Xylella fastidiosa: identikit e possibili soluzioni
Scritto da: Daniela Pasanisi , 1 aprile 2015
Con questo intervento
dedicato alla drammatica “questione Xylella” avviamo la rubrica “Occhio alla
Scienza“. Con il contributo di Daniela Pasanisi, dottaranda in Biologie e
Biotecnologie presso l’Università del Salento, esploreremo il mondo, troppo
poco conosciuto, della Scienza e delle sue applicazioni.
xylellaNel lontano 1880 una misteriosa fitopatologia
distrusse più di 14000 viti e circa 50 vigneti dovettero essere dismessi
nell’area agricola di Los Angeles. Questa, nel 1887, venne descritta
dettagliatamente da Newton B. Pierce, così da essere oggi conosciuta come
malattia di Pierce della vite. Dopo circa un decennio, una fitopatologia simile
fu trovata nei peschi. L’agente eziologico della malattia di Pierce fu isolato
da una vite in coltura pura, Xylella fastidiosa (1). X. fastidiosa è un
batterio Gram-negativo caratterizzato da una bassa velocità di crescita che
prolifera nei vasi xilematici delle piante (apparato conduttore della linfa
grezza, ossia dell’acqua e dei soluti in essa disciolti), causandone
l’occlusione e, di seguito, una serie di alterazioni in grado di determinare
anche la morte delle piante infette. Una volta colonizzata la pianta, i batteri
formano un biofilm, macroscopicamente evidente come un gel, a livello dello
xilema, ostruendo l’irradiamento dell’acqua attraverso i vasi linfatici della
stessa e bloccando la sua nutrizione. Tra le sintomatologie tipiche e più
frequenti associate alle infezioni di X. fastidiosa, vi sono la bruscatura delle
foglie (leaf scorching), il ridotto accrescimento e il disseccamento dei rami e
dei germogli, dapprima isolato e, successivamente, di intere branche della
pianta. X. fastidiosa è un patogeno con un’ampia gamma di piante ospiti, tra
cui specie coltivate di interesse agricolo, essenze forestali e ornamentali.
Inoltre il batterio è stato trovato anche in molte piante selvatiche prive di
sintomi, come erbe, carici ed alberi, che potrebbero rappresentare un
importante “serbatoio” del batterio (2). Già negli anni ’40 vennero
identificati i primi vettori del fitopatogeno in grado di causare le malattie
in viti e peschi, appartenenti alla famiglia delle Cicadellidae, insetti che si
nutrono dello xilema (3).
Figura 1
A. Cellule di X. fastidiosa formanti biofilm attaccate alla
cuticola del vettore (fonte: A. Almeira). B. Cellule di X. fastidiosa in vasi
xilematici (fonte: A. Almeira). C. Il vettore H. vitripennis della California
(fonte: http://www.apsnet.org/bookstoretitles/EPPCD/Images/3-14.htm). D.
Philenus spumarius, un possibile vettore di X. fastidiosa in Europa (fonte:
EPPO).
Nel 1987 in Brasile si sviluppò una fitopatologia a
rapidissima diffusione simile alla malattia di Pierce, chiamata clorosi
variegata degli agrumi: anche in questo caso venne isolata X. fastidiosa dagli
alberi infetti (4). Negli stessi anni si ebbe un boom nella diffusione della
malattia di Pierce in California, causata dall’importazione di una piccola
cicala del sud est degli USA, la Homalodisca vitripennis, che divenne una vera
e propria minaccia per l’intero settore dell’industria vinicola. Questo
insetto, isolato in California per la prima volta nel 1996, era in grado di
diffondere l’infezione da X. fastidiosa molto più rapidamente rispetto agli
altri vettori.
Fino al 2013 le patologie causate da X. fastidiosa sono
state riportate solamente nel Nord e nel Sud America. In Europa è stato
rinvenuto un solo caso non confermato in Kosovo (5) e alcune segnalazioni sono
state effettuate in Francia, in piante da caffè e peschi di importazione, a cui
non è seguito, però, l’insediamento della fitopatologia. Tuttavia non si può
escludere che il patogeno sia stato introdotto in Europa già da molto tempo, ma
che sia rimasto latente. Infatti una serie di innesti di viti selvatiche del
Nord America vennero importante su larga scala in Europa, già agli inizi del
‘900, per la loro resistenza alla fillossera della vite, un fitofago che
attacca le radici delle specie europee. Inoltre l’importazione di molte altre
piante in Europa potrebbe aver condotto all’incidentale introduzione dei
vettori del fitopatogeno, così come accaduto negli anni ’90 in California (6).
Tuttavia anche le Cicadellidae locali potrebbero, nel tempo, essere diventate
un utile vettore del microrganismo, come Cicadella viridis e P. spumarius. A
causa di questi potenziali rischi X. fastidiosa è nella lista A1 di quarantena
di EPPO (European and Mediterranean Plant Protection Organization).
Nel 2013 il primo caso di epidemia di X. fastidiosa in
Europa è stato registrato in Puglia. La patologia, che qui attacca
principalmente gli ulivi, è caratterizzata da una serie di fattori che
conducono a quello che è stato definito Complesso del Disseccamento Rapido
dell’ulivo (CoDIRO) (7). Recentemente sembrerebbe essere stato sequenziato
anche il DNA del ceppo isolato negli ulivi salentini (8), che ci fornirebbe
informazioni molto più dettagliate sul ceppo di X. fastidiosa coinvolto nel
CoDIRO. In particolare il sequenziamento ha rivelato che il ceppo nostrano,
geneticamente vicino a X. fastidiosa sottospecie pauca, è geneticamente vicino
a quello brasiliano, e non a quello californiano. Il microrganismo, inoltre,
possiede delle variazioni nei geni codificanti per i fattori di virulenza
coinvolti nel riconoscimento di fattori specifici nell’ospite che potrebbero
spiegare il motivo della scelta di un ospite, l’ulivo, così diverso da quelli
oltreoceano. Anche il fattore climatico risulta fondamentale per la diffusione:
i vettori europei sono stati capaci di sopravvivere all’inverno e, da adulti,
di diffondere la patologia; i recenti cambiamenti climatici hanno reso il
bacino mediterraneo una regione ideale per la sopravvivenza dei vettori nella
stagione fredda, che risulta ormai mite e umida (9).
Quali sono le possibili soluzioni trovate dalla ricerca? I ceppi
di X. fastidiosa americani sono stati oggetto di studio per cercare le
possibili soluzioni. Scartando quelle che prevedono prodotti o pratiche non
regolamentari in UE e in Italia ci sono degli spunti interessanti, che
potrebbero essere studiati in relazione al ceppo nostrano.
Una delle prime soluzioni proposte dal mondo scientifico fu
quella di utilizzare virus che attaccassero specificatamente le cellule di X.
fastidiosa, batteriofagi specie-specifici. Nel 2006 un primo studio in tal
senso condusse all’isolamento del fago Xfas53 (10). In seguito ad ulteriori
studi è stato scoperto che, in realtà, si trattava di un cocktail di due fagi
che lavorano in sinergia contro X. fastidiosa. In seguito a test in serra,
effettuati nel 2014, si sta provvedendo all’allestimento di una sperimentazione
in campo, in California.
Un’altra possibile via è quella di ricercare dei target
molecolari che caratterizzano il patogeno, in modo da colpirli
specificatamente. La xilellaina, una cisteina proteasi del ceppo, è stata
utilizzata per immunizzare topi, che hanno prodotto anticorpi contro X.
fastidiosa. La xilellaina potrebbe essere un target promettente per combattere
le fitopatologie causate da X. fastidiosa (11). Tale approccio potrebbe essere
utilizzato insieme al trattamento delle piante infette con N-Acetilcisteina
(NAC), capace di ridurre l’adesione dei batteri allo xilema in quanto contrasta
la sintesi del biofilm. Una recente ricerca ha dimostrato che la regolare
somministrazione di NAC, mediante fertilizzanti organici o con colture
idroponiche, indurrebbe una riduzione della popolazione batterica (12).
Un altro studio si è focalizzato sull’uso di possibili
antibiotici contro X. fastidiosa: è stata calcolata la minima concentrazione
inibente (MIC), ovvero la dose più bassa di antibiotico capace di uccidere il
microrganismo, di vari tipi di antibiotici contro diversi ceppi di X.
fastidiosa (13). In questo studio sono stati trovati alcuni peptidici tossici
per i ceppi; tuttavia l’uso di antibiotici è attualmente vietato per due
ragioni: comprometterebbe il raccolto e, soprattutto, perché l’uso
incontrollato di antimicrobici potrebbe portare all’effetto opposto, ovvero a
creare dei ceppi fitopatogeni più aggressivi e difficili da debellare,
antibiotico-resistenti.
Un altro approccio è quello dello studio dei processi
molecolari dei microrganismi. I batteri sono entità autonome, cellule singole
che, però, sono in grado di comunicare fra loro formando una vera e propria
comunità. Tale comunicazione è mediata da sostanze chimiche, ciascuna con il
suo significato biologico. Recentemente è stato scoperto che in X. fastidiosa i
segnali chimici necessari per la comunicazione tra cellule sono dei particolari
acidi grassi, chiamati Fattori diffusibili del segnale (DSF), necessari al
microrganismo nella fase di colonizzazione dell’insetto, e nella fase di
invasione dello xilema, con conseguente formazione del biofilm al suo interno.
Interferendo con i meccanismi cellulari che regolano la sintesi dei DSF sarebbe
possibile ridurre la capacità di infettare lo xilema e/o di colonizzare il
vettore, senza alcun tipo di alterazione nella pianta e nel vettore (14).
Tra i metodi biologici testati è da evidenziare un metodo
che prevede l’inserimento di un “predatore biologico” di X. fastidiosa nelle
piante infette, mediante funghi che attaccano il microrganismo. Tuttavia
l’introduzione di una nuova specie fungina nella pianta infetta potrebbe
alterare gli equilibri ecologici e fisiologici del sistema, risultando dannosa
per la pianta. Per questo motivo i ricercatori hanno studiato una “via
alternativa” per l’inserimento non del fungo vivo ma di un suo estratto
caratterizzato da molecole naturali bioattive specificamente contro X.
fastidiosa. Tale metodo è stato coperto da brevetto, a dimostrazione della sua
promettente efficacia (15).
In conclusione la ricerca ha già prodotto dei risultati
green ed ecocompatibili, che prevedono la conservazione della pianta e
l’introduzione di sostanze che non altererebbero il frutto e l’ambiente che
circonda le piante infette. Varrebbe la pena dare maggiore fiducia alla ricerca
e approfondire gli studi sul ceppo presente nel Mediterraneo.
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Daniela Pasanisi dice di se: Sono una dottoranda di Biologie
e Biotecnologie. Mi occupo prevalentemente di Microbiologia ma, essendo
laureata in Biotecnologie Farmaco-Industriali, il mio principale oggetto di
studio sono le applicazioni biotecnologiche della Microbiologia, come i batteri
produttori di antibiotici. Sono appassionata di scienza nel suo complesso, in
particolar modo alle tematiche ambientali e alle applicazioni tecnologiche di
questa. Mi piace trasmettere la passione per la scienza e e diffondere
l'approccio "open your mind", perché il futuro è adesso e lo
strumento per raggiungerlo sono solo le nostre idee.
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