Alfredo Melissiano mi ha scritto:
Grazie, Antonio, per i tuoi scritti che stimolano alcune
riflessioni che sottopongo al gruppo.
Perché bisogna "ispirarsi" al Portogallo, alla
California e non al Salento descritto nel Piano Paesaggistico Territoriale
Regionale?
Il PPTR ha fatto uno studio unico e dettagliato delle
stratificazioni antropiche dai primi insediamenti protostorici ad oggi, non
tenerne conto a mio avviso è un errore molto grave.
Gli ecosistemi naturali del Salento sono di per sé
"resilienti" e per ristrutturarsi non hanno assolutamente bisogno
dell'intervento umano, anzi hanno bisogno dell'esatto contrario. Chi non sa
cogliere questo dinamismo veramente resiliente siamo noi che originiamo ogni
nostra azione di "progetto" dal Nostro punto di vista antropocentrico
che non prescinde mai dalla tentazione di
monetizzazione di tutto.
Nella descrizione non vedo la centralità delle Comunità dove
far nascere attraverso il confronto le vere emergenze (in quanto emersione e
non crisi) che esprimono i territori.
Poi la cosiddetta "rigenerazione", parola usata a
sproposito e in modo fuorviante, la si sta compiendo con
Lo svellimento di ettari ed ettari di prati rocciosi per
fare posto a vigneti e oliveti intensivi e superintensuvi.
L'estirpazione di oliveti già maltrattati e volutamente non
curati con capitozzature, ricorso abnorme alla fitochimica soprattutto con
erbicidi. Ed oggi, grazie anche alla
incentivante politica
eradicativa, si completa l'opera.
La "rigenerazione" viene anche confusa con la
nuova cementificazione. Quante nuove costruzioni in tutte le campagne
soprattutto nel Salento si hanno? E per tutti questo va benissimo, a quanto
pare.
Per non parlare di liberare le terre da lacci, lacciuoli e
vincoli per poter fare meglio attuare progetti di ogni sorta. Fotovoltaici e
agrivoltaici soprattutto.
In molte occasioni ho sentito e letto proprio le
associazioni di categoria agricola e loro rappresentanti lamentarsi della
presenza di alberi monumentali e vincoli paesaggistici che non permettevano di
dare sfogo ai Veri progetti di Sviluppo nel settore agricolo.
Oggi, penso, che questo desiderio sia pienamente esaudito.
Caro
Alfredo,
grazie per
le tue riflessioni, sempre stimolanti e cariche di passione. Tuttavia, sento il
dovere di esprimere alcune considerazioni, frutto di osservazioni dirette sul
campo e di un confronto con la letteratura scientifica internazionale.
Contrariamente
a quanto si potrebbe desumere da una lettura idealizzata del PPTR, nella realtà
dei fatti il paesaggio agrario del Salento versa in uno stato di abbandono
generalizzato. Dati alla mano, nella provincia di Lecce solo circa 20.000
ettari su 180.000 risultano aver beneficiato di interventi e finanziamenti,
mentre la quasi totalità del territorio agrario si presenta oggi come
uno spazio incolto, degradato e in balia di dinamiche entropiche incontrollate.
È importante
ribadire che il concetto di “resilienza” ecosistemica, pur essendo
centrale nell’ecologia contemporanea (Holling, 1973), non implica
necessariamente l’autonomia totale dei sistemi naturali, specie in contesti
fortemente antropizzati. Studi su scala globale – dal rimboschimento del
Portogallo dopo gli incendi boschivi (Moreira et al., 2020) alla rinaturalizzazione
delle zone umide in California (Bay Institute, 2017) – mostrano chiaramente
che senza un intervento pubblico pianificato, basato su conoscenze
scientifiche e finanziato adeguatamente, la rigenerazione ecologica rischia di
rimanere un’utopia.
Il Salento,
travolto da eventi epocali come l’epidemia di Xylella fastidiosa, è oggi
una terra orfana del suo paesaggio storico. Non basta appellarsi alla
“resilienza” dei sistemi naturali, quando ciò che rimane è spesso un mosaico di
terreni desertificati, infestati da specie esotiche invasive e da una pressione
crescente legata alla speculazione energetica e immobiliare. Il ritorno alla forestazione
naturale e alla ricostruzione delle zone umide retrodunali, come da
me auspicato, non è solo un'opzione ecologicamente fondata, ma una strategia
necessaria per contrastare la desertificazione, tutelare la biodiversità e
rigenerare i servizi ecosistemici (MEA, 2005). Ma sia chiaro: questo può e
deve avvenire solo attraverso un impegno diretto dello Stato, che si
assuma la responsabilità economica, gestionale e politica di questo processo.
Quanto alla
centralità delle comunità, concordo pienamente sulla necessità di
coinvolgimento attivo e dialogo dal basso. Tuttavia, bisogna distinguere tra
partecipazione reale e retorica partecipativa. Troppe volte, dietro il richiamo
alle “comunità” si sono celate strategie di spoliazione dei beni comuni
in nome di uno sviluppo che ha favorito pochi, cementificato molto e lasciato
ancor più marginalità diffusa.
Infine,
riguardo al PPTR: è uno strumento di lettura del territorio straordinariamente
ricco, ma non può essere considerato intoccabile né esaustivo,
soprattutto quando la realtà osservabile – quella che percorriamo a piedi nei
nostri sopralluoghi – ci mostra un’altra storia, fatta di regressione,
abbandono e frammentazione ecologica. Per questo, guardare a esperienze
esterne come quelle del Portogallo o della California non significa
rinnegare l’identità del Salento, ma anzi dotarsi di strumenti nuovi per
affrontare una crisi senza precedenti.
Con stima,
Antonio
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