Numerose attestazioni scientifiche di levatura nazionale e
internazionale testimoniano che la riduzione della funzionalità degli
ecosistemi e della biodiversità è causata in linea generale dalla riduzione e frammentazione
degli habitat e da disturbi fisico – chimici - biologici provenienti dalle
attività umane. A questo che è il tipico processo di alterazione e di causa di
perdita delle biodiversità si associa, specialmente in Europa e, più in
generale, nei Paesi a forte determinismo industriale, un interessante fenomeno
di recupero ambientale dovuto al progressivo abbandono delle attività agricole.
In Italia la fascia collinare pedemontana (si valuta una superficie superiore
ai 3.000.000 di ettari) è attualmente interessata dal progressivo recupero di
cespuglieti e boschi. Si tratta di una delle situazioni territoriali più
complesse che evidenzia la necessità di saper ben interpretare la dinamica in atto.
Si registra, peraltro, una situazione fortemente complessa, per la quale val la
pena di segnalare almeno due aspetti significativi: il primo è legato al fatto
che, se è vero che le attività agricole vengono abbandonate in collina, è
altrettanto vero che si assiste ad un'ulteriore intensificazione d'uso delle pianure
i cui paesaggi, e la relativa biodiversità, sono alterati oltre che dalla
pressione dell'agricoltura specializzata, dai fenomeni di sprawl urbano. Il
secondo aspetto è legato ai molteplici effetti dell'abbandono dei territori
collinari, non sempre positivi anche in termini di biodiversità, la quale, in questi
paesaggi, non è solo legata ai sistemi forestali, ma anche e, talvolta,
soprattutto alla diversità del mosaico ambientale e dei suoi elementi che può
ridursi in seguito all'abbandono.
Inoltre non va trascurato il fatto che l'abbandono delle
attività rurali, in molti luoghi, è seguito dalla “colonizzazione” da parte dei
cittadini i quali non gestiscono il territorio, non lo conoscono e, frequentemente,
sono portatori di disturbi ingenti, oltre che di aumento
dell'infrastrutturazione necessaria a raggiungere comodamente abitati rurali
abbandonati e recuperati ad uso residenziale.
Queste sono le situazioni che meglio spiegano l’esigenza di
adottare un approccio ecosistemico capace di valutare il significato ecologico
e dinamico di un determinato mosaico ambientale. Tutto ciò per evitare che per
valori simili della frammentazione (misurata, come pattern, mediante indici frequentemente
utilizzati nell’ecologia del paesaggio) vengano affiancate situazioni
ecologiche dinamiche e processi completamente diversi. Nello stesso modo è essenziale
conoscere per ciascuna fisionomia vegetazionale o per ciascuna popolazione
animale la dimensione essenziale/effettiva in termini di “superficie minima” o
di “n° di individui”. Elementi questi che non possono fare genericamente
riferimento a fisionomie individuate mediante cartografie di copertura ed uso
del suolo al 3° o 4° livello tipologico sensu progetto CORINE Land Cover 2000.
Esiste l’esigenza di avere sempre molto chiara la dinamica
territoriale in atto collegata alla conoscenza dell’eterogeneità potenziale
(classificazione ecoregionale ed unità ambientali) e dell’eterogenità reale
interna a ciascuna Ecoregione (articolazione seriale vegetazionale).
Da segnalare in particolare la presenza di habitat secondari
di interesse comunitario e l’obbligo delle Regioni di garantire la presenza di
habitat quali praterie e radure che senza continue opere di sfalcio e di
manutenzione saranno sostituite da cespuglieti o da boscaglie pioniere.
Sebbene i disturbi dovuti alle diverse forme di inquinamento
si siano accentuati, come noto, dopo la rivoluzione industriale, altri impatti
quali la riduzione degli habitat e l’erosione numerica critica dei popolamenti
di alcuni animali selvatici sono riconducibili all’epoca romana. Per alcuni
paesi europei, tra i quali l’Italia è un esempio particolarmente significativo,
i paesaggi oggi presenti sono, in gran parte, di seconda o terza “generazione”,
derivando cioè da un recupero prevalentemente naturale di stadi vegetazionali
in sostituzione di quelli precedenti che, in molti casi, hanno subito le loro trasformazioni
nel corso di diversi millenni.
L’Europa e l’Italia incentrano pertanto le loro attenzioni
di tutela, in una parte rilevante dei casi, su territori fortemente modificati
dall’azione umana per ragioni evidenti di approvvigionamento alimentare e di
economie produttive. Tutte le pianure italiane, quasi tutte le aree
appenniniche, molta parte delle Alpi ad esclusione dei ghiacci perenni e dei
deserti rocciosi, nonché molti corpi idrici, sono testimoni di queste azioni di
rimaneggiamento e di “management” delle risorse disponibili mirate a mantenere/costituire
di volta in volta i beni ritenuti utili quali i pascoli e i terreni
coltivabili, sostituendo nelle varie aree geografiche e fitoclimatiche le
coperture di suolo presenti (in netta prevalenza boschi) con quelle
economicamente più vantaggiose in quel momento storico (i grandi pascoli
appenninici, le foreste del Casentino e i boschi della Sila, il Tavoliere delle
Puglie, ecc.). E’, in altre parole, sempre stata prevalente la considerazione
del bene in quanto risorsa potenziale da utilizzare economicamente e mai in
quanto fornitore di servizi ecosistemici economicamente valutabili, intesi come
benefici che l’uomo trae dal funzionamento corretto delle diverse unità di paesaggio
in riferimento alle loro proprietà intrinseche e ai processi che in esse si
sviluppano (es. depurazione naturale, mantenimento della qualità delle acque,
approvvigionamento idrico, protezione dall’erosione).
Il succedersi delle diverse forme di utilizzazione del suolo
ha comportato sia delle conversioni, ma anche degli abbandoni, con recupero
spontaneo di naturalità come sta accadendo da alcuni decenni in molte aree
montane soggette a forme diffuse di decremento demografico e di perdita di
interessi produttivi.
Queste dinamiche, che hanno pur sempre intaccato la qualità
ambientale in profondità, non hanno comunque impedito la permanenza dei gradi
molto alti di biodiversità naturale che caratterizzano il paese ancora alla
data odierna: più di 6700 specie vegetali autoctone, circa 500 specie di
uccelli, 118 di mammiferi, 46 di rettili, 33 di anfibi e migliaia di
invertebrati, tra le quali molti endemismi a livello di sottospecie e numerosi
casi di importanza conservazionistica mondiale.
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