giovedì 11 febbraio 2016

Xylella 12 febbraio 2016

Xylella, “analisi illegittime”: neanche gli ulivi infetti andavano abbattuti

Il Consiglio di Stato aggiunge un passaggio chiave alla vicenda Xylella: le analisi sugli alberi andavano svolte con la partecipazione dei proprietari, che avevano diritto di sapere. Ecco perché neanche gli ulivi infetti di Trepuzzi andavano tagliati. Lo stesso problema si pone ora per i futuri focolai
XYLELLA
LECCE (di Tiziana Colluto)-Neanche gli ulivi classificati come infetti a causa della presenza del batterio Xylella fastidiosa potevano essere estirpati, perché la procedura in base alla quale sono state eseguite le analisi da parte del Servizio fitosanitario regionale è sbagliata. È la conclusione a cui è giunto il Consiglio di Stato, la cui decisione vale quanto una chiave di volta per tutta la vicenda: per la prima volta, infatti, si tocca il cuore della questione democratica relativa alla mancata possibilità dei cittadini di verificare quali e quanti campionamenti siano stati effettuati e in quale modo. Sono stati tenuti all’oscuro di tutto e senza possibilità di sapere e di controbattere, nel nome di uno stato di emergenza che, in sostanza, li ha tagliati fuori. 
Quanto più volte da loro denunciato e ignorato adesso trova sponda nel supremo organo della giustizia amministrativa. L’ordinanza è dell’11 febbraio, emessa sulla base del ricorso in appello presentato da dieci proprietari di Trepuzzi per i quali il Tar Lazio aveva respinto l’istanza cautelare, ora invece confermata. Tradotto: se non fosse intervenuto il sequestro disposto dalla Procura, anche quelle piante nel frattempo sarebbero state tagliate, ma ingiustamente.
Il perché lo spiegano i giudici del Consiglio di Stato (Lanfranco Balucani, Presidente; Carlo Deodato, Consigliere; Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere estensore; Massimiliano Noccelli, Consigliere; Pierfrancesco Ungari, Consigliere), che sposano la linea dell’avvocato Mariano Alterio, che si è avvalso della consulenza giuridica di Nicola Grasso, docente di diritto costituzionale presso l’UniSalento.
I magistrati scrivono che “i proprietari non sono stati informati che sui loro fondi si sono svolte verifiche e prelievi sulle piante senza contraddittorio e che con note, pervenute al Servizio regionale da alcuni mesi, il SELGE aveva comunicato gli esiti positivi su materiale vegetale prelevato in agro di Trepuzzi (LE)”.
Aggiungono che “nessuno degli interessati conosce le modalità di catalogazione e conservazione del materiale vegetale analizzato” e che, ancora, “il sistema di individuazione delle piante da eliminare, con riferimento alle coordinate geografiche, non consente la effettiva corretta eseguibilità dell’ordine in giorni 10, in quanto sul terreno risulta incerta l’individuazione concreta delle piante in questione, anche in considerazione del fatto che nel contesto lavorativo degli olivicoltori non c’è familiarità con gli strumenti che calcolano le coordinate geografiche, ma con altri tipi di strumenti o di regole di misurazione”.
I giudici ritengono, ad ogni modo, che quell’ordine di abbattimento “non risulta eseguibile nel tempo accordato in quanto è troppo ridotto rispetto al tempo effettivamente necessario per l’intera operazione di eradicazione, come evidenziato dai primi interventi di tale genere, in situazioni note al Servizio Agricoltura”. Tra l’altro, ribadiscono quanto espresso anche nell’ordinanza del gip: c’è una “mancanza di univoci risultati delle analisi sugli agenti patogeni responsabili della diffusione della malattia in questione”.
Ecco perché non ha retto la difesa dell’Avvocatura dello Stato. Ma l’ordinanza pone, in sostanza, anche un altro problema più ampio: se tutte le analisi eseguite finora sono viziate allo stesso modo di quelle effettuate a Trepuzzi, possono considerarsi ancora valide? E sulle future che verranno svolte nei nuovi focolai, non sarà necessario cambiare procedura?







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