Dal 1940 sino al 1975 a San Donato di
Lecce in Piazza Garibaldi ogni mattina dalle 05.00 alle 09.00 c’era
il mercato delle menunceddre e dei cucummeri.
Una intera economia cittadina si basava
sulla coltivazione di questi ortaggi.
Queste due produzioni caratterizzavano
l’agricoltura di questo territorio. Si tratta di una popolazione
locale della specie Cucumis melo L., caratteristica per un colore
verde intenso tanto da farlo definire “nero” dai coltivatori del
paese. Lu cucummaru invece e di forma allungata e di colore bianco
molto tomentoso. Lu cucummaru ha un gusto più salato rispetto alla
menunceddra e per questo motivo ha avuto meno riscontro di gusto nei
consumatori e quindi meno successo nella coltivazione.
E’una coltura praticata nel Comune di
San Donato di Lecce da tempi remoti, appartenente alla tradizione
agronomica e culturale tipica di quell’area, con tecniche di
coltivazione rimaste immutate nel corso degli anni.
Alcune ditte sementiere hanno oggi
posto questi ortaggi sotto il nome di "caroselli". In
realtà nella tradizione locale del Salento leccese questi ortaggi
assumono i nomi più bizzarri e svariati cocumeddre, cucummarrazzi,
cummarazzi, pupaniedde, spureddrhe, Cumbarazzi, menunceddhe,
minunceddhe, meloncelle, pupuneddhe, caroselli, milunceddhe, milonce
sono sempre loro una bonta' solo e tipicamente salentina.
I frutti si consumano immaturi in
alternativa al cetriolo rispetto al quale risultano più digeribili.
Le piante di Menunceddrha hanno un
accrescimento abbastanza contenuto con portamento a cespuglio.
Le popolazioni locali esistenti nelle
area sono numerose, ma tutte si riconducono a due grosse tipologie;
quelle a frutto leggermente allungato (con un rapporto medio
lunghezza/diametro non superiore ad 1,2) comunemente denominata
Menunceddrha niura te Santu Tunatu e quello molto allungato detti
cuccummaru (con un rapporto medio lunghezza/diametro di circa 3).
I frutti della Menunceddrha sono di
colore verde scuro, ricoperti di peli e dal peso compreso fra i 150
ed i 300 g e con, ben visibile (spesso superiore ai 3 cm di
diametro), la cicatrice di attacco della corolla e degli altri organi
fiorali.
Il frutto è commercializzato fresco
immediatamente dopo la raccolta direttamente dall'agricoltore sui
mercatini locali (certamente in minor misura rispetto ad un passato
recente), e più raramente è conferito ai centri di raccolta che
provvedono alla distribuzione ai mercati e più recentemente viene
commercializzato anche nella grande distribuzione organizzata (GDO).
Ordinariamente è coltivato in asciutto
in piccolissimi appezzamenti, in genere 500-1000 metri quadrati, con
semina diretta a postarelle utilizzando il seme dell’anno
precedente conservato dagli stessi agricoltori.
Dopo la semina diretta nel mese di
marzo, con piantine di 4-5 cm, si provvede al diradamento lasciandone
due per postarella, cui si fa seguire una leggera rincalzatura
manuale delle piantine, ed una serie numerosa di lavorazioni
superficiali al terreno (erpicature, sarchiature) per il controllo
delle infestanti ed il contenimento delle perdite di acqua per
evaporazione.
All’emissione del 3°- 4°
internodio, si procede alla cimatura dell’asse principale.
La raccolta, scalare, inizia a fine
maggio con i primi frutti immaturi, e prosegue fino alla fine di
luglio.
Le sue produzioni sono di circa 20
tonnellate per ettaro, ovvero un campo di 500 metri quadri di
menunceddrhe produce circa mille chili di prodotto. Veniva coltivato
solo sui terreni profondi argillosi, poiché non vi era la
disponibilità dell’acqua di irrigazione e quindi la coltura era in
asciutto. In presenza dell’irrigazione è possibile la coltivazione
anche nei terreni più sciolti verso il mare, o nelle terre rosse,
dove spesso si ricorre a due - tre interventi irrigui nel mese di
giugno, che consentono quantitativi di produzione simili alla coltura
in asciutto.
Secondo lo studioso Grebenscikov la
menunceddra può essere indicata come Cucumis melo L. subsp. Melo
conv. Adzhur (Pang.) Grebesc. (Hammer et al. , 1986).
La pianta della menunceddra ha fiori
sia maschili che ermafroditi e per questo si dice che è
andromonoica.
Se confrontiamo una pianta di
menunceddra con quella di melone ci accorgiamo che è più raccolta e
che ha i frutti già sui primi nodi degli steli di ordine primario.
Basta guardarla per esserne attirati,
ha l’epicarpo verde scuro e se tocchiamo il frutto notiamo che è
tomentoso ovvero è coperto di tomento, di peluria, un po’ come
avviene per i frutti tomentosi del pesco e dell'albicocca. La
presenza di questi peli è per tutti i salentini indice di freschezza
del frutto che per questo stesso motivo, è molto apprezzato. Le
menunceddre te santu tunatu hanno la superficie liscia, la peluria è
appena rilevabile ma molto "ispida”. Mentre lu cucummeru ha la
superficie con un tomento lungo molto folto e ispido.
La fecondazione della menunceddra è
incrociata e questo comporta una notevole differenza nei caratteri
oltre che a determinare una produzione che non è sempre
corrispondente alle aspettative.
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