domenica 24 gennaio 2016

COME SONO ARRIVATO A TRATTARE LE PIANTE CON L'OMEOPATIA

COME SONO ARRIVATO A TRATTARE LE PIANTE CON L'OMEOPATIA

di W. Kalidas

Una signora americana mia vicina di casa mi chiese di insegnarle qualcosa sul pronto soccorso omeopatico. Mi stavo ristabilendo, con l'omeopatia, da un serio attacco di reumatismi che era riuscito ad opporsi, con successo, a tutti i tentativi di cura allopatica e che mi aveva tenuto confinato a letto per cinque mesi.
Questo miracolo fu ottenuto da un dottore allopatico tedesco che si era convertito all' omeopatia.
I risultati ottenuti mi avevano spinto ad approfondire la ricerca omeopatica; mio principale supporto e riferimento era diventato il libro di J.T.Kent "Lectures on Homoeopathic Materia Medica".

La mia carriera di "dottore delle piante" iniziò un anno dopo, nel maggio del 1987. A quel tempo mi ero già trasferito a Pondicherry e lavoravo alla "Dining Room" dello Sri Aurobindo Ashram. Qui, sul tetto a terrazza dell'edificio, sono sistemate delle piante che devono essere portate a pianterreno al momento della loro fioritura. Tra di esse c'erano delle rose. Alcuni giorni prima, per caso, avevo detto al giardiniere che si occupava di queste piante che conoscevo un uomo con una vasta esperienza su come coltivare le rose. Si dimostrò subito interessato e mi disse che le rose della terrazza non stavano affatto bene: gli steli diventavano grigi, si formavano delle placche e le foglie avvizzivano.

L'esperto fu chiamato e consigliò di ripulire regolarmente i gambi dalle placche. Decidemmo comunque di seguire un'altra strada. Un medico omeopata della città aveva già suggerito al giardiniere di "provare l'omeopatia". Con questo voleva dire più propriamente un processo chiamato Isopatia1, nel quale una parte della materia del morbo è trattata come rimedio omeo patico e successivamente somministrata al paziente. Avevo già fatto un'esperienza del genere ad Auroville con una pianta di ibisco, ottenendo un successo parziale.

Così raschiai un po' di quelle placche e le trattai. Fu un insuccesso. Avevo somministrato una dose e dopo una settimana una seconda ad una potenza più alta, ma ancora dopo dieci giorni non si registravano miglioramenti.

Nel frattempo era successo qualcos'altro. Entrando un giorno nella "dining room" con la bottiglia della mia prima preparazione in tasca, improwisamente mi sembrò che le rose mi trasmettessero un messaggio: "Questo rimedio non ci aiuterà perché la nostra vera malattia è la tristezza".
All'inizio cercai di ignorare questo strano messaggio. Ma i giorni passavano senza che nulla succedesse ed allora cominciai a prenderlo seriamente in considerazione.
Ma da dove avrei dovuto iniziare?
In omeopatia ci sono molti rimedi per la tristezza ed io ne conoscevo solo pochi. Fui aiutato da una fortunata coincidenza. Solo due mesi prima il grande omeopata Georges Vithoulkas era stato a Pondicherry ed aveva mostrato una video-cassetta su un ragazzo che era stato dichiarato malato cronico dai suoi medici, ma che lui aveva curato con una dose di un particolare rimedio omeopatico.
Commentando la registrazione Vithoulkas aveva posto in evidenza come fosse stata soprattutto l'opprimente tristezza del ragazzo ad indurlo ad utilizzare quel rimedio. l gravi sintomi fisici gli avevano dato solo l'indicazione finale.
Vithoulkas mise in pratica la legge omeopatica per la quale se si riesce a trovare il principio di un rimedio, il rimedio stesso curerà il paziente; e che nessun'altra parte dell'uomo rivela meglio la sua natura della mente.

Capii che la tristezza comunicatami dalle rose era proprio la stessa tristezza che avevo percepito nel ragazzo del video. Così una sera feci la cosa più logica: innaffiai tutte le piante con una dose di "Ignatia".

Il risultato fu istantaneo. Il giorno dopo il giardiniere venne da me chiedendomi se avessi rimosso le placche, perché qualcosa era cambiato; intorno agli steli aveva visto una specie di luminosità. Risposi che non avevo rimossO nulla, ma che anch'io avevOùo notato la uminosità.
Nei due giorni seguenti questa luminosità aumentò e divenne una specie di atmosfera di pura gioia che sembrava permeare l'intera area intorno alle piante. Dopo cinque giorni, però, la luminosità cominciò a diminuire.
Somministrai perciò un'altra dose di "Ignatia", di una potenza differente, che portò con sé una nuova esplosione di gioia. Ma diventai conscio di un nuovo problema: se ogni dose di "Ignatia" durava così poco tempo, le piante sarebbero presto diventate immuni al rimedio. C'era anche il pericolo che le frequenti dosi potessero avvelenarle.

A questo punto il mio "libro della conoscenza" mi aiutò: "Se un caso è troppo profondo per essere curato con 'Ignatia', bisogna dare "Natrum muriaticum". Così feci ed avvenne qualcosa di interessante. Andai di nuovo a vedere le piante due giorni dopo avere somministrato il rimedio. C'era stata un po' di pioggia il giorno prima e mi aspettavo di vedere le mie "pazienti" in buona forma, invece era proprio l'opposto! Le rose avevano un aspetto terribile e davano un'impressione di profonda sofferenza.
Decisi di non rimanere lì troppo a lungo, per paura d'essere spinto da questa sofferenza a dare subito qualcosa per alleviare le loro pene. Per quanto potei constatare si trattava di un aggravamento omeopatico, ed ogni interferenza con l'azione del rimedio avrebbe potuto rovinare il processo di guarigione. L'omeopatia mette il paziente di fronte a se stesso e quasi sempre si deve passare attraverso un tunnel di sofferenza prima che si possa emergere alla luce.
Le mie previsioni si dimostrarono giuste, e le rose, aiutate ancora dalla pioggia, iniziarono a crescere rapidamente. Detti la prima dose di "Natrum muriaticum" alla 30 il 14 giugno ed oggi, 6 ottobre, due delle piante di rose selvatiche stanno ancora crescendo con vigore costante, mentre la terza cresce da quando le è stata somministrata la seconda dose alla 200, il 14 luglio. Le altre piante crescevano per circa un mese dopo ogni dose, poi si fermavano; ma ora, dopo un'altra pioggia, quasi tutte hanno ripreso di nuovo a crescere fresche ed in buona salute. Il 16 maggio, quando detti la prima dose di "lgnatia", sola una delle rose aveva mostrato segni di crescita, mentre due di loro erano solamente fiorite.

Quando si è cominciato a conoscere il successo da me ottenuto con le piante della "dining room" varie persone mi hanno domandato di curare le loro. Il primo caso che ho seguito riguardava una decina di Tuia (conifere) tenute in vasi. Stavano perdendo una gran quantità dei loro aghi. Ancora una volta la fortuna mi fu d'aiuto; il loro stato mentale era proprio lo stesso di quello delle rose. Il primo di agosto somministrai il "Natrum muriaticum" alla 30 e da allora le punte degli aghi delle Tuia sono di un verde luminoso e brillante come non ho mai visto in nessun altra pianta di questa specie. Da allora ho iniziato a trattare altre piante, ed i successi non sono mancati.

(Nota: L'Isopatia cura "lo stesso con lo stesso", mentre l'Omeopatia cura "il simile con il simile"

(Appendice)

Come si prepara un rimedio isopatico ed uno omeopatico
Per un rimedio isopatico bisogna prendere un po' della materia della malattia (funghi, radici, ecc.) e metterla a bagno per un giorno in una soluzione al 60 per cento di alcool puro (si può provare anche con acqua distillata). Dopo di che si deve mettere una goccia della soluzione in una piccola fIala e riempirla per due terzi di acqua (meglio se distillata).
Tenendo la fiala nella mano destra la si colpisce cento volte con la mano sinistra il più forte possibile. Quindi si vuota la fiala, eccetto che per due o tre gocce, e la si riempie di nuovo e si ripete l'operazione. Si può fare questo procedimento quante volte si vuole, ma è bene arrivare almeno alla trentesima potenza. Alla fine si vuota la fiala in un secchio d'acqua e, dopo aver di nuovo agitato meticolosamente, possiamo dare l'acqua alle piante.
Se c'è un gran numero di "pazienti" non si deve svuotare il secchio completamente, ma lasciare un po' d'acqua e riempirlo di nuovo, quindi agitare e somministrare.

I rimedi omeopatici già pronti sono somministrati allo stesso modo; prima si sciolgono le palline di zucchero in una fiala e si mescola un centinaio di volte. Attenzione, noi stessi possiamo avere una reazione da questo semplice trattamento dei rimedi con l'acqua. Quindi è bene conoscere gli antidoti, o avere almeno della canfora in casa, il cui odore fa da antidoto a quasi tutti i rimedi (e che perciò dovrebbe essere sempre tenuta lontano dalle medicine omeopatiche). Anche il caffè è un buon antidoto.

W. Kalidas

tratto dal trimestrale "Domani" feb. '93 - domani@auroville.org.in

edito da Sri Aurobindo Ashram - Pondicherry (India)

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