mercoledì 30 aprile 2014

Giovanni Presta sulla dimensione degli alberi d'olivo nell'antichità

Nella foto Ritratto di Magone Cartaginese e Dionisio Uticense
Ai tempi di Magone cartaginese vi erano in Africa degli olivi così pieni di fronde e rami che producevano mille libre di olio ciascuno e che però allora si dicevano fossero millenari. Ai tempi di Plinio (Hist. Natural. Lib. 17 cap. 12 sect .19) non vi era in Ispagna nessun albero che superasse in grandezza l’ulivo. Tali sono ancora oggigiorno (ai tempi del Presta vissuto dal 1720 al 1797 n.d.r.) nell’Aragona (V. Il Gentiluomo coltivatore Traduzione Italiana tom. 16 lib. 8, parte 2, cap. 6). E senza andare contant’oltre ve n’è in Lucania tantissimi al dir di Antonini  ( Discorsi sulla Lucania, Discorso 3). Ve n’ha in Paucezia, che però diconsi ulivi da soma: ve n’ha tra noi nelle vicinanze di Ruffano di tali, che producono sino a tre e quattro macinate ciscuno.
Giovanni Presta, Degli ulivi, delle ulive, e della maniera di cavar l'olio  pag. 22 Nota I
Magone (latino: Mago; floruit III secolo a.C.; ... – ...) fu autore di un trattato di agronomia in 28 volumi e in lingua punica che avrebbe costituito, per tutto il periodo classico, una delle fonti più significative sull'argomento. Il testo originale è andato perduto, ma sono sopravvissuti alcuni frammenti delle traduzioni in greco e latino.
 

Aperçu de statistique sulla Terra d’Otranto di Anonimo



 

Tra le varie relazioni e mappe descrittive inviate, comparve un anonimo aperçu de statistique sulla Terra d’Otranto che offriva al governo francese un irreale quadro della situazione economica della Provincia, descritta come una delle più floride del paese.

Le risorse produttive descritte nell’anonimo dossier risultavano essere numerose: dalla pesca all’industria manifatturiera, dall’allevamento dei bestiame all’agricoltura.

Quest’ultima veniva descritta come più ridente e rigogliosa rispetto a quella di Bari, grazie alla grande operosità degli abitanti e alla ricchezza e fertilità della terra che produceva derrate di tutti i generi:

En entrains dans cette Province on’ voit les terres dans un état de culture encore plus riant que dans celle de Bari. Les habitants […] sont industrieux, livrés au travail, et tous s’occupent à cultiver leur demain. Les villes populeuses sont entourées de’ compagnes riches en productions de tout genre: chaque habitation a son troupeau isolé comme en France; les brebis parquant toute l’année sur le territoire.

In particolare veniva vantata la produzione delle olive, delle specie più differenti, i cui alberi coprivano quasi tutti i terreni della Provincia, che in alcune annate era talmente abbondante che, a causa della mancanza di braccia sufficienti, se ne perdeva una parte del raccolto. La qualità delle olive permetteva di produrre un ottimo olio a cui si riconosceva «un degré de préférences sur celle de Bari», che veniva esportato nei porti dell’Adriatico e del Tirreno da Taranto e da Gallipoli.

La caratteristica aridità della terra consentiva la coltivazione del cotone, «excellent y se recueille en abondance», che risultava di grande qualità per la sua purezza, finezza, lunghezza e forza. Si distinguevano tre specie: «Le premier est connu dans le mon de coton de Tarente, le second est celui des Casali di Lecce, e le 3me s’appelle Turchesco. Ce dernier est d’une couleur qui tire sue le chamois»33. La presenza di questa materia prima aveva permesso l’installazione di numerose fabbriche di filatura, i cui prodotti venivano esportati in tutto il Regno. Ed ancora veniva prodotto un tabacco di ottima qualità, tra cui primeggiava quello di Lecce che – secondo l’autore della relazione – «pourrait devenir un objet important de commerce». L’allevamento dei muli era molto diffuso, soprattutto a Martina Franca, che vantava la migliore specie di «mulets»; il miele, molto dolce, era paragonato ai migliori degli altri paesi.

 

Nel complesso – concludeva l’anonimo autore del dossier – «le détail des différent moyens de prospérité qui font distinguer cette Province demonstre che son commerce est nécessairement plus actif que passif et qu’il offre une balance considérable pour les exportations».

Tale florida immagine della situazione economica della Provincia ebbe una notevole incidenza nel calcolo della contribuzione fondiaria, che risultò eccessivo agli occhi del Consiglio Generale di Provincia, trovatosi ad affrontare i problemi connessi ad una realtà profondamente diversa rispetto a quella descritta nell’anonimo mémoire, che nulla diceva in ordine alla miseria della popolazione, all’arretratezza dell’agricoltura, alla crisi del commercio.

Tratto da: STEFANO VINCI, «RIANT» O «INFELICE»? LE CONDIZIONI ECONOMICHE E SOCIALI DELLA TERRA D’OTRANTO DURANTE IL DECENNIO FRANCESE

Olivo e Carlo III di Borbone


Alla fine del XVIII secolo Carlo III di Borbone, poi re di Spagna, promulgava una legge con la quale esentava dal pagamento di tributi i sudditi che piantavano nuovi oliveti in Puglia, Calabria, Sicilia ecc., per produrre olio lampante da esportare in Europa per scopi energetici.
 

In Terra d’Otranto c’era un sistema feudale strutturato soprattutto in funzione del mercato e, nel caso specifico, della produzione ed esportazione dell’olio, la cui rendita, nei secoli XVI e XVII, rappresentò mediamente il 20-30% delle entrate baronali. Le cosiddette «possessioni olivate» erano infatti particolarmente diffuse in Terra d’Otranto fin dagli albori dell’età moderna – contrariamente alla maggior parte delle altre regioni meridionali ove le colture arbustate si accrebbero soprattutto nel XVIII secolo – ed il loro prodotto veniva commercializzato in altissima percentuale La ricchezza di questa risorsa avrebbe dovuto rendere la Terra d’Otranto una provincia tra le più prospere del Meridione, invece una serie concomitante di fattori storico-sociali fece si che non solo l’olivicoltura non producesse benessere, ma che addirittura essa fosse la causa principale della stagnazione economica della provincia.
Già i contemporanei avevano individuato nell’esosità dei tributi fiscali, cui era sottoposto il mercato oleario (i diritti stabiliti su l’extraregnazione formavano più del terzo del valore dell’olio), una delle cause determinanti del mancato sviluppo economico della provincia.

Le varietà di olivo nell’antichità


Ai tempi di Catone, Varrone, Columella, Virgilio e Palladio (ultimo scrittore fra gli antichi sulla manifattura dell’olio) le varietà di olivo erano assai poche ed ancor meno numerose dovevano essere state anteriormente: tre sono attribuite agli Ebrei, quindici ai Greci, da nove a quindici ai Romani.

 

Nella foto la Diffusione della coltura dell’olivo nel bacino del Mediterraneo dalla sua supposta zona di origine

Fonte: Morettini, 1950

I metodi per estrarre l’olio dalle olive adottati da Giovanni Presta




Per ottenere l’olio dalle olive Giovanni Presta utilizzò due metodi. Usò un piccolo torchetto di ferro a una sola vite che fermò nella sponda esterna di un tavolino che aveva accostato al muro nel quale erano conficcati due arpioni di ferro che lo tenevano fermo ed orizzintale con quattro gabbioline con il diametro maggiore di tre pollici tutte attorniate da cordelline di canapa. Questo era collocato nello studio di Giovanni Presta.
Prima di tutto pestava bene le olive che poi venivano messe nelle gabbioline e quindi sottoposte al tochietto e con il piccolo vette a due braccia le stringeva.
Giovanni Prsta otteneva così l’olio che andava a finire in una piccola giara posta sotto al torchetto. A quato punto lui provvedeva a pesarlo, ad assaporarlo per confrontarlo con altro olio ottenuto allo stesso modo.
L’altro modo di ottenere l’olio che attuò il Presta fu quello della spremitura a mano ad opera di un suo contadino.
Il contadino prende le olive indicate da Giovanni Presta e le pestava in un grande mortaio di Marmo con un perstello di legno duro e poi, poco per volta, lo stesso contadino le stringeva nelle mani.
L’olio andava a finire in una conca dalla quale il Presta lo prendeva per pesarlo e assaporarlo facendo i confronti con altro olio ottenuto in maniera simile.

Nel 1976 mons. Antonaci proponeva


l'’allora Direttore de “il Galatino”, mons. Antonio Antonaci, sosteneva con motivazioni ben argomentate la proposta di Galatina come “sede ideale per il rilancio dell’agricoltura su basi scientifiche”.

Nell’articolo in prima pagina (che riportiamo in foto) il Direttore ammoniva: “È da anni che stiamo insistendo sulla fonte primaria della rinascita della provincia, quale è quella dell’incremento dell’agricoltura e di una politica agricola che potrebbe costituire, per antica vocazione e per la natura stessa del nostro ambiente, una ricchezza di proporzioni straordinarie. La facoltà di agraria sarebbe dovuta essere la prima a prendere piede a Lecce…”.

martedì 29 aprile 2014

Proposta di legge “Disposizioni per favorire l’accesso dei giovani all’agricoltura e contrastare l’abbandono ed il consumo dei suoli agricoli”


 
Proposta di legge “Disposizioni per favorire l’accesso dei giovani all’agricoltura e contrastare l’abbandono ed il consumo dei suoli agricoli”
 
 
 
dei Consiglieri Michele Losappio (Sel)
Angelo Disabato (PPV)
Giuseppe Lonigro (Sel)
 
 
 
Relazione
 
L’Italia e il Portogallo sono i Paesi europei con il più basso tasso di ricambio generazionale in agricoltura.
Solo il 4% dei conduttori agricoli ha meno di 40 anni di età mentre oltre la metà delle grandi aziende agricole sono condotte da imprenditori collocabili nella fascia di età fra i 55 e i 60 anni.
Anche il 6° censimento ISTAT (2010) conferma come per ogni conduttore giovane ci siano 14 titolari di aziende con più di 65 anni d’età.
Tutto ciò costituisce un fattore di rischio per il comparto agroalimentare perché contribuisce ad alimentare l’abbandono dei terreni agricoli ed incide sul ritardo degli investimenti nel settore e sulle difficoltà a implementare le innovazioni scientifiche di processo e di prodotto.
Il basso ricambio generazionale facilita inoltre la persistenza nel Mezzogiorno e in Puglia di quelle “patologie” fondiarie quali i fenomeni di polverizzazione, frammentazione e dispersione della proprietà agraria ed anche la scarsa propensione all’associazionismo ed alla cooperazione.
Uno dei più rilevanti ostacoli ai nuovi insediamenti giovanili è costituito dall’elevato costo di affitto e di acquisto dei terreni, pure in una situazione nazionale che vede un calo della superficie agricola coltivata (SAU) di circa 300.000 ettari nel decennio 2000-2010, un decremento percentuale del 2,3%, una diminuzione del 30% di aziende agricole.
A fronte di ciò, considerando il suolo sia un “bene comune” che una risorsa preziosa per il nostro futuro ne discende la necessità di dedicare la massima attenzione alle attività che impattano sugli ecosistemi agrari e forestali, ad evitare la cementificazione ed al dissesto idrogeologico conseguente alla diminuzione ella SAU ed ai processi di desertificazione.
In Puglia, a fronte di un lieve incremento della superficie per orti familiari ed a un consolidamento delle colture arboree e  dei seminativi sui valori degli anni 90, si registra una diminuzione delle aziende ad indirizzo zootecnico-foraggero, dei prati permanenti, dei pascoli con conseguente perdita di biodiversità floreale e faunistica.
Questo è riconducibile ai fenomeni di abbandono nelle aree marginali come anche all’elevato consumo di suolo agricolo dell’ultimo decennio con conseguente “crescita” artificiale dei valori fondiari e non convenienza dell’investimento agricolo.
Inoltre l’incidenza dei giovani conduttori sul totale degli addetti è inferiore alla media nazionale, così come la quota delle donne conduttrici ed è pressoché nulla (0,2%)  l’integrazione dei cittadini extracomunitari come coltivatori diretti.
Appare perciò evidente, a fronte di circa 380.000 ettari di terreni demaniali a vocazione agricola presenti in Italia, che ci sono le condizioni per incentivare la presenza dei giovani imprenditori in agricoltura proprio attraverso l’uso del demanio per arrivare al recupero produttivo delle terre sia della Regione che degli Enti controllati e dei Comuni sulla base delle disposizioni contenute nell’art. 66 del decreto legge n. 1 del 24 gennaio 2012, convertito nella legge n. 27 del 24 marzo 2012  che prevedono l’alienazione con diritto di prelazione per i giovani imprenditori agricoli definiti dal decreto legislativo n. 185 del 21 aprile 2000.
La presente Proposta di legge è composta da 5 articoli.
Nel primo si intende promuovere l’accesso dei giovani agricoltori ai terreni di proprietà della Regione, degli Enti controllati e dei Comuni onde favorire il ricambio generazionale frenando fenomeni come la desertificazione, l’erosione, il dissesto idrogeologico.
Nel secondo si individuano le disposizioni per procedere alla individuazione dei terreni, fino alla compilazione di un inventario degli stessi.
Nel terzo si definiscono le procedure della Regione e dei Comuni per il conferimento degli immobili ai giovani agricoltori, singoli o associati in cooperative, sulla base di appositi bandi pubblici.
Il quarto contiene norme volte a favorire il recupero produttivo delle terre in stato d’abbandono.
Il quinto,  la norma finanziaria, non prevede oneri finanziari a carico del bilancio regionale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Articolo 1
(Finalità)
 
  1. In attuazione degli articoli 9, 44 e 117 della Costituzione e della Convenzione Europea sul Paesaggio, ratificata ai sensi della Legge 9 gennaio 2006 n. 14 “Ratifica ed esecuzione della convenzione europea sul paesaggio” la presente legge detta i principi fondamentali per la conservazione del suolo in quanto bene comune e risorsa non rinnovabile, determinante per la difesa dell’ecosistema e delle caratteristiche del paesaggio, per la prevenzione del dissesto idrogeologico, per la valorizzazione delle produzioni agroalimentari tipiche e di qualità.
  2. Ai fini della presente legge si intende:
a)      per superficie agricola: i terreni qualificati tali dagli strumenti urbanistici, nonché le aree di fatto utilizzate per scopi agricoli o forestali, indipendentemente dalla destinazione urbanistica , e le aree incolte o naturali comunque libere da edificazioni ed infrastrutture, ad eccezione delle aree per le quali siano già stati rilasciati titoli abilitativi edilizi alla data di entrata in vigore della presente legge;
b)      per il consumo di suolo: la riduzione di superficie agricola per effetto di interventi che ne determinano l’impermeabilizzazione, l’urbanizzazione, l’edificazione e la cementificazione.
  1. La Regione e gli Enti Locali, nell’ambito delle rispettive competenze, perseguono il coordinamento delle politiche di sviluppo territoriale con quelle rivolte al contenimento del consumo di suolo. A tal fine la Regione in attuazione dell’art. 66, comma 7, del Decreto Legge n. 1 del 24 gennaio 2012, convertito nella legge n. 27 del 24 marzo 2012 “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” promuove l’accesso ai terreni di proprietà regionale, degli Enti da essa controllati e dei Comuni ai giovani agricoltori singoli o associati in forma cooperativa, così come definiti dall’art. 22 del regolamento CE n. 1698/2005 del 20 settembre 2005 e successive modifiche o integrazioni onde favorire il ricambio generazionale in agricoltura e la conservazioni e l’utilizzazione produttiva degli immobili a vocazione agricola.
  2. Per favorire l’effettivo utilizzo agricolo delle aree destinate a tale scopo dagli strumenti urbanistici comunali, la Regione promuove misure rivolte a disincentivare l’abbandono delle coltivazioni e nel contempo a sostenere il recupero produttivo in attuazione delle disposizioni di cui alla legge n. 440 del 4 agosto 1978 ”Norme per la utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate”.
 
 
 
 
 
 
Articolo 2
(Individuazione degli immobili di proprietà regionale e di altri Enti pubblici)
 
  1. Entro e non oltre  sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e successivamente entro il 31 dicembre di ogni anno gli Assessorati al Demanio e Patrimonio e alle Risorse Agroalimentari individuano, nell’ambito dei beni immobili, l’elenco annuale dei terreni agricoli e a vocazione agricola, di proprietà della Regione e degli Enti da essa controllati, idonei per la cessione in locazione a giovani agricoltori singolo o associati in forma cooperativa, così come definiti dall’art. 22 del regolamento CE n. 1698/2005 del 20 settembre 2005.
  2. Al fine di pervenire alla piena disponibilità degli immobili selezionati, la Regione provvederà, qualora necessario, ad attivare procedure di sgombero forzoso di eventuali attività improprie condotte senza titolo autorizzativo.
  3. Entro e non oltre un anno dalla data in vigore della presente legge la Regione, previa definizione di specifici accordi con gli Enti Locali e gli altri Enti Pubblici, predispone un inventario con idoneo supporto cartografico delle aree agricole di proprietà pubblica rendendolo accessibile al pubblico tramite il proprio sistema informativo.
 
Articolo 3
(Procedure per il conferimento ai giovani agricoltori)
 
  1. Il conferimento in locazione degli immobili individuati ai sensi dell’articolo 2 della presente legge sarà disposto con successivi atti della Giunta Regionale, previa approvazione ed espletamento di appositi bandi pubblici, attraverso contratti agrari stipulati con i giovani imprenditori agricoli singolo o associati in cooperative ai sensi della legge n. 203 del 3 maggio 1982 “Norme sui contratti agrari”. Tali contratti devono prevedere il vincolo temporaneo di destinazione agricola per un periodo equivalente alla durata contrattuale.
  2. Entro sei mesi dall’entrata in vigore ella presente legge i Comuni provvedono al censimento dei terreni agricoli o a vocazione agricola appartenenti al proprio patrimonio nell’ambito dei quali individuare gli immobili da destinare annualmente, con apposito bando pubblico, alla locazione con contratto agrario ai giovani imprenditori agricoli singolo o associati in forma cooperativa, così come definiti dall’art. 22 del regolamento CE n. 1698/2005 del 20 settembre 2005.
  3. Le risultanze del censimento predisposto dai Comuni sono pubblicate da ogni Ente Locale nel rispettivo Albo Pretorio e sono comunicate alla Regione per l’inserimento nell’inventario previsto dall’art. 2 della presente legge.
 
 
Articolo 4
(Norme per favorire il recupero produttivo e contenere il consumo di suoli agricoli)
 
  1. Entro tre mesi dall’entrata in vigore della presente legge, la Giunta Regionale provvede con propri atti alla costituzione delle commissioni provinciali di cui all’art. 3 della legge n. 440 del 4 agosto 1978 “Norme per l’utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate”.
  2. Entro dodici mesi dalla costituzione delle predette commissioni provinciali la Giunta Regionale, acquisito il parere della IV Commissione Consiliare, provvede alla determinazione delle zone del territorio regionale che risultino caratterizzate da fenomeni di abbandono di terreni suscettibili di utilizzazione per i fini di cui all’art. 1della legge n. 440/78 ed attiva le successive procedure per classificare e definire i criteri di utilizzazione ed assegnazione ai richiedenti delle terre abbandonate ed incolte di proprietà pubblica in attuazione degli articolo 4.5 e 6 della medesima legge.
  3. I contratti prevedono il vincolo temporale di destinazione agricola per un periodo equivalente alla durata del contratto stesso, così come riporta il comma 1 dell’art. 3 della presente legge ed è vietata qualsiasi altra destinazione diversa da quella agricola.
  4. Sono comunque consentiti, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti, gli interventi strumentali di miglioramento fondiario ed agronomico rivolti alla coltivazione, all’allevamento del bestiame, alla silvicoltura nonché quelli funzionali alla conduzione dell’impresa agricola, alle attività di trasformazione, elaborazione, commercializzazione delle produzioni vegetali ed animali, all’agriturismo ed alle attività annesse e connesse di cui all’art. 2135 del codice civile.
  5. Nel caso di trasgressione al divieto di cui al comma 3 si applica all’assegnatario la sanzione amministrativa pecuniaria definita e quantificata non inferiore a 5.000 euro e non superiore a 50.000 euro e la sanzione accessoria consistente nella demolizione delle opere non ammissibili e del ripristino dei luoghi a proprie spese.
 
Articolo 5
(Norma finanziaria)
 
La presente legge non comporta alcun onere per il bilancio dell’amministrazione regionale.
 
      

sabato 26 aprile 2014

La “Cellina di Nardò”, “Saracena“, “Scurranese“, “Cafareddha“, “Osciula“.



La “Cellina di Nardò”, “Saracena“, “Scurranese“, “Cafareddha“, “Osciula“.

La “Cellina di Nardò” (den. latina: Olea europea sativa var. Ogliarola Salentina o Leccese) è conosciuta con i sinonimi “Saracena“, “Scurranese“, “Cafareddha“, “Osciula“; Presta la riconduce all’Olea calabrica dei latini, riportata da Columella come oliva da concia. Lo stesso autore distingue diversi tipi di cui ne descrive i caratteri arrivando poi a definirle varietà diverse, distinte da quella che chiama “Cellina legittima”; cita, quindi, “Cellina rossa di Vitigliano”, “Cellina della Peucezia” e “Cellina termetara”.

La Cellina da alcuni anni ha iniziato a sostituire l’Ogliarola Salentina. E’ diffusa su oltre 35.000 ettari nella provincia di Lecce. La pianta della Cellina  è vigorosa, a portamento assurgente. La vegetazione è più rada rispetto alla Ogliarola Salentina, ha una corteccia più chiara, le branche hanno un portamento assurgente, e i rametti a frutto sono penduli. La foglia, di forma ellittica-allargata, è piuttosto corta, di colore verde cupo nella pagina superiore e grigio argenteo in quella inferiore. La fioritura è abbondante ed anticipata rispetto alla Ogliarola Salentina. La Cellina è una cultivar rustica, autosterile, a fioritura precoce, produttiva, e riesce a fruttificare abbondantemente in condizioni avverse. Si adatta anche in terreni compatti e tendenzialmente umidi, sebbene presenti il difetto della difficoltà legata all’estrazione dell’olio soprattutto a freddo e con frutti non completamente maturi.

 La drupa della Cellina ha un peso medio di 1,4 grammi, è di forma ovoidale, asimmetrica, da verde a nera, con epicarpo pruinoso che presenta molte lenticelle di grandezza piccola.  E’ molto meno oleosa dell’Ogliarola Salentina con rese medie in olio del 18%. L’olio si presenta di un colore giallo oro con riflessi verdolini, con un’alta fluidità, ma una bassa resistenza all’irrancidimento. E’ caratterizzato da un sapore fruttato intenso di oliva accompagnato da frutta e verdura. Gusto armonico con sensazioni evidenti di mandorla, pomodoro ed erba. Piccante forte e persistente, retrogusto piacevole di amaro. Il contenuto di acidi grassi monoinsaturi, di tocoferoli e beta-caroteni è importante per l’azione anticolesterolemica, antiossidante, di prevenzione delle malattie cardiovascolari. E’ uno dei componenti fondamentali dell’Olio Extra Vergine di Oliva DOP “Terra d’Otranto”, può essere presente nel DOP “Collina di Brindisi”.

venerdì 25 aprile 2014

Cultivar di Olivo della Provincia di Lecce “Ogliarola leccese”,“Pizzuta leccese“, “Ogliarola salentina“, “Chiarita“.


“Ogliarola leccese”,“Pizzuta leccese“, “Ogliarola salentina“, “Chiarita“.

“Ogliarola leccese” (den. latina: Olea europea sativa var. Ogliarola Salentina o Leccese) è anche conosciuta con i sinonimi “Pizzuta leccese“, “Ogliarola salentina“, “Chiarita“.

Per  Giovanni Presta corrisponde alla Olea salentina o Sallentina degli antichi; citata da scrittori georgici quali Catone, Varrone, Macrobio che ne esaltavano la finezza dell’olio. Oltre a ciò gli anziani agricoltori ne apprezzavano anche le rese elevate.

Questa cultivar  è diffusa su oltre 50.000 ettari in provincia di Lecce.

L’albero presenta una struttura di grandi dimensioni che può raggiungere e superare i 15 metri di altezza, con portamento pendulo, chioma mediamente folta, caratterizzata da vigoria media e produttività elevata ma alternante.
La foglia di medie dimensioni, di forma allungata ellittico-lanceolata, colore verde, con la pagina inferiore di colore verde chiaro. La fioritura è tardiva e molto abbondante.
 

La cultivar è molto diffusa per l’abbondante fruttificazione e le rese molto elevate, sebbene presenti il difetto dell’alternanza di produzione, è meno rustica della “Cellina di Nardò”, resiste meno alle malattie, risultando particolarmente sensibile alla carie, alla rogna, al cicloconio, alla mosca, alla brusca parassitaria, alle nebbie, alle brine e ai venti marini, rifugge inoltre dai terreni umidi, tanto che alcuni agricoltori hanno preferito sostituirla con la più resistente Cellina di Nardò.

La drupa ha un peso medio di 2 grammi, è di forma ovale quasi reniforme, asimmetrica, con diametro massimo posto centralmente, con apice appuntito e base arrotondata, da verde a violacea nera, con epicarpo pruinoso che presenta molte lenticelle di grandezza media. Il suo nocciolo è fragile è la polpa è di colore rosso vinoso. E’ la più oleosa fra tutte le varietà con rese medie in olio del 25%.

L’Olio si presenta di un colore giallo oro, con riflessi verdolini, di bassa fluidità. Ha un sapore fruttato medio di oliva accompagnato da altra frutta. Persistenza del piccante, leggermente amaro con piacevole sentore di mandorla. Si presenta con fruttato dolce a maturazione completa e mediamente aromatico. L’olio è più dolce e meno fluido di quello ottenuto dalla Cellina. Ha inoltre un ottima resistenza all’irrancidimento.  Il contenuto di acidi grassi monoinsaturi, di tocoferoli e beta-caroteni è importante per l’azione anticolesterolemica, antiossidante, di prevenzione delle malattie cardiovascolari.

 E’ il componente fondamentale dell’Olio Extravergine di Oliva DOP “Collina di Brindisi” ed uno dei componenti fondamentali del DOP “Terra d’Otranto”.
 

Ecco perché c’è l’agricoltura d’amore


L’amore è la connessione tra le persone e l’Universo.
Non sono io, non è l’acqua, la pecora o la pianta di pomodoro……
E’ come me, l’acqua, la pecora e la pianta di pomodoro siamo connessi tra di noi.
Cara Sara è esattamente l’opposto di quello che ti insegnano a scuola.
L’educazione considera che ogni singola cosa sia separata dall’altra, ignora l’esistenza delle connessioni.
L’amore crea le connessioni …
… perché quando crei le relazioni allora puoi nutrire la pecora con la pianta di pomodoro.
Ecco perché c’è l’agricoltura d’amore
Antonio Bruno

La segale (Secale cereale L., 1753)


La segale (Secale cereale L., 1753)

Caratteristiche botaniche

La segale presenta dei caratteri botanici simili a quelli del frumento. Da questo si distingue perché la piantina ha la ligula sprovvista delle appendici falciformi abbraccianti il culmo, comuni al frumento e all’orzo, e inoltre la ligula stessa è corta, dentata a denti brevi e triangolari. Le foglie sono di colore verde glauco, a lamina corta e più stretta del frumento. Il culmo è formato di vari internodi, è più lungo (100 – 150 cm) rispetto a quello degli altri cereali, ma anche più spesso, flessibile ed elastico. La spiga terminale, aristata, è in genere lunga e sottile e porta ad ogni dente del rachide una spighetta di norma trifora, ma con il terzo fiore sterile, per cui si hanno due cariossidi per spighetta. Queste hanno forma appuntita all’estremità portante l’embrione, pelosa e troncata all’altra estremità. Sono più allungate e più strette rispetto a quelle del frumento, di colore bruno-verde fino al grigio-giallo. La segale è una pianta allogama, a impollinazione anemofila, nella quale un sistema di autoincompatibilità rende obbligatoria la fecondazione incrociata.

 

Origine e diffusione

La patria d’origine della segale non è ancora bene accertata, ma sembra che sia uno dei territori dell’Asia sud occidentale, tra la Persia e l’Afghanistan. È pianta tipica dei climi freddi e dei terreni sabbiosi e acidi; per questo è coltivata da lungo tempo in Siberia, nell’Europa centrale, in Svezia e Norvegia. Pare che si sia diffusa in Europa meridionale relativamente tardi.

 

Esigenze pedoclimatiche

La segale possiede una rusticità molto elevata che consente di ottenere una produzione superiore a quella del frumento e dell’orzo in terreni acidi, sabbiosi o magri. È molto resistente alla siccità primaverile e presenta un’ottima resistenza al freddo: per compiere il suo ciclo vegetativo ha minori esigenze termiche rispetto al frumento e agli altri cereali. Germina abbastanza rapidamente anche a basse temperature, accestisce meno del frumento e con maggior ritardo, mentre nelle fasi successive di vegetazione è più rapida e più precoce. Germina intorno ai 5ºC, fiorisce già a 12-14ºC. Dalla fioritura alla maturazione passano circa 40-50 giorni, a seconda delle cultivar, e la maturazione avviene fra i 18 e i 22ºC. Essendo la fecondazione incrociata, condizioni di basse temperature ed elevata piovosità, possono influire negativamente causando elevate percentuali di sterilità.

 

Scelta varietale

Le varietà coltivate si possono distinguere in base al colore della cariosside (bianca, verdognola, grigia o nera), a seconda dello sviluppo delle reste e dell’epoca di semina (autunnale o primaverile, sebbene quest’ultima sia poco diffusa). Tutte presentano difetti più o meno marcati: una scarsa resistenza all’allettamento, una certa precocità di fioritura che può portare a turbe della fecondazione, una certa suscettibilità alle malattie crittogamiche. Negli ultimi anni, la ricerca genetica ha dato vita ad alcuni ibridi che hanno una buona produttività. Tuttavia le cultivar iscritte al Registro nazionale delle sementi risultano essere ancora poche, soprattutto se si escludono quelle destinate alla zootecnia.

 

rotazioni e avvicendamenti

La segale può occupare, nelle rotazioni, il posto destinato al frumento. Trae giovamento dal succedere a colture sarchiate o a leguminose. Sopporta meglio del frumento il ristoppio e per questo la si preferisce quando si mette a coltura un incolto o un prato permanente.

 

Integrazioni della Fertilità

Solitamente non è necessario fornire alcun apporto nutritivo poiché la pianta, poco esigente, è in grado di sfruttare al meglio la fertilità residua del terreno. Questo contribuisce a mantenere bassi i costi di produzione. In particolari situazioni è utile intervenire con un fertilizzante, purchè ammesso dal disciplinare, che abbia un buon titolo in potassio e in azoto, essendo la segale una pianta potassofila che risponde molto bene anche alla concimazione azotata. Quest’ultima tuttavia dev’essere effettuata tenendo conto della suscettibilità all’allettamento della coltura.

 

lavorazioni

La semina, fatta a file strette, viene effettuata con una quantità di seme di poco superiore al frumento (160-180 kg/ha) a causa dello scarso potere di accestimento rispetto agli altri cereali. L'epoca di semina precede di poco quella del frumento. Per la preparazione del terreno si adottano i criteri già descritti in precedenza.

gestioni delle Infestanti

Come appena ricordato, la segale ha una capacità di accestimento leggermente inferiore a quella degli altri cereali minori, tuttavia la rapidità di crescita iniziale le conferisce un elevato potere competitivo nei confronti delle malerbe. Non sono quindi necessari particolari interventi per il controllo delle erbe infestanti, se non una moderata anticipazione dell’epoca di semina, un leggero aumento della densità di semina e un'eventuale strigliatura in post emergenza. È bene ricordare che la segale è considerata una specie blandamente allopatica, cioè in grado di secernere degli essudati radicali in grado di inibire la germinazione dei semi di piccole infestanti. La segale è spesso soggetta a perdita di seme. Questa caratteristica potrebbe trasformarla a sua volta in un’infestante della coltura che segue in successione.

gestione delle avversità

Alcune cultivar risultano essere più soggette di altre ad una fisiopatia tipica di questa specie denominata segale cornuta (Claviceps purpurea). Si tratta di una malattia fungina che determina la sostituzione della cariosside con degli sclerozi di colore bruno. Soprattutto quando il tempo è umido e freddo, l’impollinazione avviene più tardi e i fiori rimangono aperti più a lungo. È proprio allora che le spore di questo parassita possono approfittarne, sviluppandosi nel fiore e sfruttando le forze di accrescimento dei semi. A maturazione gli sclerozi possono cadere e sopravvivere nel terreno oppure essere raccolti con la granella. La loro presenza nei prodotti alimentari è considerata pericolosa per la salute dell’uomo. Una corretta gestione agronomica dell’umidità rende però rara l’incidenza di questa fitopatologia.

raccolta e gestione dei residui colturali

Anche per la segale valgono gli stessi accorgimenti da adottare in fase di raccolta che per gli altri cereali minori. Conviene mietere in leggero anticipo sull’epoca di piena maturazione per evitare le perdite dovute alla facile sgranatura delle spighe. Le rese si assestano intorno ai 1,5 – 2,5 t/ha di granella. La paglia, lunga ed elastica, può avere un certo interesse in ambito vivaistico o per la realizzazione di manufatti artigianali. Il rapporto paglia/granella è di circa 2,5-2,8/1. Può comunque essere interrata, previa trinciatura.

trasformazione

I processi di trasformazione sono simili a quelli degli altri cereali minori. La granella viene portata a livelli di 12-13% di umidità e nella maggior parte dei casi avviata alla filiera molitoria per ottenere farina, in quanto la richiesta di granella sbramata e perlata è piuttosto esigua.

caratteristiche nutrizionali

La composizione di 100 g di granella è di 10,95 g di acqua, 69,76 g di carboidrati, 2,5 g di grassi, 14,76 g di proteine e 14,6 g di fibre. Contiene più proteine del frumento e possiede un'elevata percentuale di fibre solubili. Possiede buoni quantitativi di fosforo, potassio, calcio e ferro ed è ben dotata di minerali e vitamine, soprattutto vitamina E, K e vitamine del gruppo B. Contiene glutine e non è quindi adatta a chi soffre di celiachia. La segale possiede proprietà antisclerotiche, energetiche, depurative e ricostituenti; inoltre il suo grande contenuto di fibre la rende perfetta per chi soffre di stipsi e per chi segue un regime alimentare ipocalorico.

utilizzo

La segale viene utilizzata prevalentemente nella panificazione dando origine ad un prodotto piuttosto molle, fermentato, di colore scuro, molto nutritivo, più facilmente conservabile rispetto al pane comune e adatto ai diabetici. La presenza di pentosani nella struttura del glutine impedisce la formazione di una struttura collante in grado di trattenere i gas che si formano durante il processo di lievitazione. Ne risulta quindi un pane privo di cavità alveolari. Per tale motivo, solitamente la farina di segale viene miscelata con quella di frumento in una proporzione che varia dal 25 al 50% al fine di ottenere un pane più morbido ed elastico. La farina viene utilizzata anche per la produzione di pasta e gnocchi, sebbene abbia ancora una diffusione di nicchia. Anche l’utilizzo dei chicchi per la preparazione di minestre è poco diffuso in quanto necessitano di un ammollo piuttosto lungo, mentre trasformata in fiocchi viene utilizzata per la prima colazione. La segale viene utilizzata anche per la produzione di whisky e birra. In questo caso è da preferirsi una granella dalle dimensioni uniformi, piuttosto grosse e leggermente colorata.

 

Daniela Ponzini, La coltivazione di cereali minori secondo il metodo biologico nella Provincia di Milano Edizioni "Il Melograno" Società Cooperativa Sociale via Raffaello Sanzio 42/44 - 20021 Bollate (Mi)

SEGALE Secale Cereale (graminacee) = seigle = Roggen,


SEGALE  Secale Cereale (graminacee) = seigle = Roggen,

Varietà*. La segale ha, come il frumento,  varietà autunnali e primaverili.

 Clima. Può allignare in paesi assai più freddi ed elevati che non il frumento.

Consociazione. La segale si mescola, in alcuni luoghi, al frumento nel cosi detto segalaio. Siccome però le due piante maturano in tempi  diversi, cosi bisogna anticipare alquanto la raccolta deiruna, e posticipare quella dell'altra.

Tale consociazione è poco raccomandabile.

Terreno. Esige presso a poco gli stessi  materiali del frumento; a differenza del frumento può però anche allignare in terreni asciutti silicei, ma il terreno che più le conviene è il siliceo-calcare argilloso.

 
Concime. Dovendo tallire in autunno è certamente poco sensibile ai concimi usati tardi in primavera; l'inefficacia dei concimi grossolani sparsi in primavera fece credere inutile il concimare la segale. Quantunque la segale non sia esigente dal lato del concime, se la si concima, corrisponde bene alle cure del coltivatore. La segale esige o un terreno già preparato, o concimi ben scomposti, o liquidi consegnati al terreno alla fine dell'inverno.

Semina. Per seminare la segale occorre una quantità di seme ben maggiore di quella usata pel frumento, poiché le sue radici si allargano meno. La semina si deve fare piuttosto presto in autunno perchè possa aver tempo di tallire crescendo rapidamente in primavera.

 
Lavori di coltura, mietitura e trebbiatura.

Queste operazioni sono identiche a quelle indicate pel frumento. Anche per la segale conviene la mietitura precoce come risulta dalle esperienze fatte dal Cantoni nel 1872. Comunemente il raccolto lo si fa anticipare di 10 giorni circa quello del frumento.

 Cagioni nemiche. La ruggine attacca raramente la segale Il grano della segale attaccato dal Claviceps Purpurea dà luogo alla segale cornuta^ diventando molto più lungo, grosso e nero ed acquistando una superficie scabra. Siccome la segale cornuta ha proprietà deleterie principalmente  sui centri nervosi e sul sistema circolatorio, cosi, quando nel raccolto ve n' ha una certa quantità, bisogna procurare di toglierla, specialmente nella parte che deve servire alla semina. Si dovrà poi aver cura particolare di estirpare  e graminacee avventizie che possono trasmettere l’infezione.

 
Usi. Può servire come foraggio in primavera. II pane fatto colla farina di segale riesce assai saporito e si conserva fresco e buono per molto tempo. In Germania la farina di segale è assai più usata per la panificazione che non in Italia, in Francia ed in Inghilterra.  La segale ha una paglia lunga e molto consistente.

Economia. È più utile del frumento solo nei terreni magri e dove il clima è troppo freddo pel frumento.

 

Alessandra Canevari, Coltivazione delle piante alimentari (1884) Ed. "L'Italia agricola"

giovedì 24 aprile 2014

Un buon esempio da imitare


“Non andare dove conduce il sentiero, va’ invece dove il sentiero non c’è e lascia una traccia” Ralph Waldo Emerson, poeta e scrittore (1803 - 1882)

 Nel corso degli ultimi due secoli, l’umanità si è affrancata, almeno formalmente, dalla schiavitù dell’uomo sull’uomo. Ha sostituito gran parte del lavoro svolto con enorme fatica da persone ed animali con l’apporto energetico incredibilmente economico e funzionale di macchine e prodotti chimici derivati dai combustibili fossili. Ha sviluppato la “civiltà del petrolio” che a partire dalla Rivoluzione Industriale ha sconvolto e trasformato capillarmente la vita su tutto il globo, sia nei paesi industrializzati che da questo salto energetico traggono diretto beneficio, sia nei paesi definiti eufemisticamente “in via di sviluppo” o emergenti, cioè più poveri, che ne subiscono maggiormente i danni. La nuova società industrializzata ha investito in pieno il settore dell’agricoltura trasformandola nel settore produttivo più dipendente dai combustibili fossili. Per lunghissimo tempo, è parso che questo modello di sviluppo non imponesse prezzi da pagare e potesse consentire alla ristretta élite mondiale, di cui noi facciamo parte, di ignorare le conseguenze delle proprie azioni e vivere in un’eterna, irresponsabile e viziata adolescenza. Ma non è così. Il riscaldamento globale, la devastazione dell’ambiente, la perdita di fertilità dei suoli, la biodiversità in pericolo, le ricorrenti crisi economiche, la scarsità delle materie prime – primo tra tutti proprio del nostro deus-ex-machina, il petrolio – ci costringono a fare i conti con problemi di portata così enorme da lasciarci senza fiato e senza forze, sentendoci impotenti e frustrati di fronte a possibili scenari futuri che non vorremmo davvero augurare ai nostri figli e nipoti, né ad alcun altro.

Il 95 % dei suoli europei ricade nella classificazione di “deserto”


Il suolo è uno dei pilastri di un sistema sostenibile e il 95 % dei suoli europei ricade nella classificazione di “deserto”

Il suolo è uno dei pilastri di un sistema sostenibile e il 95 % dei suoli europei ricade nella classificazione di “deserto”
I terreni per l’agricoltura sono il Regno dei contadini e degli hobby farmer infatti è noto come sia cresciuta in Italia la moda di coltivarsi da soli frutta e verdura, e le indagini ci dicono che gli agricoltori 'fai da te' in Italia sono circa 1 milione. Ad oggi i terreni che vengono utilizzati soffrono di numerose problematiche: impoverimento da erosione, scarsità di nutrienti, bassa vitalità (scarsità di micro e macro organismi), sfruttamento legato all’agricoltura intensiva/monocultura.
Secondo un’indagine dell’UE (Unione Europea), il 95 % dei suoli europei ricade nella classificazione di “deserto”: questo è dovuto alla scarsissima percentuale di carbonio in essi contenuta (minore di 5 chilogrammi per metro quadrato)
All’impoverimento dei suoli è legata indissolubilmente un’altra grave problematica, ovvero il riscaldamento globale. Dell’incremento di anidride carbonica in atmosfera è responsabile in larga parte anche il settore agricolo, in quanto ogni anno con l’impoverimento del terreno scompare lo strato fertile (humus), capace - in un terreno sano e vitale - di sequestrare grandi quantità di anidride carbonica.