COME SONO ARRIVATO A TRATTARE LE PIANTE CON L'OMEOPATIA
di W. Kalidas
Una signora americana mia vicina di casa mi chiese di
insegnarle qualcosa sul pronto soccorso omeopatico. Mi stavo ristabilendo, con
l'omeopatia, da un serio attacco di reumatismi che era riuscito ad opporsi, con
successo, a tutti i tentativi di cura allopatica e che mi aveva tenuto
confinato a letto per cinque mesi.
Questo miracolo fu ottenuto da un dottore allopatico tedesco
che si era convertito all' omeopatia.
I risultati ottenuti mi avevano spinto ad approfondire la
ricerca omeopatica; mio principale supporto e riferimento era diventato il
libro di J.T.Kent "Lectures on Homoeopathic Materia Medica".
La mia carriera di "dottore delle piante" iniziò
un anno dopo, nel maggio del 1987. A quel tempo mi ero già trasferito a
Pondicherry e lavoravo alla "Dining Room" dello Sri Aurobindo Ashram.
Qui, sul tetto a terrazza dell'edificio, sono sistemate delle piante che devono
essere portate a pianterreno al momento della loro fioritura. Tra di esse
c'erano delle rose. Alcuni giorni prima, per caso, avevo detto al giardiniere
che si occupava di queste piante che conoscevo un uomo con una vasta esperienza
su come coltivare le rose. Si dimostrò subito interessato e mi disse che le
rose della terrazza non stavano affatto bene: gli steli diventavano grigi, si
formavano delle placche e le foglie avvizzivano.
L'esperto fu chiamato e consigliò di ripulire regolarmente i
gambi dalle placche. Decidemmo comunque di seguire un'altra strada. Un medico
omeopata della città aveva già suggerito al giardiniere di "provare
l'omeopatia". Con questo voleva dire più propriamente un processo chiamato
Isopatia1, nel quale una parte della materia del morbo è trattata come rimedio
omeo patico e successivamente somministrata al paziente. Avevo già fatto
un'esperienza del genere ad Auroville con una pianta di ibisco, ottenendo un
successo parziale.
Così raschiai un po' di quelle placche e le trattai. Fu un insuccesso.
Avevo somministrato una dose e dopo una settimana una seconda ad una potenza
più alta, ma ancora dopo dieci giorni non si registravano miglioramenti.
Nel frattempo era successo qualcos'altro. Entrando un giorno
nella "dining room" con la bottiglia della mia prima preparazione in
tasca, improwisamente mi sembrò che le rose mi trasmettessero un messaggio:
"Questo rimedio non ci aiuterà perché la nostra vera malattia è la
tristezza".
All'inizio cercai di ignorare questo strano messaggio. Ma i
giorni passavano senza che nulla succedesse ed allora cominciai a prenderlo
seriamente in considerazione.
Ma da dove avrei dovuto iniziare?
In omeopatia ci sono molti rimedi per la tristezza ed io ne
conoscevo solo pochi. Fui aiutato da una fortunata coincidenza. Solo due mesi
prima il grande omeopata Georges Vithoulkas era stato a Pondicherry ed aveva
mostrato una video-cassetta su un ragazzo che era stato dichiarato malato
cronico dai suoi medici, ma che lui aveva curato con una dose di un particolare
rimedio omeopatico.
Commentando la registrazione Vithoulkas aveva posto in
evidenza come fosse stata soprattutto l'opprimente tristezza del ragazzo ad
indurlo ad utilizzare quel rimedio. l gravi sintomi fisici gli avevano dato
solo l'indicazione finale.
Vithoulkas mise in pratica la legge omeopatica per la quale
se si riesce a trovare il principio di un rimedio, il rimedio stesso curerà il
paziente; e che nessun'altra parte dell'uomo rivela meglio la sua natura della
mente.
Capii che la tristezza comunicatami dalle rose era proprio
la stessa tristezza che avevo percepito nel ragazzo del video. Così una sera
feci la cosa più logica: innaffiai tutte le piante con una dose di
"Ignatia".
Il risultato fu istantaneo. Il giorno dopo il giardiniere
venne da me chiedendomi se avessi rimosso le placche, perché qualcosa era
cambiato; intorno agli steli aveva visto una specie di luminosità. Risposi che
non avevo rimossO nulla, ma che anch'io avevOùo notato la uminosità.
Nei due giorni seguenti questa luminosità aumentò e divenne
una specie di atmosfera di pura gioia che sembrava permeare l'intera area
intorno alle piante. Dopo cinque giorni, però, la luminosità cominciò a
diminuire.
Somministrai perciò un'altra dose di "Ignatia", di
una potenza differente, che portò con sé una nuova esplosione di gioia. Ma
diventai conscio di un nuovo problema: se ogni dose di "Ignatia"
durava così poco tempo, le piante sarebbero presto diventate immuni al rimedio.
C'era anche il pericolo che le frequenti dosi potessero avvelenarle.
A questo punto il mio "libro della conoscenza" mi
aiutò: "Se un caso è troppo profondo per essere curato con 'Ignatia',
bisogna dare "Natrum muriaticum". Così feci ed avvenne qualcosa di
interessante. Andai di nuovo a vedere le piante due giorni dopo avere
somministrato il rimedio. C'era stata un po' di pioggia il giorno prima e mi
aspettavo di vedere le mie "pazienti" in buona forma, invece era
proprio l'opposto! Le rose avevano un aspetto terribile e davano un'impressione
di profonda sofferenza.
Decisi di non rimanere lì troppo a lungo, per paura d'essere
spinto da questa sofferenza a dare subito qualcosa per alleviare le loro pene.
Per quanto potei constatare si trattava di un aggravamento omeopatico, ed ogni
interferenza con l'azione del rimedio avrebbe potuto rovinare il processo di
guarigione. L'omeopatia mette il paziente di fronte a se stesso e quasi sempre
si deve passare attraverso un tunnel di sofferenza prima che si possa emergere
alla luce.
Le mie previsioni si dimostrarono giuste, e le rose, aiutate
ancora dalla pioggia, iniziarono a crescere rapidamente. Detti la prima dose di
"Natrum muriaticum" alla 30 il 14 giugno ed oggi, 6 ottobre, due
delle piante di rose selvatiche stanno ancora crescendo con vigore costante,
mentre la terza cresce da quando le è stata somministrata la seconda dose alla
200, il 14 luglio. Le altre piante crescevano per circa un mese dopo ogni dose,
poi si fermavano; ma ora, dopo un'altra pioggia, quasi tutte hanno ripreso di
nuovo a crescere fresche ed in buona salute. Il 16 maggio, quando detti la
prima dose di "lgnatia", sola una delle rose aveva mostrato segni di
crescita, mentre due di loro erano solamente fiorite.
Quando si è cominciato a conoscere il successo da me
ottenuto con le piante della "dining room" varie persone mi hanno
domandato di curare le loro. Il primo caso che ho seguito riguardava una decina
di Tuia (conifere) tenute in vasi. Stavano perdendo una gran quantità dei loro
aghi. Ancora una volta la fortuna mi fu d'aiuto; il loro stato mentale era proprio
lo stesso di quello delle rose. Il primo di agosto somministrai il "Natrum
muriaticum" alla 30 e da allora le punte degli aghi delle Tuia sono di un
verde luminoso e brillante come non ho mai visto in nessun altra pianta di
questa specie. Da allora ho iniziato a trattare altre piante, ed i successi non
sono mancati.
(Nota: L'Isopatia cura "lo stesso con lo stesso",
mentre l'Omeopatia cura "il simile con il simile"
(Appendice)
Come si prepara un rimedio isopatico ed uno omeopatico
Per un rimedio isopatico bisogna prendere un po' della
materia della malattia (funghi, radici, ecc.) e metterla a bagno per un giorno
in una soluzione al 60 per cento di alcool puro (si può provare anche con acqua
distillata). Dopo di che si deve mettere una goccia della soluzione in una
piccola fIala e riempirla per due terzi di acqua (meglio se distillata).
Tenendo la fiala nella mano destra la si colpisce cento
volte con la mano sinistra il più forte possibile. Quindi si vuota la fiala,
eccetto che per due o tre gocce, e la si riempie di nuovo e si ripete
l'operazione. Si può fare questo procedimento quante volte si vuole, ma è bene
arrivare almeno alla trentesima potenza. Alla fine si vuota la fiala in un
secchio d'acqua e, dopo aver di nuovo agitato meticolosamente, possiamo dare
l'acqua alle piante.
Se c'è un gran numero di "pazienti" non si deve
svuotare il secchio completamente, ma lasciare un po' d'acqua e riempirlo di
nuovo, quindi agitare e somministrare.
I rimedi omeopatici già pronti sono somministrati allo stesso
modo; prima si sciolgono le palline di zucchero in una fiala e si mescola un
centinaio di volte. Attenzione, noi stessi possiamo avere una reazione da
questo semplice trattamento dei rimedi con l'acqua. Quindi è bene conoscere gli
antidoti, o avere almeno della canfora in casa, il cui odore fa da antidoto a
quasi tutti i rimedi (e che perciò dovrebbe essere sempre tenuta lontano dalle
medicine omeopatiche). Anche il caffè è un buon antidoto.
W. Kalidas
tratto dal trimestrale "Domani" feb. '93 - domani@auroville.org.in
edito da Sri Aurobindo Ashram - Pondicherry (India)
Nessun commento:
Posta un commento