Importanza della conservazione nei paesaggi culturali del paesaggio agrario del Salento Leccese attraverso i canali di bonifica corridoi di biodiversità
di Antonio Bruno*
Ho seguito un seminario tenuto dalla Dott.ssa Rita Accogli dell’Orto Botanico dell’Università di Lecce. L’Orto Botanico tutela la biodiversità del Salento e lo fa raccogliendo e propagando le specie vegetali. Il Salento è CERNIERA BIOGEOGRAFICA tra Oriente e Occidente.
Le Specie Vegetali presenti in Italia sono 7.050, in Puglia 2.076 NEL SOLO SALENTO CI SONO 1.400 SPECIE VEGETALI che rappresentano 2/3 della Flora della Puglia 1/3 della Flora dell’intera Penisola Italiana.
Su 1400 Specie Vegetali nel Salento 150 sono PIANTE ALIMURGICHE (Erborinare o erborare o erborizzare è il termine comunemente utilizzato per indicare la raccolta di piante erbacee spontanee commestibili).
In Puglia abbiamo 180 Specie vegetali a rischio di Estinzione e di queste 32 sono Specie Endemiche (che sono diffuse solo nel territorio del Salento). E’ in atto un nuovo Diluvio Universale? C’è necessità di un’Arca per salvare dall’estinzione esseri viventi? E se si, che cosa possiamo fare noi Dottori Agronomi e Dottori Forestali per contribuire a salvare le Specie vegetali e animali a rischio?
La superficie boschiva della Puglia rappresenta meno del 5 % del territorio regionale (Rossi, 1988) ed è costituita prevalentemente da isolate e degradate fitocenosi, fatta eccezione di alcune estese formazioni boschive di latifoglie decidue del Subappennino Dauno, di Gravina di Puglia e del Gargano. Le cause di questa situazione sono correlate al marcato aumento demografico che si è verificato in Puglia a partire dal XVI secolo d. C. che ha determinato la crescente occupazione delle superfici di vegetazione spontanea con colture agrarie, dapprima estensive, poi intensive e via via sempre più specializzate, come ad esempio mandorlo, vite e ulivo (Amico, 1950). Lo stato di generale regressione degenerativa (Falinski, 1986) che contraddistingue la maggior parte della vegetazione spontanea può essere funzionalmente correlato agli effetti della capillare diffusione dei metodi produttivi fondati sulla moderna tecnologia, in particolare nel corso del XX secolo (Pignatti, 1988). L'Uomo, infatti, abbinando l'informazione tecnologica ad un'elevata disponibilità di energia fossile, ha drasticamente alterato gli habitat naturali e sconvolto i meccanismi cibernetici degli ecosistemi, che, caratterizzati da flussi della materia sempre più lineari, inevitabilmente sono andati incontro a degrado (Naveh, 1982a, 1982b; Pignatti, 1988).
Nonostante le formazioni forestali della Puglia si presentino generalmente di ridotte dimensioni, isolate e degenerate, esse rivestono un ruolo di primaria importanza nella conservazione del patrimonio genomico regionale autoctono. Tali isole di vegetazione boschiva, infatti, dislocate in diversi distretti climatici e quindi notevolmente differenziate per composizione specifica e struttura (Macchia e Lorenzoni, 1988), sono rappresentative dei principali tipi vegetazionali forestali del territorio regionale. La loro tutela e l’adozione di programmi di conservazione condotti secondo rigorosi principi scientifici rappresentano il presupposto basilare per la salvaguardia della biodiversità regionale.(M. Terzi, L. Forte, F. Macchia, V. Cavallaro Conservazione del patrimonio genomico forestale in Puglia)
L'estremo meridionale (Salento) è dominato da un macroclima tipicamente mediterraneo caratterizzato dalle più miti temperature invernali regionali e dalla più accentuata aridità estiva. Ne consegue che le essenze arboree dominanti sono essenzialmente sclerofille sempreverdi fra cui le più rappre-sentative sono Quercus coccifera L. e Q. ilex L., che un tempo, dovevano costituire estesi boschi e boscaglie in tutta la parte meridionale del Salento, compresa tra Lecce e capo Santa Maria di Leuca (Sabato, 1972; Bianco et al., 1990). A nord di Lecce, lungo la pianura di Brindisi, le formazioni a Q. coccifera si riducono progressivamente per dar posto a quelle a Q. ilex (Vita e Macchia, 1973; Bianco et al., 1991). Questa vegetazione boschiva oggi è completamente sostituita da colture specializzate o rifugiata in piccole e limitate aree rocciose difficilmente utilizzabili per la coltivazione o su aree costiere lontane dai centri abitati.
Lungo la fascia costiera del versante ionico, sulle sabbie dunali sono presenti estese pinete a Pinus halepensis Miller, che penetrano anche nell’entroterra.
Noss e Scott (1997) affermano che una gestione frammentaria del territorio, che consideri specie, risorse e siti indipendentemente dal loro contesto ecologico, non è più difendibile né scientificamente né politicamente e propongono l'adozione di criteri di gestione del territorio basati sull’ecosistema. Del resto, considerato che l'evoluzione della diversità biologica di un livello trofico influenza quella dei livelli superiori e che i suoi effetti controllano quella dei livelli inferiori (Whittaker, 1972), sembra ragionevole considerare i sistemi ecologici come un insieme di componenti funzionalmente correlate e adottare programmi di conservazione incentrati su essi, piuttosto che su loro singole entità specifiche o soltanto su determinati gruppi funzionali. Focalizzare gli sforzi di conservazione sull’intero ecosistema con un approccio olistico, significa salvaguardarne l'intero contingente specifico, comprendendo in tal modo anche i gruppi sistematici di livelli d’organizzazione inferiori, come ad esempio batteri e funghi che difficilmente potrebbero essere oggetto di conservazione specifica (Noss e Scott, 1997; Odum, 1988).
In Puglia, la diversità di eco-sistemi forestali, individuabili attraverso le differenti tipologie vegetazionali, è costituita dalle seguenti unità principali (Forte et al., 2000):
a) formazioni a macchia mediterranea;
b) boscaglia e/o arbusteto caducifolio tipo shi-bljak;
c) pinete a Pinus halepensis Miller;
d) querceti a Quercus ilex L.;
e) boschi misti di sempreverdi e caducifolie a do-minanza di Quercus ilex L. e Fraxinus ornus L.;
f) bosco e boscaglia a Quercus coccifera L.;
g) querceti a Quercus trojana Webb;
h) bosco e boscaglia a Quercus pubescens Willd. s.l.;
i) querceti submesofili a Quercus cerris L. e/o Quercus frainetto Ten.;
j) querceti mesofili a Quercus cerris L.;
k) faggeti della fascia di vegetazione inferiore;
l) formazioni arboree ripariali edafiche;
m) formazioni arbustive ripariali edafiche.
Nell'ambito di queste tipologie di ecosistemi, in Puglia, sono presenti delle cenosi forestali considerate d’interesse prioritario a livello comunitario (Direttiva 92/43/CEE, allegato I).
In Puglia, la designazione delle aree naturali protette non tiene conto dell’organizzazione sistemica e gerarchizzata della natura, oggi ampiamente accettata come caratteristica centrale nella Ecologia e nella Scienza della Vegetazione (Naveh, 1982a), che suggerisce di utilizzare il bacino idrografico come la minima unità da prendere in considerazione negli studi funzionali degli ecosistemi (Odum, 1988) e di partire da una pianificazione del territorio su vasta scala, almeno regionale (Forman, 1995), per coordinare, successivamente, con essa i programmi di conservazione a livello locale.
Uno dei compiti a cui è chiamata la nostra società è quello di tutelare la diversità biologica che è denominata biodiversità e che è costituita dagli animali e dalle piante che popolano il nostro territorio (biodiversity hotspots, sensu Wilson, 1992).
Gli scienziati si sono poi occupati particolarmente delle aree che sono poco interessate dalla presenza degli uomini ovvero dall'antropizzazione.
In genere queste aree sono quelle che sono protette dalla legge. Di queste aree si sono occupati gli studiosi di ecologia del Paesaggio che di biogeografia e i progressi effettuati dagli studiosi hanno comportato una revisione dei modelli delle Aree Protette. Infatti nella concezione scientifica si è passati dal considerarli “Santuari della Natura” per lo più isolati dal contesto territoriale a prenderli in considerazione quali elementi fondamentali (nuclei) di una struttura più complessa definita rete ecologica (Noss, 1987).
Più volte ho invitato chi mi legge e ancor più chi ascolta le mie opinioni nelle nostre lunghe chiacchierate tra colleghi, a guardare il nostro territorio attraverso le immagini provenienti dai satelliti e oggi disponibili a tutti con Google Earth. Tutti abbiamo più volte rilevato che la Natura del nostro Territorio è agricoltura, meglio sarebbe dire che l'agricoltura attraverso i millenni ha modificato il Paesaggio in quasi tutto il nostro territorio e che questa modificazione è oggi l'ambiente in cui viviamo e la natura si presenta a noi sotto la forma di Paesaggio Agrario.
Gli studiosi hanno definito i paesaggi culturali come aree in cui l’influenza antropica è rilevante a causa delle alterazioni dell’uso del suolo, per la sostituzione delle comunità biologiche e per il notevole input di energia
sussidiaria apportata (Renato Massa, Marco Baietto, Luciana Bottoni, Emilio Padoa-Schioppa 2004).
Naveh e Lieberman (1984), classificando i paesaggi in base al grado di antropizzazione, evidenziano questi aspetti, ed
inseriscono i paesaggi agricoli a metà strada tra i paesaggi urbani, a totale o quasi dominio antropico, e quelli naturali.
E da pochissimo che gli studiosi cominciano ad occuparsi di conservazione della biodiversità nei paesaggi culturali e ciò perché è sotto gli occhi di tutti che il PAESAGGIO AGRARIO è gravemente minacciato.
L'agricoltore è sempre meno presente nel territorio e ciò causa il degrado dello stesso, si riducono gli allevamenti degli animali domestici e sono sempre meno le coltivazioni erbacee che tradizionalmente erano legate al nostro paesaggio
ma ci sono anche trasformazioni all'interno della società che comportano cambiamenti di attività lavorativa. C'è anche quello che chiamiamo ricorso alla monocoltura e alle varietà ormai sempre meno varietà per essere unicità con abbattimento della flora e fauna collegata alle varietà e colture che non vengono più praticate.
Ma ancora una sono costretto a riprendere il tema che più mi è caro ovvero che nel nostro Salento se non ci fossero quelle poche riserve naturali nelle aree umide di natura intesa come non toccata dall'uomo ci sarebbe molto poco da tutelare. Ma quando parliamo di natura e di sua tutela dobbiamo mettere al centro della nostra discussione la realtà delle cose ovvero che il territorio è stato utilizzato per l'agricoltura che l'ha modellato e per questo motivo per salvaguardare i Paesaggi Culturali c'è la necessità e l'urgenza di TUTELARE IL PAESAGGIO AGRARIO proprio a questo proposito gli ecologi hanno ormai compreso che non è possibile costruire una rete ecologica esclusivamente con l'utilizzo dei paesaggi naturali e con le foreste.
Figura 1 Modello di rete ecologica nella quale è compreso corridoio di biodiversità come specificato nella pubblicazione di Conservation International, 2001.
(fig. 1): In un opuscolo dell’organizzazione Conservation International, 2001 si legge di un corridioi di biodiversità “un mosaico di usi compatibili del territorio che connette aree naturali attraverso il paesaggio” . E da qui la mia idea di considerare corridoi di biodiversità i canali della rete idrografica della Provincia di Lecce, questi collegano il Paesaggio agrario e sono appunto sede di biodiversità. Dalla mia osservazione dei canali presenti in Salento ho ottenuto informazioni circa i rapporti tra avifauna e canali i canali in quanto corridoi di biodiversità potranno comportare una tutela della stessa in tutto il territorio a patto che si realizzi una tutela del Paesaggio Agrario che sia in effetti una tutela dell’agricoltore.
E' noto a tutti che l’ambito dei bacini endoreici della piana salentina, occupa una porzione molto estesa della Puglia meridionale, che comprende gran parte della provincia di Lecce ma porzioni anche consistenti di quelle di Brindisi e di Taranto. Fra questi il più importante è il Canale
Asso, caratterizzato da un bacino di alimentazione di circa 280 Km2 e avente come recapito finale un inghiottitoio carsico (Vora Colucci) ubicato a nord di Nardò (LE).
Non sempre i reticoli idrografici che convogliano le acque di deflusso verso i recapiti finali possiedono chiare evidenze morfologiche dell’esistenza di aree di alveo; frequenti, infatti, sono i casi in cui le depressioni morfologiche ove detti deflussi tendono a concentrarsi hanno dislivelli
rispetto alle aree esterne talmente poco significativi che solo a seguito di attente analisi morfologiche o successivamente agli eventi intensi si riesce a circoscrivere le zone di transito delle piene.
Dove invece i reticoli possiedono evidenze morfologiche dell’alveo di una certa significatività, gli stessi risultano quasi sempre oggetto di interventi di sistemazione idraulica e di correzione di tracciato.
Nel Salento meridionale, una fascia più o meno ristretta di territorio al bordo dei deboli rilievi collinari delle Serre è caratterizzata dalla presenza di reticoli idrografici con rapido sbocco a mare, come quello del Fiume Idro e del Canale Minervino, presso Otranto, e quelli di alcune incisioni fluviocarsiche, di brevissimo percorso ma profondamente incassate, paragonabili a piccoli canyon, che defluiscono nel settore più meridionale della penisola salentina stessa (ad es., il “Vallone del Ciolo”, presso Gagliano del Capo o le incisioni che intersecano l’abitato di Leuca).
Per un maggiore sviluppo planimetrico, ma anche per una più estesa sistemazione idraulica, si caratterizzano i corsi d’acqua del canale del Raho e del Canale Samari, a sud di Gallipoli.
Merita infine segnalare la presenza di diffuse opere di bonifica in prossimità della costa in corrispondenza dei territori di Porto Cesareo, e Ugento (bacini a marea), Otranto (laghi Alimini) e Melendugno (area delle Cesine).
L'idrografia del territorio del Salento è estremamente modesta a motivo di due concomitanti fattori: caratteristiche geomorfologiche dei terreni e clima della regione. Il primo fattore è caratterizzato dalla natura fondamentalmente calcarea dei terreni salentini e da una quasi diffusa sensibile permeabilità, per cui nessun corso d'acqua riesce a stabilizzarsi. Il secondo fattore, che concorre a tale povertà di corsi d'acqua, è la scarsa piovosità che appunto caratterizza il clima mediterraneo, predominante in tutto il Salento. In più l'irregolare piovosità nel corso dell'anno, con alcune punte nei mesi invernali e di magra, se non addirittura di siccità, nel periodo estivo. Di converso le precipitazioni meteoriche, seppure modeste rispetto alla media nazionale, per la diffusa permeabilità suddetta, alimentano le acque sotterranee di cui il Salento è ricco, formando consistenti falde con caratteristiche idrogeologiche assai variabili da zona a zona.
Per la mia esperienza ho potuto osservare 127 canali realizzati con modalità costruttive diverse (in terra o in roccia non rivestita, oppure rivestiti con pietrame a secco o in calcestruzzo ed in alcuni casi costeggiati da stradelle di servizio).
Tali canali, che si sviluppano per una lunghezza complessiva di 423 Km e attraversano i territori di 32 Comuni della Provincia di Lecce.
fig. 2
Per questo motivo ho concentrato la mia attenzione al Salento e nel lavoro del Prof. Paolo Sansò e del dott. Gianluca Selleri “CARATTERIZZAZIONE GEOMORFOLOGICA DEGLI INGHIOTTITOI CARSICI (VORE) DELLA PROVINCIA DI LECCE CHE SI RIPORTA DI SEGUITO E IN CUI si distingue la presenza di 8 aree endoreiche con verso di deflusso omogeneo (fig. 2), separate da linee spartiacque poco evidenti sul terreno o da aree, coincidenti normalmente con estesi affioramenti di rocce carbonatiche, dove non esiste un drenaggio superficiale organizzato.
Nel perimetro delle 8 aree esistono diversi reticoli che per lo più terminano in corrispondenza di inghiottitoi carsici. I singoli bacini idrografici si sviluppano prevalentemente sulle unità non carbonatiche e poco permeabili del Pleistocene medio – superiore (Depositi Marini Terrazzati); il deflusso delle acque invece avviene normalmente verso settori dove affiorano rocce carsificabili o dove le coperture non carbonatiche si assottigliano.
Area 1
La più settentrionale tra le aree a deflusso endoreico del Salento (area 1) non ricade nel territorio amministrativo della Provincia di Lecce. A settentrione è delimitata da una linea spartiacque di importanza regionale che passa poco a Nord del ciglio del Limitone dei Greci e divide quest’area da un esteso settore della Piana tarantino – brindisina a deflusso esoreico, attraversato da alcuni tra i più importanti solchi erosivi del Salento (Canale Cillarese, Canale Reale, ecc.). A Sud l’area 1 è adiacente ad un settore dove non esiste un drenaggio superficiale organizzato.
Nel perimetro dell’area 1 sono presenti 14 solchi fluviali non gerarchizzati e di sviluppo modesto, orientati grossomodo in direzione N-S o NW-SE, perpendicolarmente alla scarpata del Limitone dei Greci. I solchi fluviali si sviluppano quasi integralmente sulle rocce non carbonatiche del Pleistocene medio e superiore. Il deflusso avviene verso i quadranti meridionali; i solchi erosivi terminano nel perimetro di depressioni chiuse localizzate ai piedi del Limitone dei Greci dove sono presenti degli inghiottitoi carsici più o meno visibili.
Al piede della scarpata infatti affiorano le Calcareniti di Gravina o i calcari cretacei ricoperti discontinuamente da sedimenti pedogenizzati, poco permeabili, ascrivibili al complesso dei Depositi Marini Terrazzati.
Area 2
L’area 2 è delimitata dalle altre aree endoreiche contermini da linee spartiacque più o meno evidenti; essa si estende quasi integralmente sui depositi non carbonatici del Pleistocene medio e superiore e ricade solo marginalmente nel territorio amministrativo della Provincia di Lecce
In quest’area il deflusso avviene verso i quadranti settentrionali, grossomodo verso il piede di una blanda e discontinua scarpata compresa tra San Donaci e Villa Baldassarri. Questa scarpata, orientata NO-SE, è in continuità morfologica con la più evidente scarpata detta Limitone dei Greci. In quest’area sono presenti un reticolo principale ben gerarchizzato costituito dal Canale Lamia, dal Canale Iaia e dal Canale 14 Bocche, ed alcuni solchi fluviali più o meno brevi erettilinei che terminano all’interno di inghiottitoi carsici poco prima della confluenza con il Canale 14 Bocche. Le incisioni solo localmente sono bordate da scarpate fluviali alte e ben evidenti.
Il corso d’acqua principale termina nel perimetro della Palude Balsamo, un’area depressa dove si aprono alcuni inghiottitoi più o meno visibili; sul fondo di questa depressione affiorano depositi del Pleistocene medio e superiore poco potenti, sul bordo nord-orientale invece affiorano le calcareniti del Pleistocene inferiore.
Gli inghiottitoi carsici presenti in questo settore sono complessivamente allineati lungo una stessa direttrice orientata NW-SE in coincidenza della quale si sviluppa anche il Canale 14 Bocche. Questa direttrice probabilmente corrisponde ad una lineazione tettonica.
Area 3
L’area 3 è delimitata dalle altre aree endoreiche contermini da linee spartiacque più o meno evidenti; in quest’area il deflusso avviene verso i quadranti orientali, grossomodo verso il piede di una lunga ed evidente scarpata arcuata di probabile origine tettonica, allungata tra Cellino San Marco e San Cesario di Lecce. La scarpata è modellata nel tratto settentrionale in depositi sabbiosi ascrivibili al complesso dei Depositi Marini Terrazzati e nel tratto meridionale sulle unità cretacee, oligoceniche, mioceniche e del Pleistocene inferiore.
Nell’Area 3 sono presenti 4 lunghi reticoli poco gerarchizzati e poco incisi ed alcuni brevi solchi il cui andamento è stato probabilmente condizionato dall’intervento antropico. L’incisione più importante è il Canale della Lacrima. I solchi fluviali si sviluppano quasi integralmente sulle rocce non carbonatiche del Pleistocene medio e superiore; quelli meridionali sono orientati circa E-W o SW-NE, quelli più settentrionali, tra cui anche il Canale della Lacrima, sono orientati NW-SE. I solchi più brevi terminano direttamente all’interno di inghiottitoi carsici; quelli più lunghi invece terminano nel perimetro di conche poco estese dove normalmente sono presenti diversi punti assorbenti più o meno visibili. I punti assorbenti si trovano lungo il limite stratigrafico tra le unità del Pleistocene medio e superiore e le unità calcaree del Cretaceo e del Pleistocene inferiore.
Area 4
L’area 4 si estende tra Salice Salentino e San Pancrazio, è delimitata dalle altre aree endoreiche contermini da linee spartiacque più o meno evidenti. In quest’area la idrografia superficiale è poco organizzata, esistono, infatti, pochi solchi fluviali, brevi e poco gerarchizzati. Gli inghiottitoi carsici si aprono per lo più in aree con drenaggio superficiale poco o per nulla organizzato. Il bacino idrografico più esteso è quello che afferisce alla Vora Madre.
Area 5
L’area 5 è delimitata dalle altre aree endoreiche contermini poste a SE da linee spartiacque più o meno evidenti; a NE, a SW ed a Ovest invece questa zona è circoscritta da alcuni rilievi bordatida scarpate di faglia o da antiche ripe di abrasione marina. Verso Nord, tra Nardò e Copertino, è delimitata da un’area a deflusso non organizzato. Nell’area 5 il deflusso avviene verso NE.
In questo settore esiste un importante reticolo gerarchizzato rappresentato dal Canale Asso e dalle incisioni che vi confluiscono ed alcuni solchi erosivi che terminano all’interno di inghiottitoi carsici poco prima della confluenza con il Canale Asso (per esempio il Canale Sirgole che termina nell’inghiottitoio denominato Vora Marsellona). Sono presenti anche modesti solchi erosivi del tutto indipendenti dal Canale Asso ma con verso di deflusso analogo, come ad esempio quello che termina nell’inghiottitoio denominato Vora di Seclì. I solchi fluviali si sviluppano quasi integralmente sulle rocce non carbonatiche del Pleistocene medio e superiore.
Il Canale Asso termina poco a Nord di Nardò all’interno di una vasta area depressa dal contorno poco evidente, dove affiorano le unità calcaree del Cretaceo, del Miocene e del Pleistocene inferiore; nel perimetro di questa depressione si aprono diversi inghiottitoi fra cui il più importante è quello denominato Vora Colucce. Lungo il tratto terminale della incisione, nei pressi di Nardò, si aprono altri inghiottitoi più o meno visibili. Diversi punti assorbenti poco attivi o inattivi si trovano anche al di fuori dell’area depressa, in settori adiacenti posti immediatamente a Nord ed a Est. Molti di questi inghiottitoi sono segnalati da De Giorgi (1922).
Il reticolo idrografico del Canale Asso si può suddividere da monte verso valle in tre tratti separati dalla congiungente i centri abitati di Aradeo e Sogliano Cavour e dalla Strada Statale n.101. Il tratto più alto è composto di numerosi solchi erosivi ben incisi e delimitati da scarpate fluviali alte fino a 10 metri; questi solchi inizialmente hanno tutti direzione N-S o NNW-SSE e si sviluppano sui sedimenti sabbioso limosi del Pleistocene medio, poco permeabili. Grossomodo poco più a Nord della congiungente Aradeo - Sogliano Cavour queste incisioni confluiscono in due ampi solchi, orientati circa NW-SE. La incisone settentrionale si sviluppa per lunghi tratti lungo il contatto tra i calcari cretacei e le calcareniti del Pleistocene inferiore; il canale meridionale si sviluppa in prossimità o lungo il limite tra i sedimenti del Pleistocene medio e le calcareniti del Pleistocene inferiore. All’altezza della strada che unisce Galatone e Galatina i due solchi confluiscono. La incisione è ampia e delimitata da scarpate ben evidenti modellate prevalentemente nelle calcareniti del Pleistocene inferiore, alte fino a 6 –7 metri e poco inclinate. Sono presenti diversi ampi meandri abbandonati o tagliati.
Il talweg è inciso nelle alluvioni sabbioso limose di colore rossastro che riempiono parzialmente l’incisione.
All’altezza della S.S. 101 l’incisione afferisce ad una paleofalesia relitta sulla quale terminano altri brevi solchi erosivi e una antica diramazione dello stesso Asso che si innesta sull’alveoattuale all’altezza di Masseria Doganieri. Questo vecchio corso è attualmente inattivo e si trova ad una quota di poco superiore rispetto all’alveo attuale.
A valle di questa scarpata la incisione perde completamente la sua evidenza morfologica e si sviluppa con tratti grossomodo rettilinei su una superficie piatta; l’alveo è antropico ed in esso confluiscono numerose scoline e canali di drenaggio. Lungo il Canale Paduli che rappresenta l’ultimo tratto del Canale Asso, è presente un bacino di espansione di circa 750 ettari che durante il periodo invernale permane per lungo tempo allagato.
Area 6
Nell’area 6 il deflusso delle acque superficiali avviene verso NE nella parte meridionale e verso NW in quella settentrionale. Quest’area si estende approssimativamente tra Galatina e Montesano Salentino; è delimitata verso oriente dalla scarpata di faglia di altezza variabile che borda la dorsale Maglie - Castiglione d’Otranto, ad occidente invece è suddivisa dalla zona 5 e dalla zona 7 da linee spartiacque più o meno evidenti.
Nel perimetro dell’area 6 esistono 6 reticoli gerarchizzati ed alcuni solchi rettilinei. Le incisioni principali terminano nel perimetro di aree depresse poco estese dove sono presenti diversi punti di assorbimento più o meno visibili. Piccoli inghiottitoi possono essere presenti anche lungo l’alveo di alcune incisioni.
I tratti più alti di questi solchi sono incisi sui depositi poco permeabili e non carbonatici del Pleistocene medio, hanno andamento rettilineo o ondulato ed in alcuni casi sono presenti dei veri e propri meandri. L’alveo è delimitato da basse scarpate alte pochi metri. Sono presenti anche delle valli ampie, con scarpate poco inclinate; in questo caso l’alveo di magra è inciso nelle alluvioni.
I segmenti terminali dei reticolo sono modellati sulle calcareniti del Pleistocene inferiore ed hanno andamento angolare o rettilineo, spesso condizionato dall’intervento antropico; gli alvei sono stati regolarizzati e sono privi di alluvioni.
A valle degli inghiottitoi cui afferiscono queste incisioni si sviluppa un sistema di solchi di erosione fluviale inattivi o parzialmente attivi (valli morte), con andamento meandreggiante. Questo sistema di “valli morte” è composto da diversi tratti incisi sulle calcareniti del Pleistocene inferiore o sulle calcareniti mioceniche, delimitati da basse scarpate verticali e parzialmente colmati da alluvioni sabbioso limose; questi segmenti sono separati da ampi avvallamenti allungati concordemente alla direzione di deflusso, dove affiorano limi sabbiosi quarzosi di colore rossastro e non esiste un alveo ben definito.
I tratti di valli morte più lunghi e continui si trovano tra Botrugno, Corigliano d’Otranto e Cutrofiano, all’altezza di Sogliano Cavour e nei pressi di Galatina. Questo ultimo segmento è ilpiù settentrionale ed afferisce ad una scarpata degradata corrispondente probabilmente con una paleofalesia i cui tratti si possono osservare tra Galatina e San Pietro in Lama. Il tratto di valle morta di Galatina si trova ad una quota topografica non concordante con quella dei tratti più meridionali, essendo leggermente sollevato rispetto agli altri.
Le valli morte tagliano doline e depressioni chiuse. Un caso chiaro di sovraimposizione è rilevabile nei pressi di Masseria Schiatta tra Maglie e Cutrofiano.
Area 7
L’area 7 si estende grossomodo tra Collepasso e Ruffano. É delimitata dalle altre aree endoreiche contermini da linee spartiacque più o meno evidenti; a Ovest invece confina con un’area a deflusso non organizzato, coincidente con gli estesi affioramenti di calcari cretacei della Serra di Supersano – Ruffano. Sono presenti 3 reticoli idrografici principali ed alcuni solchi meno sviluppati. Queste incisioni sono orientate prevalentemente da NE verso SW e da Nord a Sud. Solo il solco fluviale che termina nell’inghiottitoio denominato Vora Fau si sviluppa da SE a NW parallelamente alla scarpata di faglia della Serra di Supersano - Ruffano.
Il deflusso è centripeto rispetto alla estesa depressione tettonica di Supersano e Ruffano. Questa depressione è delimitata ad Ovest dalla scarpata di faglia della Serra di Supersano – Ruffano, dove affiorano i calcari cretacei e le Calcareniti di Gravina, ad Est da una scarpata circa rettilinea modellata sulle sabbie limose del Pleistocene medio, a Nord da una scarpata poco evidente con andamento ondulato, modellata sulle sabbie limose del Pleistocene medio. A Sud la depressione perde gradualmente la sua evidenza morfologica.
Nel perimetro della depressione affiorano sedimenti di probabile origine colluviale poco permeabili; una fitta rete di canali di bonifica e scoline convoglia le acque confluite in quest’area verso gli inghiottitoi carsici che si aprono al piede della scarpata di faglia della serra.
Nel settore settentrionale di quest’area endoreica, in località Sombrino, è stato effettuato nella seconda metà del 1800 uno dei primi interventi di bonifica idraulica realizzati in Provincia di Lecce (De Giorgi, 1882).
Area 8
L’area 8 rappresenta un esteso settore del Salento occidentale compreso grossomodo tra la Serra di Sant’Eleuterio a Est e la Serra di Castelforte a Ovest. Questa zona è delimitata verso mare da linee spartiacque più meno evidenti che la separano da settori costieri a deflusso esoreico e verso l’interno è bordata da aree con una idrografia superficiale disorganizzata.
Nell’area 8 il verso di deflusso non è omogeneo (nel settore meridionale per esempio è ben evidente un’area a deflusso centripeto) ed i reticoli idrografici sono poco organizzati; i solchierosivi terminano in corrispondenza di inghiottitoi carsici o si perdono nel perimetro di aree depresse.
L’incisione più sviluppata ha un andamento grossomodo E-O; il tratto iniziale di questo solco è modellato sulle calcareniti del Pleistocene inferiore mentre il tratto terminale è inciso sulle sabbie del Pleistocene medio. Il solco termina nel perimetro di un’area depressa a Est del centro abitato di Melissano.
Le singole incisioni che compongono la rete idrografica endoreica del Salento non sono coeve e mostrano di avere avuto una evoluzione contraddistinta da fasi e caratteri morfodinamici differenti.
La emersione disomogenea che il Salento ha subito durante il ciclo sedimentario dei Depositi Marini Terrazzati e la estesa presenza sulle superfici emerse di depositi terrazzati non carbonatici e poco permeabili rappresentano i principali fattori che hanno condizionato la genesi e l’evoluzione della rete idrografica.
La dinamica attuale di questi corsi d’acqua è controllata dalla estesa scopertura erosiva della superficie carsificata fossilizzata durante il ciclo sedimentario dei Depositi Marini Terrazzati e dall’asseto geomorfologico ed idrogeologico che i settori a deflusso endoreico hanno assunto nel corso del Pleistocene superiore. Questo assetto è contraddistinto dalla presenza del limite geo-idrologico che separa le aree di affioramento delle rocce non carsificabili e scarsamente permeabili del Pleistocene medio-superiore (Depositi Marini Terrazzati) dalle aree dove le rocce calcaree più antiche affiorano o sono discontinuamente ricoperte da questi sedimenti e favorisce l’afflusso in questi settori di cospicui volumi di acque allogeniche (Selleri et alii, 2002) e la riattivazione del paleocarso.
L’applicazione delle politiche di mitigazione del rischio idrogeologiche e di tutela del territorio declinate attraverso la sostenibilità ambientale si riscontra nel nelle strategie di azione previste dal Fondo Europeo di Sviluppo regionale con l’obiettivo “Convergenza”. Tra gli assi prioritari dello strumento si evidenzia l’asse 2 “Uso sostenibile ed efficiente delle risorse ambientali ed
energetiche per lo sviluppo” che comprende il macrosettore “Difesa del Suolo” che prevede come obiettivi prioritari:
– la realizzazione di un sistema di governo e di presidio del territorio diffuso ed efficiente, sviluppando politiche di prevenzione e mitigazione dei rischi naturali a rapido innesco e garantendo la tutela e il risanamento del patrimonio naturale, ambientale e paesaggistico della Regione, attraverso il finanziamento degli interventi previsti dal PAI e dagli altri rilevanti strumenti di pianificazione nelle aree che presentano maggiore livello di rischio.
– la protezione del suolo e le fasce costiere dall’inquinamento e dal degrado.
Ulteriore possibile campo di applicazione delle politiche citate risulta la definizione del programma triennale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico del territorio regionale previsto dall’art.10 della L.r. 19/2002.
Bibliografia
Dott.ssa Rita Accogli dell’Orto Botanico dell’Università di Lecce – Seminario presso l'Istituto Pedagogico di MAGLIE (LE)
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Giuseppe Musano La carta idrogeomorfologica della Puglia La conoscenza condivisa del nostro ambiente SPAZIO APERTO, IL GIORNALE DEGLI INGEGNERI DELLA PROVINCIA DI LECCE ANNO 0 - Numero 1 - NOVEMBRE 2008
prof. Paolo Sansò dott. Gianluca Selleri “CARATTERIZZAZIONE GEOMORFOLOGICA DEGLI INGHIOTTITOI CARSICI (VORE) DELLA PROVINCIA DI LECCE
* *Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
di Antonio Bruno*
Ho seguito un seminario tenuto dalla Dott.ssa Rita Accogli dell’Orto Botanico dell’Università di Lecce. L’Orto Botanico tutela la biodiversità del Salento e lo fa raccogliendo e propagando le specie vegetali. Il Salento è CERNIERA BIOGEOGRAFICA tra Oriente e Occidente.
Le Specie Vegetali presenti in Italia sono 7.050, in Puglia 2.076 NEL SOLO SALENTO CI SONO 1.400 SPECIE VEGETALI che rappresentano 2/3 della Flora della Puglia 1/3 della Flora dell’intera Penisola Italiana.
Su 1400 Specie Vegetali nel Salento 150 sono PIANTE ALIMURGICHE (Erborinare o erborare o erborizzare è il termine comunemente utilizzato per indicare la raccolta di piante erbacee spontanee commestibili).
In Puglia abbiamo 180 Specie vegetali a rischio di Estinzione e di queste 32 sono Specie Endemiche (che sono diffuse solo nel territorio del Salento). E’ in atto un nuovo Diluvio Universale? C’è necessità di un’Arca per salvare dall’estinzione esseri viventi? E se si, che cosa possiamo fare noi Dottori Agronomi e Dottori Forestali per contribuire a salvare le Specie vegetali e animali a rischio?
La superficie boschiva della Puglia rappresenta meno del 5 % del territorio regionale (Rossi, 1988) ed è costituita prevalentemente da isolate e degradate fitocenosi, fatta eccezione di alcune estese formazioni boschive di latifoglie decidue del Subappennino Dauno, di Gravina di Puglia e del Gargano. Le cause di questa situazione sono correlate al marcato aumento demografico che si è verificato in Puglia a partire dal XVI secolo d. C. che ha determinato la crescente occupazione delle superfici di vegetazione spontanea con colture agrarie, dapprima estensive, poi intensive e via via sempre più specializzate, come ad esempio mandorlo, vite e ulivo (Amico, 1950). Lo stato di generale regressione degenerativa (Falinski, 1986) che contraddistingue la maggior parte della vegetazione spontanea può essere funzionalmente correlato agli effetti della capillare diffusione dei metodi produttivi fondati sulla moderna tecnologia, in particolare nel corso del XX secolo (Pignatti, 1988). L'Uomo, infatti, abbinando l'informazione tecnologica ad un'elevata disponibilità di energia fossile, ha drasticamente alterato gli habitat naturali e sconvolto i meccanismi cibernetici degli ecosistemi, che, caratterizzati da flussi della materia sempre più lineari, inevitabilmente sono andati incontro a degrado (Naveh, 1982a, 1982b; Pignatti, 1988).
Nonostante le formazioni forestali della Puglia si presentino generalmente di ridotte dimensioni, isolate e degenerate, esse rivestono un ruolo di primaria importanza nella conservazione del patrimonio genomico regionale autoctono. Tali isole di vegetazione boschiva, infatti, dislocate in diversi distretti climatici e quindi notevolmente differenziate per composizione specifica e struttura (Macchia e Lorenzoni, 1988), sono rappresentative dei principali tipi vegetazionali forestali del territorio regionale. La loro tutela e l’adozione di programmi di conservazione condotti secondo rigorosi principi scientifici rappresentano il presupposto basilare per la salvaguardia della biodiversità regionale.(M. Terzi, L. Forte, F. Macchia, V. Cavallaro Conservazione del patrimonio genomico forestale in Puglia)
L'estremo meridionale (Salento) è dominato da un macroclima tipicamente mediterraneo caratterizzato dalle più miti temperature invernali regionali e dalla più accentuata aridità estiva. Ne consegue che le essenze arboree dominanti sono essenzialmente sclerofille sempreverdi fra cui le più rappre-sentative sono Quercus coccifera L. e Q. ilex L., che un tempo, dovevano costituire estesi boschi e boscaglie in tutta la parte meridionale del Salento, compresa tra Lecce e capo Santa Maria di Leuca (Sabato, 1972; Bianco et al., 1990). A nord di Lecce, lungo la pianura di Brindisi, le formazioni a Q. coccifera si riducono progressivamente per dar posto a quelle a Q. ilex (Vita e Macchia, 1973; Bianco et al., 1991). Questa vegetazione boschiva oggi è completamente sostituita da colture specializzate o rifugiata in piccole e limitate aree rocciose difficilmente utilizzabili per la coltivazione o su aree costiere lontane dai centri abitati.
Lungo la fascia costiera del versante ionico, sulle sabbie dunali sono presenti estese pinete a Pinus halepensis Miller, che penetrano anche nell’entroterra.
Noss e Scott (1997) affermano che una gestione frammentaria del territorio, che consideri specie, risorse e siti indipendentemente dal loro contesto ecologico, non è più difendibile né scientificamente né politicamente e propongono l'adozione di criteri di gestione del territorio basati sull’ecosistema. Del resto, considerato che l'evoluzione della diversità biologica di un livello trofico influenza quella dei livelli superiori e che i suoi effetti controllano quella dei livelli inferiori (Whittaker, 1972), sembra ragionevole considerare i sistemi ecologici come un insieme di componenti funzionalmente correlate e adottare programmi di conservazione incentrati su essi, piuttosto che su loro singole entità specifiche o soltanto su determinati gruppi funzionali. Focalizzare gli sforzi di conservazione sull’intero ecosistema con un approccio olistico, significa salvaguardarne l'intero contingente specifico, comprendendo in tal modo anche i gruppi sistematici di livelli d’organizzazione inferiori, come ad esempio batteri e funghi che difficilmente potrebbero essere oggetto di conservazione specifica (Noss e Scott, 1997; Odum, 1988).
In Puglia, la diversità di eco-sistemi forestali, individuabili attraverso le differenti tipologie vegetazionali, è costituita dalle seguenti unità principali (Forte et al., 2000):
a) formazioni a macchia mediterranea;
b) boscaglia e/o arbusteto caducifolio tipo shi-bljak;
c) pinete a Pinus halepensis Miller;
d) querceti a Quercus ilex L.;
e) boschi misti di sempreverdi e caducifolie a do-minanza di Quercus ilex L. e Fraxinus ornus L.;
f) bosco e boscaglia a Quercus coccifera L.;
g) querceti a Quercus trojana Webb;
h) bosco e boscaglia a Quercus pubescens Willd. s.l.;
i) querceti submesofili a Quercus cerris L. e/o Quercus frainetto Ten.;
j) querceti mesofili a Quercus cerris L.;
k) faggeti della fascia di vegetazione inferiore;
l) formazioni arboree ripariali edafiche;
m) formazioni arbustive ripariali edafiche.
Nell'ambito di queste tipologie di ecosistemi, in Puglia, sono presenti delle cenosi forestali considerate d’interesse prioritario a livello comunitario (Direttiva 92/43/CEE, allegato I).
In Puglia, la designazione delle aree naturali protette non tiene conto dell’organizzazione sistemica e gerarchizzata della natura, oggi ampiamente accettata come caratteristica centrale nella Ecologia e nella Scienza della Vegetazione (Naveh, 1982a), che suggerisce di utilizzare il bacino idrografico come la minima unità da prendere in considerazione negli studi funzionali degli ecosistemi (Odum, 1988) e di partire da una pianificazione del territorio su vasta scala, almeno regionale (Forman, 1995), per coordinare, successivamente, con essa i programmi di conservazione a livello locale.
Uno dei compiti a cui è chiamata la nostra società è quello di tutelare la diversità biologica che è denominata biodiversità e che è costituita dagli animali e dalle piante che popolano il nostro territorio (biodiversity hotspots, sensu Wilson, 1992).
Gli scienziati si sono poi occupati particolarmente delle aree che sono poco interessate dalla presenza degli uomini ovvero dall'antropizzazione.
In genere queste aree sono quelle che sono protette dalla legge. Di queste aree si sono occupati gli studiosi di ecologia del Paesaggio che di biogeografia e i progressi effettuati dagli studiosi hanno comportato una revisione dei modelli delle Aree Protette. Infatti nella concezione scientifica si è passati dal considerarli “Santuari della Natura” per lo più isolati dal contesto territoriale a prenderli in considerazione quali elementi fondamentali (nuclei) di una struttura più complessa definita rete ecologica (Noss, 1987).
Più volte ho invitato chi mi legge e ancor più chi ascolta le mie opinioni nelle nostre lunghe chiacchierate tra colleghi, a guardare il nostro territorio attraverso le immagini provenienti dai satelliti e oggi disponibili a tutti con Google Earth. Tutti abbiamo più volte rilevato che la Natura del nostro Territorio è agricoltura, meglio sarebbe dire che l'agricoltura attraverso i millenni ha modificato il Paesaggio in quasi tutto il nostro territorio e che questa modificazione è oggi l'ambiente in cui viviamo e la natura si presenta a noi sotto la forma di Paesaggio Agrario.
Gli studiosi hanno definito i paesaggi culturali come aree in cui l’influenza antropica è rilevante a causa delle alterazioni dell’uso del suolo, per la sostituzione delle comunità biologiche e per il notevole input di energia
sussidiaria apportata (Renato Massa, Marco Baietto, Luciana Bottoni, Emilio Padoa-Schioppa 2004).
Naveh e Lieberman (1984), classificando i paesaggi in base al grado di antropizzazione, evidenziano questi aspetti, ed
inseriscono i paesaggi agricoli a metà strada tra i paesaggi urbani, a totale o quasi dominio antropico, e quelli naturali.
E da pochissimo che gli studiosi cominciano ad occuparsi di conservazione della biodiversità nei paesaggi culturali e ciò perché è sotto gli occhi di tutti che il PAESAGGIO AGRARIO è gravemente minacciato.
L'agricoltore è sempre meno presente nel territorio e ciò causa il degrado dello stesso, si riducono gli allevamenti degli animali domestici e sono sempre meno le coltivazioni erbacee che tradizionalmente erano legate al nostro paesaggio
ma ci sono anche trasformazioni all'interno della società che comportano cambiamenti di attività lavorativa. C'è anche quello che chiamiamo ricorso alla monocoltura e alle varietà ormai sempre meno varietà per essere unicità con abbattimento della flora e fauna collegata alle varietà e colture che non vengono più praticate.
Ma ancora una sono costretto a riprendere il tema che più mi è caro ovvero che nel nostro Salento se non ci fossero quelle poche riserve naturali nelle aree umide di natura intesa come non toccata dall'uomo ci sarebbe molto poco da tutelare. Ma quando parliamo di natura e di sua tutela dobbiamo mettere al centro della nostra discussione la realtà delle cose ovvero che il territorio è stato utilizzato per l'agricoltura che l'ha modellato e per questo motivo per salvaguardare i Paesaggi Culturali c'è la necessità e l'urgenza di TUTELARE IL PAESAGGIO AGRARIO proprio a questo proposito gli ecologi hanno ormai compreso che non è possibile costruire una rete ecologica esclusivamente con l'utilizzo dei paesaggi naturali e con le foreste.
Figura 1 Modello di rete ecologica nella quale è compreso corridoio di biodiversità come specificato nella pubblicazione di Conservation International, 2001.
(fig. 1): In un opuscolo dell’organizzazione Conservation International, 2001 si legge di un corridioi di biodiversità “un mosaico di usi compatibili del territorio che connette aree naturali attraverso il paesaggio” . E da qui la mia idea di considerare corridoi di biodiversità i canali della rete idrografica della Provincia di Lecce, questi collegano il Paesaggio agrario e sono appunto sede di biodiversità. Dalla mia osservazione dei canali presenti in Salento ho ottenuto informazioni circa i rapporti tra avifauna e canali i canali in quanto corridoi di biodiversità potranno comportare una tutela della stessa in tutto il territorio a patto che si realizzi una tutela del Paesaggio Agrario che sia in effetti una tutela dell’agricoltore.
E' noto a tutti che l’ambito dei bacini endoreici della piana salentina, occupa una porzione molto estesa della Puglia meridionale, che comprende gran parte della provincia di Lecce ma porzioni anche consistenti di quelle di Brindisi e di Taranto. Fra questi il più importante è il Canale
Asso, caratterizzato da un bacino di alimentazione di circa 280 Km2 e avente come recapito finale un inghiottitoio carsico (Vora Colucci) ubicato a nord di Nardò (LE).
Non sempre i reticoli idrografici che convogliano le acque di deflusso verso i recapiti finali possiedono chiare evidenze morfologiche dell’esistenza di aree di alveo; frequenti, infatti, sono i casi in cui le depressioni morfologiche ove detti deflussi tendono a concentrarsi hanno dislivelli
rispetto alle aree esterne talmente poco significativi che solo a seguito di attente analisi morfologiche o successivamente agli eventi intensi si riesce a circoscrivere le zone di transito delle piene.
Dove invece i reticoli possiedono evidenze morfologiche dell’alveo di una certa significatività, gli stessi risultano quasi sempre oggetto di interventi di sistemazione idraulica e di correzione di tracciato.
Nel Salento meridionale, una fascia più o meno ristretta di territorio al bordo dei deboli rilievi collinari delle Serre è caratterizzata dalla presenza di reticoli idrografici con rapido sbocco a mare, come quello del Fiume Idro e del Canale Minervino, presso Otranto, e quelli di alcune incisioni fluviocarsiche, di brevissimo percorso ma profondamente incassate, paragonabili a piccoli canyon, che defluiscono nel settore più meridionale della penisola salentina stessa (ad es., il “Vallone del Ciolo”, presso Gagliano del Capo o le incisioni che intersecano l’abitato di Leuca).
Per un maggiore sviluppo planimetrico, ma anche per una più estesa sistemazione idraulica, si caratterizzano i corsi d’acqua del canale del Raho e del Canale Samari, a sud di Gallipoli.
Merita infine segnalare la presenza di diffuse opere di bonifica in prossimità della costa in corrispondenza dei territori di Porto Cesareo, e Ugento (bacini a marea), Otranto (laghi Alimini) e Melendugno (area delle Cesine).
L'idrografia del territorio del Salento è estremamente modesta a motivo di due concomitanti fattori: caratteristiche geomorfologiche dei terreni e clima della regione. Il primo fattore è caratterizzato dalla natura fondamentalmente calcarea dei terreni salentini e da una quasi diffusa sensibile permeabilità, per cui nessun corso d'acqua riesce a stabilizzarsi. Il secondo fattore, che concorre a tale povertà di corsi d'acqua, è la scarsa piovosità che appunto caratterizza il clima mediterraneo, predominante in tutto il Salento. In più l'irregolare piovosità nel corso dell'anno, con alcune punte nei mesi invernali e di magra, se non addirittura di siccità, nel periodo estivo. Di converso le precipitazioni meteoriche, seppure modeste rispetto alla media nazionale, per la diffusa permeabilità suddetta, alimentano le acque sotterranee di cui il Salento è ricco, formando consistenti falde con caratteristiche idrogeologiche assai variabili da zona a zona.
Per la mia esperienza ho potuto osservare 127 canali realizzati con modalità costruttive diverse (in terra o in roccia non rivestita, oppure rivestiti con pietrame a secco o in calcestruzzo ed in alcuni casi costeggiati da stradelle di servizio).
Tali canali, che si sviluppano per una lunghezza complessiva di 423 Km e attraversano i territori di 32 Comuni della Provincia di Lecce.
fig. 2
Per questo motivo ho concentrato la mia attenzione al Salento e nel lavoro del Prof. Paolo Sansò e del dott. Gianluca Selleri “CARATTERIZZAZIONE GEOMORFOLOGICA DEGLI INGHIOTTITOI CARSICI (VORE) DELLA PROVINCIA DI LECCE CHE SI RIPORTA DI SEGUITO E IN CUI si distingue la presenza di 8 aree endoreiche con verso di deflusso omogeneo (fig. 2), separate da linee spartiacque poco evidenti sul terreno o da aree, coincidenti normalmente con estesi affioramenti di rocce carbonatiche, dove non esiste un drenaggio superficiale organizzato.
Nel perimetro delle 8 aree esistono diversi reticoli che per lo più terminano in corrispondenza di inghiottitoi carsici. I singoli bacini idrografici si sviluppano prevalentemente sulle unità non carbonatiche e poco permeabili del Pleistocene medio – superiore (Depositi Marini Terrazzati); il deflusso delle acque invece avviene normalmente verso settori dove affiorano rocce carsificabili o dove le coperture non carbonatiche si assottigliano.
Area 1
La più settentrionale tra le aree a deflusso endoreico del Salento (area 1) non ricade nel territorio amministrativo della Provincia di Lecce. A settentrione è delimitata da una linea spartiacque di importanza regionale che passa poco a Nord del ciglio del Limitone dei Greci e divide quest’area da un esteso settore della Piana tarantino – brindisina a deflusso esoreico, attraversato da alcuni tra i più importanti solchi erosivi del Salento (Canale Cillarese, Canale Reale, ecc.). A Sud l’area 1 è adiacente ad un settore dove non esiste un drenaggio superficiale organizzato.
Nel perimetro dell’area 1 sono presenti 14 solchi fluviali non gerarchizzati e di sviluppo modesto, orientati grossomodo in direzione N-S o NW-SE, perpendicolarmente alla scarpata del Limitone dei Greci. I solchi fluviali si sviluppano quasi integralmente sulle rocce non carbonatiche del Pleistocene medio e superiore. Il deflusso avviene verso i quadranti meridionali; i solchi erosivi terminano nel perimetro di depressioni chiuse localizzate ai piedi del Limitone dei Greci dove sono presenti degli inghiottitoi carsici più o meno visibili.
Al piede della scarpata infatti affiorano le Calcareniti di Gravina o i calcari cretacei ricoperti discontinuamente da sedimenti pedogenizzati, poco permeabili, ascrivibili al complesso dei Depositi Marini Terrazzati.
Area 2
L’area 2 è delimitata dalle altre aree endoreiche contermini da linee spartiacque più o meno evidenti; essa si estende quasi integralmente sui depositi non carbonatici del Pleistocene medio e superiore e ricade solo marginalmente nel territorio amministrativo della Provincia di Lecce
In quest’area il deflusso avviene verso i quadranti settentrionali, grossomodo verso il piede di una blanda e discontinua scarpata compresa tra San Donaci e Villa Baldassarri. Questa scarpata, orientata NO-SE, è in continuità morfologica con la più evidente scarpata detta Limitone dei Greci. In quest’area sono presenti un reticolo principale ben gerarchizzato costituito dal Canale Lamia, dal Canale Iaia e dal Canale 14 Bocche, ed alcuni solchi fluviali più o meno brevi erettilinei che terminano all’interno di inghiottitoi carsici poco prima della confluenza con il Canale 14 Bocche. Le incisioni solo localmente sono bordate da scarpate fluviali alte e ben evidenti.
Il corso d’acqua principale termina nel perimetro della Palude Balsamo, un’area depressa dove si aprono alcuni inghiottitoi più o meno visibili; sul fondo di questa depressione affiorano depositi del Pleistocene medio e superiore poco potenti, sul bordo nord-orientale invece affiorano le calcareniti del Pleistocene inferiore.
Gli inghiottitoi carsici presenti in questo settore sono complessivamente allineati lungo una stessa direttrice orientata NW-SE in coincidenza della quale si sviluppa anche il Canale 14 Bocche. Questa direttrice probabilmente corrisponde ad una lineazione tettonica.
Area 3
L’area 3 è delimitata dalle altre aree endoreiche contermini da linee spartiacque più o meno evidenti; in quest’area il deflusso avviene verso i quadranti orientali, grossomodo verso il piede di una lunga ed evidente scarpata arcuata di probabile origine tettonica, allungata tra Cellino San Marco e San Cesario di Lecce. La scarpata è modellata nel tratto settentrionale in depositi sabbiosi ascrivibili al complesso dei Depositi Marini Terrazzati e nel tratto meridionale sulle unità cretacee, oligoceniche, mioceniche e del Pleistocene inferiore.
Nell’Area 3 sono presenti 4 lunghi reticoli poco gerarchizzati e poco incisi ed alcuni brevi solchi il cui andamento è stato probabilmente condizionato dall’intervento antropico. L’incisione più importante è il Canale della Lacrima. I solchi fluviali si sviluppano quasi integralmente sulle rocce non carbonatiche del Pleistocene medio e superiore; quelli meridionali sono orientati circa E-W o SW-NE, quelli più settentrionali, tra cui anche il Canale della Lacrima, sono orientati NW-SE. I solchi più brevi terminano direttamente all’interno di inghiottitoi carsici; quelli più lunghi invece terminano nel perimetro di conche poco estese dove normalmente sono presenti diversi punti assorbenti più o meno visibili. I punti assorbenti si trovano lungo il limite stratigrafico tra le unità del Pleistocene medio e superiore e le unità calcaree del Cretaceo e del Pleistocene inferiore.
Area 4
L’area 4 si estende tra Salice Salentino e San Pancrazio, è delimitata dalle altre aree endoreiche contermini da linee spartiacque più o meno evidenti. In quest’area la idrografia superficiale è poco organizzata, esistono, infatti, pochi solchi fluviali, brevi e poco gerarchizzati. Gli inghiottitoi carsici si aprono per lo più in aree con drenaggio superficiale poco o per nulla organizzato. Il bacino idrografico più esteso è quello che afferisce alla Vora Madre.
Area 5
L’area 5 è delimitata dalle altre aree endoreiche contermini poste a SE da linee spartiacque più o meno evidenti; a NE, a SW ed a Ovest invece questa zona è circoscritta da alcuni rilievi bordatida scarpate di faglia o da antiche ripe di abrasione marina. Verso Nord, tra Nardò e Copertino, è delimitata da un’area a deflusso non organizzato. Nell’area 5 il deflusso avviene verso NE.
In questo settore esiste un importante reticolo gerarchizzato rappresentato dal Canale Asso e dalle incisioni che vi confluiscono ed alcuni solchi erosivi che terminano all’interno di inghiottitoi carsici poco prima della confluenza con il Canale Asso (per esempio il Canale Sirgole che termina nell’inghiottitoio denominato Vora Marsellona). Sono presenti anche modesti solchi erosivi del tutto indipendenti dal Canale Asso ma con verso di deflusso analogo, come ad esempio quello che termina nell’inghiottitoio denominato Vora di Seclì. I solchi fluviali si sviluppano quasi integralmente sulle rocce non carbonatiche del Pleistocene medio e superiore.
Il Canale Asso termina poco a Nord di Nardò all’interno di una vasta area depressa dal contorno poco evidente, dove affiorano le unità calcaree del Cretaceo, del Miocene e del Pleistocene inferiore; nel perimetro di questa depressione si aprono diversi inghiottitoi fra cui il più importante è quello denominato Vora Colucce. Lungo il tratto terminale della incisione, nei pressi di Nardò, si aprono altri inghiottitoi più o meno visibili. Diversi punti assorbenti poco attivi o inattivi si trovano anche al di fuori dell’area depressa, in settori adiacenti posti immediatamente a Nord ed a Est. Molti di questi inghiottitoi sono segnalati da De Giorgi (1922).
Il reticolo idrografico del Canale Asso si può suddividere da monte verso valle in tre tratti separati dalla congiungente i centri abitati di Aradeo e Sogliano Cavour e dalla Strada Statale n.101. Il tratto più alto è composto di numerosi solchi erosivi ben incisi e delimitati da scarpate fluviali alte fino a 10 metri; questi solchi inizialmente hanno tutti direzione N-S o NNW-SSE e si sviluppano sui sedimenti sabbioso limosi del Pleistocene medio, poco permeabili. Grossomodo poco più a Nord della congiungente Aradeo - Sogliano Cavour queste incisioni confluiscono in due ampi solchi, orientati circa NW-SE. La incisone settentrionale si sviluppa per lunghi tratti lungo il contatto tra i calcari cretacei e le calcareniti del Pleistocene inferiore; il canale meridionale si sviluppa in prossimità o lungo il limite tra i sedimenti del Pleistocene medio e le calcareniti del Pleistocene inferiore. All’altezza della strada che unisce Galatone e Galatina i due solchi confluiscono. La incisione è ampia e delimitata da scarpate ben evidenti modellate prevalentemente nelle calcareniti del Pleistocene inferiore, alte fino a 6 –7 metri e poco inclinate. Sono presenti diversi ampi meandri abbandonati o tagliati.
Il talweg è inciso nelle alluvioni sabbioso limose di colore rossastro che riempiono parzialmente l’incisione.
All’altezza della S.S. 101 l’incisione afferisce ad una paleofalesia relitta sulla quale terminano altri brevi solchi erosivi e una antica diramazione dello stesso Asso che si innesta sull’alveoattuale all’altezza di Masseria Doganieri. Questo vecchio corso è attualmente inattivo e si trova ad una quota di poco superiore rispetto all’alveo attuale.
A valle di questa scarpata la incisione perde completamente la sua evidenza morfologica e si sviluppa con tratti grossomodo rettilinei su una superficie piatta; l’alveo è antropico ed in esso confluiscono numerose scoline e canali di drenaggio. Lungo il Canale Paduli che rappresenta l’ultimo tratto del Canale Asso, è presente un bacino di espansione di circa 750 ettari che durante il periodo invernale permane per lungo tempo allagato.
Area 6
Nell’area 6 il deflusso delle acque superficiali avviene verso NE nella parte meridionale e verso NW in quella settentrionale. Quest’area si estende approssimativamente tra Galatina e Montesano Salentino; è delimitata verso oriente dalla scarpata di faglia di altezza variabile che borda la dorsale Maglie - Castiglione d’Otranto, ad occidente invece è suddivisa dalla zona 5 e dalla zona 7 da linee spartiacque più o meno evidenti.
Nel perimetro dell’area 6 esistono 6 reticoli gerarchizzati ed alcuni solchi rettilinei. Le incisioni principali terminano nel perimetro di aree depresse poco estese dove sono presenti diversi punti di assorbimento più o meno visibili. Piccoli inghiottitoi possono essere presenti anche lungo l’alveo di alcune incisioni.
I tratti più alti di questi solchi sono incisi sui depositi poco permeabili e non carbonatici del Pleistocene medio, hanno andamento rettilineo o ondulato ed in alcuni casi sono presenti dei veri e propri meandri. L’alveo è delimitato da basse scarpate alte pochi metri. Sono presenti anche delle valli ampie, con scarpate poco inclinate; in questo caso l’alveo di magra è inciso nelle alluvioni.
I segmenti terminali dei reticolo sono modellati sulle calcareniti del Pleistocene inferiore ed hanno andamento angolare o rettilineo, spesso condizionato dall’intervento antropico; gli alvei sono stati regolarizzati e sono privi di alluvioni.
A valle degli inghiottitoi cui afferiscono queste incisioni si sviluppa un sistema di solchi di erosione fluviale inattivi o parzialmente attivi (valli morte), con andamento meandreggiante. Questo sistema di “valli morte” è composto da diversi tratti incisi sulle calcareniti del Pleistocene inferiore o sulle calcareniti mioceniche, delimitati da basse scarpate verticali e parzialmente colmati da alluvioni sabbioso limose; questi segmenti sono separati da ampi avvallamenti allungati concordemente alla direzione di deflusso, dove affiorano limi sabbiosi quarzosi di colore rossastro e non esiste un alveo ben definito.
I tratti di valli morte più lunghi e continui si trovano tra Botrugno, Corigliano d’Otranto e Cutrofiano, all’altezza di Sogliano Cavour e nei pressi di Galatina. Questo ultimo segmento è ilpiù settentrionale ed afferisce ad una scarpata degradata corrispondente probabilmente con una paleofalesia i cui tratti si possono osservare tra Galatina e San Pietro in Lama. Il tratto di valle morta di Galatina si trova ad una quota topografica non concordante con quella dei tratti più meridionali, essendo leggermente sollevato rispetto agli altri.
Le valli morte tagliano doline e depressioni chiuse. Un caso chiaro di sovraimposizione è rilevabile nei pressi di Masseria Schiatta tra Maglie e Cutrofiano.
Area 7
L’area 7 si estende grossomodo tra Collepasso e Ruffano. É delimitata dalle altre aree endoreiche contermini da linee spartiacque più o meno evidenti; a Ovest invece confina con un’area a deflusso non organizzato, coincidente con gli estesi affioramenti di calcari cretacei della Serra di Supersano – Ruffano. Sono presenti 3 reticoli idrografici principali ed alcuni solchi meno sviluppati. Queste incisioni sono orientate prevalentemente da NE verso SW e da Nord a Sud. Solo il solco fluviale che termina nell’inghiottitoio denominato Vora Fau si sviluppa da SE a NW parallelamente alla scarpata di faglia della Serra di Supersano - Ruffano.
Il deflusso è centripeto rispetto alla estesa depressione tettonica di Supersano e Ruffano. Questa depressione è delimitata ad Ovest dalla scarpata di faglia della Serra di Supersano – Ruffano, dove affiorano i calcari cretacei e le Calcareniti di Gravina, ad Est da una scarpata circa rettilinea modellata sulle sabbie limose del Pleistocene medio, a Nord da una scarpata poco evidente con andamento ondulato, modellata sulle sabbie limose del Pleistocene medio. A Sud la depressione perde gradualmente la sua evidenza morfologica.
Nel perimetro della depressione affiorano sedimenti di probabile origine colluviale poco permeabili; una fitta rete di canali di bonifica e scoline convoglia le acque confluite in quest’area verso gli inghiottitoi carsici che si aprono al piede della scarpata di faglia della serra.
Nel settore settentrionale di quest’area endoreica, in località Sombrino, è stato effettuato nella seconda metà del 1800 uno dei primi interventi di bonifica idraulica realizzati in Provincia di Lecce (De Giorgi, 1882).
Area 8
L’area 8 rappresenta un esteso settore del Salento occidentale compreso grossomodo tra la Serra di Sant’Eleuterio a Est e la Serra di Castelforte a Ovest. Questa zona è delimitata verso mare da linee spartiacque più meno evidenti che la separano da settori costieri a deflusso esoreico e verso l’interno è bordata da aree con una idrografia superficiale disorganizzata.
Nell’area 8 il verso di deflusso non è omogeneo (nel settore meridionale per esempio è ben evidente un’area a deflusso centripeto) ed i reticoli idrografici sono poco organizzati; i solchierosivi terminano in corrispondenza di inghiottitoi carsici o si perdono nel perimetro di aree depresse.
L’incisione più sviluppata ha un andamento grossomodo E-O; il tratto iniziale di questo solco è modellato sulle calcareniti del Pleistocene inferiore mentre il tratto terminale è inciso sulle sabbie del Pleistocene medio. Il solco termina nel perimetro di un’area depressa a Est del centro abitato di Melissano.
Le singole incisioni che compongono la rete idrografica endoreica del Salento non sono coeve e mostrano di avere avuto una evoluzione contraddistinta da fasi e caratteri morfodinamici differenti.
La emersione disomogenea che il Salento ha subito durante il ciclo sedimentario dei Depositi Marini Terrazzati e la estesa presenza sulle superfici emerse di depositi terrazzati non carbonatici e poco permeabili rappresentano i principali fattori che hanno condizionato la genesi e l’evoluzione della rete idrografica.
La dinamica attuale di questi corsi d’acqua è controllata dalla estesa scopertura erosiva della superficie carsificata fossilizzata durante il ciclo sedimentario dei Depositi Marini Terrazzati e dall’asseto geomorfologico ed idrogeologico che i settori a deflusso endoreico hanno assunto nel corso del Pleistocene superiore. Questo assetto è contraddistinto dalla presenza del limite geo-idrologico che separa le aree di affioramento delle rocce non carsificabili e scarsamente permeabili del Pleistocene medio-superiore (Depositi Marini Terrazzati) dalle aree dove le rocce calcaree più antiche affiorano o sono discontinuamente ricoperte da questi sedimenti e favorisce l’afflusso in questi settori di cospicui volumi di acque allogeniche (Selleri et alii, 2002) e la riattivazione del paleocarso.
L’applicazione delle politiche di mitigazione del rischio idrogeologiche e di tutela del territorio declinate attraverso la sostenibilità ambientale si riscontra nel nelle strategie di azione previste dal Fondo Europeo di Sviluppo regionale con l’obiettivo “Convergenza”. Tra gli assi prioritari dello strumento si evidenzia l’asse 2 “Uso sostenibile ed efficiente delle risorse ambientali ed
energetiche per lo sviluppo” che comprende il macrosettore “Difesa del Suolo” che prevede come obiettivi prioritari:
– la realizzazione di un sistema di governo e di presidio del territorio diffuso ed efficiente, sviluppando politiche di prevenzione e mitigazione dei rischi naturali a rapido innesco e garantendo la tutela e il risanamento del patrimonio naturale, ambientale e paesaggistico della Regione, attraverso il finanziamento degli interventi previsti dal PAI e dagli altri rilevanti strumenti di pianificazione nelle aree che presentano maggiore livello di rischio.
– la protezione del suolo e le fasce costiere dall’inquinamento e dal degrado.
Ulteriore possibile campo di applicazione delle politiche citate risulta la definizione del programma triennale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico del territorio regionale previsto dall’art.10 della L.r. 19/2002.
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Dott.ssa Rita Accogli dell’Orto Botanico dell’Università di Lecce – Seminario presso l'Istituto Pedagogico di MAGLIE (LE)
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prof. Paolo Sansò dott. Gianluca Selleri “CARATTERIZZAZIONE GEOMORFOLOGICA DEGLI INGHIOTTITOI CARSICI (VORE) DELLA PROVINCIA DI LECCE
* *Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
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