Caputo: «Proviamo a costruire il bello»
E’ l’invito dell’archistar pugliese, promotore del Tesoretto del Salento, alla sua terra (a cui è legatissimo)
Milano, la nuova sede della Regione Lombardia Caputo lavora al progetto con lo studio Pei
LECCE - Per attitudine, e per professione, dice di osservare e rubare moltissimo. Perché, come sostiene anche Renzo Piano, l’architettura è un po’ un’arte di rapina: guardi, cerchi, prendi tutto quello che può aiutare e poi lo mescoli. E lei cosa mescola, architetto? «Di tutto. Scorci di Bangkok e torte di cioccolato». Come, scusi? «Mi ero appena svegliato. Vado in cucina per il mio primo caffé, e sul tavolo trovo una torta appena sfornata messa sottosopra sul fondo di un cestello in metallo. C’è tutta la suggestione di quell’immagine in un edificio che ora sto disegnando».
Milano, viale Elvezia, un’infilata di vetrate con vista su Parco Sempione, spazi bianchi, libri fin sopra il soffitto. Paolo Caputo accoglie nel suo studio. Classe 1950, ordinario di Progettazione architettonica urbana al Politecnico, architetto razionalista («nel mio lavoro concilio sempre i sogni con i bisogni »), esperienze accademiche a Madrid, Rio de Janeiro, Buenos Aires, Santiago del Cile, Porto, Siviglia, Parigi, Marsiglia, si divide tra Milano, città adottiva, e la Puglia, terra d’origine. La sua seconda casa è una masseria circondata da ulivi a Tricase, provincia di Lecce, basso Salento, uno di quei luoghi dove non ci capiti: ci vai. «E questo è importante - dice. Se uno ci finisce, è perché quella era la sua meta. Vuol dire che chi frequenta quei posti, lo fa perché ha un forte legame e una forte voglia di frequentarli ». Parla della Puglia come del suo altrove intellettuale. Un’alternativa esistenziale su cui giocare, quasi quotidianamente: «Ogni giorno m’invento un pretesto per telefonare: ora al custode, ora al giardiniere, ora all’amico architetto, ora all’amministratore pubblico. Ho bisogno di un contatto anche solo spirituale, di una continuità di pensiero». E allora perché se n’è andato? «Perché a diciotto anni cercavo una città e un territorio diversi, coerenti con la mia indole. Sono uno molto veloce, ho poca pazienza, ho voglia di fare e di vedere subito i risultati. Il piacere della stasi, la pigrizia, la mancanza di programmazione, il non senso del tempo, un certo spirito di approssimazione sono pregi che io non ho, e che hanno un forte carattere identitario per il popolo pugliese. Evitando generalizzazioni, naturalmente».
Paolo Caputo All’attivo della sua carriera esistono, oltre alla realizzazione di parchi in Italia e all’estero, imponenti opere urbane e architettoniche. Tra quelle in fase di esecuzione, ci sono la nuova sede della Regione Lombardia, e la Cittadella Milano Santa Giulia, cioè la riqualificazione del comparto dismesso più grande d’Europa, in cui il suo nome appare accanto a quello di Norman Foster. Con Renzo Piano, invece, ha elaborato il progetto di trasformazione delle aree Falck di Sesto San Giovanni. «Se le Archistar sono necessarie, vuol sapere? Dipende se sono loro ad occuparsi del progetto, o se delegano alla terza, quarta, quinta fila dei loro collaboratori. Nel primo caso, il confronto è molto utile; nel secondo, è un uso strumentale che si fa del loro nome. E all’architettura non serve». In Puglia è tra gli organizzatori del «Tesoretto del Salento», un pensatoio professionalmente assortito (ne fanno parte architetti, imprenditori, stilisti, registi, in gran parte cervelli pugliesi in fuga, anzi cervelli fuggiti già da un po’) che periodicamente si dà appuntamento per discutere su come riconoscere, rispettare, salvaguardare il patrimonio ambientale e monumentale: il tesoretto, appunto. Quello che la Puglia ha, ma quasi si dimentica di avere. Caputo ha in animo un progetto più ampio: creare il Salento- lab, una fucina permanente di idee per la riqualificazione del territorio che, partendo da giù, dal tacco, coinvolga tutta la regione. «Lo immagino affollato di cento, duecento giovani professionisti con idee nuove, che elaborino proposte e le regalino alle amministrazioni perché le mettano in pratica. Ma abbiamo bisogno degli enti locali, delle Camere di Commercio, di Confindustria per partire». Dice che la Puglia sta vivendo una fase eroica, per il momento solo nel campo della cultura popolare e musicale però. Un po’ poco. «E’ un settore in cui non ci si ferma alla riscoperta, ma c’è una combinazione tra antico e nuovo. Pensiamo a cosa potrebbe succedere se questa sperimentazione venisse applicata a tutti i settori: l’agricoltura, il turismo, la piccola impresa, l’ambiente. Potrebbe significare una nuova economia. Potrebbe diventare alimento comune, per farci crescere su una generazione».
Il paesaggio, un chiodo fisso. Come tutelarlo, come liberarlo dalle brutture che spesso lo invadono. Ma com’è cambiato quello pugliese? «E’ banale dire in peggio. Si è costruito senza cultura urbana, senza cultura territoriale, senza cultura paesaggistica, senza cultura architettonica». E’ nelle periferie che si è rotto l’equilibrio, secondo Caputo, prima ancora che sul litorale: «In nome della qualità dei centri storici, si è giustificata la totale distrazione dagli ampliamenti urbani. Capannoni, insediamenti produttivi ovunque. Le strade pugliesi, una per tutte la Lecce-Maglie, stanno diventando le più brutte strade-mercato di tutta Italia. Bisognerebbe vietare di costruire nella fascia dei primi 150 metri: si salverebbe il paesaggio». Mancano professionisti capaci, una politica illuminata, cosa? «Manca il senso dello Stato e delle istituzioni. C’è un rifiuto delle regole: in nome della piccola parcella, del lavoro al geometra amico o all’impresa di costruzione locale, può passare di tutto». Soluzioni? «Uno sforzo collettivo in direzione di una cultura diffusa. Bisogna far capire che la Puglia ha una ricchezza irripetibile, che ne stiamo abusando, che questo non paga. E che è una ricchezza che può creare ricchezza». Nient’altro? «La bellezza ovviamente, capace di far scattare il principio della cura e dell’identificazione. Le brutte periferie sono odiate dalla gente che le frequenta. Proviamo a costruire il bello, e aspettiamoci sorprese».
Paola Moscardino
E’ l’invito dell’archistar pugliese, promotore del Tesoretto del Salento, alla sua terra (a cui è legatissimo)
Milano, la nuova sede della Regione Lombardia Caputo lavora al progetto con lo studio Pei
LECCE - Per attitudine, e per professione, dice di osservare e rubare moltissimo. Perché, come sostiene anche Renzo Piano, l’architettura è un po’ un’arte di rapina: guardi, cerchi, prendi tutto quello che può aiutare e poi lo mescoli. E lei cosa mescola, architetto? «Di tutto. Scorci di Bangkok e torte di cioccolato». Come, scusi? «Mi ero appena svegliato. Vado in cucina per il mio primo caffé, e sul tavolo trovo una torta appena sfornata messa sottosopra sul fondo di un cestello in metallo. C’è tutta la suggestione di quell’immagine in un edificio che ora sto disegnando».
Milano, viale Elvezia, un’infilata di vetrate con vista su Parco Sempione, spazi bianchi, libri fin sopra il soffitto. Paolo Caputo accoglie nel suo studio. Classe 1950, ordinario di Progettazione architettonica urbana al Politecnico, architetto razionalista («nel mio lavoro concilio sempre i sogni con i bisogni »), esperienze accademiche a Madrid, Rio de Janeiro, Buenos Aires, Santiago del Cile, Porto, Siviglia, Parigi, Marsiglia, si divide tra Milano, città adottiva, e la Puglia, terra d’origine. La sua seconda casa è una masseria circondata da ulivi a Tricase, provincia di Lecce, basso Salento, uno di quei luoghi dove non ci capiti: ci vai. «E questo è importante - dice. Se uno ci finisce, è perché quella era la sua meta. Vuol dire che chi frequenta quei posti, lo fa perché ha un forte legame e una forte voglia di frequentarli ». Parla della Puglia come del suo altrove intellettuale. Un’alternativa esistenziale su cui giocare, quasi quotidianamente: «Ogni giorno m’invento un pretesto per telefonare: ora al custode, ora al giardiniere, ora all’amico architetto, ora all’amministratore pubblico. Ho bisogno di un contatto anche solo spirituale, di una continuità di pensiero». E allora perché se n’è andato? «Perché a diciotto anni cercavo una città e un territorio diversi, coerenti con la mia indole. Sono uno molto veloce, ho poca pazienza, ho voglia di fare e di vedere subito i risultati. Il piacere della stasi, la pigrizia, la mancanza di programmazione, il non senso del tempo, un certo spirito di approssimazione sono pregi che io non ho, e che hanno un forte carattere identitario per il popolo pugliese. Evitando generalizzazioni, naturalmente».
Paolo Caputo All’attivo della sua carriera esistono, oltre alla realizzazione di parchi in Italia e all’estero, imponenti opere urbane e architettoniche. Tra quelle in fase di esecuzione, ci sono la nuova sede della Regione Lombardia, e la Cittadella Milano Santa Giulia, cioè la riqualificazione del comparto dismesso più grande d’Europa, in cui il suo nome appare accanto a quello di Norman Foster. Con Renzo Piano, invece, ha elaborato il progetto di trasformazione delle aree Falck di Sesto San Giovanni. «Se le Archistar sono necessarie, vuol sapere? Dipende se sono loro ad occuparsi del progetto, o se delegano alla terza, quarta, quinta fila dei loro collaboratori. Nel primo caso, il confronto è molto utile; nel secondo, è un uso strumentale che si fa del loro nome. E all’architettura non serve». In Puglia è tra gli organizzatori del «Tesoretto del Salento», un pensatoio professionalmente assortito (ne fanno parte architetti, imprenditori, stilisti, registi, in gran parte cervelli pugliesi in fuga, anzi cervelli fuggiti già da un po’) che periodicamente si dà appuntamento per discutere su come riconoscere, rispettare, salvaguardare il patrimonio ambientale e monumentale: il tesoretto, appunto. Quello che la Puglia ha, ma quasi si dimentica di avere. Caputo ha in animo un progetto più ampio: creare il Salento- lab, una fucina permanente di idee per la riqualificazione del territorio che, partendo da giù, dal tacco, coinvolga tutta la regione. «Lo immagino affollato di cento, duecento giovani professionisti con idee nuove, che elaborino proposte e le regalino alle amministrazioni perché le mettano in pratica. Ma abbiamo bisogno degli enti locali, delle Camere di Commercio, di Confindustria per partire». Dice che la Puglia sta vivendo una fase eroica, per il momento solo nel campo della cultura popolare e musicale però. Un po’ poco. «E’ un settore in cui non ci si ferma alla riscoperta, ma c’è una combinazione tra antico e nuovo. Pensiamo a cosa potrebbe succedere se questa sperimentazione venisse applicata a tutti i settori: l’agricoltura, il turismo, la piccola impresa, l’ambiente. Potrebbe significare una nuova economia. Potrebbe diventare alimento comune, per farci crescere su una generazione».
Il paesaggio, un chiodo fisso. Come tutelarlo, come liberarlo dalle brutture che spesso lo invadono. Ma com’è cambiato quello pugliese? «E’ banale dire in peggio. Si è costruito senza cultura urbana, senza cultura territoriale, senza cultura paesaggistica, senza cultura architettonica». E’ nelle periferie che si è rotto l’equilibrio, secondo Caputo, prima ancora che sul litorale: «In nome della qualità dei centri storici, si è giustificata la totale distrazione dagli ampliamenti urbani. Capannoni, insediamenti produttivi ovunque. Le strade pugliesi, una per tutte la Lecce-Maglie, stanno diventando le più brutte strade-mercato di tutta Italia. Bisognerebbe vietare di costruire nella fascia dei primi 150 metri: si salverebbe il paesaggio». Mancano professionisti capaci, una politica illuminata, cosa? «Manca il senso dello Stato e delle istituzioni. C’è un rifiuto delle regole: in nome della piccola parcella, del lavoro al geometra amico o all’impresa di costruzione locale, può passare di tutto». Soluzioni? «Uno sforzo collettivo in direzione di una cultura diffusa. Bisogna far capire che la Puglia ha una ricchezza irripetibile, che ne stiamo abusando, che questo non paga. E che è una ricchezza che può creare ricchezza». Nient’altro? «La bellezza ovviamente, capace di far scattare il principio della cura e dell’identificazione. Le brutte periferie sono odiate dalla gente che le frequenta. Proviamo a costruire il bello, e aspettiamoci sorprese».
Paola Moscardino
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