Patria originaria
dell’olivo domestico
La storia dell'ulivo
domestico, oscura e controversa, si
perde nella notte dei secoli; ma pare che la sua patria sia l'Asia anteriore a
mezzogiorno, dove è nobilitato per la
prima volta dalle razze semitiche di
quella regione.
I Semiti portano l’olivo
in Grecia, ove era quello selvatico.
Nella parte più interna dell'Asia, l'olivo manca, perché ama
il mare ed i monti calcarei: e manca
ancora, nei tempi remoti, in Egitto.
Secondo le testimonianze dei monumenti e degli storici,
troviamo l'olivo di frequente in istato selvatico sulle coste greche dell'Asia
Minore, nelle isole e nella Grecia stessa. È probabile, dunque, che la coltura
l'abbiano i Greci ricevuta dai Semiti. La quistione è quando.
Epoca in cui l’olivo
è coltivato in Grecia
All'epoca omerica (probabilmente nel IX secolo avanti Cristo: Omero, secondo Erodoto, fiori
400 anni av. lui, quindi 880 av. C. ) troviamo
citato frequentemente l'olio, ma solamente come importazione straniera : serviva
per ungere il corpo, ma non per nutrimento ed illuminazione.
Nelle parti dell’ Odissea che, secondo parecchi critici,
sarebbero più recenti, c'è qualche allusione all'olivo (canto VII, versi 103 e
131). Ma pare che si tratti di olivo ad
uso di giardinaggio anziché di coltura,
e unicamente per mangiarne le frutta.
Nel canto V, verso 476, sono citate Phylìa ed Elèa. Se la prima fosse, come
alcuni opinano, l'olivo selvatico, l'altra non potrebb'essere che il domestico.
Ammonio spiegava la Phylìa Schinos), che
è un mastice, cioè il lentisco (Pistada lentiscus); altri vi trovavano una
specie di oliva con foglie simili a quelle, del mirto. Ma, secondo Hehn (Ved. ViCT. Hehn:
Kulturpflamen und Haukhiere in iJvrem Uébergange aus Asien nach Griechenland
und Italim; Berlin 1874 (2* ed.), non sarebbe altro che pianta in genere, o,
volendo determinarla di più, un mirto. Nell’Ilìade (canto XVII, verso 53 sino
al 58) vi è una immagine, dove s'accenna a chi pianta l'olivo.
Da tutto ciò si arguisce che, nei canti omerici più moderni,
c'è un principio di questa coltura. Naturalmente dobbiamo pensare alle coste
joniche e alle isole, non alla terraferma. Infatti Samos, detta da Eschilo Elaiophyios,
vuol dire piantata di ulivi. Per Milelo e Chios , ne abbiamo testimonianze fin
dai tempi di Talete (dal 639 al 546 avanti Cristo). Spesso è citata l’isola di
Delo, pure come olivata.
Per la terraferma, la testimonianza d Esiodo, citata da
Plinio (XV, 3) sulla lentezza del crescere dell'olivo, è forse spuria.
Per i Greci, Atene era la sede originaria della coltura
dell'olivo (Erodoto, v, 82). E gli Epidaurensi, che domandarono agli Ateniesi
gli olivi coltivati in vicinanza del tempio come cosa sacra, gli ebbero. Ciò,
secondo Ottofredo Miiller, sarebbe stato
nella Olimpiade 60° (536 avanti Cristo); secondo Hehn (l.c.), nella prima metà
del VI secolo avanti Cristo.
Al principio di codesto secolo, nelle leggi di Solone si
parla di questa coltura; ma più specialmente si diffuse ai tempi di Pisistrato.
E alla grande diffusione, ch'ebbe l'olivo presso gli Attici , accenna il doppio
nome di Elèa e Kotinos.
Secondo Pausania (II, 6, 2), Sicione aveva di molti olivi
(Sicyonias baccas).
Diffusione dell’olivo
in Sicilia e Sardegna.
Quando nel primo secolo delle Olimpiadi (dal 776 al 676
avanti Cristo) le colonie greche si estendono sulle coste d'Occidente (Penisola
italiana, Sicilia, Gallia), l'olivo ha maggior campo.
Lo troviamo nelle isole e nell'Italia meridionale nel VI e
certo poi nel VII secolo avanti Cristo; ma forse il primo seme venne dai Fenici,
come oscuramente ce lo mostrerebbe il mito di Aristeo.
Aristeo, soggiunge Hehn (l.c.), antico Dio pastorale degli
Arcadi, dei Tessali e dei Beoti, fu portato dai primi coloni in Sicilia; e,
presso i successori, passò come inventore dell'oliva e dell'olio (Cicero in
Verr., IV, 57; De Natura deorum, III, 18; Plinio, VII, 199; Diodoro Siculo, IV,
81, 2).
Ma Aristeo, al dire di Pausania (x, 17), prima di venire in
Sicilia, era stato signore di Sardegna, e vi aveva portato la coltura dei
campi. Dalla Sardegna egli viene in Sicilia, e inventa, oltre a diverse altre
industrie campagnuole, la fabbricazione dell'olio.
È probabile che i Greci trovassero in Sicilia una divinità
libico-fenicia, che essi tramutarono in quella di Aristeo. Ora, questo Dio dev'essere
venuto in Sardegna dall'Africa, e quindi in Sicilia. Così opina Hehn; ma a noi
pare più verisimile che dall'Africa dovesse questo Dio arrivare più presto in
Sicilia anziché in Sardegna. Sul tempo, le tradizioni tacciono; e resta quindi dubbio
se i Greci abbiano o no trovato in Sicilia oliveti piantati dai Fenicii. Più
tardi , quando nella madre patria greca l'olio ebbe la maggiore importanza,
s'incontrarono in Sicilia le due correnti: la cartaginese e quella imitatrice dell'Attica.
Diffusione dell'olivo
nella terraferma.
Veniamo alla terraferma italiana. Qui troviamo un dato
cronologico. Plinio, citando Lucio Fenestella, sa che ai tempi di Tarquinio
Prisco, cioè all'anno 139 di Roma (615 av. Cr.), non c'erano olivi (Plinio, XV,
1). Se questa affermazione non è un'eco del luogo citato da Erodoto (e il
sospetto cresce, pensando che, oltre all'Italia, aveva citato la Spagna e
l'Africa) , dobbiamo conchiudere che nel tempo dei Tarquinii, fra i molti
legami che i latini avevano coi Greci di Campania, vi appresero anche l'arte di
coltivare l'olivo. Forse questa notizia deriva da una fonte Cumana. Che poi la
coltura venisse direttamente dai Greci, lo provano le parole oliva ed oleum,
derivate certo dal greco; ed alcune altre, che si riferiscono alla coltura
della pianta ed alla fattura dell'olio, sono greche leggermente tramutate in
Latino, come, ad esempio, orehis, cercites o cìrcites, drupa , trapetum, amurca,
La coltivazione dell'olivo cominciò di certo sulle coste, e
poi dentro terra, quando cessava l'antipatia per l'olio. Varrone ed Orazio magnificano
i vegeti olivi che vedevansi in gran copia nella Sabina (Rieti), nel Sannio
(Campobasso), nella Messapia o Japigia (Lecce), nella Peucezia (Bari), nella
Daunia (Capitanata), nella Campania (Napoli , Salernitano e Terra di Lavoro), nella
Lucania (Basilicata), e in molti luoghi del littorale tirreno e adriatico.
Celebrato è l’olio di Venafro e di Thurii (antica Sibari); poi abbiamo l'oliva
di Calabria (Olea calabrica) detta anche Oleastella (Columella, XII, 51); la
Salentina, citata da Catone (VI) e da Varrone (i, 24); la Lieiniana, in
Campania; quella del monte Taburnns, tra Capua e Nola (Virgilio, Georg. , II,
38); poi di molt'olio nei monti Sabini. L'oliva Sergia era la più resistente al
freddo e ricca d'olio, ma non
fina e gentile (Plinio, xv, 3; Columella, v, 8; Palladio, m,
18).
Troviamo anche l'olivo nel Piceno, ora Marca di Ancona, ma
ci avverte Marziale (i, 43, 8; v, 78, 19 ; XIII, 36) che al di là
dell'Appennino non reggeva. E, secondo l'affermazione di Plinio (xv, I), la
coltura era molto diffusa in Italia un secolo avanti Cristo.
Dell’Olivo, Monografia di G. Caruso Professore di Agraria
della Regia Università di Pisa, Torino Unione Tipografico editrice 1883, CAPO I
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