INSETTICIDI, FUNGICIDI, ACARICIDI ED ERBICIDI SONO TRA LE
CAUSE PIU’ IMPORTANTI DELLA MORTALITÀ DELLE API, COME EVIDENZIATO DAI DATI SPIA
BEENET. È NECESSARIO STRUTTURARE IL TERRITORIO PER MIGLIORARE LA DIFESA
INTEGRATA.
Le indicazioni emerse dal seminario “Scienza e tecniche per
la sostenibilità in agricoltura” (Castel San Pietro Terme, BO) dello scorso 19
settembre 2015, dedicato in gran parte all’illustrazione delle tecniche soft,
esistenti e praticabili, di difesa nei vari settori agricoli, evidenziano
ancora una volta quanto le api, eccellenti bioindicatori dello stato di salute
dell’ambiente, siano in sofferenza. I casi di mortalità e spopolamenti
segnalati, che sono solo la punta dell’iceberg, si stanno allargando anche ad
altre coltivazioni come la medica e il nocciolo, e non riguardano solamente l’uso massiccio di insetticidi (in particolare i neonicotinoidi), ma anche quello di fungicidi, acaricidi,
erbicidi che, assommandosi ad altre problematiche di ordine patologico e
ambientale, favoriscono l’insorgere di subdoli effetti sinergici.
Inoltre, trattamenti fitosanitari eseguiti a ridosso della
fioritura, se non in piena antesi, o in presenza di vento (effetto deriva),
oppure senza effettuare lo sfalcio preventivo delle specie di piante spontanee
in fiore, sono stati segnalati, più o meno ufficialmente, da molte parti.
Purtroppo però, nel corso del 2015, al servizio Spia del
progetto BeeNet sono pervenute ufficialmente solamente una sessantina di comunicazioni,
contro un numero quasi doppio dell’anno precedente.
I motivi del calo delle segnalazioni sono fondamentalmente
da attribuire al termine, nel 2014, del progetto BeeNet (nel 2015 il servizio
Spia è stato attuato solo su base volontaria da parte degli operatori e senza
il supporto in proprio delle analisi di laboratorio) e alla scarsa fiducia
degli apicoltori sull’utilità di avvisare i servizi competenti dell’avvenuto
apicidio per risolvere queste problematiche apistiche. In ogni caso, nel 2015, il
maggior numero di segnalazioni sono pervenute, come nell’anno passato, dal Nord
Italia, in particolare dalla Lombardia, dal Piemonte e dall’EmiliaRomagna.
Alcune preoccupanti situazioni evidenziate negli scorsi
anni, si sono purtroppo ripetute anche nel 2015, come ad esempio quelle
rilevate durante e subito dopo la semina del mais, soprattutto in Lombardia.
Oppure durante la fioritura del girasole nelle Marche o in seguito ai
trattamenti sul melo in Alto Adige. Nel 2015, però, queste due ultime circostanze
critiche, non sono state adeguatamente segnalate come negli anni precedenti,
probabilmente per i motivi già menzionati.
La causa maggiormente responsabile dello spopolamento degli
alveari e della mortalità delle api, come risaputo, è da ricercare nei nefasti
effetti combinati di molteplici fattori, da quelli ambientali (impiego di
pesticidi, ambiente depauperato sfavorevole a una buona alimentazione delle
api, riscaldamento globale ecc.) a quelli apistici (patologie, miglioramento
genetico, tipo di conduzione ecc.). Relativamente
ai primi, occorre fortemente sottolineare, in generale, la cattiva gestione del
nostro territorio e, in particolare, l’abuso dei pesticidi. Infatti, in campo
agricolo, pur esistendo tecniche attuabili di difesa delle coltivazioni a basso
impatto ambientale (principale tema del seminario di Castel San Pietro Terme),
purtroppo è molto difficile che vengano praticate. Uno dei motivi è che
sempre più aree coltivabili, in particolare quelle in
monocoltura/monosuccessione, spesso mancanti di strutture agroecologiche come
siepi, bordure e rive alberate, non si prestano ad attuare i dettami della
difesa integrata che contempla in primis la prevenzione.
Per attuare una vera
difesa integrata vi è la necessità di predisporre adeguatamente il territorio
con infrastrutture naturali e aree di compensazione ecologica allo scopo di
conservare e, se possibile, incrementare la biodiversità. In questo modo è
possibile prevenire e controllare più adeguatamente lo sviluppo e la diffusione
degli organismi dannosi alle piante coltivate, ricorrendo in misura minore alle
molecole di sintesi.
Contemporaneamente
bisognerebbe reintrodurre le rotazioni (e con esse le leguminose, che
consentono l’aggiunta di azoto simbiotico al suolo), in quanto favoriscono la
fertilità e la struttura del terreno, ne impediscono la “stanchezza” e
interrompono il ciclo vitale degli organismi dannosi (patogeni, insetti, erbe
spontanee) nelle nostre coltivazioni.
Tra l’altro, la moratoria europea dei neonicotinoidi
(Regolamento UE n. 485/2013), in vigore dal 1 dicembre 2013, ha risolto solo in
parte i gravi problemi creati alle api da queste sostanze. Infatti, nel 2014,
le segnalazioni di mortalità delle api dovute ai neonicotinoidi nelle aree
frutticole, sia in pre e sia in post fioritura, sono state diverse. Ricordando
che la norma europea vieta l’impiego di imidacloprid, thiamethoxam e
clothianidin nella concia delle sementi e nelle applicazioni al suolo per le
colture appetite alle api oltre a quello fogliare (sempre sulle colture attrattive
per le api), fatta eccezione per l’impiego in serra, per gli usi successivi
alla fioritura e per le colture raccolte prima della fioritura (es. lattughe e
simili), dalle analisi svolte nel 2014 nell’ambito del servizio Spia (progetto
BeeNet) disponibili fino a ora, i neonicotinoidi sono stati trovati in diversi
casi di mortalità di api avvenuti durante la semina del mais, in campioni
provenienti da aree di frutticoltura intensiva (melo) sia nel periodo
pre-forale, sia nel periodo post-forale. Da questi dati emerge che le api
potrebbero avere qualche benefico, oltre che da una diversa gestione del
territorio agricolo, solo con una totale sospensione di questi prodotti. Ma
questa ipotesi è forse un’utopia, che però potrebbe essere innescata da un’incisiva azione educativa rivolta ai
consumatori i quali, indirizzando il mercato con le loro scelte, ne
condizionerebbero i metodi di produzione. Bisogna favorire non solo i prodotti locali e di stagione, ma anche
derrate alimentari con piccole imperfezioni estetiche, con pezzatura differente
e ottenute con metodi di coltivazione a basso impatto ambientale. Insomma,
frutti della terra che assomiglino maggiormente a prodotti biologici e non ad
articoli tecnologici!
Le api, ricollegandomi a quanto detto all’inizio, sono
eccellenti bioindicatori dello stato di salute dell’ambiente, e ogni loro
variazione popolazionistica e comportamentale andrebbe segnalata da parte degli
apicoltori, perché, parafrasando Madre
Teresa di Calcutta, più ci saranno api che riusciremo a salvare, più il mondo
risplenderà di bellezza.
Claudio Porrini – Entomologo – Responsabile Progetto spia
BEENET - Dipartimento di Scienze agrarie
(Dipsa), Università di Bologna
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