martedì 5 gennaio 2016

La buona pratica della potatura di produzione dell’olivo


La potatura di produzione è la più importante potatura che si applica nella fase adulta delle piante. Ha lo scopo di mantenere la forma data con la potatura di allevamento, di equilibrare l’attività vegetativa e quella riproduttiva, mantenere nel tempo la capacità produttiva raggiunta e di eliminare eventuali porzioni danneggiate della chioma.
Aspetto fondamentale della potatura di produzione è quello di applicare la giusta intensità. Spesso, infatti, si attua una potatura eccessiva che determina una riduzione della capacità produttiva delle piante. Anche una potatura troppo leggera può essere dannosa, perché può determinare eccessivi ombreggiamenti nelle parti interne della chioma ed un forte consumo di acqua, creando condizioni favorevoli allo sviluppo di patogeni e fitofagi e alla possibile insorgenza di stress idrico.
La potatura di produzione andrebbe eseguita tutti gli anni e ciò è possibile nel caso di allevamento dell’oliveto a VASO POLICONICO (vedi nota 1).
Tale forma di allevamento così come si può leggere lo scritto di Nizzi Grifi (1955) nella nota 1 che segue: “A quella bisogna arrivare (la forma di allevamento a Vaso Policonico n.d.r.) se si vuole coltivare l’olivo con concetti di razionalità e con il fine di una elevata produttività. Occorre quindi una potatura di riforma degli olivi allevati a vaso dicotomico, senza mezze misure o compromessi che porterebbero a tornare sulla stessa pianta ed a formare dopo 2 o 3 anni vuoti che meno facilmente si riempirebbero di frasca. Meglio riformare a fondo 100 olivi che riformarne 150 a mezzo per salvare qualche mezza branca allo scopo di guadagnare un po’ di olive”.
Nel caso invece si insista a mantenere la forma di allevamento a a vaso allora perlomeno seguire le buone pratiche agricole che seguono:
Se ciò non fosse possibile ad esempio per la limitata disponibilità di manodopera perché l’oliveto è allevato a vaso (vedi nota 2) andrebbe fatta almeno ogni due anni (biennale) e, nell’anno in cui non si esegue la potatura, sarebbe opportuno eliminare almeno i succhioni nelle parti interne della chioma (ciò può essere fatto anche in estate).
Negli oliveti secolari, dove la potatura viene eseguita normalmente con turno poliennale (ogni 5-6 anni), è importante, al fine di mantenere un certo equilibrio vegeto-produttivo ed evitare eccessivi addensamenti di vegetazione, intervenire tutti gli anni almeno per eliminare i succhioni.
Nell’oliveto con una gestione a basso impatto ambientale assume grande rilevanza evitare eccessivi addensamenti di vegetazione che possono favorire l’attacco di patogeni (es. occhio di pavone) e fitofagi (es. cocciniglia, che determina anche l’attacco da parte della fumaggine), soprattutto in ambienti relativamente umidi. A riguardo occorre considerare che le differenti cultivar possono avere diversa vigoria, densità di vegetazione e suscettibilità ai parassiti. Pertanto, è molto importante scegliere la giusta intensità di potatura ed il turno in funzione dell’ambiente in cui si opera e delle caratteristiche della cultivar considerata, tenendo in forte conto degli effetti di questa pratica sulla sanità delle piante. Inoltre è molto importante evitare azioni di disturbo eccessivo a carico dell’avifauna presente negli oliveti.
Molti di questi uccelli si nutrono di insetti contribuendo in modo specifico al ripristino ed al mantenimento degli equilibri ecologici negli oliveti. È importante pertanto salvaguardare la loro presenza garantendo loro la possibilità di nidificare e di sopperire alle necessità di nutrizione. Alberi con chiome troppo rade non sono i preferiti per la nidificazione, è importante perciò garantire nell’appezzamento la presenza di piante dotate di una buona chioma. Una buona gestione dei turni di potatura aiuterebbe a mantenere queste condizioni. Sarebbe ottimale, nel caso ad esempio di un oliveto di 50 piante ad ettaro, potare 15, 16 piante l’anno in modo da avere un turno di potatura complessivo di circa 3 anni e al contempo garantire la presenza di un buon numero di piante idonee per la nidificazione, si avrebbe contemporaneamente anche un effetto positivo sull’alternanza di produzione tipica della specie. Con la potatura si devono asportare le parti malate o attaccate da insetti al fine di ridurre le fonti di inoculo. Tuttavia, in piante che presentano un forte attacco di rogna, l’asportazione delle parti malate dovrà essere fatta gradualmente per evitare un’eccessiva riduzione della superficie fogliare e nel frattempo dovranno essere fatti trattamenti a base di rame per contrastare l’infezione.
In caso di piante malate di rogna o, peggio, di verticillosi, prima di passare a potare piante sane occorre disinfettare gli attrezzi con soluzioni a base di rame.
Nota 1 Forma di allevamento a Vaso Policonico
Occorre quindi smettere di utilizzare le scale per la potatura (ed anche per la raccolta), cercando di limitare al massimo il costo dell’intervento. Le operazioni eseguite da terra, oltre al superamento dei numerosi problemi di sicurezza del lavoro (nel caso si raccomando l’uso di un casco con visiera), consente di abbreviare tempi e costi dell’intervento, migliorando anche la qualità del lavoro per una migliore visibilità dell’albero.
Al termine di queste brevi considerazioni, ed a dimostrazione di quanto tempo e quante occasioni sono state sprecate negli ultimi decenni, ci piace ricordare quanto sinteticamente descritto da Nizzi Grifi (1955) a conclusione di un lungo ed articolato percorso di sperimentazione e divulgazione sulla potatura dell’olivo che vide la partecipazione ed il coinvolgimento di tutte le allora maggiori competenze scientifiche e tecniche. L’Autore ritenne la miglior forma per l’olivo quella policonica, ideata ed attuata dal Roventini in Toscana e dal Tonini in Umbria. “A quella bisogna arrivare se si vuole coltivare l’olivo con concetti di razionalità e con il fine di una elevata produttività. Occorre quindi una potatura di riforma degli olivi allevati a vaso dicotomico, senza mezze misure o compromessi che porterebbero a tornare sulla stessa pianta ed a formare dopo 2 o 3 anni vuoti che meno facilmente si riempirebbero di frasca. Meglio riformare a fondo 100 olivi che riformarne 150 a mezzo per salvare qualche mezza branca allo scopo di guadagnare un po’ di olive”.
Nota 2: Forma di allevamento a vaso
Nella forma d’allevamento classica a vaso «massafrese» gli alberi appaiono come un cilindro verde e continuo, stretto e alto; a causa della foltezza del fogliame, con la potatura si era soliti interromperne la continuità aprendo la cosiddetta «finestra» esposta ed est, in modo da favorire l’illuminazione dell’interno della chioma. Le dimensioni degli alberi rendono molto costose le principali operazioni del ciclo colturale, come potatura e raccolta. Per rimediare a tanto, sono stati attuati massicci interventi di potatura di riforma, miranti ad abbassare l’altezza complessiva della chioma degli alberi. Se a ciò si aggiunge che, nelle aree di nuova irrigazione. In assoluto gli alberi d’olivo più alti dell’intera Puglia. A dispetto della perfetta struttura scheletrica, la gestione di alberi tanto alti crea una moltitudine di problemi.

Il sistema d’allevamento basilare dell’olivicoltura tradizionale pugliese è il vaso cilindrico, ad alta impalcatura, impostato su due (raramente tre) branche primarie di prim’ordine. Per quanto concerne il supporto dell’irrigazione, gli oliveti tradizionali pugliesi furono realizzati nei tempi passati per l’esclusiva coltivazione in asciutto. Di conseguenza, la dimensioni degli alberi, la fittezza della chioma, l’inclinazione delle branche primarie e di quelle fruttifere, le dimensioni e l’aspetto dei tronchi, le distanze di piantagione sono da intendere come variabili determinate dall’interazione genotipo-ambiente. Anche produttività per albero e turni di potatura sono risultati variare in relazione alla fertilità del suolo ed alla dimensione degli alberi. Ne consegue che la tendenza all’alternanza di produzione è molto più accentuata quando, ad alberi di grandi dimensioni, si abbinano turni di potatura ampi. In molti casi, distanze di piantagione regolari, ma oggi eccessive per un oliveto specializzato, sono da attribuire a consuetudini locali miranti a realizzare oliveti consociati con vigneti o con seminativi; sesti larghi ed irregolari possono invece essere la conseguenza della realizzazione di oliveti innestando «in situ» olivi selvatici (Olea europaeavar. oleaster L.) popolanti la macchia mediterranea, come pure possono essere la testimonianza di ciò che rimane di secolari oliveti, originariamente a sesto regolare, sebbene ampio. 

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