venerdì 4 dicembre 2015

Piano di contenimento di Xylella condiviso per conquistare il consenso dei cittadini del Salento.

Piano di contenimento di Xylella condiviso per conquistare il consenso dei cittadini del Salento.

Per tornare alla questione dell’accettazione sociale delle azioni messe in atto dal Governo Italiano per contenere Xylella  c’è stata da parte delle istituzioni la sindrome DAD, decidi annuncia e difendi. Si fa il piano e poi si discute per approvarlo. Confrontarsi con gli enti locali in luoghi istituzionali, che è il metodo ordinario in base alla nostra legislazione, non è bastato perché in quella sede gli enti locali e le organizzazioni storiche si sono limitati a prendere atto dei piani. La discussione, come noto, ha dato luogo a compromessi che, alla fine, hanno riconosciuto un certo ristoro economico agli agricoltori.
Tutto quanto è stato messo in atto non ha dato l’opportunità di portare all’attenzione del governo e degli estensori del piano di contenimento il punto di vista del cittadino, che a mio avviso è centrale in questa vicenda.
Nell’affrontare e risolvere una questione così complessa come il contenimento dell’organismo di quarantena Xylella che come noto è ad alto impatto territoriale si deve necessariamente tener conto di due fenomeni ormai consolidati:
1.       il primo è il progressivo rafforzamento delle forme dirette di rappresentanza sociale come i comitati di quartiere, i movimenti ambientalisti, i movimenti di consumatori, i movimenti giovanili, le organizzazioni non governative, gli attori del terzo settore ed altri soggetti che perseguono obiettivi specifici e settoriali;
2.       il secondo fenomeno invece è rappresentato da quello che Rosanvallon definisce la “società della diffidenza” e consiste sostanzialmente nella crisi della democrazia fondato sul principio della rappresentanza che genera delusione, sfiducia e sospetto da parte dei cittadini nei confronti dei livelli di governo espressione del potere politico/partitico.
Bisogna cambiare radicalmente, passare al metodo del public engagement, studiato e praticato a livello internazionale da anni e che non va confuso con un assemblearismo inconcludente.
Ci sono diversi modi per coinvolgere in modo diretto e attivo gli stakeholders, istituzioni locali, organizzazioni, associazioni, singoli gruppi di interesse, nella definizione del piano per il contenimento del batterio. In Francia c'è ad esempio il debat public che ha dato dei buoni risultati , ma avviene già sui progetti definitivi per i quali una autorità terza gestisce il confronto fra proponenti del progetto e parti interessate .
Secondo me, nel caso del piano delle misure di contenimento del batterio Xylella, si dovrebbe fare esperienza di public engagment partendo dall' inizio , dallo studio di fattibilità e la interazione con gli stakeholders è affiancata da analisi scientifiche , economiche , territoriali che aiutino a far svolgere il dibattito il più possibile su elementi concreti .
Siccome si è partiti da un piano già fatto la discussione avviene troppo tardi e da luogo a quello che è successo e sta ancora succedendo nel Salento.
Dal punto di vista operativo si deve passare dai tradizionali tavoli di concertazione alle assemblee aperte , alla interazione via web , alle indagini di mercato e alla comunicazione pubblica , fino al referendum popolare. Ma il public engagment prima che una serie di tecniche è una mentalità. E devo prendere atto che nel caso del contenimento del batterio Xylella questi metodi e mentalità sono sostanzialmente sconosciuti in Italia.
Ottenere un consenso “a monte” per rendere poi la decisione attuabile avrebbe scongiurato il verificarsi della già esposta sindrome D.A.D (Decidi, Annuncia, Difendi). Dal punto di vista delle procedure infatti è dirimente racchiudere nella partecipazione tutte le fasi del processo decisionale, a partire dalle prime nelle quali l’attività prospettata è ancora indeterminata e sindacabile nella sua stessa opportunità, soprattutto se si discute di indirizzi generali e strategici di rilevanza nazionale. Questo è uno dei principi fondanti della democrazia partecipativa.
Questo principio trova un riconoscimento particolare anche nel nostro ordinamento con la Legge n. 108 del 2001, che ratifica la Convenzione Internazionale di Aarhus del 1998 la quale stabilisce che al fine di “contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere, ciascuna Parte garantisce il diritto di accesso alle informazioni, di partecipazione del pubblico ai processi decisionali e di accesso alla giustizia in materia ambientale”.
La Legge 99 del 2009 purtroppo inibisce il dispositivo indicato nella convenzione e si preoccupa di una fase successiva di gestione del consenso, quella relativa alla difesa della scelta attraverso il coinvolgimento delle popolazioni residenti nel territorio direttamente interessato dalla decisione.
Quello che l’articolato delinea invece è l’adozione di strumenti che non propriamente possono definirsi di “partecipazione” quanto invece di acquisizione del consenso.
Mi riferisco all’art. 25, comma 2 alle lettere C, O, il quale individua particolari strumenti (“benefici diretti” alla popolazione residente e agli enti locali delle aree interessate, informazione capillare per le popolazioni coinvolte per creare le condizioni idonee per l’esecuzione del piano di contenimento) che promuovono un rapporto unidirezionale tra autorità pubblica e cittadinanza escludendo a priori un confronto pre-deliberativo.
Unico spazio salvo nel quale potrà realizzarsi concretamente la partecipazione civica nel processo decisionale è quello delineato dalla direttiva 42/2001/CE (direttiva VAS, Valutazione di Impatto Ambientale), che la stessa Legge 99 indica come necessaria, nella quale si esplicita, all’art. 8, l’obbligo di far precedere all’adozione del piano o del programma e alle fasi legislative ad esso collegate, la valutazione delle consultazioni obbligatorie della cittadinanza in ogni sua forma ed espressione.
A titolo esemplificativo ho trovato è estremamente interessante il metodo adottato nelle Consultazioni Europee dei Cittadini del 2009.
Tale processo si è articolato in più fasi, ognuna delle quali caratterizzata da una grande pubblicità e trasparenza ed ha avuto corso in un periodo complessivo di 5 mesi per la sola fase consultiva. Partito il 3 dicembre 2008 con il coinvolgimento politici nazionali ed europei, associazioni, professori universitari ed altri rilevanti stakeholders, il processo consultivo ha prodotto documenti per una seconda fase consultiva e che hanno animato un dibattito on-line al quale hanno partecipato 1050 persone che si sono confrontati su 80 temi specifici e che hanno prodotto 82 risoluzioni. Tali risoluzioni, che sono poi state sottoposte ai membri del Parlamento Europeo, sono state oggetto del vaglio delle 27 Conferenze Nazionali a cui hanno partecipato 1.500 cittadini selezionati con un campionamento rappresentativo della composizione demografica di ciascun paese, si sono riunite in luoghi fisici secondo un metodo strutturato che prevedeva una fase accurata di informazione, una di confronto e una deliberativa.
Risulta evidente in questo come in altri casi come il processo di consultazione sia lungo ed articolato e comprende una fase preparatoria molto impegnativa.
A livello locale, inoltre, è interessante citare il metodo applicato dal Comune di Amalfi per l’implementazione proprio della VAS finalizzata alla elaborazione del rapporto Ambientale e del Piano Urbanistico Comunale.
Il processo si è articolato in ben quattro fasi: 1. Conoscitiva, 2. Esplicativa, 3. Propositiva, 4. Interpretativa delle soluzioni proposte. Ha coinvolto l’intera cittadinanza attraverso un documento, spedito per posta, ben strutturato che rendeva informazioni puntuali sul processo di consultazione. Il documento conteneva un questionario dettagliato sulle questioni trattate ed era finalizzato a soddisfare la prima fase, quella conoscitiva della conoscenza delle problematiche ambientali del cittadino. La seconda fase, quella “Esplicativa” è forse quella più interessante in quanto ha visto il coinvolgimento di Enti locali, Amministrazioni, Associazioni civiche, Cittadini e Aziende che in eventi pubblici dedicati hanno relazionato sul tema specifico contribuendo pertanto alla formazione di una cultura civica sul tema rilevata poi con un secondo questionario e che è stata la base esperenziale per la successiva fase propositiva e dunque quella interpretativa/deliberativa.
Procedure di questo tipo sono, a mio avviso, indispensabili nella fase anteriore alla decisione sui siti in quanto la decisione deve assolutamente risentire degli esiti della consultazione per essere condivisa.
Inoltre per quanto riguarda il piano di contenimento secondo me ci dovrebbe essere il coinvolgimento della cittadinanza nella fase successiva alla realizzazione del piano. Errore imperdonabile sarebbe quello di considerare risolto il rapporto concorsuale con i cittadini una volta finita l’applicazione del piano do contenimento.
Per rendere l’idea di quello che intendo mi riferisco a un contatto diretto e costante con le famiglie residenti nelle zone limitrofe a quelle dove si è applicato il piano di contenimento ad esempio con una linea telefonica esclusiva, con emittenze radio e televisive dedicate alla comunicazione e informazione ai cittadini per la gestione del rischio e delle procedure di emergenza.
Prima dell’applicazione del piano di contenimento tutti i residenti delle zone oggetto di intervento dovrebbero seguire dei corsi di formazione sui comportamenti da seguire in caso di incidenti.
E’ evidente, per concludere, che per l’ennesima volta abbiamo perso un’occasione per la crescita complessiva di una coscienza civica. A quanto pare il cittadino migliore è quello che si disinteressa della “cosa pubblica”.
E’ chiaro che a partire dagli spunti degli interventi di oggi sono recuperabili alcune buone pratiche di partecipazione perché sarà nella dimensione territoriale che si realizzerà il confronto decisivo.
Se la partecipazione per il nostro paese è un lusso, almeno vengano rispettati - anche fosse unilateralmente - alcuni criteri elementari di rispetto dei cittadini.
Si tratta di metter in atto una politica “I care”, espressione che viene dal cuore della storia americana di questo secolo. La traduzione letterale chiede un giro di parole, dal "me ne faccio carico" a "mi preoccupo", a "ci penso io". Manca, nella versione italiana, il senso della partecipazione, che è la vera ragione del valore morale e politico di queste due parole.

Forse è più facile conquistare il consenso dei cittadini per il piano di contenimento di Xylella mediante una politica di “I CARE” piuttosto che pagandoli come previsto dal piano di intervento.

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