Il giorno dopo il terremoto giudiziario che ha scosso la
Puglia, il capo della Procura leccese, Cataldo Motta ha spiegato punto per
punto l'inchiesta che ha portato al sequestro preventivo d'urgenza degli ulivi
che dovevano essere sradicati.
Lecce. Alla fine avevano ragione i vecchi contadini e tutti
coloro che hanno sempre sostenuto che la causa del complesso del disseccamento
rapido dell’ulivo, noto come Co.Di.Ro, che ha provocato la morte di centinaia e
centinaia di alberi secolari nel Salento, doveva essere cercata altrove. La
Xylella, il batterio killer che si è cercato di combattere in tutti i modi,
tanto ‘killer’ non era. Forse è stata solo ‘fastidiosa’, come dice il nome
stesso. Già, perché come spiegato dal Procuratore Capo, Cataldo Motta durante
la conferenza stampa di questa mattina in Tribunale «non è stato accertato il
nesso di casualità tra la morte delle piante e il patogeno da quarantena».
Insomma, quello che è successo non è colpa della Xylella fastidiosa, o almeno
la Xylella non è l’unica causa del Co.ri.do.
«Il batterio killer – ha spiegato ai giornalisti il
Procuratore – è stato trovato in alcuni ulivi sani, che non presentavano le
caratteristiche del disseccamento rapido e viceversa non è stato trovato in
alcune piante ‘malate’». Questo è stato confermato anche dai rilievi effettuati
in cui è stato dimostrato che due uliveti confinanti presentavano piante della
stessa varietà in condizioni assolutamente diverse, alcuni erano secchi, altri
assolutamente ‘in salute’. «Il muretto a secco che separava le campagne
evidentemente è un ostacolo insormontabile anche per la cicala sputacchina che
evidentemente non sa saltare» hanno ironizzato nel corso dell’incontro per
evidenziare la ‘stranezza’. Questo,
però, non significa che dietro la morìa degli alberi ci sia un complotto. Non
si stanno cercano ‘streghe’ o ‘untori’, ma soluzioni. «Quando in passato per
ragioni di studio sono state introdotte varie sottospecie di Xylella in parte
come batterio allo stato puro su piastra, in parte su piantine di vite – ha
spiegato Motta – mancava la sottospecie della ‘pauca’ che poi è stata trovata
in Salento».
Non solo, c’è un altro aspetto fondamentale: il tempo. Gli
accertamenti hanno portato ad escludere che ci sia stata una diffusione recente
del batterio. La xylella fastidiosa sarebbe, infatti, presente in Salento da
almeno 15/20 anni «Abbiamo trovato nove ceppi diversi di una sottospecie – ha
continuato Motta - e questo significa che c’è stata una mutazione genetica del
batterio che richiede un periodo piuttosto lungo». Da allora, il ceppo si è
evoluto, divenendo più aggressivo come nella zona di Gallipoli, Taviano e
Alezio.
Proprio per questo motivo, non essendo una situazione di
emergenza che legittimi il periodo di quarantena, procedere con l’abbattimento
delle piante è una scelta sbagliata. Questo il motivo principale per cui è
stato emanato un decreto di sequestro preventivo d’urgenza di tutti gli ulivi
che, in base alla più recente ordinanza commissariale, dovrebbero essere
abbattuti nell’ambito delle misure di contrasto alla diffusione del batterio.
Ma la soluzione avrebbe senso solo se la diffusione fosse recente, cosa che non
è.
«Eradicazione del batterio non significa estirpazione della
pianta» ha sentenziato il Procuratore sottolineando come il batterio debba
essere combattuto utilizzando altri metodi. Bisognerà lavorare per estirpare la
malattia e non la pianta stessa. «Sarebbe un po’ – ha ironizzato Motta – come
abbattere i soggetti colpiti da influenza anziché curarli». E anche questo è
stato sempre sostenuto, in questi mesi, dagli ambientalisti e dagli agricoltori
‘disperati’ disposti a fare di tutto pur di salvare quelle piante che hanno
visto crescere o che hanno ereditato dai loro padri e nonni. Una strada c’è ed
è quella – come sottolineato dagli inquirenti – di puntare al rafforzamento
delle difese immunitarie della pianta che, invece, con l’eccessivo uso di insetticidi
e pesticidi, viene danneggiata.
Passiamo poi al capitolo Europa. «Ci siamo trovati di fronte
a direttive europee, in parte molto rigorose, come l’eradicazione degli ulivi,
ma che sono state emesse sulla falsa rappresentazione della situazione. L’Unione
Europea che avrà anche le sue colpe ma per altro, è stata tratta in errore da
quanto è stato rappresentato con dati impropri e non del tutto esatti» ha
continuato il Procuratore Motta.
Il giorno dopo il terremoto giudiziario che ha scosso la
Puglia, il numero uno del secondo piano di Viale De Pietro ha spiegato punto
per punto i motivi del provvedimento destinato a cambiare le carte in
tavola. «L’indagine che abbiamo iniziato
circa un anno e mezzo fa, nell’aprile 2014,
è ancora incompleta ed incompiuta – ha spiegato il Procuratore Motta –
il tempo trascorso vi da la dimensione della cautela con la quale ci siamo
mossi nonostante le sollecitazioni ad intervenire. Abbiamo scelto di procedere
con i piedi di piombo».
Basti guardare i reati contestati ai 10 nomi iscritti nel
registro degli indagati per capire: diffusione colposa della malattia delle
piante, falso ideologico e materiale in atto pubblico, inquinamento ambientale
e deturpamento delle bellezze naturali. Si tratta, è bene sottolinearlo, di
reati di natura colposa e non dolosa.
Ora, il vaso di Pandora è stato aperto. Come ha auspicato
Elsa Valeria Mignone - che ha coordinato l'indagine insieme alla collega
Roberta Licci - è arrivato il momento di
ricominciare da capo per trovare la strada giusta per combattere il
disseccamento rapido degli ulivi. È il modo migliore per farlo è iniziando un
confronto scientifico vero sulla materia
«L'Europa in quella direttiva non dice immediatamente
'abbattete gli alberi', lo scopo che bisogna raggiungere è il contenimento
della malattia. I dati empirici fino ad oggi esaminati hanno dimostrato che
l'abbattimento non contiene la malattia e che si configura addirittura inutile.
A maggior ragione in un territorio che fonda non solo l'economia, ma la propria
immagine sugli ulivi, le misure dovevano essere adeguate e cadenzate alle
esigenze del torritorio» ha concluso Elsa Valeria Mignone chiudendo la
conferenza stampa sull’inchiesta che ancora sembra nascondere molti
risvolti.
Gli ambientalisti, intanto, esultano. Poco prima della
conferenza stampa, hanno fatto ingresso nella stanza del procuratore della
Repubblica di Lecce, Cataldo Motta, per mostrare un cartello di ringraziamento
ai due Pm che hanno condotto l'inchiesta, Elsa Valeria Mignone e Roberta Licci.
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