L’agricoltura,
attività ‘regina’ di Roma
(Catone, De agri cultura,
pref.)
Può esser preferibile, talvolta,
cercare fortuna nei commerci, se la cosa non fosse così soggetta a rischio, e
anche prestare a usura, se la cosa fosse altrettanto onorevole. Ma i nostri avi
ritennero e fissarono per legge che il ladro fosse condannato al doppio e l’usuraio
al quadruplo. Da questo possiamo giudicare quanto peggiore cittadino fosse per
loro l’usuraio in paragone
del ladro. E per lodare un
galantuomo lo lodavano come buon contadino e buon agricoltore; e chi veniva
così lodato, si riteneva che avesse la più grande delle lodi. Il commerciante
io lo giudico, certo, un uomo attivo e teso al profitto, ma – come ho detto –
esposto ai rischi e alle disgrazie. Dai contadini invece nascono gli uomini più
forti e i più validi soldati: è là che si realizza il più giusto guadagno, il
più saldo, il meno esposto al malanimo altrui, e chi è occupato in questa
attività è alieno più di ogni altro da cattivi pensieri.
(trad. E. Pianezzola)
Est interdum
praestare mercaturis rem quaerere, nisi tam periculosum sit et item fenerari,
si tam honestum sit.
Maiores nostri
sic habuerunt et ita in legibus posiverunt, furem dupli condemnari, feneratorem
quadrupli; quanto peiorem civem existimarent fenatorem quam furem, hinc licet
existimare. Et virum bonum quom (= cum) laudabant, ita
laudabant: bonum agricolam bonumque colonum; amplissime laudari existimabatur qui
ita laudabatur. Mercatorem autem strenuum studiosumque rei quaerendae existimo,
verum ut supra dixi periculosum et calamitosum; at ex agricolis et viri
fortissimi
et milites
strenuissimi gignuntur, maximeque pius quaestus stabilissimusque consequitur minimeque
invidiosus, minimeque male cogitantes sunt qui in eo studio occupati sunt.
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