Viaggiare attraverso il tempo è un’esperienza affascinante, specialmente quando il mezzo di trasporto è la parola scritta. Nel cuore del Salento leccese, un linguaggio d’altri tempi ci introduce a una realtà culinaria ricca di storia e tradizione: il "Pampasciune", una cipolla selvatica con un sapore amarognolo, amata da generazioni.
Nel quadro di un centro storico salentino, tra vicoli stretti e cortili silenziosi, ho trascorso la mia infanzia circondato dai profumi delle cucine che si affacciavano sulla corte. Il "Pampasciune", noto anche come "Lampasciune", era il piatto preferito di mio nonno Petruzzu, un uomo dal cuore saldo che adorava gustare questo bulbo, soprattutto quando preparato fritto dalla nonna Domenica.
Il "Pampasciune" nasce dal terreno dopo 4-5 anni di vita di una pianta chiamata Muscari comosum. Questa pianta erbacea, appartenente alla famiglia delle Liliaceae o Hyacinthaceae, cresce a 10-15 centimetri sotto terra, presentandosi come piccole cipolle dal sapore amarognolo e ricco di sali minerali.
La sua raccolta è un'attività che coinvolge ancora oggi molte persone, che si avventurano nei campi dopo la pioggia con la zappetta in mano. La ricerca del "Pampasciune" è un'avventura, una sfida di profondità e attenzione, dove l'abilità nel cavarlo senza rompere lo stelo è fondamentale per assaporare questo tesoro culinario.
Ma il "Pampasciune" non è solo un piatto, è un ponte tra uomo e natura che affonda le sue radici nel tempo. Nel 1960, la scoperta di una tomba di un Neanderthal sepolto con otto specie di piante dimostra il rapporto millenario tra piante e uomini.
Descrivere il "Pampasciune" senza comprendere la sua controparte botanica è impossibile. Il Muscari comosum, con le sue foglie basali, fiori poco appariscenti e bulbo rosaceo, si presenta nelle pendici dei monti, regalando il suo viola primaverile tra marzo e giugno. In Italia ne sono catalogate sette specie, ognuna con caratteristiche uniche.
Ma il "Pampasciune" non è solo un piacere culinario; è stato anche oggetto di studi scientifici. Nel 1888, il dottor Antonio Curci evidenziava le proprietà mucillaginose e amare del Muscari comosum, suggerendo il suo utilizzo terapeutico come espettorante.
Oltre alle sue virtù medicinali, il "Pampasciune" ha avuto una reputazione afrodisiaca nell'antichità. Poeti come Marziale nel I secolo d.C. esaltavano i bulbi come rimedio per soddisfare desideri amorosi.
Ma ogni piacere ha il suo prezzo, e il "Pampasciune" non fa eccezione. L'effetto collaterale inaspettato è un attivo meteorismo, un'aria rumorosa che potrebbe trasformare un incontro romantico in un imbarazzante spettacolo.
Così, il "Pampasciune" ci invita a esplorare il Salento attraverso i suoi sapori, a riscoprire tradizioni secolari e a connetterci con la natura in un viaggio che unisce passato e presente, uomo e pianta, in un caleidoscopio di profumi e memorie che persistono nei vicoli di San Cesario di Lecce.
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