Sei ingegnoso? Allora la tua mamma ha mangiato tanta cotognata
di Antonio Bruno
Si racconta che il nonno del Re babilonese Sin-Muballit era andato più volte a caccia nei pressi del Tigri e aveva notato delle bellissime mele che però aveva assaggiata e gli avevano fatto sentire la bocca impastata per l’aspro sapore e per la conseguente sensazione di avere di sentire rimanere la bocca irritata. Non li aveva più gustati i frutti di quell’albero anche perché alcuni schiavi israeliti che lo accompagnavano nella caccia gli avevano raccontato che nel Paradiso terrestre Eva ha raccolto il famoso "pomo", proprio da un bel Cotogno, dai delicati fiori. Il frutto, però, aveva un sapore acerbo, perciò Adamo non riuscì ad ingoiarlo. Il cotogno, infatti, gli rimase in gola, dando origine a quel famoso "Pomo d'Adamo".
Anche il nonno del Re babilonese Sin-Muballit aveva il pomo d’Adamo e quindi di Cotogno non ne volle più sapere.
Qualche mese dopo il nonno del Re babilonese Sin-Muballit catturò una lepre e siccome aveva fame accese un fuoco vicino al fiume e sotto il cotogno. Dall’albero caddero dei frutti che finirono vicino al fuoco che li fece cuocere. Un bel profumo si sparse nell’aria e il nonno del Re babilonese Sin-Muballit volle ancora assaporare il frutto dall’odore intenso e un po’ aspro dei grossi frutti autunnali e la polpa gialla, durissima e granulosa, ma grazie a quel provvidenziale fuoco la polpa aveva assunto un colore rosa e un sapore delicato che deliziò stavolta il palato dl nonno del Re babilonese Sin-Muballit.
Quando tornò alla reggia portò con se una strana preda, un cesto di mele cotogne, le diede alla cuoca e la pregò di cuocerle superando le resistenze della stessa che avvisava il Re della sgradevole esperienza che aveva fatto da giovane quando aveva morso quella mela perché era rimasta suggestionata dalla bellezza dei frutti tondi e ricoperti da una lanugine argentata, perfetti nella loro acerba bellezza, circondati dalle larghe foglie carnose, racchiuse quasi a formare un manto regale, e sormontati dal loro prezioso diadema.
Ma la cuoca del nonno del Re babilonese Sin-Muballit si dilettò a trasformarne la polpa gialla, durissima e granulosa, in una profumata e gradevolissima cotognata, una conserva dai bei colori ambrati, quando la vide bella calda e burrosa la versò ancora bollente in formelle di terracotta tonde, ovali, rettangolari. Il fondo delle formelle era intagliato in modo da formare i più disparati decori: le squame nelle formelle a forma di pesce, i raggi in quelle a forma di sole, e ancora petali e corolle, arabeschi, case coloniche con interi paesaggi, a quel punto la cotognata ottenuta, ormai solida, venne sformata, e meraviglia delle meraviglie sulla sua lucida e dolce superficie emersero in rilievo anche i più minuti decori.
Si dice che tutta la corte provò una grande stupore alla vista di quelle opere d’arte da gustare, un piacere: prima per gli occhi e poi per il palato.
Impararono poi con l’esperienza che la cotognata si può consumare non appena sformata, oppure, si lascia asciugare del tutto fino a che perde la sua lucentezza, diventa leggermente gommosa e si ricopre di una bianca patina zuccherina: in questo modo è pronta per essere mangiata in qualunque momento.
Bella storia eh?
L’ho visto il cotogno lungo il reticolo idrografico che collega Ruffano a Supersano in provincia di Lecce, l’ho guardato raccogliere dal mio collega Cosimino che mi ha detto di volerlo mettere nel mosto che stava fermentando in casa sua.
È una delle più antiche piante da frutto conosciute: era coltivato già 4.000 anni fa dai Babilonesi, tra i Greci era considerato frutto sacro a Venere e in epoca romana era ben noto, venendo citato da Catone, Plinio e Virgilio.
Mi hanno molto suggestionato i versi che seguono tratti dalla poesia “Damasco… giubilo di acqua e gelsomini”
Non so scrivere su Damasco senza che si intrecci il gelsomino sulle mie dita
Non so pronunciare il suo nome senza che sulla mia bocca si addensi il nettare dell’albicocca, del melograno, della mora e del cotogno
Non so ricordarla senza che si posino su un muretto della memoria mille colombe… e mille colombe volano......
Nizar Qabbani (1923-1998), poeta siriano
Il nettare di un albero che vegeta da noi ma che viene dall’Isola di Creta e specificamente dalla città di Cidone (in greco KY – DON). Ce lo ricorda Plinio che scrisse: “Mala, quae vocamus cotonea et Graeci cydonia, ex Creta insula advecta (Hist. Nat. Lib. XV, cap. 11), tradotto: Le Mele che noi chiamiamo cotogne ed i Greci cydonie, furono esportate dall’isola di Creta.
Le mele cotogne sono difficili da gustare, in special modo se immature.
In Terra di Lecce il cotogno lo ritroviamo persino nei decori barocchi a scalpellino, come segno distintivo del barocco Leccese
Il cotogno (Cydonia oblonga), l’ho visto al Canale Pedicare tra Ruffano e Supersano caricato dei frutti giallo pallidi, di forma irregolare, a metà tra mela e pera.
Cresce nelle campagne del Salento in piccole zone alluvionali, e la valle del Canale Pedicare appena piove si riempie d’acqua, ma era molto coltivato in tempi antichi come albero da ornamento nei giardini delle case patronali.
Ne ho preso uno e ho annusato il frutto, intensamente profumato, era appena colto quindi l’ho sentito duro l’ho morso e il gusto non era gradevole, eppure quando è cotto la polpa assume un colore rosa e un sapore delicato e quando si raffredda diviene cotognata (in greco Kydonites).
In Terra di Lecce la cotognata si ottiene dalla cottura lentissima delle mele cotogne, con un procedimento piuttosto semplice: le mele cotte sono passate al setaccio e messe nuovamente su fuoco bassissimo con l’aggiunta di zucchero, fino a raggiungere la consistenza e il caratteristico colore. Si conserva, poi, in stampi rettangolari, che la tradizione vuole di giunco foderato di garza sottile. Il profumo della cotognata è uno di quegli aromi che caratterizzano in Terra di Lecce l’atmosfera invernale. Il primo "assaggio", infatti, ha luogo all’inizio dell’inverno, assieme ai fichi secchi e alla prima pasta di mandorle. Si gusta semplicemente prendendone un pezzetto in mano, o si serve in un piattino con l’aggiunta di un po’ di zucchero semolato o di quanto la fantasia del pasticcere consiglia.
Tanto tempo fa i cotogni venivano passati al forno o messi sul fuoco con mosto d'uva; i nostri agricoltori o contadini o furesi li bollivano con le vinacce per preparare una lavanda con cui aromatizzare le botti.
Un simpatico uso dei frutti di cotogno era quello di profumare la biancheria nei cassetti o i locali di soggiorno.
Ce ne sono di due forme: quella a forma di mela il Cotogno (Pyrus cydonia) maliforme, o “melo cotogno” e ha forma di pera Cotogno piriforme o “pero cotogno”
L'Epicarpo e ricoperto di peluria che scompare durante la maturazione.
Il colore è giallo oro.
Il Mesocarpo o polpa è facilmente ossidabile, poco dolce e astrigente.
Nell'Endocarpo sono contenuti i semi che sono poco numerosi.
Adesso come sempre ci sarà chi mi chiede come fare a coltivare il cotogno nel giardino di casa ovvero quello che si dice essere la tecnica colturale. Per prima cosa c’è da tenere conto che
dato l’apparato radicale superficiale se utilizzi il motocoltivatore per le lavorazioni del terreno, o se lo utilizza il tuo giardiniere, dovrai tenerne conto. Se hai una superficie di terreno e vuoi ricavarne un cotogneto tieni conto che puoi condurlo a palmetta libera (una potatura che rende il filare di alberi come una siepe ma con poco spessore, si utilizza per la raccolta meccanica) le piante saranno piantate a 3 metri una dall’altra e 4 metri tra filare e filare oppure se lo vuoi tenere in giardino per raccogliere i frutti da utilizzare per la tua famiglia potrai coltivarlo utilizzando le forme in volume come vaso e globo.
L'irrigazione è fondamentale per la produzione, altrimenti fortemente ridotta. La concimazione si riferisce a criteri generali. Per la potatura devi stare attento a eliminare rami che hanno già prodotto, succhioni e polloni, mentre devi lasciare i rami di un anno e non devi spuntare i rami posti orizzontalmente (in caso contrario perderai la produzione dei frutti). Se vuoi più vigore esegui speronature.
La produzione media è di 60 tonnellate di frutta per ettaro con possibilità di arrivare fino alle 80 tonnellate di frutta per ettaro. La raccolta si esegue nel periodo di maturazione, in settembre-ottobre ed è facilitata dalla grossa pezzatura dei frutti.
La maggior parte del prodotto è conferito all'industria che preferisce il tipo maliforme; molto scarsa è la conservazione che ricorre a trattamenti pre-raccolta. Non si presta ad essere consumato allo stato fresco a causa della polpa troppo dura e astringente, quindi, solo una minima parte è collocata sul mercato del fresco. Essendo ricca di pectine può essere impiegata come addensante nella preparazione di marmellate con frutta povera di questa sostanza.
Gode di proprietà tonico-astringenti e anti-infiammatorie dell'apparato digerente.
Come tutte le pomacee può essere colpita dal Colpo di fuoco batterico (Erwinia Amilovora); importante malattia per il cotogno è la Monilia che colpisce prevalentemente i fiori. Tra gli insetti si ricordano la Carpocapsa, sui frutti, e la Tignola orientale, sui germogli.
Se tieni conto di questi suggerimenti il tuo cotogno sia che tu ne abbia fatto un frutteto che per un albero che serve per l’approvvigionamento della tua famiglia avrai una produzione ottima e abbondante.
Il cotogno viene usato anche come portainnesto infatti ci sono dei terreni che presentano un’alta salinità per la presenza di irrigazione con acque salse che utilizzate in estate determinano condizioni difficili per la vita delle piante. Ma il cotogno si è scoperto resistente all’azione del sale.
Infatti il germoglio del cotogno è stato sottoposto alla rigenerazione in vitro, un metodo per ottenere piante resistenti alla salinità (Barakat and Abdel-Latif, 1996; Cano et al., 1996). Il cotogno (Cydonia oblonga Mill.) è largamente utilizzato come portinnesto del pero per l’effetto nanizzante (le piante di pero innestate su cotogno sono più piccole), ha mostrato una certa capacità a rigenerare germogli avventizi da foglie di germogli coltivati in vitro (Baker e Bhatia, 1993; Dolcet-Sanjuan et al., 1991; Fisichella, 1998) e da callo (Chartier-Hollis, 1993). Tale attitudine è stata utilizzata per rigenerare germogli in condizioni di stress da NaCl con l’intento di ottenere piante resistenti a condizioni di elevata salinità del suolo.
Il frutto del cotogno è usato come nutrimento dalle larve di alcune specie di lepidotteri quali Bucculatrix bechsteinella, Bucculatrix pomifoliella, Coleophora cerasivorella, Coleophora malivorella.
Veniva detto che... la partoriente che mangiava mele cotogne, avrebbe dato figli di segnato ingegno.
Come dici? Sei ingegnoso? Allora la tua mamma ha mangiato tanta cotognata, quindi falla mangiare anche a tua moglie, la mamma dei tuoi figli!
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di Antonio Bruno
Si racconta che il nonno del Re babilonese Sin-Muballit era andato più volte a caccia nei pressi del Tigri e aveva notato delle bellissime mele che però aveva assaggiata e gli avevano fatto sentire la bocca impastata per l’aspro sapore e per la conseguente sensazione di avere di sentire rimanere la bocca irritata. Non li aveva più gustati i frutti di quell’albero anche perché alcuni schiavi israeliti che lo accompagnavano nella caccia gli avevano raccontato che nel Paradiso terrestre Eva ha raccolto il famoso "pomo", proprio da un bel Cotogno, dai delicati fiori. Il frutto, però, aveva un sapore acerbo, perciò Adamo non riuscì ad ingoiarlo. Il cotogno, infatti, gli rimase in gola, dando origine a quel famoso "Pomo d'Adamo".
Anche il nonno del Re babilonese Sin-Muballit aveva il pomo d’Adamo e quindi di Cotogno non ne volle più sapere.
Qualche mese dopo il nonno del Re babilonese Sin-Muballit catturò una lepre e siccome aveva fame accese un fuoco vicino al fiume e sotto il cotogno. Dall’albero caddero dei frutti che finirono vicino al fuoco che li fece cuocere. Un bel profumo si sparse nell’aria e il nonno del Re babilonese Sin-Muballit volle ancora assaporare il frutto dall’odore intenso e un po’ aspro dei grossi frutti autunnali e la polpa gialla, durissima e granulosa, ma grazie a quel provvidenziale fuoco la polpa aveva assunto un colore rosa e un sapore delicato che deliziò stavolta il palato dl nonno del Re babilonese Sin-Muballit.
Quando tornò alla reggia portò con se una strana preda, un cesto di mele cotogne, le diede alla cuoca e la pregò di cuocerle superando le resistenze della stessa che avvisava il Re della sgradevole esperienza che aveva fatto da giovane quando aveva morso quella mela perché era rimasta suggestionata dalla bellezza dei frutti tondi e ricoperti da una lanugine argentata, perfetti nella loro acerba bellezza, circondati dalle larghe foglie carnose, racchiuse quasi a formare un manto regale, e sormontati dal loro prezioso diadema.
Ma la cuoca del nonno del Re babilonese Sin-Muballit si dilettò a trasformarne la polpa gialla, durissima e granulosa, in una profumata e gradevolissima cotognata, una conserva dai bei colori ambrati, quando la vide bella calda e burrosa la versò ancora bollente in formelle di terracotta tonde, ovali, rettangolari. Il fondo delle formelle era intagliato in modo da formare i più disparati decori: le squame nelle formelle a forma di pesce, i raggi in quelle a forma di sole, e ancora petali e corolle, arabeschi, case coloniche con interi paesaggi, a quel punto la cotognata ottenuta, ormai solida, venne sformata, e meraviglia delle meraviglie sulla sua lucida e dolce superficie emersero in rilievo anche i più minuti decori.
Si dice che tutta la corte provò una grande stupore alla vista di quelle opere d’arte da gustare, un piacere: prima per gli occhi e poi per il palato.
Impararono poi con l’esperienza che la cotognata si può consumare non appena sformata, oppure, si lascia asciugare del tutto fino a che perde la sua lucentezza, diventa leggermente gommosa e si ricopre di una bianca patina zuccherina: in questo modo è pronta per essere mangiata in qualunque momento.
Bella storia eh?
L’ho visto il cotogno lungo il reticolo idrografico che collega Ruffano a Supersano in provincia di Lecce, l’ho guardato raccogliere dal mio collega Cosimino che mi ha detto di volerlo mettere nel mosto che stava fermentando in casa sua.
È una delle più antiche piante da frutto conosciute: era coltivato già 4.000 anni fa dai Babilonesi, tra i Greci era considerato frutto sacro a Venere e in epoca romana era ben noto, venendo citato da Catone, Plinio e Virgilio.
Mi hanno molto suggestionato i versi che seguono tratti dalla poesia “Damasco… giubilo di acqua e gelsomini”
Non so scrivere su Damasco senza che si intrecci il gelsomino sulle mie dita
Non so pronunciare il suo nome senza che sulla mia bocca si addensi il nettare dell’albicocca, del melograno, della mora e del cotogno
Non so ricordarla senza che si posino su un muretto della memoria mille colombe… e mille colombe volano......
Nizar Qabbani (1923-1998), poeta siriano
Il nettare di un albero che vegeta da noi ma che viene dall’Isola di Creta e specificamente dalla città di Cidone (in greco KY – DON). Ce lo ricorda Plinio che scrisse: “Mala, quae vocamus cotonea et Graeci cydonia, ex Creta insula advecta (Hist. Nat. Lib. XV, cap. 11), tradotto: Le Mele che noi chiamiamo cotogne ed i Greci cydonie, furono esportate dall’isola di Creta.
Le mele cotogne sono difficili da gustare, in special modo se immature.
In Terra di Lecce il cotogno lo ritroviamo persino nei decori barocchi a scalpellino, come segno distintivo del barocco Leccese
Il cotogno (Cydonia oblonga), l’ho visto al Canale Pedicare tra Ruffano e Supersano caricato dei frutti giallo pallidi, di forma irregolare, a metà tra mela e pera.
Cresce nelle campagne del Salento in piccole zone alluvionali, e la valle del Canale Pedicare appena piove si riempie d’acqua, ma era molto coltivato in tempi antichi come albero da ornamento nei giardini delle case patronali.
Ne ho preso uno e ho annusato il frutto, intensamente profumato, era appena colto quindi l’ho sentito duro l’ho morso e il gusto non era gradevole, eppure quando è cotto la polpa assume un colore rosa e un sapore delicato e quando si raffredda diviene cotognata (in greco Kydonites).
In Terra di Lecce la cotognata si ottiene dalla cottura lentissima delle mele cotogne, con un procedimento piuttosto semplice: le mele cotte sono passate al setaccio e messe nuovamente su fuoco bassissimo con l’aggiunta di zucchero, fino a raggiungere la consistenza e il caratteristico colore. Si conserva, poi, in stampi rettangolari, che la tradizione vuole di giunco foderato di garza sottile. Il profumo della cotognata è uno di quegli aromi che caratterizzano in Terra di Lecce l’atmosfera invernale. Il primo "assaggio", infatti, ha luogo all’inizio dell’inverno, assieme ai fichi secchi e alla prima pasta di mandorle. Si gusta semplicemente prendendone un pezzetto in mano, o si serve in un piattino con l’aggiunta di un po’ di zucchero semolato o di quanto la fantasia del pasticcere consiglia.
Tanto tempo fa i cotogni venivano passati al forno o messi sul fuoco con mosto d'uva; i nostri agricoltori o contadini o furesi li bollivano con le vinacce per preparare una lavanda con cui aromatizzare le botti.
Un simpatico uso dei frutti di cotogno era quello di profumare la biancheria nei cassetti o i locali di soggiorno.
Ce ne sono di due forme: quella a forma di mela il Cotogno (Pyrus cydonia) maliforme, o “melo cotogno” e ha forma di pera Cotogno piriforme o “pero cotogno”
L'Epicarpo e ricoperto di peluria che scompare durante la maturazione.
Il colore è giallo oro.
Il Mesocarpo o polpa è facilmente ossidabile, poco dolce e astrigente.
Nell'Endocarpo sono contenuti i semi che sono poco numerosi.
Adesso come sempre ci sarà chi mi chiede come fare a coltivare il cotogno nel giardino di casa ovvero quello che si dice essere la tecnica colturale. Per prima cosa c’è da tenere conto che
dato l’apparato radicale superficiale se utilizzi il motocoltivatore per le lavorazioni del terreno, o se lo utilizza il tuo giardiniere, dovrai tenerne conto. Se hai una superficie di terreno e vuoi ricavarne un cotogneto tieni conto che puoi condurlo a palmetta libera (una potatura che rende il filare di alberi come una siepe ma con poco spessore, si utilizza per la raccolta meccanica) le piante saranno piantate a 3 metri una dall’altra e 4 metri tra filare e filare oppure se lo vuoi tenere in giardino per raccogliere i frutti da utilizzare per la tua famiglia potrai coltivarlo utilizzando le forme in volume come vaso e globo.
L'irrigazione è fondamentale per la produzione, altrimenti fortemente ridotta. La concimazione si riferisce a criteri generali. Per la potatura devi stare attento a eliminare rami che hanno già prodotto, succhioni e polloni, mentre devi lasciare i rami di un anno e non devi spuntare i rami posti orizzontalmente (in caso contrario perderai la produzione dei frutti). Se vuoi più vigore esegui speronature.
La produzione media è di 60 tonnellate di frutta per ettaro con possibilità di arrivare fino alle 80 tonnellate di frutta per ettaro. La raccolta si esegue nel periodo di maturazione, in settembre-ottobre ed è facilitata dalla grossa pezzatura dei frutti.
La maggior parte del prodotto è conferito all'industria che preferisce il tipo maliforme; molto scarsa è la conservazione che ricorre a trattamenti pre-raccolta. Non si presta ad essere consumato allo stato fresco a causa della polpa troppo dura e astringente, quindi, solo una minima parte è collocata sul mercato del fresco. Essendo ricca di pectine può essere impiegata come addensante nella preparazione di marmellate con frutta povera di questa sostanza.
Gode di proprietà tonico-astringenti e anti-infiammatorie dell'apparato digerente.
Come tutte le pomacee può essere colpita dal Colpo di fuoco batterico (Erwinia Amilovora); importante malattia per il cotogno è la Monilia che colpisce prevalentemente i fiori. Tra gli insetti si ricordano la Carpocapsa, sui frutti, e la Tignola orientale, sui germogli.
Se tieni conto di questi suggerimenti il tuo cotogno sia che tu ne abbia fatto un frutteto che per un albero che serve per l’approvvigionamento della tua famiglia avrai una produzione ottima e abbondante.
Il cotogno viene usato anche come portainnesto infatti ci sono dei terreni che presentano un’alta salinità per la presenza di irrigazione con acque salse che utilizzate in estate determinano condizioni difficili per la vita delle piante. Ma il cotogno si è scoperto resistente all’azione del sale.
Infatti il germoglio del cotogno è stato sottoposto alla rigenerazione in vitro, un metodo per ottenere piante resistenti alla salinità (Barakat and Abdel-Latif, 1996; Cano et al., 1996). Il cotogno (Cydonia oblonga Mill.) è largamente utilizzato come portinnesto del pero per l’effetto nanizzante (le piante di pero innestate su cotogno sono più piccole), ha mostrato una certa capacità a rigenerare germogli avventizi da foglie di germogli coltivati in vitro (Baker e Bhatia, 1993; Dolcet-Sanjuan et al., 1991; Fisichella, 1998) e da callo (Chartier-Hollis, 1993). Tale attitudine è stata utilizzata per rigenerare germogli in condizioni di stress da NaCl con l’intento di ottenere piante resistenti a condizioni di elevata salinità del suolo.
Il frutto del cotogno è usato come nutrimento dalle larve di alcune specie di lepidotteri quali Bucculatrix bechsteinella, Bucculatrix pomifoliella, Coleophora cerasivorella, Coleophora malivorella.
Veniva detto che... la partoriente che mangiava mele cotogne, avrebbe dato figli di segnato ingegno.
Come dici? Sei ingegnoso? Allora la tua mamma ha mangiato tanta cotognata, quindi falla mangiare anche a tua moglie, la mamma dei tuoi figli!
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