venerdì 19 luglio 2019

CREARE UN NUOVO REDDITO DI CONTADINANZA di Susanna Tamaro e Andrea Segrè


CREAREUNNUOVOREDDITODICONTADINANZA di Susanna Tamaro e Andrea Segrè

L’agricoltura e le aree rurali del nostro Paese rappresentano un patrimonio straordinario che ancora non riusciamo a valorizzare al meglio
La parola CONTADINANZA
La parola contadinanza indica la condizione di contadino o, ma l’uso è più raro, la classe dei contadini. Nel Friuli del 1500 fu anche il nome di un sindacato di rappresentanza dei contadini, nato sotto la protezione della Repubblica di Venezia
La scheda
● Secondo Eurostat (2016) l’Italia è la seconda potenza agricola Ue con un fatturato di oltre 55 miliardi di Euro.
Il Paese ospita la metà delle specie vegetali e un terzo di quelle animali presenti in tutta Europa
● Globalmente il settore agricolo dà lavoro a circa 919.000 unità (poco più della metà dipendenti). Mentre le imprese registrate nel 2017 sono state 753.833 (+5,6% quelle guidate da giovani)
● Nel 2018 la produzione dell’agricoltura è aumentata dell’1,5%, dopo un 2017 negativo. Una marcata crescita si è registrata per alcune produzioni, come vino (+14,3%) e frutta (+1,4%)
● Molto bene anche la produzione di piante industriali (+7,0%), dei cereali (+3,5%), degli ortaggi e dei
prodotti orticoli (+2,1%)
● Male invece la produzione di due comparti del «made in Italy»: agrumi (-6,8%) e olio d’oliva (-36,9%)

L’ appello che lanciammo due
anni fa al Governo di allora
— Il ritorno alla terra. Opportunità
per i giovani, Corriere
della Sera, 14.10.2017—
è rimasto inascoltato. Proponevamo
alcuni interventi per
favorire il ritorno alla terra e
al lavoro agricolo dei più giovani
e dei disoccupati (spesso
le due «categorie» coincidono).
Per ottenere almeno
due risultati: aiutare le persone
più colpite dalla crisi
economica e scongiurare il
continuo abbandono di terre
fertili, il conseguente dissesto
idrogeologico e la crisi
ambientale. Un modo per
coniugare l’ecologia con
l’economia, riconoscendo
che la radice dei due termini
è la stessa: casa. Una casa
grande, il mondo e le sue risorse
naturali, e una casa più
piccola, quella dove abitiamo.
Oggi ci rivolgiamo alle cariche
più alte della nostra casa
comune, l’Italia. Speriamo
che vogliate ascoltarlo e ve
ne facciate carico con interventi
adeguati. In gioco ci
sono la terra e i giovani, cioè
il nostro futuro.
L’agricoltura e le aree rurali
del nostro Paese rappresentano
un patrimonio straordinario
che ancora non
riusciamo a valorizzare al
meglio nonostante vogliano
dire: cibo, lavoro, salute, ambiente,
paesaggio, cultura,
turismo... Le tendenze degli
ultimi decenni sono allarmanti:
abbandono delle aree
collinari e montane; invecchiamento
degli agricoltori
senza ricambio generazionale;
aumento dei costi di
produzione e diminuzione
dei prezzi di vendita (i prodotti
non si raccolgono neppure);
scarsa formazione; assenza
di servizi e infrastrutture
(acqua, strade, scuole,
ospedali, internet); un apparato
burocratico-amministrativo
che obbliga soprattutto
a «coltivare carta».
Altrettanto allarmante è la
condizione dei giovani: un
terzo dei ragazzi che vivono
nel nostro Paese è in quel
limbo che sta al di fuori dagli
studi e ai margini del percorso
lavorativo.
Possibile che queste tendenze
non si possano ribaltare,
proprio facendo incontrare
la terra e i giovani?
Negli ultimi anni sono state
avviate alcune misure per
stimolare nuovi insediamenti
agricoli per i giovani. I
risultati finora sono timidi
ma incoraggianti. Lavorare
in campagna non è facile,
non solo perché la «terra è
bassa»: servono competenze
e condizioni che favoriscano
l’insediamento in un contesto
sempre più difficile, anche
dal punto di vista del
cambiamento climatico e
delle sue conseguenze estreme.
D’altra parte non tutti ereditano
la terra e/o possono
studiare nei dipartimenti di
agraria o negli istituti tecnici,
anche se negli ultimi anni
le iscrizioni sono aumentate.
Alcune ricerche dimostrano
che l’occupazione in campagna
attirerebbe chi ha meno
di 35 anni e non ha origini
agricole: sono gli agricoltori
di prima generazione. Anche
altre figure potrebbero
essere «richiamate» per la
necessità di trovare un’occupazione.
Concretamente cosa si potrebbe
fare per questa nuova
«contadinanza»? Tre azioni:
formazione, reddito, semplificazione.
Chi entra nel settore dopo
aver studiato o fatto altro (o
nulla), spesso non ha modo
di tornare sui banchi. L’approccio
va ribaltato: sono gli
insegnanti che vanno nei
campi, gli insediamenti
agricoli diventano aule a cielo
aperto. Va promosso un
patto con le scuole agrarie
superiori e universitarie affinché
possano offrire, gratuitamente
per i beneficiari,
dei corsi per imprenditori
agricoli direttamente sul
campo. Delle moderne «cattedre
ambulanti», quelle dove
i professori alla fine dell’
800 andavano nelle campagne
e trasmettevano materialmente
ai contadini i
saperi agrari. La nuova «contadinanza
» va guidata nella
quotidianità e nelle difficoltà
delle pratiche agricole sia
tecniche che economiche.
La teoria è importante ma la
pratica è fondamentale per
riuscire nell’impresa e garantire
un reddito almeno
«soddisfacente», come dicevano
una volta gli economisti
agrari.
La seconda leva riguarda
appunto il reddito. Che non
è scontato, soprattutto per
chi inizia e non viene dal
mondo contadino. Ecco la
seconda proposta: garantire
ai giovani un reddito di contadinanza,
un contributo limitato
nel tempo che possa
fungere da humus, da concime,
aspettando che gli investimenti
necessari a far decollare
l’impresa possano
generare i primi frutti.
L’obiettivo — legando il
reddito all’apprendimento
—è quello di evitare la trappola
mortificante dell’assegno
da ritirare ogni mese per
sopravvivere. Dobbiamo
puntare a un incentivo che
non intacchi la dignità di chi
lo riceve, che non crei subalternità
o dipendenza. Il reddito
di contadinanza spezzerebbe
questo circuito vizioso
perché è legato all’operatività,
al fare. Gli agricoltori producendo
il cibo che mangiamo
tutelano il nostro territorio
e la nostra salute. Dobbiamo
riconoscere questo
valore, ed essere disposti —
noi consumatori—a pagarlo.
La terza leva, ma più che
leva qui dovremmo usare il
verbo levare, riguarda la
semplificazione burocratica-
amministrativa. Se ne
parla da anni, tutti i governi
che si succedono fanno delle
promesse che poi non mantengono.
Il carico di carta da
coltivare aumenta a dismisura,
con i relativi costi non
solo economici ma anche di
tempo. Si è sviluppato un
apparato parassitario che si
autoalimenta. Facciamo una
moratoria: eliminiamo tutta
la carta, facciamo dialogare
le banche dati. Ribaltiamo il
principio che tutti vogliono
fregarci. Per una volta pensiamo
che stanno semplicemente
cercando di fare.
I costi di questi interventi
andranno accuratamente
stimati. Pensiamo però che
possano essere inferiori rispetto
ai benefici ottenibili
in termini di salvaguardia
della natura, dell’agricoltura
che ne fa parte, di prevenzione
dei disastri ambientali e
del lavoro che la nostra Costituzione
vorrebbe garantire
a chi non lo ha e in particolare
ai giovani.
SIGNORI PRESIDENTI, ci
aiutate a far sì che queste
azioni diventino misure concrete
per favorire lo sviluppo
di una nuova #contadinanza?

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