Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno: nuova riforma fondiaria
Intervistatore: Dottore Bruno, la sua proposta di una nuova riforma
fondiaria è decisamente innovativa. Potrebbe spiegare meglio su cosa si basa
questa sua visione?
Antonio Bruno: La mia proposta nasce dalla constatazione
che, in assenza di una legislazione che sancisca il cibo come un diritto
fondamentale, la produzione alimentare è ormai completamente nelle mani della
Grande Distribuzione Organizzata, controllata dalla finanza internazionale.
Questa, a sua volta, ha l’interesse di procacciare il cibo laddove costa meno,
senza badare alle conseguenze sociali, ambientali o economiche per i territori
coinvolti. Il punto di partenza è semplice: se continuiamo su questa strada, il
cibo sarà unicamente una merce come le altre, governata da logiche di mercato
globale che non tengono conto della dignità delle persone e dei lavoratori
agricoli.
Intervistatore: Quindi, lei parla di un ritorno all’agricoltura
come elemento chiave per la dignità professionale. Tuttavia, ha anche
sottolineato come questa tradizione si stia perdendo nelle famiglie,
specialmente nel Salento. Perché, secondo lei, si è verificata questa rottura?
Antonio Bruno: Come ha ben detto il mio amico Giovanni
Pascali, l’ultima generazione, quella che ha vissuto gli anni del Boom
economico, ha spesso scelto di interrompere la tradizione agricola familiare.
Questo è avvenuto per diverse ragioni, ma una delle principali è stata la
narrazione che dipingeva il lavoro nei campi come fatica, come una professione
che privava le persone della dignità. Molti genitori hanno spinto i figli verso
altri lavori, lontani dalle campagne, convincendoli che sarebbe stata una vita
migliore. Purtroppo, questa decisione ha privato le nuove generazioni della
conoscenza tecnica e agronomica che, un tempo, veniva tramandata di padre in
figlio.
Intervistatore: E cosa si potrebbe fare per invertire questa
tendenza? Come si può riportare i giovani a considerare l'agricoltura come
un’opportunità?
Antonio Bruno: Credo che la soluzione stia nel ripensare
completamente il ruolo dell'agricoltura all'interno della società. Se l’umanità
riconoscesse il cibo come un diritto universale, sarebbe necessario un sistema
in grado di garantirlo. Ecco perché propongo una nuova riforma fondiaria basata
su un monopolio statale. Questo monopolio si occuperebbe di gestire il
paesaggio agricolo attraverso l’esproprio e la redistribuzione delle risorse,
con il fine di garantire cibo per tutti. L’agricoltura non sarebbe più una mera
attività privata, ma diventerebbe un servizio pubblico, dove lo Stato,
attraverso figure professionali adeguatamente remunerate, si farebbe carico
della produzione agricola e della sua distribuzione.
Intervistatore: Quindi, secondo lei, il futuro dell’agricoltura
passa necessariamente attraverso un monopolio statale? Quali sarebbero i
benefici di questa trasformazione?
Antonio Bruno: Assolutamente sì. Se lo Stato gestisse
direttamente la produzione e distribuzione del cibo, questo darebbe grande
dignità professionale a tutte le persone coinvolte. Ogni lavoratore, a
qualsiasi livello di responsabilità, avrebbe un ruolo chiaro e ben definito
all’interno di un sistema che non mira al profitto, ma alla soddisfazione di un
bisogno primario dell’umanità. Il monopolio statale permetterebbe una gestione
più equa delle risorse e garantirebbe che il cibo non sia più una merce
soggetta alle speculazioni finanziarie, ma un diritto accessibile a tutti.
Intervistatore: Una proposta molto ambiziosa, non c’è dubbio. Cosa
direbbe ai critici che potrebbero obiettare che un sistema simile potrebbe
soffocare l’iniziativa privata e la diversità produttiva?
Antonio Bruno: Io non vedo il monopolio statale come un
nemico dell’iniziativa privata, ma come un modo per riportare equilibrio in un
sistema che ormai ha perso il contatto con la realtà. Non sto dicendo che non
ci debba essere spazio per le piccole realtà produttive locali, anzi, queste
potrebbero continuare a coesistere, ma il grosso della produzione deve essere
gestito da uno Stato che garantisca a tutti accesso al cibo. L’iniziativa
privata potrebbe continuare ad esistere in forme complementari, arricchendo il
paesaggio agricolo con diversità culturali e produttive, ma sempre sotto
l’ombrello protettivo di un sistema che si preoccupa di non lasciare nessuno
indietro.
Intervistatore: In conclusione, Dottore, come immagina il futuro
dell’agricoltura se la sua proposta venisse adottata su scala globale?
Antonio Bruno: Se la mia proposta venisse adottata,
immagino un mondo in cui l’agricoltura torni ad essere considerata un’arte
nobile, in cui il lavoro nei campi sia apprezzato e valorizzato. Uno scenario in
cui i lavoratori agricoli siano rispettati e adeguatamente remunerati, e dove
il cibo venga riconosciuto come un diritto inalienabile di ogni essere umano.
In questo futuro, l’agricoltura sarebbe il motore di una società più giusta e
sostenibile, in cui le risorse vengono redistribuite equamente e in cui la
dignità umana non è sacrificata sull’altare del profitto. Questo è il futuro
che spero di vedere.
Intervistatore: La ringrazio molto per il tempo e la chiarezza,
Dottore Bruno. Le sue idee sono certamente stimolanti e fanno riflettere su un
tema così cruciale come quello dell’alimentazione.
Antonio Bruno: Grazie a voi per l’opportunità di
condividere queste riflessioni.
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