domenica 24 gennaio 2016

Assetti paesaggistici e biodiversità

Relazione tra la biodiversità totale stimata per le unità fisiografiche italiane censite dall’APAT (2004) e la densità di urbanizzazione in esse presente. Le unità fisiografiche sono state classificate in base ai valori di biodiversità presenti e in relazione alla densità di urbanizzazione. Il grafico mette in evidenza la relazione di ogni unità fisiografica con i due parametri (fonte: ricerca WWF Italia su Biodiversity Vision per le Ecoregioni Alpi e Mediterraneo)


Numerose attestazioni scientifiche di levatura nazionale e internazionale testimoniano che la riduzione della funzionalità degli ecosistemi e della biodiversità è causata in linea generale dalla riduzione e frammentazione degli habitat e da disturbi fisico – chimici - biologici provenienti dalle attività umane. A questo che è il tipico processo di alterazione e di causa di perdita delle biodiversità si associa, specialmente in Europa e, più in generale, nei Paesi a forte determinismo industriale, un interessante fenomeno di recupero ambientale dovuto al progressivo abbandono delle attività agricole. In Italia la fascia collinare pedemontana (si valuta una superficie superiore ai 3.000.000 di ettari) è attualmente interessata dal progressivo recupero di cespuglieti e boschi. Si tratta di una delle situazioni territoriali più complesse che evidenzia la necessità di saper ben interpretare la dinamica in atto. Si registra, peraltro, una situazione fortemente complessa, per la quale val la pena di segnalare almeno due aspetti significativi: il primo è legato al fatto che, se è vero che le attività agricole vengono abbandonate in collina, è altrettanto vero che si assiste ad un'ulteriore intensificazione d'uso delle pianure i cui paesaggi, e la relativa biodiversità, sono alterati oltre che dalla pressione dell'agricoltura specializzata, dai fenomeni di sprawl urbano. Il secondo aspetto è legato ai molteplici effetti dell'abbandono dei territori collinari, non sempre positivi anche in termini di biodiversità, la quale, in questi paesaggi, non è solo legata ai sistemi forestali, ma anche e, talvolta, soprattutto alla diversità del mosaico ambientale e dei suoi elementi che può ridursi in seguito all'abbandono.
Inoltre non va trascurato il fatto che l'abbandono delle attività rurali, in molti luoghi, è seguito dalla “colonizzazione” da parte dei cittadini i quali non gestiscono il territorio, non lo conoscono e, frequentemente, sono portatori di disturbi ingenti, oltre che di aumento dell'infrastrutturazione necessaria a raggiungere comodamente abitati rurali abbandonati e recuperati ad uso residenziale.
Queste sono le situazioni che meglio spiegano l’esigenza di adottare un approccio ecosistemico capace di valutare il significato ecologico e dinamico di un determinato mosaico ambientale. Tutto ciò per evitare che per valori simili della frammentazione (misurata, come pattern, mediante indici frequentemente utilizzati nell’ecologia del paesaggio) vengano affiancate situazioni ecologiche dinamiche e processi completamente diversi. Nello stesso modo è essenziale conoscere per ciascuna fisionomia vegetazionale o per ciascuna popolazione animale la dimensione essenziale/effettiva in termini di “superficie minima” o di “n° di individui”. Elementi questi che non possono fare genericamente riferimento a fisionomie individuate mediante cartografie di copertura ed uso del suolo al 3° o 4° livello tipologico sensu progetto CORINE Land Cover 2000.
Esiste l’esigenza di avere sempre molto chiara la dinamica territoriale in atto collegata alla conoscenza dell’eterogeneità potenziale (classificazione ecoregionale ed unità ambientali) e dell’eterogenità reale interna a ciascuna Ecoregione (articolazione seriale vegetazionale).
Da segnalare in particolare la presenza di habitat secondari di interesse comunitario e l’obbligo delle Regioni di garantire la presenza di habitat quali praterie e radure che senza continue opere di sfalcio e di manutenzione saranno sostituite da cespuglieti o da boscaglie pioniere.
Sebbene i disturbi dovuti alle diverse forme di inquinamento si siano accentuati, come noto, dopo la rivoluzione industriale, altri impatti quali la riduzione degli habitat e l’erosione numerica critica dei popolamenti di alcuni animali selvatici sono riconducibili all’epoca romana. Per alcuni paesi europei, tra i quali l’Italia è un esempio particolarmente significativo, i paesaggi oggi presenti sono, in gran parte, di seconda o terza “generazione”, derivando cioè da un recupero prevalentemente naturale di stadi vegetazionali in sostituzione di quelli precedenti che, in molti casi, hanno subito le loro trasformazioni nel corso di diversi millenni.
L’Europa e l’Italia incentrano pertanto le loro attenzioni di tutela, in una parte rilevante dei casi, su territori fortemente modificati dall’azione umana per ragioni evidenti di approvvigionamento alimentare e di economie produttive. Tutte le pianure italiane, quasi tutte le aree appenniniche, molta parte delle Alpi ad esclusione dei ghiacci perenni e dei deserti rocciosi, nonché molti corpi idrici, sono testimoni di queste azioni di rimaneggiamento e di “management” delle risorse disponibili mirate a mantenere/costituire di volta in volta i beni ritenuti utili quali i pascoli e i terreni coltivabili, sostituendo nelle varie aree geografiche e fitoclimatiche le coperture di suolo presenti (in netta prevalenza boschi) con quelle economicamente più vantaggiose in quel momento storico (i grandi pascoli appenninici, le foreste del Casentino e i boschi della Sila, il Tavoliere delle Puglie, ecc.). E’, in altre parole, sempre stata prevalente la considerazione del bene in quanto risorsa potenziale da utilizzare economicamente e mai in quanto fornitore di servizi ecosistemici economicamente valutabili, intesi come benefici che l’uomo trae dal funzionamento corretto delle diverse unità di paesaggio in riferimento alle loro proprietà intrinseche e ai processi che in esse si sviluppano (es. depurazione naturale, mantenimento della qualità delle acque, approvvigionamento idrico, protezione dall’erosione).
Il succedersi delle diverse forme di utilizzazione del suolo ha comportato sia delle conversioni, ma anche degli abbandoni, con recupero spontaneo di naturalità come sta accadendo da alcuni decenni in molte aree montane soggette a forme diffuse di decremento demografico e di perdita di interessi produttivi.

Queste dinamiche, che hanno pur sempre intaccato la qualità ambientale in profondità, non hanno comunque impedito la permanenza dei gradi molto alti di biodiversità naturale che caratterizzano il paese ancora alla data odierna: più di 6700 specie vegetali autoctone, circa 500 specie di uccelli, 118 di mammiferi, 46 di rettili, 33 di anfibi e migliaia di invertebrati, tra le quali molti endemismi a livello di sottospecie e numerosi casi di importanza conservazionistica mondiale.

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