domenica 23 gennaio 2011

La risposta del Dott. Alfonso Pascale e la mia replica

Carissimo Dott. Pascale,

le elezioni dei Consorzi di Bonifica si svolgevano con voti diseguali ispirati ad un Principio feudale che in sintesi consentiva ai grossi proprietari di esprimere un voto pesante che valeva sino a quaranta volte di più rispetto al voto del proprietario di un ettaro di terreno.

Tutte le Regioni hanno superato questo arcaico sistema ma è necessario che si faccia un passo avanti. Nella Regione Puglia è affidata ai consorzi la gestione dei Reflui Urbani depurati che, come noto, rappresentano un grosso problema ambientale. E’ del tutto evidente che manca solo di affidare ai Consorzi la gestione e distribuzione dell’acqua potabile e la Sua proposta potrebbe spingere la politica verso questa soluzione.

La Sua proposta della gestione partecipata e democratica dei fruitori finali dell’acqua sarebbe certamente la soluzione definitiva alla partecipazione alle elezioni consortili poiché sulla gestione dell’acqua potabile si confronterebbero i cittadini contribuenti su proposte alternative di gestione. E siccome queste proposte alternative si tradurrebbero in soldi da pagare come canone dell’acquedotto i cittadini sarebbero seriamente motivati a candidarsi alla rappresentanza dei consorzi e a votare nelle elezioni consortili.

Penso che tale decisione porterebbe a non creare nuovi organismi ma la gestione dei commons sarebbe affidata ai Consorzi formati dagli stessi beneficiari del servizio associato alla fruizione del bene. Io penso che nella Regione Puglia ci siano le condizioni per fare questo anche perché proprio in questi giorni si sta discutendo la nuova proposta di Legge sui Consorzi e nello stesso tempo della pubblicizzazione dell’acqua potabile.

Cari saluti

antonio bruno



Risposta del Dott. Alfonso Pascale http://www.alfonsopascale.it/ alla mia proposta per avere come unico gestore dell’acqua il Consorzio di Bonifica



Caro Dott. Bruno, il consorzio di bonifica sarebbe un’ottima soluzione se si andasse finalmente ad una sua radicale riforma, abolendo la Legge Serpieri del 1933.



Le origini della bonifica risalgono agli Etruschi, che furono i primi ad esegui...re queste opere nella valle Padana nei secoli VI e V a.C. più tardi completate dai Romani. Inizialmente il potere pubblico non è intervenuto nelle attività di bonifica perché considerata semplice interesse privato. I consorzi tra proprietari per l’esecuzione di opere di bonifica hanno una tradizione molto antica nell’Italia centro-settentrionale. Fin dal XII secolo sorsero, infatti, aggregazioni aventi scopo di miglioramento e di difesa contro l’impaludamento e le invasioni di acque. Da queste unioni di proprietari nacquero i primi consorzi, i quali trovarono una propria disciplina negli statuti di varie città medievali.



Nel Mezzogiorno fu Carlo Afan de Rivera, direttore generale di Corpo di Ponti e Strade, Acque, Foreste e Caccia del Regno delle Due Sicilie a predisporre, per conto dello stato, importanti opere di bonifica idraulica e il piano irriguo del Tavoliere delle Puglie. Interventi importanti ma sganciati da un effettivo coinvolgimento dei proprietari attraverso forme consortili.



Bisognerà attendere la Legge Baccarini del 1882 per favorire la nascita di numerosi consorzi d’irrigazione a carattere privato e il riconoscimento di un interesse generale nel settore delle acque.



Ma è con la Legge Serpieri del 1933 che si pongono solide basi all’attuale modello della bonifica. Un modello unico che ha dato ottimi risultati per un lungo periodo, ma che da qualche decennio si rivela inefficace perché calato dall’alto e non sentito come proprio dagli utenti; un modello che impedisce di coniugare autogoverno ed efficienza a danno dei consorziati e di applicare correttamente il principio di sussidiarietà a favore di organismi della società civile che effettivamente si autodeterminano e intendono autodeterminarsi.



Proprio l’esperienza dei consorzi di bonifica nell’Italia meridionale (e non solo!) ci dice che laddove si caricano di funzioni pubbliche enti pubblici economici di autogoverno che però non nascono da effettive forme partecipative (vedi la limitata partecipazione alle elezioni consortili), tali enti tendono a consolidare gli stessi vizi delle gestioni pubbliche.



Non saprei scegliere tra i profitti dei privati sulla pelle dei cittadini utenti e le gestioni clientelari che tutelano interessi particolaristici, come scrive il mio amico Salvatore. Da qui il mio richiamo alla forma cooperativa e a regole che rendano effettivo l’autogoverno delle comunità locali.

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