Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sullo Stato gestore del paesaggio rurale
Giornalista: Dottore Bruno, nell'ultimo anno gli
agricoltori italiani ed europei hanno vissuto difficoltà importanti, culminate
nelle manifestazioni di piazza. Lei cosa ne pensa della situazione attuale?
Dott. Bruno: La situazione che stiamo vivendo è il
risultato di politiche agricole comuni (PAC) che, pur essendo decise per il 30%
a Bruxelles, sono per il 70% applicate e gestite a livello nazionale. Quindi,
se gli ecoschemi si sono rivelati un fallimento, non possiamo puntare il dito
solo verso l'Europa. Dobbiamo fare autocritica: quei meccanismi li abbiamo
ideati noi stessi qui in Italia. È dentro i nostri confini che dobbiamo cercare
le criticità e applicare i correttivi necessari. Ed è del tutto evidente che
gli agricoltori che ci sono non sono in grado di portare avanti quanto è
doveroso fare in campo agricolo, come più volte ho significato siccome il
paesaggio rurale è un bene comune, siccome i proprietari si dimostrano pochi ed
inadeguati, deve essere lo stato che deve gestire.
Giornalista: Si è parlato di un'emorragia nelle domande di
aiuti PAC in Italia, con il 10% degli agricoltori che hanno rinunciato ai
contributi. Come si spiega questa scelta?
Dott. Bruno: Sì, molti agricoltori hanno preferito
rinunciare ai contributi europei piuttosto che sottostare ai vincoli produttivi
imposti dalla PAC perrchè come ho guà detto non sono all’altezza delle
responsabilità che devono essere prese in materia agricola. Questo è un segnale
chiaro della difficoltà di gestire una burocrazia complessa che richiede un
Ente pubblico e che data l’inadeguatezza della struttura a supporto dei pochi
agricoltori rimasti è spesso percepita come soffocante. Il nostro sistema, invece
di capire questo, invece di prendere atto che in tema di paesaggio agrario il
libero mercato figlio del neoliberismo economico, non funziona, scarica sugli
agricoltori costi e obblighi a cui non sono in grado di rispondere invece di
dare tutto in mano a un ente pubblico.
Giornalista: Secondo lei, cosa si potrebbe fare per
migliorare la gestione della PAC in Italia?
Dott. Bruno: Una delle prime cose da fare è coinvolgere
maggiormente i tecnici professionisti assumendoli nell’ente pubblico, che
purtroppo sono stati finora tenuti ai margini del processo decisionale. Il
nostro apporto tecnico-scientifico è fondamentale per migliorare, semplificare
e modernizzare i processi burocratici legati alla PAC. Dobbiamo razionalizzare
e rendere più efficienti gli strumenti a disposizione delle imprese agricole, e
per farlo serve un maggiore dialogo con i professionisti dottori agronomi.
Giornalista: Crede che ci sarà una vera modernizzazione?
Dott. Bruno: Noi professionisti siamo pronti a collaborare
con il governo e con le rappresentanze del mondo agricolo che rappresentano i
pochissimi agricoltori rimasti in Italia per ridisegnare un sistema più
semplice e funzionale. Il modello attuale è inadeguato, e spesso si trasforma
in un peso per gli agricoltori. Ad esempio, perché Agea e Ismea sono due
organismi distinti e non collaborano insieme? Entrambi raccolgono dati preziosi
sulle imprese agricole, ma non li condividono. Ecco ad esempio l’ente pubblico che
potrebbe gestire il paesaggio agrario. Questo è un chiaro esempio di come la
burocrazia possa essere migliorata e messa al servizio del bene comune
paesaggio agarrio.
Giornalista: Il caso del fondo Agricat è stato molto
discusso. Cosa ne pensa?
Giornalista: Ha accennato alla formazione e al ricambio
generazionale. Quali sono le sue preoccupazioni in questo campo?
Dott. Bruno: Il ricambio generazionale è fondamentale ma
non c’è. Ci vuole un Ente pubblico che assuma i giovani con un regolare
contratto di lavoro a tempo indeterminato e per capirlo basta dare uno sguardo ai
dati attuali che sono fallimentari per gli imprenditori agricoli. Le aziende
agricole giovani sono circa 36mila su una platea di 800mila, troppo poche.
Inoltre, sono fortemente incentivate dai fondi del PSR, ma questo ai giovani
non serve! Ai giovani serve uno stipendio! Serve un cambiamento che parta dello
Stato: dobbiamo avvicinare i giovani al territorio e alle attività produttive,
e portare il paesaggio agrario nelle scuole. La scuola deve tornare a essere un
luogo di formazione continua, non solo accademica ma anche professionale e i
diplomati devono essere assunti da un Ente pubblico che gli garantisce uno
stipendio. Potrebbero essere conivolti anche gli immigrati, per favorire la
loro integrazione e formazione.
Giornalista: Come si può raggiungere questo obiettivo?
Dott. Bruno: Bisogna ripartire dallo Stato, che deve
ritrovare la sua missione originale: formare tecnici e operatori per il settore
agricolo e non solo. Si potrebbero anche utilizzare centri di alfabetizzazione
e formazione per gli immigrati. Ma per fare tutto questo uno Stato che abbia a
cuore il paesaggio agrario che richiamo di perdere. I professionisti in grado
di leggere e affrontare i problemi reali ci sono manca un Ente che li assuma e
gli dia uno stipendio. Solo con un'azione congiunta tra Stato, scuola, imprese
e professionisti possiamo affrontare le sfide future dell'agricoltura italiana.
Giornalista: Grazie per il suo tempo e per le sue
riflessioni, Dottore Bruno.
Dott. Bruno: Grazie a voi per l'attenzione.
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