Alla fine del XVIII secolo Carlo III di Borbone, poi re di
Spagna, promulgava una legge con la quale esentava dal pagamento di tributi i
sudditi che piantavano nuovi oliveti in Puglia, Calabria, Sicilia ecc., per
produrre olio lampante da esportare in Europa per scopi energetici.
In Terra d’Otranto c’era un sistema feudale strutturato
soprattutto in funzione del mercato e, nel caso specifico, della produzione ed
esportazione dell’olio, la cui rendita, nei secoli XVI e XVII, rappresentò
mediamente il 20-30% delle entrate baronali. Le cosiddette «possessioni olivate»
erano infatti particolarmente diffuse in Terra d’Otranto fin dagli albori
dell’età moderna – contrariamente alla maggior parte delle altre regioni
meridionali ove le colture arbustate si accrebbero soprattutto nel XVIII secolo
– ed il loro prodotto veniva commercializzato in altissima percentuale La
ricchezza di questa risorsa avrebbe dovuto rendere la Terra d’Otranto una
provincia tra le più prospere del Meridione, invece una serie concomitante di
fattori storico-sociali fece si che non solo l’olivicoltura non producesse
benessere, ma che addirittura essa fosse la causa principale della stagnazione
economica della provincia.
Già i contemporanei avevano individuato nell’esosità dei
tributi fiscali, cui era sottoposto il mercato oleario (i diritti stabiliti su
l’extraregnazione formavano più del terzo del valore dell’olio), una delle cause
determinanti del mancato sviluppo economico della provincia.
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