Dopo la Seconda Guerra Mondiale il
ritmo con cui è andato degradandosi il territorio italiano è andato
aumentato anno dopo anno in maniera esponenziale.
Negli ultimi cinquant'anni si è
sviluppata in Italia un attività edilizia che non ha confronti con
le epoche passate. E' stato calcolato che il 90% circa degli spazi
urbani è stato costruito dal dopoguerra ad oggi: solo il 10% di
città e paesi (corrispondente ai centri storici) lo abbiamo
ereditato dalle generazioni precedenti.
Si è costruito in ogni dove: si sono
tagliati boschi, abbandonate colture, si è ridotto il terreno
permeabile; si sono ignorate la natura, il sottosuolo, le cavità dei
terreni e i sottili sistemi che connettono e regolano i meccanismi
naturali. Il risultato di questo fenomeno è riassunto nella carta
d’Italia rappresentata in Fig.1, risultato dello studio Ecosistema
Italia compiuto dal WWF Italia nel 1996.
Nell’ambito di questo studio il
territorio italiano è stato studiato con un GIS (GIS è l’acronimo
di Geographical Information System e sta ad indicare un sistema
cartografico
informatizzato, ovvero elaborato
cartografando le informazioni contenute in una banca dati) per
verificare quali fossero le aree ancora naturali o seminaturali e
quali invece quelle da considerarsi antropizzate. A questo scopo il
territorio nazionale è stato suddiviso in quadrati teorici di 100 m
x 100 m e per ciascuno di essi sono stati elaborati i valori di
diverse variabili, sia di tipo naturalistico che antropico. Il tutto
verificato sulla base di principi di tipo ecologico, ossia
considerando non soltanto la qualità dell’ambiente, ma anche la
sua estensione, la sua continuità e la presenza di
determinate specie, per un totale di 21
variabili sovrapposte ed elaborate tra loro anche in relazione
all’estensione territoriale.
Dalla carta si desume che in Italia la
natura è concentrata nelle zone montane delle Alpi e dell’Appennino,
oltre che in alcune regioni che per motivi storici hanno conservato
una qualità territoriale elevata, come ad esempio la provincia di
Grosseto, non a caso la meno densamente popolata della penisola
italiana. Appaiono evidenti anche fenomeni del tutto negativi, primo
tra tutti lo stato delle nostre coste: se da Trieste si parte per
cercare una zona ecologicamente funzionale
si deve arrivare alle foci del Po e poi
ai laghi di Lesina e Varano a nord dello sperone del Gargano. Ad
esempio risalta in termini negativi lo stato delle coste della
Sicilia, tra l’altro reclamizzata a fini turistici proprio per il
suo mare, degradate in percentuale altissima.
Lo studio Oloferne del WWF Italia, nel
1998, ha infatti stabilito che le coste italiane sono per il 51 %
intensamente antropizzate, per il 14 % antropizzzate in maniera
diffusa e solo per il 25% ancora integre.
Soltanto in Sardegna questo rapporto si
inverte, con il 75% di coste ancora libere completamente dalle
costruzioni.
Analoghe considerazioni possono farsi
per le pianure: la Val Padana è caratterizzata da una
antropizzazione diffusa e continua, lo stesso va detto per le regioni
costiere adriatiche, per le zone di Roma, Firenze e per tutto il
bacino del napoletano.
Osservando sempre la Fig. 1 si nota
anche come la continuità ambientale in Italia rischi di essere
interrotta dalla eccessiva antropizzazione di alcune aree, quali ad
esempio la Valle dell’Adige, la zona appenninica tra Bologna e
Firenze, il territorio tra Milano e Como.
In Italia il problema della
conservazione dell’ambiente naturale è quindi duplice: non
soltanto la distruzione di ettari di territorio che hanno
caratteristiche naturali, spesso concentrate in aree omogenee come le
coste o la pianura, ma anche la frammentazione degli ambienti
naturali. Ogni anno nel nostro paese circa 100.000 ettari di
territori agricoli, naturali o seminaturali vengono trasformati in
parcheggi, strade, insediamenti industriali, urbanistici e altre
forme di antropizzazione. In Europa dal 1970 ad oggi si è perso il
2% del territorio agricolo, in Italia il 20%.
Questo problema, la cui gravità è
legata all’irreversibilità, ha in realtà effetto non soltanto sui
territori che subiscono la trasformazione, ma sulla naturalità
dell’intero territorio nazionale a causa della frammentazione che
subiscono gli ecosistemi.
Adesso, finalmente, i motori
dell'espansione tendono a rallentare.
Contemporaneamente si manifesta una
sempre maggiore presa d’atto delle problematiche ambientali. Oggi,
sempre più, il territorio viene inteso come una realtà complessa,
come insieme di risorse naturali, potenzialità e rischi, come
sedimentazione di cultura, lavoro e storia. Il territorio è un
oggetto complesso perché in esso le opere e le trasformazioni
dell’ambiente, progettate ed eseguite per le esigenze della
società, interagiscono con le regole della natura.
Trascurare o sottovalutare questa
complessità è sbagliato, eppure è quello che si è fatto nel
governo del territorio in Italia.
Si è insomma dimenticato che la
complessità si governa solo con strumenti complessi, che le
trasformazioni ammissibili hanno bisogno di tempi lunghi.
La sfida per la nostra generazione e
per quelle future è perciò di fornire risposte alternative per lo
sviluppo, l’occupazione ed il benessere, attraverso il risanamento
e azioni finalizzate al raggiungimento di obiettivi precisi, che
assumano come spazio di azione tutto il territorio, inteso come un
unico ambiente di pregio.
Il compito delle discipline che si
occupano di assetto del territorio e di sviluppo diviene allora,
soprattutto, quello di impostare le condizioni per una possibile
rigenerazione delle componenti ambientali.
Il fabbisogno di natura aumenta con il
crescere del tempo libero, ma rischia anch'esso di "consumare"
l’ambiente come un qualsiasi "prodotto" senza promuovere
una “cultura del territorio”, che può essere diffusa solo
attraverso la restituzione di significato ai luoghi e ai beni
culturali e ambientali. Le Aree Protette non sono altro che i
laboratori in cui sperimentare le pratiche da applicare
progressivamente all’intero territorio.
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