sabato 9 gennaio 2016

Davvero pensate che gli alberi desiderino essere abbracciati?

Davvero pensate che gli alberi desiderino essere abbracciati?

written by Riccardo Ferrari 9 gennaio 2016
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La foresta è l’opposto della civiltà è il luogo, dove l’uomo non abita non vive e dove non ha mai vissuto è l’esatto contrario della città. A metà strada tra la foresta e la città vi sono i boschi. I boschi sono allevamenti. Di foreste vere, primarie, in Italia vi è rimasto ben poco, vi sono però boschi antichi, in altre parole coltivazioni di alberi abbandonate da quasi un secolo o più dove gli alberi hanno ripreso i loro spazi e le loro proporzioni, proprio grazie al fatto che l’uomo si è dimenticato di loro.

Perché là dove arrivano gli uomini e gli alberi cominciano a soffrire, non dico che non possa esistere una lieta convivenza tra uomini e alberi, dico che la nostra cultura ha sempre e comunque un approccio invasivo e troppo attivo nei loro confronti. Per far star bene un albero bisogna potarlo il meno possibile, il tanto che basta perché i suoi rami siano sgravati dal peso che li farebbe precipitare al suolo senza preavviso e questo in ambito urbano genera pericolo. Lo stesso dicasi per i boschi, ovvio che se sono coltivati per la legna, ad un certo punto vadano abbattuti ma troppo spesso questa operazione si vede svolgere senza criterio ne rispetto per le piante che rimangono in piedi e per il suolo su cui vivono e su cui cresceranno i futuri alberi. Così mentre entrate in una foresta o un bosco antico avrete la netta sensazione di essere accolti e studiati da esseri bonari e curiosi, proprio come fanno gli animali che di rado hanno contatto con l’uomo e quando ne vedono uno, non fuggono ma si fermano a distanza ravvicinata e lo guardano e si lasciano guardare. Gli alberi di un bosco maltrattato vi accoglieranno con ostilità come i bulli di un ghetto di periferia, dove i giovani crescono nel disagio e nella sofferenza, si chiuderanno in una cortina di rami fitti, difficilmente penetrabili e l’ambiente che vi trovate di fronte è oscuro e non accogliente come quello in cui i grandi giganti venerabili vi accolgono alla loro antica ombra, dove l’aria circola leggera come tra le colonne e le navate di una chiesa romanica. J.R.R. Tolkien esprime questo concetto quando parla del bosco “fronzuto” un luogo pieno di luce e rigoglioso, poi trasformatosi nel bosco “atro”, luogo oscuro dove pullulano esseri malvagi e pericolosi, come i ragni giganti, la trasformazione di questo bosco fu causata, dall’influenza che il male di Sauron aveva generato.
Sempre, Tolkien, autore del Signore degli Anelli, dello Hobbit e di tutti gli altri racconti del suo mondo fantastico, ci propone nel Silmarillion, il concetto di albero come luce ed energia per l’intero mondo. Due alberi più alti delle montagne risplendevano uno sul giorno e l’altro sulla notte e donavano vita ed energia a tutta la terra. Tolkien riprende le saghe antiche dei popoli nordici, come ad esempio nei vichinghi, dove Yggdrasil l’albero cosmico risplende al centro dell’universo, come racconta lo scrittore islandese, Snorri Sturluson che nell’EDDA poema del 1220, narra di quest’albero gigantesco che affonda le sue radici nei mondi degli inferi dove dimorano i giganti di ghiaccio, nella sua chioma si erge il regno di Asgard che era collegato alla terra ed alle radici dal ponte di arcobaleno. Gli alberi sono stati venerati in tutte le antiche tradizioni, oggi si vedono spuntare come funghi gruppi di persone che si radunano attorno agli alberi e tentano di scimmiottare riti propiziatori in cui fra abbracci al tronco e danze impacciate cercano di entrare in sintonia con gli alberi, con l’unico vero risultato di pestare il terreno sopra e attorno alle loro radici e quindi creando dei seri danni per la salute della pianta. Ecco ancora una volta che l’approccio dell’uomo “civile” pur mascherato da amore, si propone come invasivo e dannoso. L’uomo che ha perso il contatto con gli alberi cerca di recuperarlo come un amante morboso, che nella sua smania di stringere a se la donna desiderata la insegue e la violenta. Io sono un fermo sostenitore che la natura non solo vada frequentata ma che sia vissuta, non dobbiamo perdere il rapporto col territorio non dobbiamo alienarci da quelle abitudini che intessono il nostro animo con i boschi e le foreste ma ci vuole serietà è necessario prima di tutto conoscere gli alberi. Seguire i paramenti di falsi sciamani che vi portano a danzare sotto le chiome degli alberi è una nuova forma di mercificazione dello spirito. Credete di non essere capaci di sedervi con calma e in silenzio sotto la chioma di un albero solitario? Ascoltare il vento che fruscia tra le foglie rimanendo incantati da un suono antico come il mondo o di riposarvi durante una lunga camminata nei boschi all’ombra delle fronde, dove la luce che filtra, v’irradia del verde delle foglie? Pensate di aver bisogno di formule magiche e nuove religioni capitanate da un guru? Perché esiste questa necessità di trasformare tutto in un rito? Dentro di noi esiste la capacità di cogliere lo spirito e la poesia cosi com’è istantaneamente senza mediatori, da veri uomini liberi, autentici. Da bambino ho avuto la fortuna di conoscere vecchi che sapevano prendere un germoglio tra le mani rugose e indurite da quasi un secolo di lavoro e riporlo nella bruna e soffice terra di montagna e poi lasciarlo lì a crescere per diventare un albero… cosa c’è di più spirituale di questo. Smettetela di abbracciare gli alberi, imparate ad avvicinarvi a loro con rispetto in qualsiasi circostanza, sedete sotto le loro chiome in silenzio e lasciate che siano loro ad abbracciare voi.

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