venerdì 8 gennaio 2010

Nell'antica Roma le origini della dieta mediterranea


Nell'antica Roma le origini della dieta mediterranea
Anche parlando di dieta mediterranea scopriamo che… in realtà non abbiamo scoperto nulla! Eppure non dovremmo sorprenderci troppo se pensiamo all’area interessata, il Mediterraneo, e alle sue risorse naturali. I nutrizionisti oggi propongono quello che era la norma per la tavola di un antico romano; certo, allora non c’erano pesticidi, alterazioni chimiche, conservanti, e la genuinità del cibo era garanzia usuale. Dai cereali integrali alla verdura, ai legumi e alle uova, alla carne usata con moderazione, così come il latte e i suoi derivati, avremmo trovato il commensale romano, disteso sul triclinio o seduto su un semplice sgabello, nutrirsi in maniera sana ed equilibrata. Vantaggi e benefici: per la salute e per la linea Certamente i vantaggi della dieta mediterranea li conosciamo un po’ tutti, per la salute e per la linea; la dieta “romana”, chiamiamola così, inserita in un ritmo di vita lento, con il rito della cura del corpo alle terme (erano in molti a mangiare dopo il bagno) e un’aria meno inquinata, aveva benefici effetti; gli studiosi possono concludere che i problemi legati a cattiva alimentazione avevano un peso irrilevante. “La vera dieta mediterranea - spiega la dott.ssa Chiara Trombetti, dietista di Humanitas Gavazzeni - si basa sull’utilizzo di prodotti naturali, genuini, semplici, che derivano da una cucina povera; sono prodotti di stagione, che vengono consumati solo nel momento in cui viene esaltato il loro valore alimentare ed organolettico, dando origine ad uno stile di alimentazione gratificante per il palato ed allo stesso tempo nutrizionalmente equilibrato. Ulteriore pregio di questi alimenti è che, grazie alla loro facile combinazione, sono adatti a formare piatti unici, capaci cioè di fornire da soli l’apporto nutritivo del ‘primo’ e del ‘secondo’, sostituendoli egregiamente in un’unica portata: pasta e fagioli, spezzatino con patate e pizza sono solo alcuni degli esempi possibili. Se a questi piatti si fa seguire una porzione di verdura fresca e di frutta, si può realizzare un pasto completo ed equilibrato. Spesso alcuni alimenti, tipicamente mediterranei, come il pane e la pasta, vengono accusati di fare ingrassare ma, come in tutte le cose, bisogna usare il buon senso e non esagerare con le quantità. Se si impara a mangiare nel modo giusto, dando più spazio a frutta, verdura, cereali e pesce, riducendo i grassi di origine animale, i vantaggi non sono pochi. La dieta mediterranea, infatti, è fondamentale per la salute del cuore perché apporta grassi insaturi che aiutano a tenere sotto controllo il livello di colesterolo nel sangue. Le fibre di cui è ricca questa alimentazione permettono inoltre di ritardare l’assorbimento degli zuccheri, migliorando la salute di chi soffre di diabete. La dieta mediterranea consente poi di ridurre il rischio obesità, perché sazia apportando meno calorie e meno grassi rispetto ad altri tipi di alimentazione. Infine la frutta e la verdura contengono sostanze antiossidanti in grado di proteggere dai tumori del colon, del seno. E il tutto accompagnato da un gusto decisamente piacevole, che soddisfa anche i palati più esigenti”. Oggi come ieri, o quasi… Questa dieta, gustosa e sana, come dicevamo risale ai tempi dell’antica Roma. Certo, facendo un passo indietro nel tempo bisogna distinguere tra i banchetti dei ricchi e il più modesto desco del cittadino comune; tre i pasti principali per rifocillarsi in un mondo che aveva raggiunto benessere, stabilità e poteva permettersi di offrire una media di vita alta. La prima colazione (ientaculum) non era il nostro ‘cappuccio e brioches’, ma un salutare concentrato di energia: miele, frutta fresca, secca, formaggio e pane. Sul mezzogiorno il prandium, veloce spuntino con focacce, legumi o ancora frutta e poi la coena, nel tardo pomeriggio che per i ricchi andava dall’antipasto a diverse portate, seguite da dolce e frutta. Si potrebbe rileggere del Satyricon di Petronio la famosa cena di Trimalcione, passata alla storia e… certamente poco dietetica! Non bisogna dimenticare che la zona dell’Italia centrale era naturalmente favorita da molte specie vegetali; la fertilità del terreno rendeva possibile un’agricoltura che dava ampio ventaglio di scelta, integrata nel XVI secolo da altre colture che oggi ci sono familiari, ma che hanno rivoluzionato la cucina: parliamo della patata, del pomodoro, del mais. L’uso di cavoli, rape, bietole e cipolle, dell’insalata consumata unendo più varietà in mazzetti già pronti e di erbe selvatiche si sposava con la presenza costante dei cereali. La riscoperta zuppa di farro, che noi oggi compriamo surgelata come fosse una prelibatezza, era un piatto comunissimo, insieme alla zuppa d’orzo e al miglio, antenato della polenta che si ricavava cuocendolo nel latte. Per tutti, l’uso di fave, lupini, lenticchie e ceci era fonte di energia e nutrimento, mentre noi oggi facciamo fatica a metterli sulle nostre tavole e preferiamo ‘i piatti pronti’. E la carne? Se oggi una bella bistecca con insalata è ‘il massimo’, per i nostri romani non era così; mucche e buoi, erano soprattutto forza lavoro ed erano utilizzati fino a quando potevano rendere. Macellati quando non erano più animali giovani, la loro carne dura era bollita e in seguito arrostita e insaporita con erbe aromatiche. Certo, durante le feste dedicate agli dei, l’abbondante sacrificio di animali consentiva un impiego molto maggiore di carne, distribuita ai cittadini dopo le celebrazioni; inoltre, chi poteva, con la caccia o perché abitava in campagna, ne consumava di più, anche se non era disdegnato il pesce; infatti il Tevere era pescoso e, con il pesce di mare, forniva abbondante cibo a tutti. Riguardo al pane: c’è chi consiglia di evitarlo o di adoperarlo in minime quantità e meno elaborato possibile e chi lo inserisce nella dieta come indispensabile apporto; per i romani era cibo da poveri, da uomini di fatica che ne adoperavano in grande quantità con il companatico. Se poi parliamo di olio e vino, scopriamo che l’olio non era usato per cucinare perché il lardo di maiale era il principale condimento; aveva piuttosto grande applicazione nella cosmesi e alimentava le lampade votive. Il vino forse non sarebbe stato di nostro gusto: come oggi si prende il caffè ‘corretto’, così il vino veniva ‘corretto’ con spezie, miele, altri aromi e per di più diluito con acqua, fredda d’estate e calda d’inverno. Piccola curiosità: si temeva che il suo uso potesse avere influsso negativo sulle nascite ed era vietato berne fino ai 35 anni. Non dobbiamo tuttavia pensare che i romani fossero accaniti salutisti; un capitolo a sé lo meriterebbe il garum, il condimento per eccellenza suggerito da Apicio* per salare le portate e l’elaborata cucina dei patrizi. La cucina degli ‘antichi romani’ può essere replicata anche oggi, sono ricette semplici e divertenti. Bando a frullatori e tritatutto elettrici; alle prese con mortaio, con tagliere e cucchiaio di legno anche una polenta di farro potrà sembrare più buona! A cura di Cristina Borzacchini *Per saperne di più: Apicio. De re coquinaria Introduzione, traduzione e commento a cura di Clotilde Vesco. Marco Gavio Apicio è ritenuto il maggiore esperto di cucina della Roma del basso Impero, autore del ricettario che viene presentato in fedele traduzione. Il De re coquinaria è il più importante libro di cucina scritto in latino; in questa edizione si trova un’appendice molto istruttiva e godibile sulla cucina di Apicio, attrezzi, pesi e misure, prezzi, curiosità e personaggi passati alla storia per il loro amore della buona tavola.

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