Il cotone coltivato nel Salento leccese nel 1327
reintrodotto dal Prof. Ferdinando Vallese nel 1905
di Antonio Bruno*
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Nel 1810 Lecce fu sede di un Orto botanico, fondato a
seguito dell’l’istituzione delle Società di Agricoltura in ogni provincia del
Regno di Napoli. L’uomo a cui più di ogni altro furono legati lo sviluppo e la
gestione della struttura fu Gaetano Stella; sotto la sua direzione, infatti,
l’estensione dell’orto si ampliò fino a raggiungere la superficie di circa tre
ettari e mezzo, si costruirono i locali per il ricovero invernale delle piante
più delicate e delle specie tropicali, furono arricchite le collezioni vive già
esistenti. Il catalogo delle piante dell’orto, pubblicato nel 1857, elencava
ben 570 taxa subgenerici, di cui oltre 100 varietà di alberi da frutto. Dopo
quasi un secolo di storia, il decadimento della struttura si compì
definitivamente nel primo dopoguerra con la costruzione, sul suolo di sua
pertinenza, di alcuni edifici pubblici ovvero il Consorzio Agrario e il Palazzo
degli Uffici Finanziari in Viale Gallipoli.
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Ferdinando Vallese nel 1905 descriveva le colture erbacee
che venivano praticate nell'Orto Botanico di Lecce e affermava che le piante
che hanno un ciclo vegetativo invernale o che si prolunga sino alla Primavera,
vegetavano benissimo, invece le colture erbacee che hanno un ciclo estivo
oppure che si prolungano sino all'autunno vegetavano stentatamente poiché in
quel periodo non era disponibile l'acqua dei pozzi e delle cisterne presenti
nell'orto botanico di Lecce in quanto si stava provvedendo alla loro
ristrutturazione.
Il prof. Vallese riferisce che si erano introdotte delle
piante nuove come il cavolo di Bruxelles, la cicoria di Treviso; i pomodori
Cristoforo Colombo, Mikado, Umberto I, Ponderoso; le patate Earlyrose, Iuval,
Manhattan, Prince de Galles, Belle de Iullet, Fiocco d'oro d'Erfurt, Geant de
l'Ohio, Agnelli ma che queste non avevano destato alcun interesse nei
coltivatori che visitano l'orto botanico.
Nel 1904 nell'orto era stata introdotta la pianta del
piretro di cui ho già scritto nel mio articolo
http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2010/03/conviene-coltivare-il-fiore-che-uccide.html
le cui infiorescenze hanno azione insetticida. Le piante giunsero a Lecce
direttamente dalla Dalmazia dove in quegli anni si coltivava nei terreni
asciutti e ben esposti. Secondo il Prof. Ferdinando Vallese ogni agricoltore
dovrebbe avere nei suoi terreni qualche piccolo appezzamento coltivato a
piretro perché, anche se non potesse dare luogo a grandi coltivazioni,
l'agricoltore potrebbe raccoglierne i fiori e bruciarli nelle abitazioni per
procurarsi, durante l'estate, sonni tranquilli senza ricorrere ai costosi coni
fumanti che si usavano allora.
Nel 1905 il Prof. Ferdinando Vallese scrivendo del cotone riferendo
che era stato largamente coltivato nella Terra d'Otranto e che, a seguito del
rialzo dei prezzi di quel periodo, gli agricoltori del circondario di Taranto e
di Brindisi erano interessati a una reintroduzione.
Comunque le oscillazioni dei prezzi del mercato cotoniero,
provocate da speculazioni e manovre commerciali, secondo il Prof. Vallese erano
talmente frequenti da non riuscire a instillare grande fiducia nell'animo dei
coltivatori.
La coltivazione del cotone nella Terra d'Otranto, secondo il
responsabile della Cattedra Ambulante dell'Agricoltura, era sostenibile. Il
Prof. Ferdinando Vallese sottolinea che nei terreni adatti, essendo il cotone
una pianta che non intralcia affatto e non richiede modificazioni
nell'avvicendamento delle piante erbacee, si presta per lo sfruttamento delle
terre a maggese (Maggese viene dal latino “Maius” maggio. Era, infatti, in quel
mese che in epoca medievale si era soliti dissodare il campo ed è la parte di
un campo lasciato a riposo o a pascolo, senza alcuna coltivazione) che
attendono la semina del frumento. Nel 1905 le varietà di cotone in uso erano
due e cioè quella a fibra bianca e quella a fibra avana, nota con il nome di
cotone barbaresco. Nel 1905 l'Orto Botanico di Lecce aveva sperimentato alcune
varietà di cotone i cui semi erano stati forniti dalla Casa Vilmorin et
Andrieux di Parigi e cioè: Cotone d'Egitto Mit-Afifi, Cotone della luigiana
(corta fibra), Cotone di Georgia (lunga fibra), Cotone d'Egitto Abassy, Cotone
sea Island (lunga fibra), Cotone choice Upland, Cotone d'Egitto Iannovich.
La cotonicultura fra '700 ed '800, era molto diffusa. Le
prime notizie sulla coltura del cotone risalgono al 1327, ma solo dal XVII
secolo il suo peso economico iniziò a crescere in maniera sensibile.
Tra la fine del '700 e gli anni '60 dell' 800 la coltura si
diffuse enormemente ma la concorrenza delle coltivazioni americane e asiatiche
la fece ridimensionare e scomparire negli anni che seguirono. Il cotone era
coltivato secondo due modalità. La coltura estensiva era inserita nel ciclo
agrario quadriennale e che completava il ciclo vitale fra primavera ed estate,
copriva il maggese nei mesi immediatamente precedenti la semina del grano.
Condotta a secco, doveva essere approvvigionata d'acqua dalle piogge
primaverili, la resa era scarsa e il prodotto meno pregiato.
La coltura intensiva rispondeva alle elevate esigenze
idriche della pianta in fase vegetativa, per cui erano particolarmente indicati
pantani, lame e terre sommerse per periodi più o meno lunghi dell'anno, ma anche
saline dismesse. In questi terreni, infatti, il periodo di carenza idrica era
considerevolmente più breve.
Il cotone alimentava anche un diffuso artigianato domestico.
Verso la fine del Settecento comparvero, tuttavia, alcuni grossi imprenditori
del settore tessile, che attrezzarono officine con decine di telai, ai quali
serviva mano d'opera femminile.
La raccolta avveniva in estate quando le bacche si
schiudevano e appariva un batuffolo di cotone che veniva separato dai semi con
il “TORNU TE LA CAMMACE (bambagia)”. La “cammace” (bambagia) che si raccoglieva
veniva filata con il fuso e il filo ottenuto raccolto per mezzo di “lu
matassaru” (arcolaio). Il cotone veniva poi sistemato sulla “macinnula”
(attrezzo usato anticamente per filare la lana) e con “lu tornu te le
canneddhe” veniva avvolto in rulli di canne “le canneddhe”.
L'attività tessile rimase, tuttavia, a lungo attiva, seppure
limitatamente all'originale ambito familiare.
Un'ultima annotazione sull'uso di cotone Bt bacillus
thurigensis che all'inizio sembrava davvero che funzionasse: in Cina il
passaggio alla coltivazione di cotone Bt (Bt sta per bacillus thurigensis,
bacillo che produce una certa tossina letale per alcuni parassiti e in
particolare per la «bolla del cotone», un vermetto capace di distruggere interi
raccolti) aveva avuto l'effetto di aumentare la produzione e ridurre in modo
notevole la quantità di pesticidi, cioè insetticidi agricoli, irrorata sui
campi. Ora però anche questo beneficio si rivela effimero: uno studio della
Cornell University dice che 7 anni dopo, i coltivatori cinesi di cotone Bt
bacillus thurigensis sono costretti a usare pesticidi in quantità identica a
quelli utilizzati da chi coltiva cotone senza Bt bacillus thurigensis.
Insomma la natura è così potente che ciò che noi facciamo
per condurla verso i nostri scopi viene aggirato dalla sua sapienza. Basta
osservare i terreni incolti che dopo non molto iniziano a divenire pseudosteppa
e poi gariga, macchia e infine bosco. Come quell'albero d'olivo di fronte a
casa mia dopo la furia distruttrice di un finto potatore ora risorge a nuova
vita.
*Dottore Agronomo
Bibliografia
L'Agricoltura Salentina 1905
La coltivazione del Cotono
http://www.cresciamoinsieme.org/docs/index.shtml?A=cotone
Paola Desai: Il cotone Bt non riduce l'uso di pesticidi Il
manifesto 2 agosto 1992
Perieghesis Viaggio nella storia del Paesaggio Agrario del
Tarantino http://www.perieghesis.it/cotone.htm
V.A. Greco: Vicende della cotonicoltura nell’economia del
Tarantino, in Umanesimo della Pietra-Verde 9, Martina Franca, (1994), pp
98-126.
V.A. Greco: Masserie e massafresi, Manduria, 2005,pp. 34-35.
M.A.Visceglia: Lavoro a domicilio e manifattura nel XVIII e
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d’Otranto, in AA.VV.: Studi sulla società meridionale, Napoli, 1978, pp.
233-271.
C. Chirico: Gabelle e onciario: due sistemi di prelievo
fiscale nella Taranto economica del ‘700, in Cenacolo, XI-XII (1981-1982), pp.
119-138.
M. De Lucia: Il ruolo della coltivazione e della manifattura
del cotone in Terra d’Otranto nel secolo diciannovesimo, in Annali del
Dipartimento di Scienze Storiche e Sociali dell’Università di Lecce, 1988.
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