Diagnosi dei batteri patogeni delle piante
L’approccio necessario per la individuazione di ogni fitopatia
è la determinazione ed identificazione dell’organismo responsabile. Una
semplice diagnosi di un batterio patogeno già noto potrebbe richiedere solamente
il riconoscimento dei sintomi e un test rapido per confermarne l’ identità, ma
la diagnosi di patogeni ancora sconosciuti richiede una più attenta
osservazione in campo, un esame dei tessuti della pianta, l’isolamento del
batterio patogeno, la sua caratterizzazione e infine la dimostrazione dei
postulati di Koch (Stead et al., 1997).
Molti metodi fenotipici come il profilo degli acidi grassi,
proteico e nutrizionale consentono la determinazione e l’identificazione di molte
specie di batteri. Questi metodi tradizionali però sebbene forniscano molte
informazioni fenotipiche non sono in grado di determinare lo stato di pathovar
della specie (Stead, 1991). Le procedure "standard" di
identificazione dei batteri, o metodi classici, richiedono l'isolamento di colture
pure seguito da test che analizzano alcune caratteristiche fenotipiche, quali i
caratteri biochimici e morfologici.
Se alcune di queste metodologie si sono rivelate efficaci
per l’identificazione di alcuni batteri, resta il fatto che questi saggi
servono, di solito, per identificare un numero relativamente ristretto di
microrganismi e in genere non possiedono tutti quei requisiti che un buon protocollo
per la identificazione e/o la tipizzazione di un isolato batterico dovrebbe avere:
specificità, sensibilità, riproducibilità, rapidità, semplicità e basso costo.
Oggi invece sono disponibili numerosi metodi di
fingerprinting genetico basati sulla PCR che hanno un buon potenziale nel
classificare ed identificare i batteri fino al livello di pathovar che hanno
affiancato ed in parte soppiantato le tecniche "classiche".
In particolare le tecniche basate sulla PCR (AFLP, AP-PCR,
DAF, RAPD, rep-PCR, eric-PCR, tDNA-PCR, ARDRA, ITS, sequenziamento del 16S
rDNA) si sono rivelate un mezzo estremamente veloce ed efficace per l' identificazione,
la tipizzazione ed il monitoraggio dei batteri. Le varie tecniche , che
differiscono oltre che per l'approccio operativo, anche per la loro
specificità, generano un fingerprinting molecolare che assume le sembianze di
un codice a barre, il numero delle quali dipende dal tipo di tecnica utilizzata.
L' identificazione di un isolato batterico ignoto avviene mediante confronto
con il codice a barre ottenuto con uno o più ceppi tipo (Morinet, 1992).
Metodi tradizionali
Per identificare un batterio è necessario anzitutto ottenere
la sua coltura pura.
L’isolamento dei batteri viene fatto strisciando una
sospensione batterica su substrati nutritivi solidi che possono essere di
quattro tipi: semplici, di composizione idonea alla crescita indiscriminata di
batteri; differenziali, contenenti sostanze che danno reazioni differenti
quando certi batteri crescono in loro presenza; selettivi, di composizione tale
da inibire la crescita di batteri indesiderati; di arricchimento,
particolarmente favorevoli alla moltiplicazione dei batteri.
Una volta ottenuta la coltura pura, vengono utilizzati test
per studiare i caratteri biochimici. Il batterio sconosciuto viene esaminato ed
i suoi caratteri sono comparati con quelli di batteri noti (ad esempio ceppi
tipo). La scelta dei caratteri deve però essere ponderata pertanto è
consigliabile che il nu mero delle osservazioni e dei saggi sia mantenuto al
minimo indispensabile (Cowan e Liston, 1974).
Le prime tappe per l’identificazione dei batteri
fitopatogeni sono l’osservazione microscopica in contrasto di fase, la
colorazione di Gram, la determinazione del numero e della disposizione dei
flagelli, del tipo di metabolismo del glucosio, se respiratorio o fermentativo,
(Hugh e Leifson, 1953) ed il saggio dell’ossidasi (Kovacs, 1956). Nel corso di
questi saggi è possibile verificare inoltre se le colture del batterio producono
pigmenti o posseggono qualche altro spiccato carattere macroscopico (ad esempio
colonie levaniformi o pectolitiche).
Per presunti batteri fitopatogeni è anche importante
effettuare il test di patogenicità: il batterio deve essere in grado di
riprodurre, una volta inoculato artificialmente su piante sane, i sintomi
tipici della malattia presente in natura. Se la prova dà esito positivo per
poter affermare che il batterio è causa della malattia deve essere reisolato dai
sintomi artificiali, devono cioè essere soddisfatti i postulati di Koch. A
questo punto si può avere già un’idea del genere o addirittura della specie cui
attribuire il ceppo esaminato (Mazzucchi, 1981). Questi metodi però non sono
affatto rapidi.
La ditta Biolog Inc. di Hayward (CA-USA) ha velocizzato i
saggi metabolici per l’identificazione dei microrganismi, mettendo a punto un
sistema basato su piastre contenenti fino a 95 differenti substrati organici.
Questi sono contenuti in forma liofilizzata in altrettanti pozzetti.
Aggiungendo in ogni pozzetto la medesima quantità di sospensione batterica, a
densità nota, il substrato si reidrata ed il pozzetto, in presenza di attività
metabolica del batterio, si colora di viola con un’intensità teoricamente proporzionale
all’utilizzo del substrato stesso. La lettura della piastra colorata viene eseguita
tramite uno spettrofotometro per piastre a 96 pozzetti in grado di leggere alla
lunghezza d’onda di circa 590 nm (specifica per il tipo di colorazione del sale
di tetrazolio utilizzato). Ad ogni ceppo batterico saggiato corrisponde un
profilo metabolico (o profilo di utilizzo dei substrati). La somiglianza o
l’equivalenza del profilo ottenuto, con i profili registrati in un database
della Biolog Inc., permette di risalire al genere, alla specie del batterio o,
nella migliore delle ipotesi, alla pathovar.
Anche l’analisi gas-cromatografica degli acidi grassi
rappresenta un metodo di diagnosi per i batteri fitopatogeni. In tali organismi
infatti, la maggior parte degli acidi grassi cellulari presentano catene lunghe
da 9 a 20 atomi di carbonio (Miller, 1982; Moss et al., 1980); di questi,
alcuni sono presenti anche nelle cellule di piante e animali, mentre altri (β-idrossi,
ciclopropano e catene ramificate) sono presenti esclusivamente nei batteri
(Lechevalier, 1982). La diversità nella struttura e la conformazione caratteristica,
rendono tali composti adatti per l’identificazione dei batteri, identificazione
basata sulla composizione specifica di acidi grassi totali.
Gli acidi grassi vengono estratti da i campioni in cultura e
vengono separati mediante gas-cromatografia. Il profilo unico degli acidi grassi
estratti viene analizzato mediante opportuni software informatici e viene comparato
con un database microbico interno. Oltre il profilo degli acidi grassi, molti
programmi forniscono anche una lista con i risultati degli accoppiamenti con i
dati del database e un valore di probabilità statistica che indica il livello
di confidenza del risultato.
Metodi basati sulla PCR
I metodi di identificazione dei ceppi basati sulla PCR possono
essere riassunti in tre strategie:
a) analisi di fingerprinting del cromosoma utilizzando
tecniche di amplificazione mediante PCR;
b) frammentazione con endonucleasi di restrizione del
cromosoma batterico;
c) amplificazione enzimatica di singoli geni e successiva
analisi di sequenza dei prodotti PCR.
Molti progressi nella tipizzazione dei batteri sono stati
raggiunti utilizzando tecniche di fingerprinting che impiegano la PCR per amplificare
segmenti multipli di DNA batterico. Ad es. l’analisi degli elementi ripetitivi
semplicemente chiamata REP-PCR si basa su parecchie famiglie di elementi ripetuti
del DNA distribuiti nel cromosoma batterico. Questi possono servire come siti
di legame per primer per una amplificazione del DNA (Versalovic et al.,
1991;1994; de Bruijn, 1992).
Parecchie famiglie di sequenze ripetitive sono intersperse
attraverso il genoma di diverse specie batteriche. Tre famiglie di sequenze
ripetute sono state studiate più in dettaglio, incluse le sequenze REP
(repetitive extragenic palindromic), le sequenze ERIC (enterobacterial
repetitive intergenic consensus), e gli elementi BOX (Versalovic et al., 1994).
L’utilizzo di questi primer in PCR consente l’amplificazione selettiva di distinte
regioni genomiche localizzate tra le sequenze REP, ERIC o BOX. In modo simile
all’analisi VNTR negli eucarioti, gli oligonucleotidi utilizzati nella REP-PCR determinano
la misura dei polimorfismi amplificando le regioni di DNA comprese tra i motivi
ripetuti. In questo modo il pattern dei frammenti amplificati è in funzione
della localizzazione fisica degli elementi ripetuti nel genoma.
Un altro approccio che si basa sulla frammentazione con
endonucleasi di restrizione è l’analisi RFLP-PCR che prevede l’amplificazione di
una porzione del DNA ottenuto utilizzando uno o più enzimi di restrizione.
L’analisi AFLP è un altro metodo di fingerprinting basato
sulla PCR che si utilizza per discriminare batteri anche strettamente correlati.
Il DNA batterico viene prima digerito con enzimi di restrizione producendo una
serie di frammenti di DNA di varia lunghezza. Poi specifici adattatori a doppio
filamento vengono legati alla fine di questi frammenti. Primer di sequenza complementare
a quella degli adattatori e con vari oligonucleotidi selettivi al 3’ sono
infine utilizzati per amplificare questi frammenti.
Infine l’amplificazione del gene 16S rRNA e la successiva
analisi di sequenza è un altro metodo molto utilizzato per l’identificazione
dei batteri. Il DNA genomico è estratto direttamente dalle colonie batteri che
e il gene del 16S rRNA è amplificato utilizzando primer universali tramite PCR.
Il gene amplificato è poi sequenziato utilizzando un
sequenziatore automatico e la sequenza analizzata con metodi bioinformatici per
ricercare polimorfismi con le sequenze del 16S note di altre specie.
DOTTORATO DI RICERCA IN PROTEZIONE DELLE PIANTE - XVIII
CICLO - Analisi genetica e molecolare dei batteri implicati nella “moria”del
nocciolo AGR/12, Dottoranda DOTT.SSA CRISTINA PROIETTI ZOLLA, Coordinatore
CHIAR.MO PROF. NALDO ANSELMI, Tutore CHIAR.MO PROF. LEONARDO VARVARO, Co-tutore
CHIAR.MO PROF.ROSARIO MULEO
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