La potatura di produzione è la più importante potatura che si
applica nella fase adulta delle piante. Ha lo scopo di mantenere la forma data
con la potatura di allevamento, di equilibrare l’attività vegetativa e quella
riproduttiva, mantenere nel tempo la capacità produttiva raggiunta e di
eliminare eventuali porzioni danneggiate della chioma.
Aspetto fondamentale della potatura di produzione è quello
di applicare la giusta intensità. Spesso, infatti, si attua una potatura
eccessiva che determina una riduzione della capacità produttiva delle piante.
Anche una potatura troppo leggera può essere dannosa, perché può determinare
eccessivi ombreggiamenti nelle parti interne della chioma ed un forte consumo
di acqua, creando condizioni favorevoli allo sviluppo di patogeni e fitofagi e
alla possibile insorgenza di stress idrico.
La potatura di produzione andrebbe eseguita tutti gli anni e
ciò è possibile nel caso di allevamento dell’oliveto a VASO POLICONICO (vedi
nota 1).
Tale forma di
allevamento così come si può leggere lo scritto di Nizzi Grifi (1955) nella
nota 1 che segue: “A quella bisogna arrivare (la forma di allevamento a Vaso
Policonico n.d.r.) se si vuole coltivare l’olivo con concetti di razionalità e
con il fine di una elevata produttività. Occorre quindi una potatura di riforma
degli olivi allevati a vaso dicotomico, senza mezze misure o compromessi che
porterebbero a tornare sulla stessa pianta ed a formare dopo 2 o 3 anni vuoti
che meno facilmente si riempirebbero di frasca. Meglio riformare a fondo 100
olivi che riformarne 150 a mezzo per salvare qualche mezza branca allo scopo di
guadagnare un po’ di olive”.
Nel caso invece si insista a mantenere la forma di allevamento a a vaso allora perlomeno seguire le buone pratiche agricole che seguono:
Se ciò non fosse possibile ad esempio per la limitata disponibilità
di manodopera perché l’oliveto è allevato a vaso (vedi nota 2) andrebbe fatta
almeno ogni due anni (biennale) e, nell’anno in cui non si esegue la potatura,
sarebbe opportuno eliminare almeno i succhioni nelle parti interne della chioma
(ciò può essere fatto anche in estate).
Negli oliveti secolari, dove la potatura viene eseguita
normalmente con turno poliennale (ogni 5-6 anni), è importante, al fine di
mantenere un certo equilibrio vegeto-produttivo ed evitare eccessivi addensamenti
di vegetazione, intervenire tutti gli anni almeno per eliminare i succhioni.
Nell’oliveto con una gestione a basso impatto ambientale
assume grande rilevanza evitare eccessivi addensamenti di vegetazione che possono
favorire l’attacco di patogeni (es. occhio di pavone) e fitofagi (es.
cocciniglia, che determina anche l’attacco da parte della fumaggine), soprattutto
in ambienti relativamente umidi. A riguardo occorre considerare che le
differenti cultivar possono avere diversa vigoria, densità di vegetazione e
suscettibilità ai parassiti. Pertanto, è molto importante scegliere la giusta
intensità di potatura ed il turno in funzione dell’ambiente in cui si opera e
delle caratteristiche della cultivar considerata, tenendo in forte conto degli
effetti di questa pratica sulla sanità delle piante. Inoltre è molto importante
evitare azioni di disturbo eccessivo a carico dell’avifauna presente negli
oliveti.
Molti di questi uccelli si nutrono di insetti contribuendo
in modo specifico al ripristino ed al mantenimento degli equilibri ecologici
negli oliveti. È importante pertanto salvaguardare la loro presenza garantendo
loro la possibilità di nidificare e di sopperire alle necessità di nutrizione.
Alberi con chiome troppo rade non sono i preferiti per la nidificazione, è
importante perciò garantire nell’appezzamento la presenza di piante dotate di
una buona chioma. Una buona gestione dei turni di potatura aiuterebbe a
mantenere queste condizioni. Sarebbe ottimale, nel caso ad esempio di un oliveto
di 50 piante ad ettaro, potare 15, 16 piante l’anno in modo da avere un turno
di potatura complessivo di circa 3 anni e al contempo garantire la presenza di un
buon numero di piante idonee per la nidificazione, si avrebbe
contemporaneamente anche un effetto positivo sull’alternanza di produzione
tipica della specie. Con la potatura si devono asportare le parti malate o
attaccate da insetti al fine di ridurre le fonti di inoculo. Tuttavia, in
piante che presentano un forte attacco di rogna, l’asportazione delle parti malate
dovrà essere fatta gradualmente per evitare un’eccessiva riduzione della
superficie fogliare e nel frattempo dovranno essere fatti trattamenti a base di
rame per contrastare l’infezione.
In caso di piante malate di rogna o, peggio, di
verticillosi, prima di passare a potare piante sane occorre disinfettare gli
attrezzi con soluzioni a base di rame.
Nota 1 Forma di allevamento a Vaso Policonico
Occorre quindi smettere di utilizzare le scale per la
potatura (ed anche per la raccolta), cercando di limitare al massimo il costo
dell’intervento. Le operazioni eseguite da terra, oltre al superamento dei
numerosi problemi di sicurezza del lavoro (nel caso si raccomando l’uso di un
casco con visiera), consente di abbreviare tempi e costi dell’intervento,
migliorando anche la qualità del lavoro per una migliore visibilità
dell’albero.
Al termine di queste brevi considerazioni, ed a
dimostrazione di quanto tempo e quante occasioni sono state sprecate negli
ultimi decenni, ci piace ricordare quanto sinteticamente descritto da Nizzi
Grifi (1955) a conclusione di un lungo ed articolato percorso di
sperimentazione e divulgazione sulla potatura dell’olivo che vide la
partecipazione ed il coinvolgimento di tutte le allora maggiori competenze
scientifiche e tecniche. L’Autore ritenne la miglior forma per l’olivo quella
policonica, ideata ed attuata dal Roventini in Toscana e dal Tonini in Umbria.
“A quella bisogna arrivare se si vuole coltivare l’olivo con concetti di
razionalità e con il fine di una elevata produttività. Occorre quindi una
potatura di riforma degli olivi allevati a vaso dicotomico, senza mezze misure
o compromessi che porterebbero a tornare sulla stessa pianta ed a formare dopo
2 o 3 anni vuoti che meno facilmente si riempirebbero di frasca. Meglio
riformare a fondo 100 olivi che riformarne 150 a mezzo per salvare qualche
mezza branca allo scopo di guadagnare un po’ di olive”.
Nota 2: Forma di allevamento a vaso
Nella forma d’allevamento classica a vaso «massafrese» gli
alberi appaiono come un cilindro verde e continuo, stretto e alto; a causa
della foltezza del fogliame, con la potatura si era soliti interromperne la
continuità aprendo la cosiddetta «finestra» esposta ed est, in modo da favorire
l’illuminazione dell’interno della chioma. Le dimensioni degli alberi rendono
molto costose le principali operazioni del ciclo colturale, come potatura e
raccolta. Per rimediare a tanto, sono stati attuati massicci interventi di
potatura di riforma, miranti ad abbassare l’altezza complessiva della chioma
degli alberi. Se a ciò si aggiunge che, nelle aree di nuova irrigazione. In
assoluto gli alberi d’olivo più alti dell’intera Puglia. A dispetto della
perfetta struttura scheletrica, la gestione di alberi tanto alti crea una
moltitudine di problemi.
Il sistema d’allevamento basilare dell’olivicoltura
tradizionale pugliese è il vaso cilindrico, ad alta impalcatura, impostato su
due (raramente tre) branche primarie di prim’ordine. Per quanto concerne il
supporto dell’irrigazione, gli oliveti tradizionali pugliesi furono realizzati
nei tempi passati per l’esclusiva coltivazione in asciutto. Di conseguenza, la
dimensioni degli alberi, la fittezza della chioma, l’inclinazione delle branche
primarie e di quelle fruttifere, le dimensioni e l’aspetto dei tronchi, le
distanze di piantagione sono da intendere come variabili determinate
dall’interazione genotipo-ambiente. Anche produttività per albero e turni di potatura
sono risultati variare in relazione alla fertilità del suolo ed alla dimensione
degli alberi. Ne consegue che la tendenza all’alternanza di produzione è molto
più accentuata quando, ad alberi di grandi dimensioni, si abbinano turni di
potatura ampi. In molti casi, distanze di piantagione regolari, ma oggi
eccessive per un oliveto specializzato, sono da attribuire a consuetudini
locali miranti a realizzare oliveti consociati con vigneti o con seminativi;
sesti larghi ed irregolari possono invece essere la conseguenza della
realizzazione di oliveti innestando «in situ» olivi selvatici (Olea
europaeavar. oleaster L.) popolanti la macchia mediterranea, come pure possono
essere la testimonianza di ciò che rimane di secolari oliveti, originariamente
a sesto regolare, sebbene ampio.
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