alle proprie necessità alimentari, di studio e di svago: ne sono un
esempio i campi coltivati, le serre, gli orti botanici, i giardini, i parchi,
ed anche le città stesse. In termini ecologici il campo coltivato viene
definito agroecosistema ager, e rispetto ai corrispondenti ecosistemi naturali
si mostra estremamente semplificato. Risulta chiaro, infatti, come la ricca
fitobiocenosi naturale venga sostituita da un'unica specie, scelta in base a
motivi di carattere economico e produttivo, tanto che le poche piante naturali
che riescono a sopravvivere nell' ager sono considerate infestanti, e quindi
combattute e distrutte attraverso il diserbo. Anche le biocenosi animali
risentono di questa semplificazione, pur se in maniera molto meno evidente. In
una agricoltura che privilegia poche specie, o addirittura una sola (monocoltura),
pochi Insetti vegetariani Fitofagi)prendono ben presto il sopravvento su
qualunque altra presenza animale compresi i loro predatori naturali, divenendo
in breve tempo numerosissimi. Gli operatori agricoli sono, così, costretti a
proteggere la produzione ricorrendo a sostanze tossiche, che distruggono anche
gli Insetti utili: la biocenosi risulta sempre più semplificata e la produzione
agricola sempre più esposta ad attacchi di fitofagi sopravvissuti ed
ulteriormente resistenti. Si verifica una tipica selezione artificiale o
chimica, operata dagli stessi prodotti usati per sterminare i fitofagi.
In questa
situazione le catene e le reti alimentari vengono enormemente ridotte e
limitate a pochi anelli, poiché diminuisce il numero di carnivori e predatori,
gli unici in grado di controllare il proliferare eccessivo dei fitofagi. Questi
dovranno perciò essere ancora combattuti per mezzo di un ulteriore ricorso ai
pesticidi.
Nell'ager
anche il ciclo della materia subisce una netta modificazione, in quanto solo
una parte minima della biomassa vegetale ritorna all'ambiente attraverso la
catena dei decompositori; infatti la maggior parte della produzione primaria
viene prelevata dall'agricoltore ed utilizzata per i fabbisogni umani, spesso
in luoghi a volte molto distanti dalla zona di produzione. In questa realtà
sarebbe meglio parlare non di ciclo, bensì di flusso della materia, dato che, a
lungo andare, il continuo prelievo di biomassa determina un impoverimento
dell'ambiente stesso. Il continuo sfruttamento dell'ager deve quindi essere
compensato artificialmente mediante apporti di sostanze minerali ed organiche
di sintesi, i concimi.
Uno degli
inconvenienti maggiori dell'ager consiste nel fatto che l'uomo per mantenere
una elevata produttività deve continuamente intervenire, modificando e a volte
sovvertendo la naturale evoluzione dell'ambiente stesso. Il concetto di
evoluzione è importantissimo per l'ambiente, in quanto ogni biocenosi tende ad
adattarsi alle condizioni che via via si instaurano in un territorio in modo da
giungere ad un reciproco equilibrio. In un agroecosistema, invece le condizioni
devono essere sempre mantenute costanti, ricorrendo a volte anche a pratiche colturali
che possono danneggiare l'ambiente stesso, come una eccessiva irrigazione, con
conseguente dilavamento del terreno, oppure una concimazione massiccia, e così
via. In queste condizioni, per cause artificiali, le piante perdono la loro
naturale capacità di adeguarsi alle disponibilità dell'ambiente e diventano
sempre più dipendenti dall'uomo; si giunge, così, al caso limite di cultivar
incapaci di disseminazione autonoma, come accade ad esempio, per il mais o per
certe varietà di frumento.
Un'agricoltura
più equilibrata
L'
agroecosistema, pur presentando caratteristiche generali proprie degli
ecosistemi naturali, se ne differenzia per alcuni importanti aspetti. Tutto ciò
permette una buona produttività, ma al tempo stesso costi ambientali ed
indiretti piuttosto elevati: l'inquinamento delle falde, la rarefazione degli
organismi utili, la dispersione nelle catene alimentari di sostanze chimiche
pericolose, la contaminazione degli stessi prodotti ortofrutticoli,
rappresentano solo alcuni tra i più macroscopici aspetti di una tale situazione.
Per ovviare a questi inconvenienti, o per lo meno per ridurli al più basso
livello di impatto ambientale, l'agricoltura dovrebbe essere:
Polifunzionale,
producendo beni alimentari, ma al tempo stesso realizzando una sostanziale
protezione dell'ambiente. Non si dimentichi, infatti, che in molte zone
fortemente antropizzate gli agroecosistemi risultano gli unici ecosistemi
presenti.
Risparmiatrice,
limitando al minimo essenziale il flusso di energia fossile costosa
inquinante presente in quantità limitata
favorendo invece l'energia solare che non costa nulla, non inquina e durerà
fino alla morte del sistema solare.
Sana, cioè
capace di dare prodotti naturali non solo privi di residui di antiparassitari o
altre sostanze estranee, ma dotati di un particolare equilibrio fra le sostanze
nutritive, con particolare riferimento ad elementi minerali e vitamine. Volendo
riunire in una sola parola questi concetti si parla di un'agricoltura
equilibrata.
Per attuare
una conversione dall'agricoltura tradizionale degli ultimi decenni ad un nuovo
modo di produrre che assecondi i cicli energetici naturali sono state
intraprese strade diverse.
Un primo
approccio al problema nacque negli anni '70 con il nome di lotta guidata, poi
evolutosi in difesa integrata, mentre negli ultimi anni ci si sta indirizzando
verso una produzione integrata. Questo progetto, essenzialmente basato sulla
razionalizzazione degli interventi antiparassitari, è stato in seguito
allargato ad altri aspetti agronomici, quali concimazioni, scelta di varietà
più resistenti, ricorso a lotta biologica (cioè ad Insetti ed Acari utili) e
microbiologica (batteri entomoparassiti). Questa strategia diffusa
essenzialmente nelle zone ortofrutticole più fertili, particolarmente in vaste
aree del Trentino-Alto Adige e dell'Emilia-Romagna, ha permesso una diminuzione
sensibile dei trattamenti, producendo frutta e verdura certificata e garantita.
Una seconda strada, percorsa in una direzione di maggiore rispetto ambientale,
anche se molto minoritaria rispetto alla precedente, è rappresentata
dall'agricoltura biologica, con numerose varianti e scuole di pensiero
(organici, biodinamici ...); essa viene detta anche compatibile o sostenibile,
con riferimento all'integrità dell'ecosistema. In questo caso l'approccio al
problema appare diverso: qui non si modifica lentamente e gradualmente il sistema
produttivo tradizionale, ma si determina una conversione rapida eliminando da
subito pratiche e prodotti ritenuti incompatibili con la salubrità dell' ager.
Principi dell'agricoltura biologica sono l'eliminazione di fertilizzanti di
sintesi, che vengono sostituiti con quelli naturali, meglio se di origine
animale, l'esclusione di antiparassitari chimici, fatta eccezione per quelli
minerali a base di zolfo e rame, e l'eliminazione degli erbicidi, sostituiti
con diserbo meccanico o pirodiserbo.
Altre
pratiche importanti riguardano la reintroduzione dell'allevamento di animali,
con ripristino del secondo livello della catena trofica, la consociazione, per
meglio sfruttare l'energia solare e trarre beneficio dai rapporti favorevoli
tra diverse specie, la riduzione delle lavorazioni del suolo, per favorire la
naturale formazione di un orizzonte organico naturale o lettiera.
In tale tipo
di agricoltura viene inoltre praticato l'inerbimento, per ridurre l'erosione
superficiale, e si limitano gli interventi solo a quelli di soccorso. Vengono
inoltre favoriti sia gli organismi superiori che gli Artropodi utili (Insetti
ed Acari), predisponendo all'interno dell'azienda agraria alcune aree di
rifugio e di riproduzione per questi organismi, quali boschetti e siepi, i quali
esplicano inoltre un'importante funzione frangivento e di protezione nei
confronti di sostanze inquinanti.
Entrambe le
strade accennate, pur partendo da concezioni e necessità diverse, rappresentano
importanti risultati produttivi, che riscoprono "l'agricoltura di un
tempo" alla luce delle moderne tecnologie e di un nuovo equilibrio con la
natura.
Analizzando
la struttura di un ecosistema si è evidenziato come gli organismi dipendono per
la loro sopravvivenza da un continuo rifornimento di materia organica e di
energia. Le piante sono gli unici viventi in grado di rifornire gli ecosistemi
di entrambe, e quindi svolgono un ruolo essenziale ed insostituibile. Ogni
essere vivente dunque dipende dalle piante, sia direttamente, come gli erbivori,
che indirettamente, come i carnivori. Anche l'uomo, nella sua qualità di
organismo onnivoro, non può sottrarsi a questa dipendenza, per cui lo studio
della Botanica è indispensabile in un periodo in cui la gestione dell'ambiente
sta diventando ,una questione di sopravvivenza, non solo delle varie specie animali
e vegetali in via di estinzione, ma di noi stessi e delle nostre società
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