L’approccio alla nutrizione del bambino nelle varie fasce di
età (persino dalla fase intrauterina) è cambiato negli ultimi anni in seguito
alle ricerche e alle osservazioni sugli effetti “tardivi” delle modalità di alimentazione
precoce. Sono cioè state osservate associazioni tra modelli alimentari precoci
(es. allattamento al seno e sua durata) e manifestazioni a espressione tardiva
(quali, per esempio, indici di performance psico-intellettiva e variazioni
della massa corporea). Queste osservazioni hanno fatto sì che, accanto ai
fabbisogni per la crescita, anche gli indici tardivi (definiti “di outcome”)
siano entrati a far parte delle raccomandazioni alimentari per il bambino.
Nutrizione in età neonatale: programming intrauterino ed
extrauterino
Il verificarsi di alterazioni nella nutrizione e
nell’equilibrio endocrino durante l’epoca fetale determinerebbe un adattamento
dello sviluppo in grado di modificare la struttura, la fisiologia e il
metabolismo dell’individuo, predisponendolo ad alterazioni cardiovascolari,
metaboliche ed endocrine con possibile espressione in età adulta. Il processo attraverso
cui uno stimolo o un insulto verificatosi in periodi critici dello sviluppo
determinerebbe effetti a lungo termine viene definito programming.
La normale variabilità delle dimensioni fetali alla nascita
potrebbe così avere importanti implicazioni per la salute di tutto l’arco della
vita. Nonostante il potenziale di crescita sia dettato dal genoma del singolo
individuo, il substrato nutrizionale e il substrato ormonale all’interno del
quale cresce il feto possono interagire in maniera variabile. La dieta e la
composizione corporea materna a loro volta influenzano l’equilibrio tra
richieste fetali di nutrienti e capacità dell’unità materno-placentare di
soddisfare tali richieste. L’incapacità dell’unità materno-placentare a
soddisfare le richieste fetali indurrebbe di conseguenza una serie di
adattamenti fetali e una serie di modificazioni delle traiettorie di sviluppo.
Queste modificazioni, presumibilmente vantaggiose per la sopravvivenza a breve
termine, possono condurre a modificazioni della struttura corporea e del
metabolismo, modificando la predisposizione allo sviluppo di patologie
cardiovascolari in età adulta. Secondo una seconda ipotesi complementare, un
precoce eccessivo intake di nutrienti determinerebbe una rapida crescita nelle
prime settimane di vita, programmando in modo “avverso” la salute del sistema
cardiovascolare. Tale accelerazione risulterebbe tanto maggiore quanto minore è
il peso alla nascita. I vantaggi legati all’allattamento al seno supporterebbero
questa ipotesi. I bambini allattati al seno, che mostrano una curva di crescita
più lenta rispetto agli allattati con formula adattata, sarebbero “programmati”
a diventare adulti con minore rischio di patologie cardiovascolari.
Latte materno e allattamento al seno
Il latte materno è l’alimento ideale per il bambino durante
il primo anno di vita, in primo luogo per le ragioni psicoaffettive e il legame
mamma bambino che attraverso l’allattamento si instaura.
Il latte materno contiene un’ampia gamma di nutrienti e di
componenti bioattivi, in quantità e in rapporto variabile sia intra- che inter-
individualmente e tra popolazioni. Esiste ormai evidenza che l’allattamento al
seno è associato a un migliore sviluppo del sistema immunitario, dell’intestino
e del sistema nervoso centrale.
I vantaggi dell’allattamento al seno sono quindi
rappresentati, in primo luogo, da un importante effetto protettivo nei
confronti delle infezioni. Nei Paesi occidentali, il proseguimento
dell’allattamento al seno nel corso del divezzamento riduce i giorni di assenza
dei genitori dal lavoro per malattia del piccolo. Un secondo vantaggio apportato
dall’allattamento al seno riguarda l’effetto protettivo verso lo sviluppo di
sovrappeso e obesità, dovuto sia alle caratteristiche nutrizionali
del latte materno sia alla modalità con cui il piccolo assume il latte e lo
porta a un precoce senso di sazietà. Infine, la durata dell’allattamento al
seno sembra anche sia positivamente correlata a un migliore sviluppo psico-intellettivo.
In conclusione, l’allattamento al seno dimostra vantaggi sicuri, e in maniera progressiva,
per tutto il primo anno di vita, con possibili ripercussioni favorevoli anche
negli anni successivi. L’allattamento al seno dovrebbe proseguire in maniera
esclusiva per sei mesi. Alcuni soggetti possono necessitare di una precoce
complementazione con alimenti solidi già nel corso del quinto o del sesto mese.
Nel caso in cui l’allattamento al seno non sia possibile, o
in caso di insufficienza del latte materno clinicamente accertata prima del
quarto mese compiuto, si utilizzano le formule di latte artificiale per
l’infanzia.
Il divezzamento e l’alimentazione del secondo anno di vita
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda
l’allattamento al seno fino al sesto mese di vita compiuto, quando diventa
necessario introdurre gli alimenti del divezzamento. Altre Società scientifiche
(European Society for Paediatric Gastroenterology Hepatology and Nutrition, ESPGHAN)
o istituzioni (European Food Safety Authority, EFSA), pur indicando il
traguardo ideale dei sei mesi per l’allattamento esclusivo al seno, ammettono
che alcuni bambini possono per varie ragioni introdurre i primi solidi tra il
quarto mese compiuto e il sesto mese di vita. La definizione del divezzamento
come “Complementary feeding” indica bene la modalità di alimentazione
“complementare”, ovvero quello di coprire i fabbisogni nutrizionali laddove il
latte materno da solo non risulta essere più sufficiente. Il divezzamento
dovrebbe essere modellato sulle esigenze nutrizionali del bambino, cercando nel
contempo nella varietà di sapori, colori, consistenza la chiave per incuriosire
il bambino a variare le sue scelte e prevenire lo sviluppo della neofobia, ovvero
il rifiuto di ogni nuova proposta alimentare. Questo comportamento è oggi
favorito dall’evidenza che alimenti come pesce e uovo, molto importanti dal
punto di vista nutrizionale, possono essere introdotti precocemente, in quanto
il ritardo della loro introduzione non sembra prevenire la comparsa di
allergie, o addirittura favorirla. Gli sbilanciamenti più comuni nel corso del
divezzamento sono comunque rappresentati da un eccesso di energia e proteine,
con possibile riflesso immediato su un eccesso di incremento ponderale, che può
permanere anche a distanza di anni. La precoce abitudine del piccolo a frutta, verdura,
cereali e legumi è un primo provvedimento preventivo, oltre che la
continuazione del latte materno fino al dodicesimo mese. L’introduzione del
latte vaccino intero dovrebbe avere luogo non prima del secondo anno, e tenendo
conto dell’insieme della dieta del piccolo.
L’alimentazione per la seconda infanzia e l’adolescenza
L’attenzione dimostrata all’ambito nutrizionale nel primo
anno di vita deve essere mantenuta anche nelle epoche successive, soprattutto
per quanto riguarda la prevenzione dello sviluppo di sovrappeso e obesità, e
bilanciando le quantità di energia e nutrienti assunti dal bambino con la sua
tipologia di attività fisica. I due termini rappresentano variabili da
considerare sempre nel formulare una dieta ottimale per un bambino e un
ragazzo, e tutte le più moderne indicazioni nutrizionali segnalano fabbisogni
per tipologia di attività fisica stessa (considerando in genere quattro
possibili livelli) oltre che per sesso (maschi e femmine), rendendo ragione del
concetto della “nutrizione di genere”, che si affianca a quello della “medicina
di genere”.
Alla base di questa alimentazione, stanno essenzialmente i
prodotti vegetali, cereali, frutta e verdura, a sottolineare l’importanza di
fornire un tipo di alimentazione di elevato valore “qualitativo” più che “quantitativo”,
alla luce dei profondi cambiamenti che negli ultimi anni hanno portato
all’incremento globale del rischio di obesità e sovrappeso. Il secondo concetto
su cui le attuali raccomandazioni e linee guida per la nutrizione pediatrica si
basano è rappresentato dal concetto dell’indice glicemico. Il concetto di
indice glicemico assume particolare rilevanza in malattie croniche associate a
forme di obesità di tipo centrale e di insulino-resistenza, come possibile
strumento di prevenzione e per il trattamento di malattie croniche.
Molti alimenti ricchi in fibre e molecole glucidiche non
digeribili dall’apparato enzimatico nell’uomo presentano un basso indice
glicemico e insulinemico. Legumi, pasta al dente, pani di farina primitivamente
integrale e tutti i vegetali in genere contribuiscono a modulare in senso positivo
indice insulinemico e indice glicemico.
L’adolescenza è un periodo di intensa attività anabolica. Il
fabbisogno in macronutrienti in questo periodo dovrebbe, da un lato, essere
sufficientemente ricco da coprire le aumentate richieste dei processi di
crescita e, dall’altro, dovrebbe essere modellato ancora con scopo preventivo
nei confronti dei “non-communicable disorders”. Tuttavia, l’adolescenza
rappresenta quell’età in cui il rischio di perdere abitudini positive
primitivamente acquisite attraverso l’educazione, della famiglia prima e scolastica
successivamente, diventa massimo per le prime esperienze di gruppo e i primi
momenti di indipendenza economica. Il mantenimento di un’abitudine a consumare
i pasti in famiglia, a partire dalla prima colazione, diventa probabilmente il
primo provvedimento efficace di prevenzione.
Gli errori alimentari più comuni in età pediatrica
I primi errori nutrizionali si osservano già durante i primi
due anni di vita, relativamente alla pratica dell’allattamento al seno non
correttamente seguita e a un tipo di divezzamento che può portare a
un’eccessiva liberalizzazione da una parte, ma anche a un eccesso di restrizioni
dall’altra. Anche se ignorate nelle loro conseguenze, entrambe queste
situazioni possono essere “a rischio” in alcuni soggetti, per sviluppo sia in eccesso
sia in difetto della massa corporea. Nella fascia d’età tra i 3 e i 12 anni si
osserva un relativo eccesso calorico rispetto alla spesa energetica quotidiana,
aggravato dalla sedentarietà, dall’abitudine di saltare la colazione o di
assumere una colazione inadeguata, da un’errata ripartizione calorica durante
la giornata. Inoltre l’intake dei singoli nutrienti non è adeguato, soprattutto
con uno scarso apporto di fibre e proteine vegetali (frutta, verdura, cereali
integrali e legumi) e di pesce. Durante l’età adolescenziale, tra i 12 e i 20
anni, a questi errori si aggiunge il rischio di un irregolare apporto calorico
con digiuni frequenti e dell’autosomministrazione di diete incongrue. Anche il
deficit di micronutrienti può diventare importante, con uno scarso apporto di
ferro, per esempio, nelle ragazze. Il provvedimento più importante sarebbe arrivare
a una situazione in cui dieta e attività fisica siano reciprocamente adeguate.
Conclusioni
L’alimentazione in età pediatrica ha acquisito oggi notevole
importanza per le valenze non solo preventive ma anche costitutive del futuro
individuo.
Particolare attenzione va oggi ai modelli alimentari dei
primi due anni di vita (e ancora più indietro alla vita fetale stessa) in base
all’ipotesi del “programming” nutrizionale. Dopo i primi due anni, l’attenzione
si sposta al mantenimento degli equilibri nutrizionali per prevenire i più
comuni errori che si possono associare al mantenimento di condizioni a rischio
(in primo luogo sovrappeso e obesità), alla cui comparsa partecipano fattori
genetici e precoci fattori educativi e ambientali tra cui (come visto) le
abitudini alimentari dei primi due anni.
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