martedì 5 gennaio 2016

Appunti di fitostoria del Salento

Rappresentazione del Salento leccese nel 1800 nel ”Atlante Geografico del Regno di Napoli,
1806” di Giovanni Antonio Rizzi-Zannoni


Quando si parla di alberi come le querce, l’immagine che immediatamente salta alla mente, è solitamente quella di un paesaggio boschivo, o tutt’al più arbustivo.
Considerando che il Salento presenta solo l’1% di superficie boschiva (MELISSANO, 2005) potrebbe sembrare piuttosto strano trovare esemplari di querce caducifoglie e/o sempreverdi, di cui molti secolari, più o meno ampiamente distribuiti su tutto il territorio, ma presenti quasi sempre come esemplari singoli, spesso anche in piccoli filari e molto raramente in nuclei boschivi.
Per chiarire quest’apparente contraddizione è necessario volgere per un momento lo sguardo al passato per cercare di capire il perché di questa situazione.
Una scrupolosa analisi storica sulle vicende che più hanno influito sulle modifiche dell’originale paesaggio salentino, la ritroviamo nel “Saggio di fitostoria della Puglia” (AMICO, 1950).
Dalla lettura di questo lavoro si evincono alcuni periodi salienti in cui l’originale manto forestale è venuto gradualmente riducendosi.
Alla fine dell’ultima glaciazione (circa 10.000 anni fa) la penisola salentina era ricoperta quasi interamente, tranne che nelle ampie paludi, da densi popolamenti forestali.
Gli insediamenti umani erano ancora molto rari ed isolati e comunque l’uomo primitivo, nomade, si limitava ad esercitare la caccia, a raccogliere frutti spontanei e a far legna per cuocere i cibi e per i fuochi notturni.
In questa prima fase dunque il manto silvano non ha dovuto patire apprezzabili modifiche, che sono iniziate invece qualche millennio dopo con i primi disboscamenti delle zone circostanti gli insediamenti al fine di aprire più spazi destinati al pascolo, alla coltivazione di piante e per un maggior uso di legna.
Quando in Puglia sbarcarono i cretesi (I-II millennio a.C), scomparve del tutto la vita nomade, iniziò la fase ascensionale di agricoltura e pastorizia, e conseguentemente la vegetazione spontanea iniziò a regredire. I primi terreni che furono messi a coltura furono quelli in prossimità del mare e col tempo furono occupate anche le zone interne più fertili.
I popoli che in questo periodo si susseguirono però, non distrussero completamente i boschi e le macchie nelle zone colonizzate, ma lasciarono sempre un’ampia porzione di bosco intorno alle case, sia come elemento protettivo, sia a scopi economici e non di meno anche per motivi religiosi (il bosco era il luogo, dove si svolgevano molti rituali degli antichi popoli).
Questa prima fase di sviluppo delle pratiche agricole ebbe una fase di declino al termine della seconda guerra punica (202 a.C.), in questo periodo dunque, citando le parole di AMICO (1950), “incomincia a declinare la parabola demografica e ad ascendere quella della vegetazione”.
L’occupazione romana segna un periodo di decadenza per l’agricoltura nella maggior parte della Puglia, ma meno nella penisola salentina, dove l’abbondanza di sorgenti d’acqua e la ricca rete stradale, fecero si che queste terre si prestassero con più facilità ad una colonizzazione a sfondo agricolo.
Con la caduta dell’impero romano e con l’invasione dei Barbari la vegetazione spontanea continua a trarne dei benefici, successive guerre e la peste portarono al minimo la popolazione, e i territori, non più curati, si ricoprirono di quel manto vegetale che era stato distrutto.
Andando più avanti nella storia, durante l’epoca dei Comuni (circa 1000-1100 d.C.) iniziarono ad essere emanate delle disposizioni per regolare la conservazione dei boschi, soprattutto al fine di offrire al re e ai nobili luoghi convenienti alla caccia e per incentivare la produzione di materiale legnoso per usi bellici. Queste disposizioni tuttavia non sempre avevano l’effetto desiderato, poiché i proprietari non vedendo alcuna utilità personale nel mantenere un’area boscata, quando potevano ne riducevano le dimensioni.
Dai primi del ‘400 fino al ‘700, nel Salento assume grande importanza la pastorizia, che non pochi danni causò alla vegetazione spontanea.
Nel ‘700 inizia una più severa lotta al bosco soprattutto a causa delle maggiori esigenze della popolazione in continuo aumento, quest’aumento demografico spinse l’agricoltore a disboscare anche quei luoghi che per poca fertilità del terreno non dovevano essere disboscati.
In questo periodo comunque, pur tenendo conto di questo sviluppo demografico ed agricolo, i boschi continuarono ad essere relativamente abbondanti.
Di questo periodo interessante è visionare l’ ”Atlante Geografico del Regno di Napoli” (fig. 00-00) di Giovanni Antonio Rizzi-Zannoni, del 1806, dove si può notare come in quel periodo il Salento fosse ancora ricoperto da un manto di macchia-bosco oggi ormai quasi del tutto scomparso. Tra le maggiori aree a macchia-boscaglia di quel periodo, andatesi via via riducendo, il MAINARDI (1989) segnala sei ampie foreste che sono:
1) La foresta di Oria che comprendeva i comuni di Villa Castelli, Francavilla Fontana, San Michele Salentino, Latiano, Oria, Torre Santa Susanna, Sava, Manduria, Erchie, San Pancrazio, San Donaci, Cellino, San Vito dei Normanni, Carovigno, Ceglie, San Marzano, Torricella, Maruggio, Guagnano, Salice, Veglie, Leverano e Nardò.
2) La foresta di Lecce che dalla città si estendeva lungo il litorale adriatico coprendo circa 200 kmq e che venne poi divisa nella Foresta Maggiore (da San Cataldo fino al confine con la provincia di Brindisi) e nella Foresta Minore (da san Cataldo ad Otranto).
3) La foresta di Tricase che includeva il celebre Bosco Belvedere che si estendeva sui territori di Poggiardo, Nociglia, Ortelle, Miggiano, Castiglione, Supersano, Muro, Botrugno, Spongano, Sanarica, Vaste, Surano, Scorrano, Montesano, Torrepaduli.
4) La foresta di Gallipoli comprendente gran parte della costa ionica.
5) La foresta di Taranto limitata dai territori di Oria, Ceglie, Ostuni e Monopoli.
6) La foresta di Brindisi, confinante con quella di Lecce.
Con il passare del tempo, dalla metà dell’800 in poi iniziò quel processo di trasformazione agraria e di colonizzazione che portò alla distruzione di parecchie terre macchiose e boschive. Già nel 1927 la presenza di aree boschive ricalcava grossomodo la situazione attuale con alcune eccezioni come il Bosco di Rauccio, i Laghi Alimini e le Macchie di Arneo, dove erano presenti gli ultimi grossi nuclei di vegetazione forestale che proprio in quegli anni (GENNAIO et al., 2000)
Questo processo continua ancora oggi e la vegetazione spontanea va sempre più riducendosi. Gli attuali piccoli nuclei boschivi, ma anche molte querce secolari rimaste ormai isolate, rappresentano dunque le ultime vestigia di quelle antiche foreste che un tempo ricoprivano il Salento.
di Francesco ROMA-MARZIO


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