Quando non c era altra scelta che il biologico
di CARLO PETRINI
Come?.., pranzare in casa? Pranzare in casa è male Oggi ch'è la vigilia di Natale! Mentre il Quartiere Latino le sue vie addobba di salsicce e leccornie?
Se penso alle cene di Natale della mia infanzia o gioventù e provo a raccontarle sono sicuro che d'acchito vi sembrer nostalgico, perché mangiavo ci che voglio mangiare oggi. Ma non voglio passare per tale, anche perché non è una questione di nostalgia: allora non si stava né meglio né peggio, si stava diversamente. Il cibo non era più buono o più cattivo in senso assoluto: era un'altra cosa, per come veniva percepito e per come ce lo si procurava o preparava, per il valore che gli si dava. Per esempio i ravioli del plin li pizzicava mia nonna a mano uno per uno e il ripieno era a base di avanzi; oppure preparava i ravioli un p0' più grandi con dentro ris e coj (riso e cavolo). Se ci si concedeva un sontuoso e flimante bollito, bovini e galline non avevano di certo mai fatto tanta strada prima cli arrivare nel piatto. Già allora la carne bovina piemontese era la migliore che si potesse trovare in tutti i macellai della mia città, di avene d'altra provenienza neanche se ne parlava; inoltre, per quanto riguarda i pennuti, c'erano più aie e quindi sicuramente più galline a portata di mano. Il cappone di Morozzo, a pochi chilometri dalla mia Bra, in provincia di Cuneo, non aveva certo bisogno di Presìdi Slow Food per essere salvato dalla scomparsa: tante donne del luogo continuavano amorevolmente ad allevare le loro bestie seguendole passo passo tutto l'anno fino all'omonima fiera dicembrina, una vera festa affollata da quelli che volevano un buon cappone per Natale. Da questo punto di vista la microeconomia di territorio era floridissima. Il chilometro zero e il biologico erano ciò che c'era a disposizione, non un'opzione tra le tante. Non erano né necessità né virtù : procurarsi il cibo tanto lontano o fare attenzione che non fosse cresciuto a base d'innaffiamenti chimici erano cose che neanche si pensavano, sarebbero suonate pure un p0' stonate se fosse stato facile averne. Se dunque consiglio un cenone con i prodotti del territorio, se invito a comprare direttamente dai contadini, verdure di stagione, da agricoltura sostenibile, che cosa sono? Un nostalgico perché è ciò che mangiavo da piccolo, in occasione del Natale ma anche di tutti gli altri giorni dell'anno? No, mi sembra di dare un consiglio di buon senso visto che questi prodottili abbiamo ancora a portata di mano, sia dal punto di vita logistico sia da quello economico. Il cibo locale e di stagione costa meno ed è buono. E dunque un consiglio che dà ragione al portafoglio, se propno vogliamo parlare di prezzo e non di valore, al palato sfido chiunque asostenere il contrario, e, se praticato con un'intelligente sobrietà, anche allo stomaco. Ogni territorio d'italia ha i suoi piatti di Natale tradizionali, e sono nati da ciò che offriva l'agricoltura locale: continuare la tradizione fa bene a noi e al territorio, ed è molto piacevole. Senza nessuna nostalgia. E nessuna malinconia, perché se per esempio preferiremo buttare via un pezzettino di preziosa tredicesima in un anonimo e sciapo salmone, allevato chissà dove e chissà come, mi sa che piuttosto sarà il caso di parlare di quel tipo di sentimento.
Fonte
La Repubblica del 20 dicembre 2009
Nessun commento:
Posta un commento