domenica 23 gennaio 2011

Proposta per avere come unico gestore dell’acqua il Consorzio di Bonifica

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Proposta per avere come unico gestore dell’acqua il Consorzio di Bonifica






Carissimo Dott. Pascale,

La gestione irrigua dei Consorzi di Bonifica si limita all'acqua per uso irriguo, per la particolare attenzione ai problemi dell’irrigazione che fu dedicata dalla legislazione successiva al 1865, che oltre a favorire la nascita di numerosi Consorzi d’irrigazione a carattere privato, riconobbe, con l’emanazione di numerose leggi, l’esistenza di un interesse generale nel settore delle acque (da quella del 29 maggio 1873 al R.D. 13 agosto 1926 n°1907). La conseguenza di quanto detto, fu la partecipazione finanziaria dello Stato nell’esecuzione delle opere, e l’attribuzione di particolari poteri impositivi ai Consorzi. L'innovazione introdotta per le opere d'irrigazione ha determinato che, se realizzate nell'ambito di un comprensorio di bonifica, potevano considerarsi pubbliche.

Io propongo lo strumento "Consorzio di Bonifica" che è un Ente pubblico economico come quello più adatto in quanto fornirebbe l'apporto per organizzare, non dal lato dell'offerta ma dal lato della domanda, "comunità di utenti" interessate alla gestione efficiente ed economica del bene/servizio.

Cari saluti

antonio bruno



Perché non organizziamo le cooperative dell'acqua?

pubblicata da Alfonso Pascale il giorno domenica 23 gennaio 2011 alle ore 3.16. http://www.alfonsopascale.it/



L'acqua è un bene pubblico primario, un bene scarso. Non c'è vita e benessere senza acqua e per questo la sua proprietà deve essere collettiva, di tutte le persone, delle comunità, degli stati. Ma questo bene fondamentale è spesso gestito talmente male da sembrare disprezzato. Intorno ad esso si annidano sovente interessi incoffessabili, speculazioni, camorre di ogni genere e malavita varia.







Poiché l'acqua è un bene pubblico, alle persone più avvertite pare ragionevole oggi una posizione a difesa non solo della proprietà ma anche della gestione del servizio idrico in capo all'autorità pubblica e, in particolare, degli enti locali ai vari livelli. Tuttavia, questa modalità di gestione, se da una parte si è mostrata utile a sottrarre il bene alla speculazione privata, dall'altra ha permesso gravi disservizi dovuti alla burocratizzazione, alla carenza di risorse per manutenzione e investimenti e alla permeabilità che, attraverso la politica, i soggetti gestori mostrano nei confronti dei peggiori interessi egoistici.







Per questi motivi si è fatta strada l'idea di trasferire la gestione del servizio direttamente nelle mani dei privati, all'apparenza più dotati e interessati a favorirne un'amministrazione economica per via dell'esigenza di perseguire un profitto. E di fronte ad un attacco di questo tipo, a colpi di norme di legge, le forze progressiste si sono mostrate prigioniere della propria contraddizione culturale, fonte di sterilità nell'azione politica: per timore di affidare a soggetti speculativi la gestione di un servizio di così grande importanza, difendono le inefficienze della gestione pubblica, in cui peraltro spesso esse non sono coinvolte.







Per uscire dalla contraddizione sii potrebbe ipotizzare un soggetto gestore che, pur connotandosi come un'impresa privata, e quindi garantendo parametri di efficienza in grado di mantenere un equilibrio economico e di mercato, si privasse di ogni profitto eccedente le esigenze della manutenzione, dell'investimento necessario allo sviluppo del servizio e al suo mantenimento nel tempo. L'unico soggetto interessato a tutti questi scopi insieme (efficienza, durata, sviluppo, economicità e assenza del profitto) non potrebbe che essere l'utente stesso del servizio spinto a beneficiare del bene acqua al prezzo di costo per più tempo possibile.







L'articolo 43 della Costituzione fornisce un'indicazione ben precisa in tal senso quando prescrive che "a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire... a comunità di lavoratori o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali".







Lo strumento cooperativo potrebbe suscitare l'originaria utilità; esso fornirebbe l'apporto per organizzare, non dal lato dell'offerta ma dal lato della domanda, "comunità di utenti" interessate alla gestione efficiente ed economica del bene/servizio. In queste "cooperative dell'acqua" i soci/utenti, le comunità locali e tutti i soggetti interessati che potrebbero avere un ruolo centrale, si unirebbero in un'impresa senza scopo di lucro, beneficiando del servizio e controllando direttamente le modalità della gestione privata a fronte di standard e parametri evidentemente dettati dalla pubblica autorità e vigilati da una specifica autorità indipendente.







Perché la sinistra non propone questa soluzione? Si tratta di attingere alla lunga e nobile tradizione dei beni collettivi gestiti dalle comunità locali: tra il pubblico e il privato esiste il privato/sociale e in questo caso l'utenza che si organizzerebbe in impresa sociale.



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