martedì 15 aprile 2025

"Salento, il Paesaggio Tradito: tra Abbandono Agricolo e Rinascita Ecologica"

 

Alfredo Melissiano mi ha scritto:

 

Grazie, Antonio, per i tuoi scritti che stimolano alcune riflessioni che sottopongo al gruppo.

 

Perché bisogna "ispirarsi" al Portogallo, alla California e non al Salento descritto nel Piano Paesaggistico Territoriale Regionale?

 

Il PPTR ha fatto uno studio unico e dettagliato delle stratificazioni antropiche dai primi insediamenti protostorici ad oggi, non tenerne conto a mio avviso è un errore molto grave.

 

Gli ecosistemi naturali del Salento sono di per sé "resilienti" e per ristrutturarsi non hanno assolutamente bisogno dell'intervento umano, anzi hanno bisogno dell'esatto contrario. Chi non sa cogliere questo dinamismo veramente resiliente siamo noi che originiamo ogni nostra azione di "progetto" dal Nostro punto di vista antropocentrico che non prescinde mai dalla tentazione di  monetizzazione di tutto.

 

Nella descrizione non vedo la centralità delle Comunità dove far nascere attraverso il confronto le vere emergenze (in quanto emersione e non crisi) che esprimono i territori.

 

Poi la cosiddetta "rigenerazione", parola usata a sproposito e in modo fuorviante, la si sta compiendo con

 

Lo svellimento di ettari ed ettari di prati rocciosi per fare posto a vigneti e oliveti intensivi e superintensuvi.

 

L'estirpazione di oliveti già maltrattati e volutamente non curati con capitozzature, ricorso abnorme alla fitochimica soprattutto con erbicidi. Ed oggi, grazie anche alla  incentivante politica  eradicativa, si completa l'opera.

 

La "rigenerazione" viene anche confusa con la nuova cementificazione. Quante nuove costruzioni in tutte le campagne soprattutto nel Salento si hanno? E per tutti questo va benissimo, a quanto pare.

 

Per non parlare di liberare le terre da lacci, lacciuoli e vincoli per poter fare meglio attuare progetti di ogni sorta. Fotovoltaici e agrivoltaici soprattutto.

 

In molte occasioni ho sentito e letto proprio le associazioni di categoria agricola e loro rappresentanti lamentarsi della presenza di alberi monumentali e vincoli paesaggistici che non permettevano di dare sfogo ai Veri progetti di Sviluppo nel settore agricolo.

 

Oggi, penso, che questo desiderio sia pienamente esaudito.

 

Caro Alfredo,

grazie per le tue riflessioni, sempre stimolanti e cariche di passione. Tuttavia, sento il dovere di esprimere alcune considerazioni, frutto di osservazioni dirette sul campo e di un confronto con la letteratura scientifica internazionale.

Contrariamente a quanto si potrebbe desumere da una lettura idealizzata del PPTR, nella realtà dei fatti il paesaggio agrario del Salento versa in uno stato di abbandono generalizzato. Dati alla mano, nella provincia di Lecce solo circa 20.000 ettari su 180.000 risultano aver beneficiato di interventi e finanziamenti, mentre la quasi totalità del territorio agrario si presenta oggi come uno spazio incolto, degradato e in balia di dinamiche entropiche incontrollate.

È importante ribadire che il concetto di “resilienza” ecosistemica, pur essendo centrale nell’ecologia contemporanea (Holling, 1973), non implica necessariamente l’autonomia totale dei sistemi naturali, specie in contesti fortemente antropizzati. Studi su scala globale – dal rimboschimento del Portogallo dopo gli incendi boschivi (Moreira et al., 2020) alla rinaturalizzazione delle zone umide in California (Bay Institute, 2017) – mostrano chiaramente che senza un intervento pubblico pianificato, basato su conoscenze scientifiche e finanziato adeguatamente, la rigenerazione ecologica rischia di rimanere un’utopia.

Il Salento, travolto da eventi epocali come l’epidemia di Xylella fastidiosa, è oggi una terra orfana del suo paesaggio storico. Non basta appellarsi alla “resilienza” dei sistemi naturali, quando ciò che rimane è spesso un mosaico di terreni desertificati, infestati da specie esotiche invasive e da una pressione crescente legata alla speculazione energetica e immobiliare. Il ritorno alla forestazione naturale e alla ricostruzione delle zone umide retrodunali, come da me auspicato, non è solo un'opzione ecologicamente fondata, ma una strategia necessaria per contrastare la desertificazione, tutelare la biodiversità e rigenerare i servizi ecosistemici (MEA, 2005). Ma sia chiaro: questo può e deve avvenire solo attraverso un impegno diretto dello Stato, che si assuma la responsabilità economica, gestionale e politica di questo processo.

Quanto alla centralità delle comunità, concordo pienamente sulla necessità di coinvolgimento attivo e dialogo dal basso. Tuttavia, bisogna distinguere tra partecipazione reale e retorica partecipativa. Troppe volte, dietro il richiamo alle “comunità” si sono celate strategie di spoliazione dei beni comuni in nome di uno sviluppo che ha favorito pochi, cementificato molto e lasciato ancor più marginalità diffusa.

Infine, riguardo al PPTR: è uno strumento di lettura del territorio straordinariamente ricco, ma non può essere considerato intoccabile né esaustivo, soprattutto quando la realtà osservabile – quella che percorriamo a piedi nei nostri sopralluoghi – ci mostra un’altra storia, fatta di regressione, abbandono e frammentazione ecologica. Per questo, guardare a esperienze esterne come quelle del Portogallo o della California non significa rinnegare l’identità del Salento, ma anzi dotarsi di strumenti nuovi per affrontare una crisi senza precedenti.

Con stima,

Antonio

 

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