sabato 23 aprile 2016

DANNI DOCUMENTATI DELLA CHIMICA SU API E AMBIENTE


INSETTICIDI, FUNGICIDI, ACARICIDI ED ERBICIDI SONO TRA LE CAUSE PIU’ IMPORTANTI DELLA MORTALITÀ DELLE API, COME EVIDENZIATO DAI DATI SPIA BEENET. È NECESSARIO STRUTTURARE IL TERRITORIO PER MIGLIORARE LA DIFESA INTEGRATA.
Le indicazioni emerse dal seminario “Scienza e tecniche per la sostenibilità in agricoltura” (Castel San Pietro Terme, BO) dello scorso 19 settembre 2015, dedicato in gran parte all’illustrazione delle tecniche soft, esistenti e praticabili, di difesa nei vari settori agricoli, evidenziano ancora una volta quanto le api, eccellenti bioindicatori dello stato di salute dell’ambiente, siano in sofferenza. I casi di mortalità e spopolamenti segnalati, che sono solo la punta dell’iceberg, si stanno allargando anche ad altre coltivazioni come la medica e il nocciolo, e non riguardano solamente l’uso massiccio di insetticidi (in particolare i neonicotinoidi), ma anche quello di fungicidi, acaricidi, erbicidi che, assommandosi ad altre problematiche di ordine patologico e ambientale, favoriscono l’insorgere di subdoli effetti sinergici.
Inoltre, trattamenti fitosanitari eseguiti a ridosso della fioritura, se non in piena antesi, o in presenza di vento (effetto deriva), oppure senza effettuare lo sfalcio preventivo delle specie di piante spontanee in fiore, sono stati segnalati, più o meno ufficialmente, da molte parti.
Purtroppo però, nel corso del 2015, al servizio Spia del progetto BeeNet sono pervenute ufficialmente solamente una sessantina di comunicazioni, contro un numero quasi doppio dell’anno precedente.
I motivi del calo delle segnalazioni sono fondamentalmente da attribuire al termine, nel 2014, del progetto BeeNet (nel 2015 il servizio Spia è stato attuato solo su base volontaria da parte degli operatori e senza il supporto in proprio delle analisi di laboratorio) e alla scarsa fiducia degli apicoltori sull’utilità di avvisare i servizi competenti dell’avvenuto apicidio per risolvere queste problematiche apistiche. In ogni caso, nel 2015, il maggior numero di segnalazioni sono pervenute, come nell’anno passato, dal Nord Italia, in particolare dalla Lombardia, dal Piemonte e dall’EmiliaRomagna.
Alcune preoccupanti situazioni evidenziate negli scorsi anni, si sono purtroppo ripetute anche nel 2015, come ad esempio quelle rilevate durante e subito dopo la semina del mais, soprattutto in Lombardia. Oppure durante la fioritura del girasole nelle Marche o in seguito ai trattamenti sul melo in Alto Adige. Nel 2015, però, queste due ultime circostanze critiche, non sono state adeguatamente segnalate come negli anni precedenti, probabilmente per i motivi già menzionati.
La causa maggiormente responsabile dello spopolamento degli alveari e della mortalità delle api, come risaputo, è da ricercare nei nefasti effetti combinati di molteplici fattori, da quelli ambientali (impiego di pesticidi, ambiente depauperato sfavorevole a una buona alimentazione delle api, riscaldamento globale ecc.) a quelli apistici (patologie, miglioramento genetico, tipo di conduzione ecc.). Relativamente ai primi, occorre fortemente sottolineare, in generale, la cattiva gestione del nostro territorio e, in particolare, l’abuso dei pesticidi. Infatti, in campo agricolo, pur esistendo tecniche attuabili di difesa delle coltivazioni a basso impatto ambientale (principale tema del seminario di Castel San Pietro Terme), purtroppo è molto difficile che vengano praticate. Uno dei motivi è che sempre più aree coltivabili, in particolare quelle in monocoltura/monosuccessione, spesso mancanti di strutture agroecologiche come siepi, bordure e rive alberate, non si prestano ad attuare i dettami della difesa integrata che contempla in primis la prevenzione.
Per attuare una vera difesa integrata vi è la necessità di predisporre adeguatamente il territorio con infrastrutture naturali e aree di compensazione ecologica allo scopo di conservare e, se possibile, incrementare la biodiversità. In questo modo è possibile prevenire e controllare più adeguatamente lo sviluppo e la diffusione degli organismi dannosi alle piante coltivate, ricorrendo in misura minore alle molecole di sintesi.
Contemporaneamente bisognerebbe reintrodurre le rotazioni (e con esse le leguminose, che consentono l’aggiunta di azoto simbiotico al suolo), in quanto favoriscono la fertilità e la struttura del terreno, ne impediscono la “stanchezza” e interrompono il ciclo vitale degli organismi dannosi (patogeni, insetti, erbe spontanee) nelle nostre coltivazioni.
Tra l’altro, la moratoria europea dei neonicotinoidi (Regolamento UE n. 485/2013), in vigore dal 1 dicembre 2013, ha risolto solo in parte i gravi problemi creati alle api da queste sostanze. Infatti, nel 2014, le segnalazioni di mortalità delle api dovute ai neonicotinoidi nelle aree frutticole, sia in pre e sia in post fioritura, sono state diverse. Ricordando che la norma europea vieta l’impiego di imidacloprid, thiamethoxam e clothianidin nella concia delle sementi e nelle applicazioni al suolo per le colture appetite alle api oltre a quello fogliare (sempre sulle colture attrattive per le api), fatta eccezione per l’impiego in serra, per gli usi successivi alla fioritura e per le colture raccolte prima della fioritura (es. lattughe e simili), dalle analisi svolte nel 2014 nell’ambito del servizio Spia (progetto BeeNet) disponibili fino a ora, i neonicotinoidi sono stati trovati in diversi casi di mortalità di api avvenuti durante la semina del mais, in campioni provenienti da aree di frutticoltura intensiva (melo) sia nel periodo pre-forale, sia nel periodo post-forale. Da questi dati emerge che le api potrebbero avere qualche benefico, oltre che da una diversa gestione del territorio agricolo, solo con una totale sospensione di questi prodotti. Ma questa ipotesi è forse un’utopia, che però potrebbe essere innescata da un’incisiva azione educativa rivolta ai consumatori i quali, indirizzando il mercato con le loro scelte, ne condizionerebbero i metodi di produzione. Bisogna favorire non solo i prodotti locali e di stagione, ma anche derrate alimentari con piccole imperfezioni estetiche, con pezzatura differente e ottenute con metodi di coltivazione a basso impatto ambientale. Insomma, frutti della terra che assomiglino maggiormente a prodotti biologici e non ad articoli tecnologici!
Le api, ricollegandomi a quanto detto all’inizio, sono eccellenti bioindicatori dello stato di salute dell’ambiente, e ogni loro variazione popolazionistica e comportamentale andrebbe segnalata da parte degli apicoltori, perché, parafrasando Madre Teresa di Calcutta, più ci saranno api che riusciremo a salvare, più il mondo risplenderà di bellezza.
Claudio Porrini – Entomologo – Responsabile Progetto spia BEENET  - Dipartimento di Scienze agrarie (Dipsa), Università di Bologna

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