venerdì 11 dicembre 2009

La corretta gestione della terra




La corretta gestione della terra
di Antonio Bruno

Si va sempre più affermando la pratica delle tecniche di lavorazione del terreno definite “di tipo conservativo” che proprio per questo motivo rispettano la natura del suolo. Questo modo di lavorare la terra viene praticato in tutto il mondo e si stima che circa 65 milioni di ettari siano interessati da pratiche rispettose dell’ambiente e quindi sostenibili.
In Italia ed Europa si stanno riscontrando dei problemi che sono appunto la situazione di crisi nella quale versa il settore tale da determinare un reddito degli agricoltori ai limiti della convenienza economica che con le note vicende europee che sembrano tese nella direzione della riduzione del 50% le sovvenzioni all’Agricoltura che sono state 116 miliardi di Euro nel 2008 e che rappresentano il 47% del Bilancio della Comunità.
Ma la situazione che si vive nelle campagne impone a noi tecnici l’attenzione su queste tecniche di coltivazione che sono rispettose dell’ambiente e che hanno il principio generale di ridurre le lavorazioni del terreno. Ma come si è lavorato il terreno sino ad oggi? Con l’aratura classica. In alternativa a questa lavorazione si devono usare i residui colturali e fare ricorso alla regina delle pratiche agronomiche che sono il gli avvicendamenti.
In questi ultimi decenni, noi Dottori Agronomi e Dottori Forestali abbiamo provveduto a dare disposizioni in azienda per una lavorazione principale alla profondità di 40 – 50 cm e poi una volta che la coltura è in atto abbiamo disposto lavorazioni successive. Ma come abbiamo potuto constatare tutti in questi ultimi anni, per le giornate lavorative che sono necessarie per tale pratica e per il costo delle stesse, è divenuto antieconomico procedere alla tecnica colturale basata sulle lavorazioni classiche.
Tutto questo nella consapevolezza che noi Dottori Agronomi e Dottori Forestali siamo chiamati a ottenere la riduzione delle perdite di elementi nutritivi somministrati al suolo, migliorare la fertilità complessiva del terreno, conservare lo strato attivo e migliorare le condizioni sanitarie complessive del terreno per rendere meno favorevole l’instaurarsi di patogeni.
In questi ultimi anni si è provveduto ad effettuare la semina su terreno non lavorato e ad effettuare la pratica della minima coltivazione prendendo atto che nel terreno aumentava il contenuto di sostanza organica e come è evidente in maniera preponderante nei primi strati, e notando anche che non vi era alcuna riduzione nella capacità di infiltrazione delle acque. Inoltre la copertura naturale del suolo riduce l’impatto della pioggia soprattutto nelle nostre zone a rischio idrogeologico dove le alluvioni trascinano il terreno hanno un azione che lo difendono dall’erosione.
Ma come è evidente applicando la semina su terreno non lavorato e le lavorazioni minime si avranno delle diminuzioni della produzione che come è intuitivo sono compensate dalla riduzione dei costi di produzione non avendo più il costo delle lavorazioni che abbiamo già detto incide in maniera oramai tale da rendere antieconomica l’impresa agricola.
Quindi se di vuole abbandonare l’aratura classica c’è la necessità di utilizzare i coltivatori pesanti, ed estirpatori. L’utilizzo dei ripuntatori consente di ottenere il drenaggio profondo per la semina si utilizzano le seminatrici costituite da organi lavoranti che scalzano i residui della coltura precedente, li tritano e li miscelano con degli assolcatori al momento della semina.

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