Piano di contenimento di Xylella condiviso per conquistare il consenso dei cittadini del Salento.
Per tornare alla questione dell’accettazione sociale delle
azioni messe in atto dal Governo Italiano per contenere Xylella c’è stata da parte delle istituzioni la sindrome
DAD, decidi annuncia e difendi. Si fa il piano e poi si discute per approvarlo.
Confrontarsi con gli enti locali in luoghi istituzionali, che è il metodo
ordinario in base alla nostra legislazione, non è bastato perché in quella sede
gli enti locali e le organizzazioni storiche si sono limitati a prendere atto
dei piani. La discussione, come noto, ha dato luogo a compromessi che, alla
fine, hanno riconosciuto un certo ristoro economico agli agricoltori.
Tutto quanto è stato messo in atto non ha dato l’opportunità
di portare all’attenzione del governo e degli estensori del piano di contenimento
il punto di vista del cittadino, che a mio avviso è centrale in questa vicenda.
Nell’affrontare e risolvere una questione così complessa
come il contenimento dell’organismo di quarantena Xylella che come noto è ad
alto impatto territoriale si deve necessariamente tener conto di due fenomeni
ormai consolidati:
1.
il primo è il progressivo rafforzamento delle
forme dirette di rappresentanza sociale come i comitati di quartiere, i
movimenti ambientalisti, i movimenti di consumatori, i movimenti giovanili, le
organizzazioni non governative, gli attori del terzo settore ed altri soggetti
che perseguono obiettivi specifici e settoriali;
2.
il secondo fenomeno invece è rappresentato da
quello che Rosanvallon definisce la “società della diffidenza” e consiste
sostanzialmente nella crisi della democrazia fondato sul principio della
rappresentanza che genera delusione, sfiducia e sospetto da parte dei cittadini
nei confronti dei livelli di governo espressione del potere politico/partitico.
Bisogna cambiare radicalmente, passare al metodo del public
engagement, studiato e praticato a livello internazionale da anni e che non va
confuso con un assemblearismo inconcludente.
Ci sono diversi modi per coinvolgere in modo diretto e
attivo gli stakeholders, istituzioni locali, organizzazioni, associazioni,
singoli gruppi di interesse, nella definizione del piano per il contenimento
del batterio. In Francia c'è ad esempio il debat public che ha dato dei buoni
risultati , ma avviene già sui progetti definitivi per i quali una autorità
terza gestisce il confronto fra proponenti del progetto e parti interessate .
Secondo me, nel caso del piano delle misure di contenimento
del batterio Xylella, si dovrebbe fare esperienza di public engagment partendo
dall' inizio , dallo studio di fattibilità e la interazione con gli
stakeholders è affiancata da analisi scientifiche , economiche , territoriali
che aiutino a far svolgere il dibattito il più possibile su elementi concreti .
Siccome si è partiti da un piano già fatto la discussione
avviene troppo tardi e da luogo a quello che è successo e sta ancora succedendo
nel Salento.
Dal punto di vista operativo si deve passare dai
tradizionali tavoli di concertazione alle assemblee aperte , alla interazione
via web , alle indagini di mercato e alla comunicazione pubblica , fino al
referendum popolare. Ma il public engagment prima che una serie di tecniche è
una mentalità. E devo prendere atto che nel caso del contenimento del batterio
Xylella questi metodi e mentalità sono sostanzialmente sconosciuti in Italia.
Ottenere un consenso “a monte” per rendere poi la decisione
attuabile avrebbe scongiurato il verificarsi della già esposta sindrome D.A.D
(Decidi, Annuncia, Difendi). Dal punto di vista delle procedure infatti è
dirimente racchiudere nella partecipazione tutte le fasi del processo
decisionale, a partire dalle prime nelle quali l’attività prospettata è ancora
indeterminata e sindacabile nella sua stessa opportunità, soprattutto se si
discute di indirizzi generali e strategici di rilevanza nazionale. Questo è uno
dei principi fondanti della democrazia partecipativa.
Questo principio trova un riconoscimento particolare anche
nel nostro ordinamento con la Legge n. 108 del 2001, che ratifica la
Convenzione Internazionale di Aarhus del 1998 la quale stabilisce che al fine
di “contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni
presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e
il suo benessere, ciascuna Parte garantisce il diritto di accesso alle
informazioni, di partecipazione del pubblico ai processi decisionali e di accesso
alla giustizia in materia ambientale”.
La Legge 99 del 2009 purtroppo inibisce il dispositivo
indicato nella convenzione e si preoccupa di una fase successiva di gestione
del consenso, quella relativa alla difesa della scelta attraverso il
coinvolgimento delle popolazioni residenti nel territorio direttamente
interessato dalla decisione.
Quello che l’articolato delinea invece è l’adozione di
strumenti che non propriamente possono definirsi di “partecipazione” quanto
invece di acquisizione del consenso.
Mi riferisco all’art. 25, comma 2 alle lettere C, O, il
quale individua particolari strumenti (“benefici diretti” alla popolazione
residente e agli enti locali delle aree interessate, informazione capillare per
le popolazioni coinvolte per creare le condizioni idonee per l’esecuzione del
piano di contenimento) che promuovono un rapporto unidirezionale tra autorità
pubblica e cittadinanza escludendo a priori un confronto pre-deliberativo.
Unico spazio salvo nel quale potrà realizzarsi concretamente
la partecipazione civica nel processo decisionale è quello delineato dalla
direttiva 42/2001/CE (direttiva VAS, Valutazione di Impatto Ambientale), che la
stessa Legge 99 indica come necessaria, nella quale si esplicita, all’art. 8,
l’obbligo di far precedere all’adozione del piano o del programma e alle fasi
legislative ad esso collegate, la valutazione delle consultazioni obbligatorie
della cittadinanza in ogni sua forma ed espressione.
A titolo esemplificativo ho trovato è estremamente
interessante il metodo adottato nelle Consultazioni Europee dei Cittadini del 2009.
Tale processo si è articolato in più fasi, ognuna delle
quali caratterizzata da una grande pubblicità e trasparenza ed ha avuto corso
in un periodo complessivo di 5 mesi per la sola fase consultiva. Partito il 3
dicembre 2008 con il coinvolgimento politici nazionali ed europei,
associazioni, professori universitari ed altri rilevanti stakeholders, il
processo consultivo ha prodotto documenti per una seconda fase consultiva e che
hanno animato un dibattito on-line al quale hanno partecipato 1050 persone che
si sono confrontati su 80 temi specifici e che hanno prodotto 82 risoluzioni.
Tali risoluzioni, che sono poi state sottoposte ai membri del Parlamento
Europeo, sono state oggetto del vaglio delle 27 Conferenze Nazionali a cui
hanno partecipato 1.500 cittadini selezionati con un campionamento
rappresentativo della composizione demografica di ciascun paese, si sono
riunite in luoghi fisici secondo un metodo strutturato che prevedeva una fase
accurata di informazione, una di confronto e una deliberativa.
Risulta evidente in questo come in altri casi come il
processo di consultazione sia lungo ed articolato e comprende una fase
preparatoria molto impegnativa.
A livello locale, inoltre, è interessante citare il metodo
applicato dal Comune di Amalfi per l’implementazione proprio della VAS
finalizzata alla elaborazione del rapporto Ambientale e del Piano Urbanistico
Comunale.
Il processo si è articolato in ben quattro fasi: 1. Conoscitiva,
2. Esplicativa, 3. Propositiva, 4. Interpretativa delle soluzioni proposte. Ha
coinvolto l’intera cittadinanza attraverso un documento, spedito per posta, ben
strutturato che rendeva informazioni puntuali sul processo di consultazione. Il
documento conteneva un questionario dettagliato sulle questioni trattate ed era
finalizzato a soddisfare la prima fase, quella conoscitiva della conoscenza
delle problematiche ambientali del cittadino. La seconda fase, quella
“Esplicativa” è forse quella più interessante in quanto ha visto il
coinvolgimento di Enti locali, Amministrazioni, Associazioni civiche, Cittadini
e Aziende che in eventi pubblici dedicati hanno relazionato sul tema specifico
contribuendo pertanto alla formazione di una cultura civica sul tema rilevata
poi con un secondo questionario e che è stata la base esperenziale per la
successiva fase propositiva e dunque quella interpretativa/deliberativa.
Procedure di questo tipo sono, a mio avviso, indispensabili
nella fase anteriore alla decisione sui siti in quanto la decisione deve
assolutamente risentire degli esiti della consultazione per essere condivisa.
Inoltre per quanto riguarda il piano di contenimento secondo
me ci dovrebbe essere il coinvolgimento della cittadinanza nella fase
successiva alla realizzazione del piano. Errore imperdonabile sarebbe quello di
considerare risolto il rapporto concorsuale con i cittadini una volta finita l’applicazione
del piano do contenimento.
Per rendere l’idea di quello che intendo mi riferisco a un
contatto diretto e costante con le famiglie residenti nelle zone limitrofe a quelle
dove si è applicato il piano di contenimento ad esempio con una linea
telefonica esclusiva, con emittenze radio e televisive dedicate alla
comunicazione e informazione ai cittadini per la gestione del rischio e delle
procedure di emergenza.
Prima dell’applicazione del piano di contenimento tutti i
residenti delle zone oggetto di intervento dovrebbero seguire dei corsi di
formazione sui comportamenti da seguire in caso di incidenti.
E’ evidente, per concludere, che per l’ennesima volta
abbiamo perso un’occasione per la crescita complessiva di una coscienza civica.
A quanto pare il cittadino migliore è quello che si disinteressa della “cosa
pubblica”.
E’ chiaro che a partire dagli spunti degli interventi di oggi
sono recuperabili alcune buone pratiche di partecipazione perché sarà nella
dimensione territoriale che si realizzerà il confronto decisivo.
Se la partecipazione per il nostro paese è un lusso, almeno
vengano rispettati - anche fosse unilateralmente - alcuni criteri elementari di
rispetto dei cittadini.
Si tratta di metter in atto una politica “I care”, espressione
che viene dal cuore della storia americana di questo secolo. La traduzione
letterale chiede un giro di parole, dal "me ne faccio carico" a
"mi preoccupo", a "ci penso io". Manca, nella versione
italiana, il senso della partecipazione, che è la vera ragione del valore
morale e politico di queste due parole.
Forse è più facile conquistare il consenso dei cittadini per
il piano di contenimento di Xylella mediante una politica di “I CARE” piuttosto
che pagandoli come previsto dal piano di intervento.
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