Come coltivare l’orto senz’acqua
l cippato di ramaglie fresche è una tecnica di coltivazione
innovativa ideata in Francia. I vantaggi sono davvero sorprendenti: completa
assenza di irrigazione, lavorazioni ridotte al minimo, nessun trattamento
chimico, ottima qualità dei prodotti. Per introdurre il cippato in Italia è
appena uscito il libro “L’orto senz’acqua”.
di Jacky Dupety
(tratto dalla rivista “AAM Terranuova”)
Ci siamo insediati nella fattoria di Pouzat, a Livernon
nella regione del Midi-Pirenei, il primo luglio 1999. Per essere
autosufficienti dal punto di vista alimentare abbiamo realizzato un grande
orto, seminato alcuni appezzamenti a cereali (grano e orzo) e avviato un
piccolo allevamento di pecore e galline. Il tutto applicando le pratiche
dell’agricoltura biologica.
Fino al 2003 le cose sono andate abbastanza bene, ma dopo la
torrida estate di quell’anno sono cominciati a venirmi numerosi dubbi su come
affrontare le profonde variazioni climatiche in corso.
Quell’anno non ho potuto mietere il grano, le spighe erano
praticamente prive di chicchi, anche l’orto diede risultati poco soddisfacenti
nonostante la grande quantità d’acqua utilizzata per bagnare le piante.
Ho cominciato a chiedermi se non era il caso di cambiare
regione. Anche i miei vicini hanno cominciato ad affrontare la questione della
loro sopravvivenza economica in seguito alle mutate condizioni climatiche.
Purtroppo il 2003 non fu che il preludio di una lunga serie
di annate caratterizzate da gravi irregolarità climatiche, che a memoria d’uomo
non si erano mai verificate in quella zona con conseguenze così disastrose. Gli
anni successivi furono contrassegnati da stagioni fuori dalla norma:
un’alternanza d’inverni lunghi e secchi e di periodi molto piovosi.
All’orizzonte non intravedevo nessun spiraglio in grado di
migliorare la situazione, fino a che, quasi per caso, consultando il sito del
comitato Jean Pain a Bruxelles non lessi del «Brf», acronimo che in francese
indica il metodo del «cippato di ramaglie fresche».
Dopo aver scorso le prime righe ebbi la sensazione di
leggere qualcosa che già conoscevo. Ma per la miseria! Com’era possibile che
nessuno avesse ancora pensato di applicare in agricoltura gli stessi principi
che regolano in natura la vita di un bosco?! Preso dall’entusiasmo, in poche
settimane credo di aver letto tutto il materiale disponibile sull’argomento.
Via via che leggevo sentivo emergere dentro di me il grande desiderio di
applicare quel metodo sui miei campi.
2004: LE PRIME ESPERIENZE
Con impazienza, ma al tempo stesso con la calma profonda di
chi sa ciò che deve fare, nel febbraio 2004 organizzai il primo cantiere di
taglio e di cippatura. In una settimana, 500 metri quadri della conca, laddove
la terra è più profonda (da 30 a 40 cm), furono arricchiti con ramaglie
frantumate, raccolte dall’ettaro bosco di proprietà della fattoria.
Non sapendo come organizzare il cantiere, con otto amici
decidemmo di raccogliere le ramaglie, sminuzzarle e spandere il cippato, tutto
contemporaneamente: cinque di noi si occupavano del taglio, due della cippatura
e uno della distribuzione sul terreno.
I mesi di febbraio, marzo e aprile passarono tranquilli, ma
sapevo che un’alchimia invisibile stava trasformando in oro ciò che di solito
siamo abituati a considerare inutile scarto.
Tutti i giorni, con qualche dubbio ma con segreta fiducia,
andavo sul campo e vi passavo lunghi momenti cercando di capire che cosa stesse
succedendo sotto i miei piedi.
Quel piccolo apporto di materiale organico sarebbe stato
davvero capace, come sapevo, di permettere la coltivazione di ortaggi su un
altopiano altamente carsico come questo?
Il 14 maggio, con l’aiuto di un trattore e di un erpice,
procedetti all’incorporazione superficiale del cippato. Subito dopo avviai le
semine e i trapianti: barbabietole, carote (impensabile prima coltivarle in un
terreno così pietroso), insalate, zucche, zucchine, patate e tanti altri
ortaggi ancora.
Il 31 maggio le insalate germogliarono. Ma la cosiddetta
«fame di azoto» ci mise il becco, e tutte le piante cominciarono a ingiallire.
Quale angoscia! Anche se si trattava di un fenomeno ampiamente previsto, molti
dubbi e tanta ansia vennero a galla.
Verso la metà di giugno, dopo aver resistito con difficoltà
alla tentazione di intervenire, cominciai ad avvertire i primi cambiamenti: sui
pomodori apparvero delle gemme e contemporaneamente anche i cuori delle
insalate cominciarono ad assumere l’atteso colore verde. Che sollievo!
IL “CIPPATO”
Arrivò luglio: 26 millimetri di pioggia in tutto il mese e
quasi 39 gradi per più giorni consecutivi. L’angoscia affiorava di nuovo: «sarò
obbligato ad annaffiare?». Tutte le sere controllavo il meteo e al mattino,
sotto un cielo perfettamente blu, mi domandavo chi fosse il più stressato tra
me e il mio orto. Ma in questi casi bisogna resistere e continuare a lasciare
l’annaffiatoio dov’è.
Poi venne il momento del raccolto. L’emozione era intensa e
perfettamente all’altezza del gusto dei frutti e delle verdure. I primi
pomodori San Marzano furono essiccati nel forno per il pane e rivelarono un
sapore dolce che non aveva niente da invidiare a quello dei pomodori secchi
prodotti in zone più vocate.
A quel punto dell’anno maturò il progetto di trattare con il
cippato tutto l’appezzamento di circa due ettari. Decisi che il 2005 sarebbe
stato un anno rosso… di pomodori. Immaginai quindi una produzione di 600
piantine. Ero consapevole, e anche i vicini me lo dicevano, che si trattava di
un investimento impegnativo per un altopiano carsico come il mio, e in più
senza irrigazione, trattamenti preventivi (tranne l’ortica) e sotto un sole che
in piena estate si faceva sentire.
600 PIANTINE DI POMODORI
Fu un lavoro impegnativo mettere a dimora 600 piantine. Sul
campo trattato nel 2004 non c’era più il timore di subire la «fame di azoto».
Il cippato, i funghi, i lombrichi e tutto il mondo invisibile avevano
conquistato il territorio e vivevano in simbiosi. A giugno l’essenziale era
stato fatto e, proprio come per il trapianto, non c’è stata alcuna irrigazione.
Dalle 600 piante coltivate ricavai 1300 chili di pomodori.
Una resa assai lontana da quella di una coltura convenzionale e anche
biologica, ma vanno considerate le condizioni assai difficili, i pochi
interventi manuali di diserbo, potatura (io non elimino le femminelle) e
irrigazione (mai effettuata). Una parte del raccolto fu messa ad essiccare e
commercializzata, un’altra venduta ai ristoranti e l’ultima, a fine stagione,
trasformata in concentrato e conserva.
Gli ultimi pomodori furono raccolti il 15 novembre,
all’arrivo del primo gelo.
Anche le zucchine mi sorpresero moltissimo: con la semina
diretta non ebbi da fare altro che la raccolta e su 12 piante raccolsi 190
chili di zucchine commercializzabili, cioè di lunghezza inferiore a 30 cm.
Quell’anno mangiammo zucchine fino a gennaio, e questo prova
la maggiore percentuale di materia secca, fondamentale per una lunga
conservazione.
FINALMENTE UNA PERIZIA
Alla fine del 2005 fui contattato da l’Ensbana di Digione,
la scuola nazionale superiore di biologia applicata alla nutrizione e
all’alimentazione, per un gruppo di lavoro sul cippato di ramaglie fresche.
Oltre a un lavoro di sintesi dei documenti e delle
testimonianze, lo scopo era anche quello di valutare la sostenibilità economica
di questa tecnica. Nel caso specifico venne analizzato il costo di produzione
delle zucchine. In Francia, il costo minimo al metro quadro per la coltura
delle zucchine in serra è di 5 euro (50.000 euro per ettaro). Con il metodo del
Brf è stato valutato un costo di 20 euro alla tonnellata e, essendo la resa al
metro quadro di 0,026 tonnellate, il costo per la coltura è di 0,52 euro al
metro cubo, cioè 10 volte meno che in agricoltura convenzionale. Tra l’altro
non era stato preso in considerazione il costo, per la coltura convenzionale,
dell’ammortamento degli impianti di irrigazione e di annaffiatura, il che non è
poco.
In conclusione, il dossier elaborato dal gruppo di studio
evidenziava i seguenti vantaggi per la coltura delle zucchine, che
evidentemente si possono estendere al metodo del cippato di ramaglie fresche in
generale:
Costo molto
ridotto per l’avvio della coltivazione;
Nessun costo per
l’utilizzo di concimi, diserbanti e irrigazione;
Nessun trattamento
fitosanitario;
Produzione
superiore in qualità e, nel caso delle zucchine, in quantità;
Minore impiego di
manodopera.
CALENDARIO DEI LAVORI
1º anno
Novembre: taglio della legna (per uso riscaldamento o
potatura), cernita delle ramaglie con diametro inferiore a 7 cm.
Dicembre: cippatura dei rametti e spargimento veloce
(spessore 3 cm).
2º anno
Febbraio: incorporazione del cippato nei primi centimetri di
terreno.
Fine Marzo: prime semine.
Giugno: trapianto di fagioli, pomodori, melanzane e altri
ortaggi.
Agosto: trapianto di cavoli, porri, semina di rape,
radicchio e altri ortaggi.
3º o 4º anno
Novembre: nuovo spargimento di cippato.
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