In questo articolo ci concentreremo
sulla prima area, quella della gestione sostenibile del terreno, che
prevede l’eliminazione dell’aratura per introdurre la minima
lavorazione e il sodo.
Regola numero 1: evitare il
compattamento
La regola numero uno per iniziare un
percorso di gestione del terreno che preveda la graduale eliminazione
dell’aratura a favore della minima lavorazione e del sodo, è
evitare il compattamento degli aggregati del suolo. Si deve quindi
iniziare già dalla trebbiatura dei raccolti estivi e autunnali,
prevedendo l’entrata in campo su terreni non eccessivamente umidi,
con mietitrebbie dotate di gommature a larga sezione e a bassa
pressione capaci di minimizzare la formazione di carreggiate
compattate. Inoltre, i rimorchi devono sostare solo sulle cappezzagne
senza entrare sui campi.
La stabilità degli aggregati del
suolo, cioè la loro buona struttura, è il presupposto della
cosiddetta fertilità fisica, il cui decadimento è purtroppo un caso
molto frequente in Italia che provoca una perdita di produzione,
indipendentemente dalla disponibilità di nutrienti. La degradazione
fisica del suolo si associa all’erosione dovuta all’azione
dell’acqua e del vento, e bisogna tenere presente che per
ripristinare un suolo degradato occorrono molti decenni, con
l’aggiunta di costi elevati.
Foto Se si vogliono adottare le minime
lavorazioni del terreno è indispensabile che sin dal momento della
raccolta della coltura precedente le mietitrebbie siano dotate di
gomme a larga sezione e a bassa pressione per evitare fenomeni di
compattamento, e che si eviti di operare con terreno molto umido.
Regola numero 2: corretta gestione dei
residui colturali
La regola numero due per avere successo
dopo l’abbandono delle lavorazioni tradizionali profonde con
ribaltamento della zolla, è la corretta gestione dei residui
colturali, che costituiscono una preziosa risorsa per la fertilità
del suolo.
Semplificare le lavorazioni presuppone
la distribuzione in maniera omogenea sulla superficie del terreno dei
residui della coltura precedente. Una buona uniformità nella
copertura del terreno da parte dei residui colturali deriva
dall’impiego di mietitrebbie equipaggiate con barre di taglio
provviste di trincia stocchi e con dispositivi di
trincia-spargipaglia per sfibrare il più possibile il residuo e
spargerlo su tutto il fronte di lavoro, evitando le aree di accumulo.
Un buon risultato di questa operazione
si ottiene utilizzando coltelli non usurati e ben regolati a seconda
della biomassa che ci si trova davanti ( umidità, consistenza,
altezza della pianta). La trinciatura degli stocchi dopo la raccolta
è un’operazione necessaria a garantire che il residuo venga
sfibrato e ridotto in dimensioni tali da degradarsi nel tempo. Per
tutte queste operazioni al momento della raccolta è consigliabile
equipaggiare le mietitrebbie con pneumatici a sezione larga che
riducono il calpestamento e la formazione delle ormaie.
Foto residui colturali devono essere
ben trinciati e sminuzzati per evitare che siano un ostacolo alla
buona deposizione del seme che deve essere posto a contatto con
terreno sufficientemente umido per poter germinare velocemente.
Quali vantaggi portano i residui sul
terreno
La presenza di residui colturali in
superficie, che nel caso del sodo vengono mantenuti per tutta la
stagione, porta ai seguenti vantaggi:
1.Si attenua l’aggressività delle
piogge con riduzione dell’erosione e dello scorrimento
superficiale.
2.Si mantiene a lungo un certo tasso di
umidità nel terreno.
3.Aumenta la portanza del suolo,
consentendo di entrare in campo con più facilità anche in
condizioni di umidità eccessiva.
4.Aumenta la percentuale di sostanza
organica del suolo.
5.Si incrementa la presenza di biofauna
utile, come ad esempio i lombrichi, che costituiscono il primo
segnale del buono stato di salute del terreno.
Foto I residui colturali in superficie
portano vantaggi considerevoli in particolare sui terreni collinari,
riuscendo a rallentare sia i fenomeni di erosione del terreno sia gli
smottamenti che sono all’ordine del giorno se si praticano le
lavorazioni tradizionali.
Regola numero 3: l’uso delle cover
crops
Si chiamano cover crops le colture
intercalari, coltivate negli “spazi vuoti” degli avvicendamenti,
con lo scopo di fornire un’adeguata copertura del suolo nei periodi
a maggiore rischio di erosione o di mineralizzazione della sostanza
organica.
Le specie tradizionalmente impiegate
sono quelle appartenenti alle famiglie delle leguminose (es. veccia,
favino, trifogli – squarroso, pratense, incarnato, sotterraneo),
delle graminacee (es. orzo, avena, segale, triticale) e delle
crucifere (es. Brassica juncea e carinata, colza, senape).
Le specie leguminose vengono seminate
principalmente allo scopo di fornire al terreno l’azoto fissato per
via simbiontica e renderlo disponibile per le colture da reddito in
successione (in genere a ciclo primaverile-estivo, come mais o
girasole). Le graminacee sono impiegate invece per l’effetto di
contenimento delle piante infestanti oppure come catch-crops, cioè
come colture finalizzate ad assorbire eventuali residui di azoto
lasciati nel terreno da colture precedenti.
Scritto da Roberto Bartolini Laureato
in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal
1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna,
passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per
oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e
Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica,
occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.
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